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Autore: wiston87    16/03/2014    2 recensioni
Mi chiamo Franz Kafman, e ho un buco nel cervello.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Franz Kafman, e ho un buco nel cervello.
Non so come sia successo, ne d’altro canto potrei saperlo:in fondo ho un buco nel cervello e con l’instaurarsi di quel buco se ne è andato pure il ricordo di come sia accaduto che mi trovassi un giorno ad avere, un buco nel cervello.
La mia maestra delle elementari diceva spesso che le persone(specialmente quelle anziane, ma più in generale anche gli altri)ricordano con fatica ciò che hanno mangiato a colazione, ma con estrema facilitò eventi risalenti a decine di anni prima.prova ne è il fatto, ad esempio, che io ricordo con facilità quel giorno in cui la maestra affermava questo(che allora non comprendevo, ma ben comprendo ora)nonostante sian passati più di vent’anni, ma non ricordo affatto per quale fottuto motivo ho un buco nel cervello.
Nello stesso periodo della mia vita in cui la maestra affermava questa solida verità, ricordo pure d’aver letto un fumetto regalatomi da mio padre, in cui una vignetta che m’aveva tanto divertito allora può spiegare per associazione di situazioni la mia attuale condizione, e mi prendo dunque la briga di citarla per dar modo a chi legge di meglio comprendermi.
Un bambino incontra un signore più anziano con una banana nell’orecchio.gli dice allora “signore.. lei ha una banana nell’orecchio!”. “cosa?!” gli risponde il signore urlando “ho detto che lei ha una banana nell’orecchio!” grida più forte il bambino. “non ti sento!” gli risponde l’altro ancora, sempre più inferocito e rosso in volto “devi parlare più forte!non vedi che ho una banana nell’orecchio?”
Oppure ancora(secondo esempio illustrativo):in un cassetto c’è una chiave ed un immenso tesoro misterioso, la chiave all’interno del cassetto serbe per aprire il cassetto stesso e non può esser recuperata senza aprirlo, ne può d’altro canto essere aperto senza la chiave stessa.
Terzo(e ultimo)breve esempio illustrativo sulla mia attuale situazione:su di una strada assai trafficata viene appeso da un addetto ai lavori un cartello con impressa incandescente la scritta “attenzione al cartello!”, ed esso blocca l’intera circolazione del traffico nell’ora di punta giacchè viene sostenuto ai lati da due pesanti catene ancorate alle due abitazioni trasversalmente poste.un automobilista incazzato, facendo le veci di tutti gli automobilisti incazzati dell’ingorgo si avvicina all’addetto e chiede: “ma a cosa diavolo serve questo cartello?!”, “non lo vede?” gli risponde l’addetto perplesso, come se pensasse dentro di se che un essere che pone quella domanda sia il più sciocco del mondo, non notando una tale ovvietà, “lo scopo del cartello è avvertire gli automobilisti della sua presenza qui in mezzo all’autostrada!non vorrà mica che qualcuno ci sbatta addosso facendosi male?”
Ora, uno spirito argito potrà forse aver già compreso il denominatore comune che sottende queste tre bizzarre vicende, e la sua connessione con la mia condizione attuale.e qui mi sto naturalmente rivolgendo al lettore di questo scritto, posto che ve ne sarà mai uno.tuttavia, essendo perfettamente conscio che sono assai pochi questi spiriti argiuti(e lo so perché io sono uno di questi), e non volendo d’altro canto essere mal compreso, è bene che mi prodighi io stesso nello sbrogliar questa matassa svelando l’arcano:il comune nesso è nient’altro che l’autoreferenzialità di un bisogno ovvero, detto in parole più semplici ed esplicative, l’aver bisogno dell’oggetto stesso che si pretende di spiegare, nel mio caso la parte mancante del cervello, per spiegare il perché della sua mancanza.
O almeno credo che sia così.
il fatto che non ne sia affatto sicuro, e che per porre un ragionamento corretto per simbolizzare il
-mio aver bisogno della parte di cervello che manca per spiegarne la mancanza- avrei bisogno perl’appunto, ancora, di avere un cervello intero e senza buco, non è affatto un nuovo paradosso, ma se mai la semplice continuazione espansa di quello già precedentemente posto, una sua ulteriore esplicazione che lo farà meglio comprendere al lettore.
Ora, fin qui abbiamo parlato solo di teoria, e più precisamente l’oggetto del tema è stato la mia difficoltà connaturata alla mia tragica condizione.occorrerà ora che mi soffermi a quel poco di ricordo che ricordo, in modo che potrà forse esser data risposta infine alla pressante domanda inerente il “cosa-come-quando-perdchè” mi sia trovato ad avere questo maledetto, fastidioso, diabolico, buco nel cervello.
Come mi sono reso conto di averlo?questo lo ricordo bene.
Mi stavo specchiando narcisisticamente nello specchio del bagno di casa mia.mi piace fissarmi negli occhi.anche fare le linguaccie allo specchio.a volte, fingo persino di limonare con me stesso, con la mia controparte riflessa che tanto amo e tanto stimo.certo, non passo le ore a fissarmi nello specchio, tutt’altro!anzi:tra coloro che hanno uno specchio in casa, sono uno di coloro che passa in assoluto meno tempo davanti ad esso, perlomeno se comparato ai giovani amici miei coetanei.. così preoccupati della piega dei capelli e della giusta postura dei vestiti firmati.tuttavia, il poco tempo che ci passo è ben compensato dalla grande concentrazione estetica ed esistenziale che mi prende nel fissarmi negli occhi o in viso, mentre faccio quei simpatici balletti slogati che tanto mi divertono ma che maledirei all’infinito naufrago nell’imbarazzo più estremo se solo qualcuno mi vedesse fare due passi:ho la coordinazione e la compostezza di un tirannosauro ubriaco.
È così per ognuno?in quanti si mettono le dita nel naso o scoreggiano o vivono interesse sessioni di auto-erotismo mistico trastullandosi il piffero e sognando di “essere un altro” solo per aver l’onore di poter scopare con colui che li si riflette?e con un salto carpiato degno del miglior acrobata di salto nel tuffo riescono a prendere il fiotto di sperma lesso al volo prima che si appiccichi sullo specchio e mammà s’incazzi come una iena per aver rovinato con sborra acida l’unco ricordo della zia Luisella?poco ci importa in fondo.
Orbene:in quel nefasto giorno ero appena giunto dinnanzi alla mia immagine e avevo preso a fissarmi con concentrazione nelle palle degli occhi.non credo affatto che vi sia solo del narcisismo in ciò, ed anzi è probabile che il narcisismo non centri proprio nulla, o quasi.piuttosto, amo fissarmi perché essendo assai lacunoso nella coscienza della mia identità esistenziale, del mio Io, Ego, Sé, comunque lo si voglia chiamare, o per usare un termine più semplice la risposta alla domanda sul “chi sono?”, ho assai spesso bisogno di rifissarmi nello specchio per alcuni secondi per ricordare a me stesso “chi sono” o perlomeno farlo negli stetti e angusti limiti di quel che la mia immagine riflessa può restituirmi di me, di certo non ovviando completamente al problema inerente il mio deficit di identità, ma quantomeno diminuendolo di un poco e allontanando da “quel me che non so chi è” la nefasta idea del suicidio che spesso lo coglie nei meandri oscuri e lugubri di siffatte crisi esistenziali a base di nulla.
Questo, per quanto concerne il lato psicologico.per quanto riguarda invece il lato oggettivo, materiale, del mio corpo, occorre stendere una breve parentesi sui miei occhi.è pur vero che in questo lato, essendo per antonomasia gli occhi “lo specchio dell’anima” vale il ragionamento precedentemente posto sulla ricerca dell’identità per mezzo della contemplazione assorta dell’immagine specchiata come estrinsecazione materiale dello spirito che riflesse entro se stesso interrogandosi sul proprio essere.l’appunto da porre sui miei occhi è ora però più semplice:mi piacciono.sono azzurri di un azzurro celeste e floreale.li ho presi da mia madre.pure mio fratello li ha uguali.ma i miei mi piacciono di più, non sono perché sono i miei, cioè, mi piacerebbero di può anche se fossi un altro e mi incrociassi per caso per la strada non sospettando minimamente d’aver rischiato d’esser colui che quegli occhi diamantati portava incastonati nel cranio.
Proprio li, vicino ad il cervello e al suo bel buco.
Me ne stavo dunque in quella funesta mattina(o era pomeriggio?o notte?)di fine ottobre(o marzo?in che anno eravamo?)a fissarmi nelle pupille contemplando qua e la le chiazze d’azzurro intorno ad esse, e riflettendo, oltre che alle modalità precedentemente spiegate, sull’essere che gli occhi mi trasmettevano di me stesso.come ero fatto, in buona sostanza?buono e cattivo, pazzo e paonazzo, sensibilie fino allo schifo da piangere per un fiore strappato e duro e cinico come una pietra d’altura, della serie che s’inculi il mondo finchè sto bene io:tutti gli opposti più estremi configgevano nel mio sguardo scontrandosi eternamente, non trovando la pace dell’uno o dell’altro esercito, anche il peggiore di tutti purchè fosse dichiarata la pace sarebbe stato meglio di quel caos indistinto!sono diventato il più grande fan di vendola e di hitler, di gandhi e mussolini, di ratzingher e nietzsche:hanno proprio tutti ragione.
e non solo quando guardo io stesso, se così fosse potrei dimenticarmene facendo dipendere tutto dal mio senso interno un poco bislacco.quando stavo a milano una ragazza si avvicina e mi fa “ha detto la mia amica che hai gli occhi da pazzo”.voleva scopare con me.l’ho fatta gridare tutta notte, poi mi sono defilato nel tempo si una sigaretta.pazzo si, ma non abbastanza da stare con una stronza così.
Chi sono dunque io, una pluralità di persone?
Se mi contraddico è perché sono multiplo:dovrei erigere questo monito come regola di vita.
O di morte.sulla mia tomba quando mi mancheranno le forze per proseguire nel caos.
Mentre traggo questo resoconto mi sovviene un sospetto.una prima ipotesi tracciata su quel mistero che è il buco nel mio cervello.e se il buco fosse stato generato perché io, già a livello preliminare e prima ancora che intervenisse il fattore scatenante che vado qui cercando ero già predisposto ad esso?voglio dire:la mia mancanza di identità, di personalità, il mio stramaledetto deficit di carisma potrebbe a ben vedere essere stato una con-causa originaria che, stimolata da qualcosa(cosa?)si è aperta come una breccia su di un materiale mollicci e malleabile che era la mia corteccia celebrale.
Contrariamente a quanto asseriscono convintamene fiotti di filosofi e teologi drogati d’infinito e sottomissione all’autorità, io non ho mai creduto nella favola del peccato originale.non che non creda alla storia in se stessa, che sarebbe anche il meno, il punto è che è errata la concezione teorica che vuole adamo libero di agire in quello o in quell’altro modo, prendendo la mela o lasciandola, disobbedendo o no, perché all’atto deve esser necessariamente inscritta nelle fattanze ontologiche di adamo la possibilità di agire in quel modo:il male non può esser entrato nel mondo col suo peccato, ma in quanto egli ha peccato il male era già presente in lui!che è come dire:se il cervello ha un buco è perché già v’era la possibilità d’averlo, un punto nevralgico, giacchè io ce l’ho e gli altri no.
Non è che mi metto a fare speculazioni teologiche così a caso, eh.non ora almeno.
Lasciamo allora aperta questa ipotesi e continuiamo.
Erano già nove decimi di secondo abbondanti che mi stavo fissando l’azzurro oculare che mi contornava sparso le pupille.in esso scorgevo in lontananza dei gabbiani migratori che scompartivano nell’orizzonte a flutti compatti.alcuni, i più solitari e temerari(o emarginati?)avevan preso parte al viaggio di traversata in completa solitudine.che pena e che compassione avevo provato in quel momento nello scorgere il più solitario di tutti:il gabbiano jhonatan j. P. dick junior.egli si librava faticosamente contro le folate di vento contario, e tantopiù ebbi l’impressione che non fosse tanto la sua scarsa prestanza fisica a costituir quella fatica immane quanto se mai il non aver compagni di viaggio.gli altri battaglioni si erano infatti disposti tutti, chi in gruppo di dieci e chi di cinque, in una tale disposizione aerodinamica da fendere il vento e, nei casi meglio riusciti di questa disposizione alare, e trasformare il vento contrario in vento favorevole in misura uguale e contraria direttamente proporzionale:jhonatan dick era l’unico gabbiano stolto col vento contrario.
“non esiste vento a favore per chi non sa dove andare” andava dicendo tra se e se sbattendo faticosamente le ali facendo il triplo della fatica di chiunque altro persino dei più parassiti e fisicamente inetti, chiusi nei loro compatti e sicuri gruppi degni di un f-35 quanto a forma e stile.
Già:non esiste vento favorevole per chi non sa dove andare.ma questo motto aforismatico tanto bello e tanto vero, che certo non aveva inventato lui, ma aveva letto da qualche parte anni prima(sulla prua di una nave arenata?il messaggio di una bottiglia naufraga?)pareva perlopiù una scusante alla sua asocialità che un reale motto scaturito dal pozzo della saggezza.. e lui era abbastanza intelligente e introspettivo da esser perfettamente conscio dell’auto-inganno così operato, ed era d’altro canto abbastanza debole da continuare imperterrito portandoselo appresso come un peso aggiunto, casomai ce ne fosse bisogno.che la sua solitudine sia stata tratta proprio da quell’eccesso di intelligenza e introspezione?più volte l’aveva pensato.ora però aveva ormai raggiunto un età tale da non poter più giustificare se stesso dei propri fallimenti con siffatte scusanti puerili che tiravano in vallo il destino.una volta uscito dalla prima giovinezza e divenuto un gabbiano maturo(o aspirante tale)occorreva un unico principio saldo ed incrollabile:tutto il suo destino e felicità dipendeva da lui e da lui solo, ed il resto, che tante volte gli aveva salvato la faccia dinnanzi al severo tribunale dell’autocritica e facendo crollare l’autostima peggio del capitombolo inatteso della borsa nel ‘29, il resto erano solo scuse.
Cosa avrebbe dovuto fare allora?seguire ancora le orme degli altri gabbiani nelle loro sciocche migrazioni annuali?o cercare nuovi continenti alla penombra malinconica della solitudine?dove avrebbe potuto andare un gabbiano assetato di avventure me debole come lui?
Pensava tristemente a questi desideri celati nel fondo dell’animo, ancor più affranto dal fatto che sta volta come già le infinite altre prima avrebbe rimandato tutto alla prossima e poi ancora e ancora e infine ad un nulla di fatto per sempre, quando all’improvviso scorse un oggetto sotto di se che galleggiava nel mare in quiete..
Orbene(orbene un cazzo:ormale), qui si fermano per ora i miei ricordi di quel che vidi in quel secondo nell’azzurro che circondava la mia pupilla.il lettore non deve temere:il gabbiano proseguirà nella sua rincorsa non appena riaffiorerà il ricordo.
Ricordo però che nella mia concitazione nell’osservarlo planare su quell’oggetto galleggiante, con l’avidità curiosa di uno spirito indomito condannato alla medietà e che finalmente trova una rottura al grigiore quotidiano, tantopiù ottenebrante dal momento che è il cielo grigiazzurro stesso che lo rincorre ricordandolo sempre, fui istintivamente portato a volgere lo sguardo verso l’alto:ecco allora che vidi qualcosa che mi sorprese alquanto proprio al centro della mia fronte!la cassetta dei medicinali che a quanto ricordavo si trovava alle mie spalle era visibile attraverso un foro dritto e perfettamente levigato che mi traversava il cervello da parte a parte!
Non vi dico la mia sorpresa!era come se una pallottola m’avesse perforato l’intera lunghezza del cranio a partire dal centro e fosse uscita dall’altra parte senza lasciar traccia di se.. ma solo del suo passaggio!e tantopiù stupiva che, osservando con maggiore attenzione, mi avvidi che delle fascie di luce color turchino e smeraldo fuoriuscivano in coro celeste da quel foro.. delle luci tanto fredde e cromatiche, ma assai rilassanti e quasi mistiche, del tipo che si vede nelle rappresentazioni religiose alle spalle di un santo o della madonna in certi quadri mediovali come a indicare simbolicamente la loro purezza e candore..
Ecco il buco nel cervello!eccolo!quella è stata la prima volta che l’ho visto.. con questi occhi!con questi fottuti occhi!li strapperei pur di dimenticare o non esser più costretto a sorbire quella visione tormentosa del mio cervello forato!esagero:non li strapperei mai e poi mai, non solo ci tengo ai miei occhi azzurri ma pure al gabbiano jhonatan che ha preso vive nel cielo azzurrato che li compone.per compiere un gesto tanto idiota dovrei perdere l’intero cervello e non solo un pezzo.
Ecco la domanda dunque:come ha fatto il mio cervello ad esser forato?mistero.ma forse ripercorrendo gli eventi che precedettero quella bizzarra scoperta potrò dare una piccola speranza alla possibilità di una risposta.d’altro canto è logico pensare che se il cervello è forato, qualcosa deve averlo forato in quelle maledette e surreali ore che precedettero la mia scoperta!non mi prenderei la briga di narrarle al lettore e a me stesso soprattutto se non avessi il gran sospetto che sia accaduto in quel lasso di tempo qualcosa di decisamente fuori dal comune..
Come ultimo appunto prima di comunciare a retrocedere ancora, vorrei solo far notare la straordinaria capacità e prontezza del mio cervello nel ricordare proprio la cosa giusta al momento giusto(sebbene assai confusa, se così non fosse non avrei neanche bisogno di rinarrarlo):non ricordavo nulla di quelle ore finchè non ho avuto il pieno sentore di doverle rinarrare per render conto dello stramaledetto buco.è come se il cervello mi desse una mano nella mia ricerca ossessiva e facesse di tutto per aiutarmi a ritrovare(o render conto della sparizione)la parte mancante di sé.
“io è un altro” diceva rimbaud, ed io aggiungo fidatamene:il mio cervello ne sa molte più di me.
Forza dunque, mio fido encefalo smezzato!comincia qui la rievocazione delle vicende che ti resero monco!dai dunque massima carica e forza alla tua capacità mneomonica e ritroveremo forse quel che di te(e di me)è stato indebitamente sottratto!
  
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