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Autore: poke_ire    16/03/2014    0 recensioni
- Sotto un cielo stellato d'estate, senza luna, in montagna tutto sembra immobile, fermo, congelato, come dentro un respiro; milioni di piccoli puntini luminosi ti avvolgono in un’unica enorme palla e ti pare di poterci nuotare dentro; piano piano hai la sensazione di poterti librare in volo e di poter andare ovunque. In realtà non c’è una sola cosa, non una sola cellula che sia veramente ferma. Tutto gira, tutto è in continua trasformazione, il cambiamento, lento e inesorabile, attraversa il tempo e le stagioni. Tutto si muove attorno all’unica stella, alla polare, che ti segna il Nord, ti rassicura, ti riconduce sulla strada maestra: è lì da sempre e nell’infinito pare essere la sola che riesca a consolarti ed è per questo che alla fine non puoi fare a meno che sceglierla come punto di riferimento...
- Non dire sciocchezze Caterina hai solo sonno. Prova a dormire...il campo con gli scout ti dà proprio alla testa, per fortuna domani si torna a casa!
- Sabrina...!?
- Che c'è...?
- Tu sei la mia stella polare...
La guardai sistemandomi dentro al sacco a pelo; con aria infastidita le feci segno di chiudere la bocca e di lasciarmi in pace, quanto avrei voluto dirle
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Bottega vendesi

 
- Sotto un cielo stellato d'estate, senza luna, in montagna tutto sembra immobile, fermo, congelato, come dentro un respiro; milioni di piccoli puntini luminosi ti avvolgono in un’unica enorme palla e ti pare di poterci nuotare dentro; piano piano hai la sensazione di poterti librare in volo e di poter andare ovunque. In realtà non c’è una sola cosa, non una sola cellula che sia veramente ferma. Tutto gira, tutto è in continua trasformazione, il cambiamento, lento e inesorabile, attraversa il tempo e le stagioni. Tutto si muove attorno all’unica stella, alla polare, che ti segna il Nord, ti rassicura, ti riconduce sulla strada maestra: è lì da sempre e nell’infinito pare essere la sola che riesca a consolarti ed è per questo che alla fine non puoi fare a meno che sceglierla come punto di riferimento...
 
- Non dire sciocchezze Caterina hai solo sonno. Prova a dormire...il campo con gli scout ti dà proprio alla testa, per fortuna domani si torna a casa!
 
- Sabrina...!?
 
- Che c'è...?
 
- Tu sei la mia stella polare...
 
La guardai sistemandomi dentro al sacco a pelo; con aria infastidita le feci segno di chiudere la bocca e di lasciarmi in pace, quanto avrei voluto dirle che...ma non trovai le parole.  
 
******
 
- Signorina per favore si sposti da lì! Non vede che stiamo lavorando? Prenda le sue cose e vada via!-
 
Sono entrata da due minuti nell'ex-bottega di mio zio e sono già stata rimproverata dai muratori. Già, ma loro che ne possono sapere...hanno fretta, devono fare in fretta e poi l'agente immobiliare lucido e impomatato deve cominciare il suo show:
 
- Metteremo il cartello; faremo appuntamenti di visita solo con i migliori clienti di un portafoglio prestigioso che abbiamo l'onore di possedere; lo pubblicizzeremo nel nostro sito; saremo a sua completa disposizione per ogni eventualità; un team di professionisti seguirà il progetto, non si preoccupi signorina, in men che non si dica il suo locale sarà venduto! -.
 
La voce stridula da spot pubblicitario mi ronza ancora nelle orecchie, ma forse è giusto così... a me non resta che raccogliere le cose di famiglia che sono rimaste tra gli scaffali, nel retrobottega, organizzarli in uno scatolone e andare via, chiudere la porta alle mie spalle e dimenticare tutta la vita passata in quella piccola bottega del centro, voltare pagina e ricominciare: "Hai ancora tutta la vita davanti!" me lo sento ripetere da giorni "Si chiude una porta, ma si apre un portone!"...
 
C'è una gran polvere, smantellano tutto: i pavimenti di scaglietta di marmo, le porte marroni, le vetrine colorate, il bagno blu. I cocci sono accatastati tutti insieme come dentro ad un sacco di coriandoli. Credo di aver sbagliato umore: troppo nostalgico. Ma credo di aver sbagliato anche il mio look oggi: l'abito di lino bianco e gli infradito di cuoio non sono proprio indicati. E dire che non metto mai abiti da signorina, ma forse dovevo mascherare il mio imbarazzo, forse volevo sentirmi elegante, forse non volevo sembrare io. Adesso i miei vestiti sono sporchi: l'odore di umido che viene da terra mi si appiccica addosso, i granelli di polvere hanno preso possesso di ogni centimentro della mia pelle, ma forse mi sento più sporca dentro. E questo tipo di sudiciume non  posso toglierlo via con una doccia... I ricordi cominciano ad affollarmi la mente. Passo a rassegna il negozio ed è come se per magia potessi pulirlo e riportarlo allo splendore degli anni migliori.
E poi ci sono quelle fotografie sulla parete dietro la cassa, che hanno congelato il tempo. Idealmente siamo rimasti tutti lì: fermi, immobili, sorridenti, pieni d'orgoglio, con il calice alzato i grandi e con i giocattoli in bella mostra i piccoli. Nella foto manca Caterina.
Poi mi ricordo delle nostre firme sotto il bancone: “nessuno può averle trovate” - penso. Mi accovaccio ed eccole ancora lì, impresse e scalfite nel legno: SABRINA & CATERINA A x S. Un brivido mi scende lungo la schiena. Mi siedo per terra. Non voglio più uscire da lì sotto. Non voglio venderla la bottega, non voglio smantellare quel bancone, non voglio che quella scritta vada perduta; per anni ho cercato il coraggio di rimettere piede in quella che per molti era solo la bottega di Tarcisio “il libraio”, per alcuni era un posto dove prendere una buona tazza di caffè dopo il lavoro, per pochi era il distaccamento della sede del PC ma solo per Caterina e me era l'unico mondo che avessimo mai conosciuto, l'unico mondo possibile, l'unico angolo dove ci sentivamo libere e felici, dove poter giocare e crescere. E adesso che finalmente sono riuscita a varcare la soglia del dolore, dei sensi di colpa, delle miserie di una piccola donna di provincia, i muratori fanno polvere e rumore, l'agente immobiliare deve mettere il cartello e scommetto che un nuovo proprietario è già pronto a fare una nuova attività. Tutti vogliono che anche io faccia in fretta, il tempo è prezioso! E questo pare essere l'unico valore importante per quelli che mi girano intorno: il tempo sistema ogni cosa, il tempo è denaro...
Tocco con le dita i segni di quella scritta; soffio sulle lettere; con la manica del vestito “sbagliato” di lino bianco pulisco attorno alla scritta e compare un cuore. Poi una voce che viene da lontano, da un altro tempo, mi rimbomba dentro e mi sembra di risentirla: - VOMITA, VOMITA!!! -
 
******
Tornate dal campo con gli scout si doveva ricominciare la vita di tutti i giorni, anzi si sarebbe dovuto ricominciare un nuovo anno scolastico. Era il settembre del 1992. Avevamo finito la scuola media e adesso ci apprestavamo a varcare la soglia del liceo. Durante l'estate di quell'anno gli omicidi di Falcone e Borsellino avevano scosso il Paese e noi ragazzi avevamo partecipato ai vari cortei che si organizzavano in onore della memoria. Naturalmente il senso di quei mesi concitati a noi arrivava sotto forma di slogan! D'altra parte noi siamo figli della pubblicità e così: “Chi non ha paura di morire, muore una volta sola”;“Gli uomini passano ma gli ideali restano e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. Io e Caterina in particolare eravamo molto brave a raccogliere le frasi memorabili, anche di film, canzoni, poesie a impararle a memoria e a sciorinarle al momento giusto, nel posto giusto, per il piacere di fare bella figura, di essere considerate diverse dalle altre ragazzine stupidine che andavano in giro solo a fare compere e che non si interessavano delle cose della Polis. Questa è stata la prima parola che Caterina imparò al liceo classico. Dopo il primo giorno di scuola sapeva già tutto del collettivo, delle assemblee, degli scioperi che si sarebbero fatti e si era già innamorata del professore d'italiano e della professoressa di greco.
- Non puoi capire Sabrina! Se tu ora puoi parlare è perché ci sono stati i greci, altrimenti saresti stata senza parole...ma lo capisci? -
Insomma, era una che s'infervorava con poco. Ricordo che la scelta del liceo per noi fu traumatica. Caterina voleva a tutti i costi fare il ginnasio, ma io non me la sentivo.
- Non sono capace – dicevo -  il greco è troppo difficile e poi mi piace di più la matematica...-
Ovviamente non era vera una sola parola, ma mi ero convinta che non era corretto fare la stessa cosa: se lei andava a destra io dovevo andare a sinistra; se lei faceva il ginnasio, io dovevo fare il liceo scientifico; se lei suonava il pianoforte, io dovevo fare danza classica. In pratica dovevo essere a tutti i costi in perenne controtendenza. Dovevo far valere la mia personalità. Dovevo essere diversa, anche se non sapevo esattamente né il motivo né in che senso. Per fortuna rimanevano tre cose in comune: gli scout, la bottega di Tarcisio "il libraio" ovvero mio zio Tarcisio e la nutella che mangiavamo sotto il bancone dei libri di filosofia. E a dire il vero era molto suggestivo pensare che  sopra le nostre teste stavano buoni buoni, con tutte le lore idee onorate e venerate per secoli, Kant, Hegel, Platone, Aristotele, i quali però non avevano la ben che minima conoscenza di quella cremina al gusto di nocciola che ci faceva leccare le dita e della quale noi, invece, potevamo argomentare tesi e controtesi in qualunque momento.
I pomeriggi passati lì sotto erano per le nostre anime fonte di piacere, di serenità, di libertà. Ci sentivamo protette, al sicuro, come se nessuno potesse scoprirci. Naturalmente eravamo aiutate in questo da Tarcisio. Lui era l'adulto che più di tutti riusciva ad entrare in contatto con noi. Era strano per gli altri. Non saprei da dove cominciare per descriverlo: forse dagli occhi. Erano azzurri e grandi, ma non si vedevano bene perché aveva gli occhiali che portava sulla punta del naso e in genere teneva lo sguardo abbassato e le sopracciglia aggrottate. Il suo portamento era sempre solenne. Nel suo vestire non mancava mai la cravatta e la giacca. L'orologio era naturalmente da taschino; era uno scapolo, però con i colletti delle camicie e con le scarpe ben pulite, ma la cosa che ci faceva di più sorridere era che faceva il baciamano a tutte le donne che entravano in negozio. Ma proprio a tutte, anche a Cesca. Era una piccola donnina con l'aria un po' buffa che si aggirava con fare sospetto nei soliti anfratti. A volte appariva come un folletto dei boschi dentro la bottega. Entrava senza fare rumore, ti giravi di scatto e la vedevi lì, ritta nel suo cappottino trapuntato color cammello, gli stivaletti a mezza gamba neri, con la sua borsetta marroncina a tracolla e il cappellino di lana viola. Questo era il suo abbigliamento e non variava mai: né estate né inverno. Credo avesse i capelli neri, la faccia rotonda con due occhietti piccoli marroni un po' spenti, il nasino piccolo, le guanciotte rosa, la pelle morbida e senza rughe come quella di una bambina. Avrà avuto una quarantina d'anni, ma il suo modo di fare non superava i cinque. Quando pensava aveva l'abitudine di mordicchiarsi il labbro inferiore, mentre quando parlava era sempre a testa bassa con i pugni chiusi all'altezza della pancia e dondolava a destra e a manca. Quando era tesa cantava una canzoncina tra i denti, le parole non erano chiare, era più un farfugliare, ma Caterina un giorno si mise ad ascoltarla e le trascrisse in un foglietto: Ci son due coccodrilli /nel Marocco. O meglio questo è ciò che a Caterina parve di capire, perché in realtà un giorno Cesca chiese: Ma nel Mare Occo ci sono tanti pesci? E dov'è il Mare Occo? E perché si chiama Occo?
E se pioveva faceva una cosa strepitosa: camminava per strada sotto la pioggia battente con l'ombrello...chiuso! - Ma perché Cesca?- chiedevamo - Non si deve rompere...- ci rispondeva.
L'odore che emanava naturalmente era sgradevole: non era solo perché si lavava di rado ma perché probabilmente era sempre imbottita di farmaci che la mantenavano buona. - La suora mi ha detto che mi fanno bene - diceva, ma non abbiamo mai capito cos'è che le facesse bene- e che non devo perdere il fiorellino! C'è ancora? E si controllava, con le piccole manine dalle unghie mangiucchiate, il fiorellino applicato alla cuffietta di lana viola.
Quando era ora di tornare a casa prendeva  un mazzo di chiavi e cominciava a girarlo tra le dita. Con l'aria di chi ha fretta, come una imprenditrice in carriera ci salutava, usciva dal negozio e s'incamminava con il suo solito ondeggiare. Naturalmente le chiavi non erano di casa sua e noi ne avevamo la certezza per due buoni motivi: primo Cesca abitava dalle suore di San Francesco, al convento alla fine del paese vicino al cimitero e bisognava farsi aprire dalla suora portinaia per entrare e secondo era un mazzo di chiavi piccole piccole, quelle che servono per chiudere il lucchetto del diario segreto per intenderci e non avrebbero potuto aprire un portone neppure a volerlo. Chissà da chi aveva imitato quei movimenti, a chi aveva rubato le movenze! Ma era Cesca e noi tutti le volevamo un gran bene perché lei era... la persona più divertente che conoscevamo. Abbiamo sempre creduto che prima o poi l'avremmo rivista in qualche commedia di Eduardo.
 
Ovviamente Tarcisio era anche colui che ci aveva iniziato al mondo dell'arte. Musica, teatro e poesia erano il suo pane quotidiano: - Dovete imparare ad assaporare parole e linguaggio – ci diceva speranzoso di fare breccia nei nostri cuori - Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo! - e poi continuava con aria fiera e ottimista – Non temete, la bellezza ci può salvare!
Caterina era una fan scatenata di mio zio...naturalmente! Anche per me non era niente male. Preferivo stare lì che a casa con mia mamma. Lui riusciva a farci vestire i panni di un eterno Peter Pan, riusciva a farci sfiorare L'isola che non c'è. Con i suoi discorsi ci sentivamo più buone, migliori, ci faceva venir voglia di leggere, di studiare, di ascoltare musica, anche la più stravagante che per noi voleva dire Mozart, Beethoven, Brahms... Ma questo sentir così tanto parlare di arte ci portava poi ad avere un gusto tutto nostro e ci faceva sentire diverse, quindi era perfetto! Una volta ci portò a teatro. Davano la Bohème di Puccini. Avevamo passato i giorni precedenti a parlare dell'opera: noi non potevamo arrivare impreparate! Quindi Tarcisio tra un cliente e un baciamano, ci raccontava la storia di Mimì e dei suoi amici artisti. Caterina ed io non stavamo più nella pelle. Quando si fece buio in sala e si aprì il sipario rosso, abbandonammo l'idea di seguire lo spettacolo e ci dedicammo ad altro. Eravamo rimaste incantate dalle poltroncine di velluto, dalla gente in platea, dai riflettori, dalle maschere... Alla fine del primo atto avevamo capito di esserci perse "Che gelida manina" che era una delle cose che Tarcisio ci aveva raccomandato di seguire. Ci consolò uscite da teatro e ci promise che avrebbe messo il disco appena arrivati in libreria, ma noi capimmo che la musica vola in un batter di ciglia. Da quell'esperienza venne fuori una nostra idea della quale modestamente eravamo orgogliose e che sintetizzammo con il nome di Paradosso della musica: puoi riuscire a portare nel cuore dolci melodie che assumono un peso importante per la tua vita, ma devi essere anche consapevole che la consistenza di quelle stesse melodie è pari all'aria che respiri. Quando il giorno dopo tornammo a scuola sia Caterina che io, nel mio triste liceo scientifico, cominciammo a parlare del teatro e dell'opera come due veteranee della lirica, cosicché il nostro orgoglio ebbe una nuova occasione per aumentare ancora un po', e tutto questo grazie a Tarcisio.
Mia mamma e lo zio Tarcisio erano fratelli, ma i lori rapporti non erano buoni. Lo zio accusava la mamma di aver sposato uno scansafatiche che alla prima occasione ha mollato lei e me scomparendo per sempre e naturalmente la mamma accusava lo zio di non essersi mai sposato e di dedicare tutta la vita alle sciocchezze, che tradotto erano i libri.
La mamma mal sopportava che Caterina ed io fossimo così dedite alla frequentazione dello zio Tarcisio, ma si arrendeva agli occhi dolci che le facevo e si confortava all'idea che era meglio dentro la libreria che per strada. Le lunghe chiacchierate fino a tarda notte nel nostro limbo di pace a parlare dei nostri sogni, delle speranze, dei progetti sono momenti che non potrò dimenticare. La serata in libreria finiva sempre con una tazza di tè e con un “anche per oggi abbiamo fatto del nostro meglio”. Così abbassavamo la saracinesca, con lo sguardo ci abbracciavamo e ci lasciavamo con un “arrivederci” che ricordava la “buonanotte” di Giulietta al suo Romeo.
Con Caterina condividevamo anche l'odio sfrenato per gli specchi. Quella superfice riflettente era il simbolo di tutto quello, in primo luogo la vanità, che non volevamo diventare e che combattevamo dialetticamente con le nostre compagne di classe. Non volevamo apparire, noi volevamo essere. Accettando lo specchio avremmo avallato anche il consumismo, la falsità e l'ipocrisia. Noi eravamo desiderose di verità, giustizia e libertà! E ne andavamo fiere!
Gli specchi erano, per lo stesso motivo, incatenati alle fotografie. Mettersi in mostra? Per carità! Ci divertivamo con altre cose: film, teatro e musica erano i passatempi preferiti. Carpe diem era diventato il nostro motto. Pirandello, Martoglio e De Filippo il teatro più visto. Tinturia, Kunserto, 99Posse i cantautori più ascoltati. Le Piccole donne il libro che ci faceva più piangere, Demian il primo da cui imparammo una frase a memoria: «...il punto unico e particolarissimo, in ogni caso importante e degno di nota, il punto dove i fenomeni del mondo s'incontrano una volta sola e mai più».
Un pomeriggio di fine maggio, cambiammo il nostro solito luogo d'incontro perché mia mamma aveva bisogno di me per ripulire la cantina. Avere Caterina vicino voleva dire essere meno sottoposta alle grinfie delle domande materne, una su tutte: -Ma il fidanzatino?- (che tra parentesi mi faceva andare su tutte le furie). Mentre eravamo dedite a sgomberare scatole e scatoloni, in un momento dove eravamo state lasciate sole, ci imbattemmo in una scoperta piuttosto interessante: una vecchia lettera legata da un nastro rosso. Caterina non volle prenderla e lasciò a me, come spesso capitava l'incombenza delle cose difficili: anche per questo momento avevo trovato una frase fatta - E' uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo! - dissi. Per cui la presi tra le mani, ne sentii sotto la punta delle dita la consistenza della carta spessa e ruvida. La cura con la quale era stata conservata fece presagire l'importanza del suo contenuto. Il suo odore di chiuso ci ricordò l'umido di una giornata di pioggia. Ci attraversò la stessa sensazione di  due bimbe di fronte ad un  regalo di Natale: come non sciogliere quel vellutato fiocco suadente e morbido, che ci aprirà a mondi incantati? Non riuscimmo a trattenerci. Cominciammo a leggere.
 
A E.
addì 20 Aprile
Piove. Sono inzuppata! Dovrò asciugarmi? Ho ancora il tuo odore sui vestiti, tra i capelli. Non posso toglierlo via! Il vestito mi si appiccica addosso e mi sembra di sentirti. Devo distrarmi: apro la finestra cerco un po' d'aria fresca che ti allontani dalla mente e dal corpo. Mi sdraio sul letto. Il vento, dolce, profumato, bagnato, entra e mi accarezza tra le gambe nude. Ma dove sei!? Stringo il fazzoletto che mi hai regalato. È morbido, piccolo, di lino bianco. È come tenere un pulcino tra le mani. Il ricordo del tuo dolce volto riesce ad avvolgere la mia mente e i miei pensieri: vorrei essere dentro il mantello nero che indossavi stasera a teatro, nuda, tra le tue braccia che mi stringono, accarezzarti per tutta la notte... oh come vorrei...
Immagino come sarà il nostro nuovo incontro, lo sogno, lo penso costantemente, riempie i miei sensi. Una musica intrigante, il tintinnio di due calici, luce di candele, le tue mani sulle mie, la paura di guardarti negli occhi...oh mio piccolo uomo...per una volta vorrei non pensare se è giusto o sbagliato, vorrei solo baciarti, stringerti, morderti...In questi giorni ho scritto e poi puntualmente accartocciato un po' di messaggi per te, qualunque cosa scrivessi mi sembrava banale e stupida, ma avevo, e ho, troppa voglia di averti ad un centimetro, di sentire il tuo fiato sulle mie labbra. L'unica consolazione è scrivere per stringerti un po' a me. Continuo ad averti nei miei sogni e questo mi fa impazzire...Sono immersa nella vasca da bagno. La schiuma mi avvolge. Accarezzo e massaggio i miei piccoli piedi, le mie gambe tese, le mie cosce morbide, il mio pube depilato, il ventre e i capezzoli turgidi, ma non mi basta: sento, sogno e voglio le tue mani grandi e calde su di me...
Mi sveglio nel cuore della notte. Ho il fiatone e i miei battiti sono accelerati. Credo di aver fatto l'amore con te. Vado in bagno; bevo un po' d'acqua che mi rinfreschi la gola e i pensieri. Ti rimetto a letto vicino a me. Aspetto l'alba. Ho ancora voglia di te, di sentire il tuo sudore confondersi con il mio. Le tue mani, i tuoi occhi, la tua schiena, sono immagini fisse e vive nella mia mente. Sento i tuoi morsi provocarmi un leggero dolore eccitante...ma perché non ci sei?
Livia
 
Il respiro ci si fermò in gola. Sentimmo rientrare la mamma, così raccogliemmo il nostro nuovo gioco e lo portammo dritto dritto nella nostra tana: sotto il bancone di filosofia. Eravamo eccitate; quello scritto proibito ci aveva catapultato in un altro mondo. Quelle parole rimbombavano nella nostra testa, come palline dentro un flipper. Rimbalzavano i pensieri e non riuscivamo a pensare a nient'altro. Chi è E. e perché Livia continua a invocarlo? E perché si trovava nella mia cantina? Mia madre è in qualche modo coinvolta?
 
- Dobbiamo parlarne a tua madre!-
- Caterina, sei completamente impazzita! Dobbiamo parlarne con qualcuno... non con mia madre!
- Tarcisio!- l'unisono fu spontaneo, almeno su una cosa eravamo daccordo!
 
Dlin dlon.
-Tarcisio?!-
-ARRIVO!
 
Era il solito amico comunista. La porta della libreria, era sempre aperta, ma a lui piaceva farsi annunciare dallo scampanio del tintinnabolo. Era il compagno Pippo Paoli: iscritto al PC in gioventù; adesso era passato nelle file di Rifondazione Comunista. Era il classico politico da bar. E noi non riuscivamo proprio a soffrirlo: tanto per cominciare indossava due occhiali contemporaneamente, un paio da sole sulla testa e un paio da vista sul naso. Poi indossava sempre la giacca coordinata alla cravatta, ma il colletto delle sue camicie era naturalmente sudicio. Le braccia erano sempre rigorosamente dietro la schiena e sotto l'ascella sinistra portava l'Unità. Secondo me e Caterina era la stessa da un paio di mesi perché ogni giorno era sempre più sgualcita. Parlava, parlava, parlava di niente ma aveva la "r" moscia. Quando qualcuno cercava di esprimere un pensiero e lui era obbligato ad ascoltare con l'indice della mano destra picchiettava sul suo nasino con ironia e con un "Mah!" stampato sul volto. L'unico modo per fermare quel delirio era offrirgli un bicchiere di vino e così puntualmente Tarcisio – Caro Pippo, beviamoci su, vedrai che le cose cambieranno!-
Io e Caterina non uscivamo allo scoperto quando lo sentivamo arrivare, ma dal nostro girone dei sogni intonavamo a squarciagola dei versi, a nostro modo, eterni:
 
« Ma un'altra grande forza spiegava allora le sue ali,
parole che dicevano "gli uomini son tutti uguali"
e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
la bomba proletaria e illuminava l' aria
la fiaccola dell' anarchia,
la fiaccola dell' anarchia,
la fiaccola dell' anarchia...
»
 
Il tutto si concludeva in una risata generale e si poteva tirare un sospiro di sollievo.
 
I nostri pensieri erano ancora legati a quella lettera, non riuscivamo a svincolarci da lì e così un giorno cariche di coraggio cercammo di parlare a Tarcisio del nostro ritrovamento. Cominciammo il discorso con una domanda che a noi sembrava più o meno banale, un modo come un altro di attaccare un discorso che ci imbarazzava. Ma la risposta fu alienante.
- Quanti tipi di amore possono esserci al mondo?- chiesi, mentre Caterina si sedeva sullo sgabello vicino allo zio.
E lui ci pensò un po', prese un respiro e rispose: - Ostacolato, ricambiato, possessivo, passionale, generoso, romantico, passeggero, eterno, consumato, immacolato, equilibrato, coinvolgente, sereno, fraterno, mai dichiarato, timido, inquieto, sfrontato, appena nato, struggente, fedele, infedele, intenso, omicida, indecente, criminale, platonico, surreale, vivo, dolce, crudele, il primo, ingenuo, triste, materno, riservato, bello, seducente, tenero, profondo, goloso, lunatico, tenace, simpatico, casto, spinto, cieco, desiderato, sognato, finto, vero, perfido, egoista, ossessivo, ansioso, malato, nevrotico, litigarello, sarcastico, puro, insofferente, arrivista, travolgente, impossibile, represso, silenzioso, condiviso, fugace, chiacchierato, rubato, sperato, violato, celato, agoniato, dimenticato, adolescenziale, maturo, birichino, virtuale, epistolare, grande, geloso, disimpegnato, premuroso...
I suoi occhi erano rimasti fissi sulle sue mani che, incrociate sul grembo, sembravano ascoltare anche loro con noi quella lista di aggettivi, ognuno dei quali portava con sé storie di persone. Non erano semplici parole vuote, erano state scelte per indentificare precise sensazioni vissute. Tarcisio non aveva un amore, ma aveva un milione di modi per chiamarlo. Avemmo la sensazione di aver toccato un nervo scoperto, come se Tarcisio avesse aspettato da sempre quella domanda che nessuno aveva mai osato fargli. Era come se avesse accumulato con fatica, impegno e tenacia tutti quegli aggettivi con la pazienza e l'amore di un collezionista. Non trovammo il coraggio di proseguire oltre. Abbandonammo lo zio ai suoi pensieri e con estremo silenzio ritornammo sotto il bancone.
Rileggemmo la lettera mille volte per cercare di capire di più, ma non ottenemmo i risultati sperati.
Non ne parlammo con nessuno. Restò un segreto tra me e Caterina. Non sapemmo mai chi fossero quegli amanti. Ma ora sapevamo un po' di più sullo zio Tarcisio.
 
Un giorno in libreria entrò Cesca e suor Lucia, la portinaia del convento. Cesca veniva spesso, ma suor Lucia...
Era un mercoledì, me lo ricordo bene perché tutti i negozi accanto a quello di Tarcisio facevano riposo e infatti il corso era deserto. In realtà anche Tarcisio avrebbe dovuto fare riposo, ma la bottega era aperta ed entrammo. La sala era in penombra. La luce proveniva dal retrobottega. Il bancone dei libri di filosofia era vuoto. Non c'era nessuno, sentimmo però provenire dei rumori dal piano inferiore, dove in genere Tarcisio teneva i "non venduti", scatoloni e altre cianfrusaglie. Mentre ci avvicinavamo alle scale per scendere giù sentimmo Cesca cantare la sua litania e suor Lucia che le rimproverava di stare ferma. Non so perché, ma non facemmo un solo altro passo. Ci fermammo sull'orlo della porta ad osservare.
Suor Lucia teneva ferma Cesca sopra un tavolo dalla tovaglia bianca. Le alzò la gonna, Tarcisio si tolse gli occhiali, si abbassò i pantaloni e abusò, abusò, abusò, abusò, abusò... abusò di lei, la violentò, ma non la toccò neppure con un dito. Aveva l'odio nel cuore e la morte negli occhi. "Quanti tipi di odio possono esserci al mondo?" mi chiesi. Risposta: ostacolato, ricambiato, possessivo, passionale, generoso, romantico, passeggero, eterno, consumato, immacolato, equilibrato, coinvolgente, sereno, fraterno, mai dichiarato, timido, inquieto, sfrontato, appena nato, struggente, fedele, infedele, intenso, omicida, indecente, criminale, platonico, surreale, vivo, dolce, crudele, il primo, ingenuo, triste, materno, riservato, bello, seducente, tenero, profondo, goloso, lunatico, tenace, simpatico, casto, spinto, cieco, desiderato, sognato, finto, vero, perfido, egoista, ossessivo, ansioso, malato, nevrotico, litigarello, sarcastico, puro, insofferente, arrivista, travolgente, impossibile, represso, silenzioso, condiviso, fugace, chiacchierato, rubato, sperato, violato, celato, agoniato, dimenticato, adolescenziale, maturo, birichino, virtuale, epistolare, grande, geloso, disimpegnato, premuroso...
Suor Lucia vedeva e non guardava; recitava preghiere e tappava gli occhi a Cesca, che tra i denti si ripeteva: " siamo tutti come le panchine del parco in autunno", " siamo tutti come le panchine del parco in autunno", " siamo tutti come le panchine del parco in autunno", " siamo tutti come le panchine del parco in autunno", dieci, cento, mille volte senza fermarsi mai. Io rimasi immobile, come dentro ad un respiro. Tutti i miei ideali, tutti i miei valori, tutte le mie belle frasi fatte non servirono a niente. Non riuscii a bloccare quell'orrore che si consumava sotto il mio sguardo impotente. Non trovai il coraggio di urlare. Fu lì che Caterina mi abbandonò. Mi chiedeva di lottare per una cosa concreta, ma non ci riuscii "é troppo difficile, é troppo difficile, é troppo difficile" mi dicevo. La guardai negli occhi profondamente, ma lei piano piano scompariva. Scappai via; entrai in bagno e ingoiai tutte le pillole di una scatola, volevo addormentarmi velocemente, teneramente, fare finta di avere sognato. Cominciai a correre per strada. Piangevo e correvo; arrivai a casa: buttai le braccia al collo di mia madre e le raccontai quello che avevo visto e la sola cosa che ricordo è che mi prese per le spalle e scuotendomi come non aveva mai fatto mi urlò:" Caterina non esiste! Caterina non esiste! Lo vuoi capire, è solo una tua invenzione... ti prego calmati Sabrina!". Cominciai a vomitare, piangevo e vomitavo." Vomita! Vomita!" mi disse.
Caterina non esisteva: la parte buona e bella di me non esisteva, ciò che mi piaceva di me era solo un' invezione; la mia amica dolce, libera, idealista che si infervorava con poco era fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni; rimanevo solo io, da sola in tutta la mia miseria. Anche io ero complice, anche io avevo partecipato a quell'abuso...Ma perché era successo? Perché il regno di Camelot si era trasformato in una prigione?
 
******
"Allora signorina si vuol togliere da lì?"
Fine
  
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