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Autore: LiduenKvaedhi    16/03/2014    0 recensioni
Aveva scelto l'amore agli Hunger Games, e ne avrebbe pagate le conseguenze.
Dal testo:
Dopo aver fatto notare alla tutor questo punto, Cashmire aveva cominciato a ridere.
“Lavinia, ma la tua arma sarà la bellezza!”.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitol City teneva tutta Panem sotto la sua stretta mortale, sotto gli Hunger Games.
O così tutti credevano. E lo credeva anche Ruhe*, prima di incontrare Frei*.

Essere bella era un pregio, ma anche un pericolo nella società in cui viveva Ruhe. Capitol City, detta anche la Città dello Sfarzo, adulava la bellezza estrema, la venerava come una dea.
E dai Distretti Uno, Due e Quattro, distretti natii dei cosiddetti Favoriti, nascevano la maggior parte dei Vincitori. Ed erano tutti bellissimi e letali. La maggior parte dei ragazzi che si allenava sin dall’età di otto anni nelle Accademie dei vari distretti, imparando a usare le più svariate e improbabili armi, erano i massimi esponenti della bellezza. E imparavano quasi zero sulle tecniche di sopravvivenza, ma questo è un altro discorso.
Ma torniamo a Ruhe: aveva la pelle talmente chiara da sembrare porcellana, numerosi boccoli le incorniciavano il viso, i capelli di rosso fuoco le animavano gli occhi ambrati. I lineamenti erano delicati e perfetti, le labbra a forma di cuore e un fisico atletico. Tutto ciò che una ragazza vorrebbe essere.
Ma vi ripeto, cari lettori, che non sempre è un pregio: Ruhe, per la sua bellezza, quell’anno avrebbe dovuto offrirsi come volontaria per i Settantesimi Hunger Games.
Bell’intoppo, eh?
Avrebbe dovuto essere fiera di sé, orgogliosa del regalo che Capitol City le stava facendo: onore, ricchezza e gloria a vita! Peccato che per avere ciò avrebbe dovuto vincere, macellando solo Dio sa quante persone o, peggio, ragazzi o, peggio ancora, bambini.
Aveva solo sedici anni, quella povera ragazza, quando le fu data la notizia da Cashmire, la sua tutrice all’Accademia del Distretto Uno. In genere, almeno che non si è assi, i ragazzi non vengono scelti prima del compimento del loro diciottesimo compleanno. E Ruhe non era di certo un asso, anche se se la cavava bene con la maggior parte delle armi. Dopo aver fatto notare alla tutor questo punto, Cashmire aveva cominciato a ridere.
“Lavinia (questo era il suo primo nome), ma la tua arma sarà la bellezza!”.
Da quel momento Ruhe aveva odiato tutto di sé stessa, desiderando di somigliare ad un facocero con le piume che le uscivano dalle orecchie.
Non ci crederete mai, ma il Favorito, se di età inferiore ai diciotto, poteva anche rifiutare e decidere di aspettare i diciotto anni per offrirsi volontario. Ma sono rari i casi in cui accadeva e questo non è una di quelli.
Quando a cena ne aveva parlato con i suoi, dopo aver detto a Cashmire che ci avrebbe pensato, i suoi erano impazziti di gioia. A quel punto quella poverina come avrebbe potuto rifiutare?! Così accettò di partecipare ai Settantesimi Hunger Games, che si sarebbero svolti nove mesi dopo.
Fu inserita negli addestramenti intensivi, passando ogni giorno, sette giorni su sette, dalle sei di mattina alle sei di sera (che alla fine diventavano quasi sempre le nove o le dieci), in Accademia.
Ed è lì che la nostra cara Ruhe incontrò Frei, l’altro protagonista di questo racconto (o meglio, resoconto).
Sin dal primo momento fra i due scoccò una scintilla, una scintilla che presto avrebbe avuto bisogno di essere contenuta, tanto per citare il tanto amato Presidente Snow.
Frei era un altro esempio di bellezza ammirata dalla capitale: alto un metro e novanta, ottantacinque chili di muscoli, capelli scompigliati castani ed occhi grigi come il fumo della legna fresca. Aveva ventun’anni, ma per loro la differenza di età non contò mai.
Il primo giorno si presentò come il suo personal trainer con una voce fredda e distaccata, come del resto il suo sguardo. Lei fu folgorata, lo stomaco esplose in mille fuochi d’artificio. Ruhe si presentò come Lavinia, il suo nome ufficiale. In realtà detestava quel nome e malediceva sempre giorno che sua madre la lasciò vinta sul suo nome al padre.
Giorno dopo giorno il muro di ghiaccio di Frei si scioglieva come al sole, e il sole era lei. Splendeva come una fiamma nella notte agli occhi dell’allenatore. E più il tempo passava, più capiva di amarla. E la cosa era reciproca.
Una sera, dopo due mesi dal inizio dell’addestramento intensivo, si era fatto tardissimo, oltre le dieci.
Ruhe era distrutta e si era sdraiata con l’intento di chiudere solo gli occhi, doloranti per la stanchezza e per il tremendo mal di testa. Poi il sonno l’aveva assalita come una tigre e si era addormentata di botto.
Frei l’aveva trovata mentre faceva il giro di ricognizione e si era imbambolato a guardarla. Quando dormiva sembrava più piccola di quello che in realtà era, dimostrando solo quattordici anni.
Un ricciolo le era scappato dalla crocchia arruffata e l’allenatore moriva dalla voglia di metterglielo dietro l’orecchio. Si avvicinò piano e, della serie tempismo perfetto, lei aprì gli occhi. Frei era ormai vicinissimo al suo volto, i nasi quasi si sfioravano e gli occhi si intrecciavano fra di loro come rampicanti. E fu lì che il muro crollò del tutto e il ragazzo coprì la poca, anzi, pochissima distanza rimasta.
La passione dei baci svegliò in un batter d’occhio la ragazza, che rispose con enfasi, passando le dita fra i capelli di Frei.
E fecero l’amore. Così, semplicemente, sulla panchina dello spogliatoio.
I gemiti di lei si… no, ok, non voglio parlarne nei minimi particolari, ma posso assicurarvi che ci hanno dato dentro. Parecchio.
Insomma, passò la notte lì e il giorno dopo riprese l’addestramento come se nulla fosse successo.
Ma continuarono a stare insieme dopo gli allenamenti e nel poco tempo che passavano fuori da quella palestra. Andavano a passeggiare per il Distretto Uno, mangiavano insieme, si baciavano, chiacchieravano e si divertivano, incuranti del tempo che passava.
E la bella favola si crepò quando iniziarono gli esami di valutazione delle capacità di Ruhe.
I due si resero conto che il tempo che li restava era poco, che presto Frei avrebbe perduto la ragazza per sempre. Fu così che le parlò del Distretto Tredici per la prima volta.
Stavano tornando a casa dopo una giornata particolarmente stancante, lui la teneva per le spalle, vicino a sé. Mancavano meno di tre settimane agli Hunger Games. “Andiamocene.” aveva semplicemente detto Frei, sperando che Ruhe non lo prendesse per pazzo o gli ridesse in faccia.
La ragazza si bloccò di colpo e rimase immobile, scrutando l’asfalto con fare pensoso. Rimase in silenzio per cinque minuti, dopo di che spostò il suo sguardo su di Frei e gli sorrise “Andiamocene.”. Il ragazzo si accorse di aver trattenuto il respiro (non nel vero senso della parola, sennò sarebbe morto dopo cinque minuti senza respirare!).
E così Frei le raccontò del tredicesimo distretto, dove la gente viveva sotto le macerie, aspettando il momento giusto per uscire alla luce del sole. “Lì ci accoglierebbero!” le aveva assicurato gioioso il ragazzo, prima di lasciarla sulla porta di casa e abbandonandola a una miriadi di domande.
E così organizzarono la loro fuga, indetta nel giorno della Mietitura. Frei era riuscito a recuperare da alcuni Pacificatori corrotti delle tute e sarebbero montati su un treno che li avrebbe portati nel Distretto Dodici, da lì però avrebbero dovuto proseguire a piedi nel bosco. Non potevano certo rischiare le coperture delle loro spie per dei capricci di due adolescenti innamorati quelli del tredici.
E il giorno arrivò.
Era caldissimo fuori, ancora di più nelle tute. Ruhe sgattaiolò fuori di casa alle cinque di mattina. Tutto quello che lasciò fu un bigliettino ai genitori:

Devo andare dove mi porta il cuore, e di certo non mi porta nell’arena.
Mi dispiace,
Lavinia


I due ragazzi si ritrovarono alla stazione con Johan, il Pacificatore che li avrebbe aiutati nella loro fuga. La tuta bianca a causa del sudore stava appiccicata alla pelle e faceva venire il prurito a Ruhe. Eppure continuava ad avere un atteggiamento rigido, un atteggiamento da Pacificatore.
Nessuno parve minimamente interessato a questi due nuovi soggetti, o così credevano.
Il viaggio non durava neanche un giorno e presto, ad una fermata anomala in mezzo alla foresta, i due se la diedero a gambe.
Corsero per mezz’ora senza mai fermarsi, incuranti del rumore che producevano al loro passaggio. Solo dopo aver messo una certa distanza fra loro e il treno, si fermarono. Ansimavano, terribilmente oserei dire. Lei fischiava come un treno a vapore. Essere asmatici non è un gran vantaggio quando devi fuggire.
Si sfilarono la tuta e la nascosero sotto dei massi, tendendo per loro solo le pistole. Si comportarono esattamente come se fossero dentro un arena, cercando di sopravvivere il più a lungo possibile.
Quello che non sapevano era che c’era un Hovercraft sulle loro tracce e un’accusa di alto tradimento sulle loro spalle.
E vissero spensierati, più innamorati che mai e sognando la loro vita futura, camminando incessantemente.
Si accamparono sotto le stelle, in una piccola casetta di calcestruzzo in riva ad un lago, su una grande quercia dai rami larghi e relativamente accoglienti.
Gli uccelli cantavano, e cantavano che era una meraviglia, ma ad un certo punto il silenzio sovrastò la foresta e partì un unico, stridulo e minaccioso suono, quello che annunciava l’arrivo di un Hovercraft.
Frei e Ruhe cominciarono a scappare, mano nella mano, sperando di non essere stati ancora avvistati. Evitavano tutte le radure e le zone troppo in vista, finché non sbucarono ai margini di una rupe.
E fu lì che li videro, a un centinaio di metri di distanza: un ragazzo e una ragazza, acquattati fra dei cespugli e delle rocce. Spaventati proprio come loro.
Ruhe cominciò a chiederli aiuto, avvicinandosi lentamente ai due ragazzi. Non videro l’Hovercraft finché non si materializzò sulle loro teste e una rete piovve su Ruhe.
“Ruhe!” Frei le cose incontro e le prese la mano mentre la rete la tirava su.
Quando le loro dita si staccarono, il volto di lei era rigato di lacrime. Il ragazzo era forte come al solito.
“Ti amo Lavinia” riuscì ad urlare Frei, prima che una lancia lo trafiggesse uccidendolo all’istante.
Ruhe rimase pietrificata e scattò lo sguardo verso la sporgenza sotto la quale erano nascosti i due. Li odiava, avrebbe voluto vederli morti come adesso era il suo Frei.
Tirò un unico urlo ed urlò che anche lei lo amava. Dopo tutto divenne nero.

“Vedi, Lavinia cara. Ora una bambina di tredici anni è stata sorteggiata come Tributo, il tuo ragazzo è morto e tu lo seguirai, o nel migliore dei casi diventerai schiava di Capitol City. A cosa è servita questa patetica fuga?” la voce roca e sgradevole del Pacificatore che l’avrebbe interrogata per i prossimi giorni le rimbombava nelle orecchie.
“Siamo già tutti schiavi di Capitol City.” furono l’ultime parole che disse. Perché da lì in poi non avrebbe mai più parlato, prima per sua volontà e in seguito come punizione per questo.
“Esaudirò il tuo desiderio di quiete: prestò sarai mutilata. Bello, no?!” poi era scoppiato a ridere.
Ruhe divenne più che un secondo nome: il silenzio sarebbe diventata la sua arma migliore, perché nessuno poté più obbligarla a parlare di Frei e del Distretto Tredici.

Angolo Autrice:
* Ruhe = Silenzio in tedesco; *Freiheit (Frei) = Libertà in tedesco.
Ciao a tutti! Volevo solo spiegare perchè ho deciso di dare un altro nome a Lavinia: in realtà mi piaceva il suono della parola silenzio in tedesco e l'ho trovata adatta per la protagonista di questa One-Shot. Così ho deciso di metterlo come una sorta di secondo nome a lei preferito rispetto che al primo, cioè Lavinia.
Spero che vi sia piaciuta, io personalmente sono soddisfatta :)
Mi scuso in anticipo per le varie sviste che solitamente accompagnano le mie ff. ^^''
Chiara.
  
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