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Autore: NorwegianWinds    16/03/2014    0 recensioni
Alex è un giovane musicista allo sbando: è appena stato cacciato dalla sua band, i We Love Thighs, e non sa cosa fare del proprio futuro. Tra tostapani molesti, amici fedeli, pornobimbe silenziose, vecchie guide ed ex mogli alla ribalta, riuscirà Alex a ritrovare la propria strada e la propria musica?
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Un' ora dopo siamo sul treno per Manchester. Nereide è sveglia e guarda il nero totale che scorre fuori dal finestrino. Ogni tanto fa una smorfia, presumo per la puzza di spazzatura che emano. Io sento che la tensione di un'intera giornata, anzi, di un intero mese, mi abbandona di colpo. Non ho più forze. Crollo addormentato.

Quando riapro gli occhi siamo a Manchester e Nereide mi sta chiedendo qualcosa. L'indirizzo di casa mia.

Ci arriviamo a piedi, inizia ad albeggiare. Poi lei mi blocca di colpo e fissa attonita la mia banalissima villetta inglese, vittima di qualunque atto di vandalismo, dallo spray nero ai vetri spaccati e le porte scassinate. E soprattutto, circondata da circa un centinaio di persone che si sono accampate nel mio modesto giardinetto e sul marciapiede.

- Ci hanno visti? - chiedo in un soffio. Nereide scuote la testa.

Lentamente indietreggiamo, inorriditi, fino ad uscire dal loro campo visivo.

- E adesso? -

- Andiamo all'Interzone. Lì ho un amico, mi darà una mano -

- Dovresti andare in ospedale -. Con un cenno della testa indica il tostapane. Il dolore sta incominciando a tornare. Le droghe non hanno più tanto effetto ormai.

-... Prima all'Interzone -

Sento che, in tutto questo, c'è un particolare che mi sfugge. Solo che non riesco a metterlo a fuoco. Ci incamminiamo.

La pornobimba sbadiglia. Sta camminando molti più chilometri del dovuto per causa mia. Difficile capire perché lo stia facendo. Di certo non per il mio sex appeal.

Arriviamo al locale che sono le sei del mattino. Sembra chiuso, ma io so che Dawson è lì. Busso più volte. Poi vedo una sagoma avvicinarsi ai vetri oscurati, la porta si apre, e mi arriva un pugno potentissimo dritto in faccia. Finisco disteso sul marciapiede, boccheggiando.

- Figlio di puttana che non sei altro, dove cazzo eri? Non te ne fregava proprio niente del tuo fottuto concerto? - mi sbraita addosso Dawson, isterico.

E' troppo per me. Non riesco a rialzarmi da terra.

E' troppo anche per Nereide, che esausta ed esasperata dice - Bene, vedo che hai trovato il tuo amico, adesso sei a posto. Ci vediamo in giro -. E prima che io riesca a gemere qualcosa di comprensibile è sparita. Sento sapore di sangue in bocca.

Merda. Il concerto. Il dettaglio che mi sfuggiva. Ecco.

Non mi sono presentato al mio concerto.

Dawson mi prende sotto le ascelle e mi solleva di peso.

- C'erano tutti i critici dei giornali più importanti. E tu che sei sparito due giorni fa. E stasera non c'eri. Sei rovinato. E sono rovinato anche io. Siamo fottuti - dice, sull'orlo delle lacrime.

Noto che ha le guance rigate di kajal. Se ne mette sempre un po' sotto gli occhi. Deve aver pianto già un bel po', da solo, nell'Interzone deserto. Sento una fitta al cuore.

- Dawson - balbetto, mortificato, - Mi dispiace. Davvero. Sono un deficiente totale. Guarda come sono ridotto -

Lui mi guarda. Per davvero. Maglietta puzzolente e appiccicosa di schifezze imprecisate, pantaloni stracciati, capelli sudici. Pupille dilatate, sangue su tutta la faccia. Una mano fusa in un tostapane.

Spalanca la bocca. Mi guarda con infinita compassione. Questo mi fa quasi più male degli insulti.

- Andiamo in ospedale - dice piano, mettendomi una mano sulla spalla.

 

Quando arriviamo a casa, è mattina inoltrata. La mia mano è_ più o meno_ salva, fasciata in ogni modo possibile e immaginabile. Certo, resterà un po' raggrinzita e ustionata, ma potrò suonare. Mi hanno anche dovuto raddrizzare il naso, dopo il pugno di Dawson, che ora mi guarda mortificato.

Sono a pezzi.

Crollo sul letto gigante di Dawson e perdo conoscenza per quelli che mi sembrano pochi minuti. Invece, quando riapro gli occhi, è notte fonda e il mio amico è appena rientrato dall'Interzone. E' così scuro che al buio distinguo solo la sua maglietta bianca.

- Va meglio? - mi chiede. Mugolo qualcosa di indistinto. A me sembra che tutto continui ad essere sull'orlo del disastro.

Si stende accanto a me con un sospiro, mi abbraccia - Sono passato da casa tua. E' in condizioni spaventose e ancora piena di gente. Puoi fermarti qui per un po' se vuoi -

- Non so come ringraziarti, Dawson, davvero. Non saprei dove altro andare -

- Mi fai solo piacere. E' passato tanto tempo dall'ultima volta che sei venuto qui... -

Mi sfiora il viso. Mi abbandono al suo abbraccio, senza avere le forze di dirgli che non ho le forze per fare qualsiasi cosa; lo lascio fare.
Dawson ha la delicatezza di cui è capace solo una persona che ama. Un'attenzione particolare e preziosa che io non ho praticamente mai avuto, ma sempre e solo ricevuto, senza sapere che farmene. E non so che farmene neanche stavolta. Cerco di ricordarmi com'è stato quel tempo lontano in cui anche io sapevo essere attento a qualcuno. Non mi ricordo nulla. Ho solo una breve visione di un corpo nudo e formoso, un lampo di boccoli biondi. Una vampata di desiderio misto a un indefinito rimpianto (del suo corpo? Delle sensazioni provate al suo fianco? Di lei?) mi percorre dalla testa ai piedi.

Dawson pensa che sia merito suo. Non lo disilludo. Fa tutto lui. E' anche bello, in qualche modo.

 

Non so di preciso quando crolliamo nel letto, né quando ci addormentiamo. So solo che a un certo punto mi sveglio, ancora nudo come un verme, ed è mattino inoltrato e non c'è nessuno accanto a me. Vorrei che ci fosse. Almeno Dawson. Qualcuno con cui scambiare due parole.

Resto immobile e inerte per una buona mezz'ora, contando le crepe nel soffitto bianco. Sto cercando di combattere una fretta solo apparente, un'ansia chiusa dentro di me. La sento agitarsi nello stomaco e risalire lentamente, anche se cerco di ricacciarla in fondo, arriva ai polmoni, mi comprime lo sterno da dentro, e spicca l'ultimo balzo arrivando in gola.

A quel punto corro verso il bagno. Non ci arrivo. Vomito l'anima. Sto d'inferno, ma quando finisco respiro a fondo. L'ansia è passata. La fretta no.

Per la prima volta dopo settimane e settimane, ho bisogno di scrivere.

Inizio a cercare dei fogli e delle matite. Guardo con un sospiro la chitarra di Dawson, appesa al muro. Con la mano che mi ritrovo, sono costretto a lasciarla lì.

Ma so leggere e scrivere le note su spartito da quando ho sei anni. A qualcosa il conservatorio sarà pur servito. Compongo febbrilmente, scrivendo testo e note in contemporanea.

Verso l'ora di pranzo vengo importunato da un venditore porta a porta che suona insistentemente il campanello. Apro e lui mi guarda un po' spaventato. Tra mano fasciata, naso rotto, barba lunga eccetera, non devo avere l'aria più sana del mondo. Lo liquido con poche parole e mi chiudo dentro.

Mi reimmergo nelle mie canzoni. Devo scriverle. Devo sputarle fuori. Fino ad avere i crampi alla mano e alla testa. Fino a crollare addormentato sul pavimento dove sto componendo. Cosa che faccio a notte inoltrata, con cinque testi già praticamente pronti intorno a me, a tenermi compagnia. Chiudo gli occhi e un istante dopo è già mattino, io sono sveglio e ricomincio a scrivere.

Di Dawson non c'è traccia, ma non me ne preoccupo. Non mi preoccupo nemmeno di mangiare. Non sento rumori, sento solo il susseguirsi perfetto degli accordi nella mia testa.

In due giorni ho dieci pezzi. Pronti. Perfetti.

Ma non posso suonarli.

Però mi rendo conto che è qualcos'altro che suona ininterrottamente da un po’. Il campanello.

Accompagnato da urla furibonde e pugni sulla porta.

Corro ad aprire. E' Dawson. Non sembra molto contento.

- Ehi. Dov'eri finito? -

- Dov'ero finito? Io?! A cercare una stanza da qualche parte, visto che uno stronzo che sto ospitando mi ha chiuso fuori da casa mia! -

Impallidisco. - Come dici scusa? - balbetto.

- Sono due giorni che ti chiamo e che suono alla porta. E non ho voluto telefonare alla polizia perché sei già abbastanza nella merda così -

- Dawson, mi dispiace... Io stavo componendo, ho scritto un sacco di pezzi e... Davvero, credimi se ti dico che non ho sentito... -

Il mio amico è schiumante di rabbia. Mi spinge da parte ed entra, si blocca.

La casa è invasa da fogli di carta appallottolati. In camera c'è ancora una chiazza di vomito evaporato. Avanzi di cibo sul pavimento.

Uno schifo, insomma.

Cerco maldestramente di dire qualcosa, di spiegare, ma Dawson sibila - Fuori di qui. Vai a farti un giro, altrimenti ti spacco il naso un'altra volta. Non sto scherzando, non ti voglio fra i piedi almeno fino a stanotte! -.

Sono mortificato. Esco strascicando i piedi, come un cane che viene mandato fuori sotto la pioggia.

 

 

  
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