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Autore: Lily1013    01/07/2008    2 recensioni
Perchè Mulder non è mica il pifferaio di Hamelin... ehehe
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dana Katherine Scully, Fox William Mulder
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Topi. Enormi topi grigiastri che puzzavano di fogna. Mulder afferma che se sono cattolica convinta allora dovrei amare tutti gli animali, anche i toponi che puzzano di fogna e che mi camminano per la casa rosicchiando i miei mobili come formaggio. Io dico che è un idiota.

Chiamai il mio amministratore (un po’ pervertito e che assomiglia vagamente a Melvin Frohike) a suon di urli, abbarbicata sul mobile della cucina brandendo la mia Smith & Wesson 9mm verso la creatura di Dio più ignobile che io conosca dopo le zanzare e tre quarti degli insetti. Il mio telefono squillava da minuti ad intervalli regolari ma non avevo il coraggio di andare a rispondere. L’ometto piccolo e bombolo arrivò sudaticcio e in vestaglia di flanella color melanzana assieme a buona parte del mio piano e quelli superiori chiedendomi cosa diavolo fosse successo. Indicai un punto astratto nella mia cucina ma il topo grigio non c’era più. Gli occhi di tutti erano puntati tra la lampada e il frigorifero senza vedere nulla.

“C’è un dannatissimo topo nella mia cucina!” urlai, minacciando i presenti con la mia arma da fuoco. Dopo qualche minuto partì un messaggio dalla segreteria telefonica:

“Ciao Scully sono io… perché non rispondi? Dovevamo finire di stilare i rapporti prima di domani, ricordi? Magari dormi… Beh non credo… in ogni caso mi sto preoccupando… se sei con un uomo smettila di pomiciare vieni a lavorare ma se sei con un alieno trattienilo con un dolcetto al limone e chiamami, okay? Chiamami anche senza l’alieno, mi accontenterò.”

Era vero. Con il mio scellerato collega dovevamo vederci a casa sua per scrivere i rapporti della settimana, e proprio mentre stavo per andare, quel maledetto topo ha cominciato una gimcana nel mio pulitissimo appartamento. Nello stesso attimo in cui la mia segreteria fece click, un’altra donna da qualche altra parte stava urlando “Topo!” e la consapevolezza di stare facendo una delle mie più grandi figuracce mi colpirono in pieno sul mobile della cucina.

Con il mio telefono, Frankie, l’allegro portinaio dalla barba perenne, chiamò la squadra di disinfestazione che annunciò greve che prima di lunedì non se ne sarebbe fatto nulla. Ed era solo venerdì pomeriggio! Mi feci dare il telefono ed urlai:

“Senta vigliacco noi qui la PAGHIAMO e se vuole avere i nostri SOLDI senza che la sottoscritta agente speciale dell’FBI venga a controllare i suoi commercialisti e le spari dritto in mezzo alle gambe le conviene venire qui ORA e liberarmi da questi maledettissimi topi di fogna!”

“Signorina, se lei è isterica e pur avendo una pistola non sa uccidere un topo, non è mica colpa mia. A lunedì!” e riattaccò, l’infame.

La rabbia mi saliva dalle orecchie tanto quanto lo schifo di quei topi che scorrazzavano su e giù per il palazzo. Frankie l’allegrone mi consigliò di trovarmi un posto dove stare per il prossimo weekend dato che già un quarto degli inquilini dello stabile se la stavano dando a gambe. Sospirando rassegnata, chinai il capo contro il volere del Capo Topone.

Seduta sul tavolo della cucina (non avrei rimesso piede su quel pavimento per nulla al mondo) chiamai Mulder, che sembrò sollevato nel risentirmi.

“Dov’eri?”

“Sul mobile della mia cucina”.

“Che?” fece Mulder.

“Topi” ammisi io, vergognandomi. Lo sentii ridere. “Mulder!!”

“Topi?” ripeté lui, ghignando.

“Sono enormi, Mulder!” provai a giustificarmi. “Certi animali grossi, con la coda lunga, il pelo sporco…”

“Pantegane” disse serio Mulder, prima di scoppiare di nuovo a ridere. “Ho… le… ho le lacrime… agli occhi, Scully… agli occhi… ihih….”

L’odiavo.

“Penso non ti parlerò più per tutta la vita se non la smetti”

“Okay” provò a riprendersi. “La smetto. E adesso che farai?”

“Avrei pensato di andare a dormire da mia madre fin quando non si riaggiusterà la situazione…”

“Perfetto Scully”

“Ma ho un problema”.

“Cioè?”

Tentennai, preparandomi a non chiudergli il telefono in faccia. “La valigia”

“Ma….?”

“Sono seduta sul tavolo in cucina e ho paura di scendere per via dei topi” confessai tutto d’un fiato. E tra un attacco di risa e l’altro, il mio adorabile collega mi garantì che sarebbe venuto a darmi una mano.

 

I 45 minuti che dovetti aspettare prima che Mulder arrivasse furono i 45 minuti più terribili della mia vita. Sentivo i coraggiosi coinquilini che scendevano e salivano le scale come se niente fosse trascinandosi dietro valige e bambini rumorosi mentre io, laureata agente dell’FBI armata che ha visto più lei che la CIA, me ne stavo gambe incrociate e viso tra le mani aspettando il mio salvatore personale. Sentivo scricchiolii e rosicchi da ogni parte, spuntavano sotto i miei occhi code e orecchie, e sentivo che stavo per impazzire. Bussarono alla porta e mi sentii chiamare. Urlai a Mulder che gli avevo dato le chiavi per situazioni di emergenza e questa era una di quelle. Aprì la porta e la richiuse in fretta, poi lentamente arrivò in cucina, cacciando dentro prima la testa. Aveva addosso un paio di jeans blu e una maglietta verde scuro, e il suo classico giubbotto di pelle. Fui contenta che fosse arrivato.

“Stai bene?”. Sembrava sinceramente preoccupato per me, come se in casa avessi avuto un altro Donnie Pfaster piuttosto che un banale topo. Assentii.

Si avvicinò lentamente e poggiò una mano sul mio ginocchio. Alzai forzatamente lo sguardo verso di lui. Ed in quel momento mi accorsi che ero terrorizzata.

Sì, l’ammetto, avevo paura come mai prima. Anzi, non è esatto.

Da bambina andavo a casa di alcuni miei vecchi zii di secondo grado che avevano una casa in campagna. Quel giorno, il sole splendeva forte e le vacanza estive stavano finendo. L’anno successivo avrei frequentato un nuovo ciclo scolastico e mi sentivo grande. Melissa e mamma se ne stavano tutto il giorno a preparare torte con zia Betty mentre papà e zio Tom andavano a zonzo per le vigne. Bill e Charlie avevano una fionda e la volevo usare anch’io, così passavamo i pomeriggi a dare la caccia a piccoli e innocenti animaletti tra le piantagioni di pomodori e spighe. Bill era caduto e Charlie si era sbucciato un gomito, così avevo la possibilità di usare la fionda da sola. Mi avventurai verso il laghetto e lì fu che lo vidi per la prima volta. Aveva gli occhi rossi e il pelo sporco, nero, grondava sudiciume. Era la preda perfetta. Chiusi un occhio e con l’altro presi la mira, scoccando un enorme sasso dalla molla rossa. Come fu che scansò il sasso e mi venne addosso non lo so, fatto sta che mi portarono all’ospedale del villaggio dove mi dissero che il morso non era grave perché aveva preso sui miei calzini di lana ripiegati sulle scarpe di tela bianche. Ma i due piccoli buchi, le due minuscole cicatrici, sulla mia caviglia, ci sono ancora.

Raccontai la storia a Mulder che la seguì passo passo, senza prendermi in giro o fermarmi. Alla fine della storia mi strinse forte e mi lasciai abbracciare, sentendomi al sicuro.

“Andiamo a preparare la valigia, Scully”

Al mio concitato rifiuto mi prese a forza sulle spalle, e mi condusse così in camera da letto. Passando, vidi la nostra immagine riflessa nello specchio che mi strinse lo stomaco. Topi, pensai.

Preparai la valigia con Mulder che mi passava l’occorrente sul letto, e che con fare meticoloso non fece trasparire il minimo imbarazzo neanche quando mi passò la biancheria intima. Dopo di che, ripresami sulle spalle, mi portò fuori, dove quasi correndo, raggiunsi la sua auto.

“Allora, dove vuoi ti porti?”

La domanda mi rimase un po’ stupita. Non saprei spiegarlo, ma sembrava quasi che nell’aria ci fosse qualcosa che aleggiasse e che aspettava solo che io l’acchiappassi.

“Aspetta. Chiamo mia madre”.

Chiamai effettivamente mia madre sul suo cellulare.

“Sono da Bill per il weekend, tesoro” mi rispose lei “qualcosa non va?”

“No mamma, era solo…. Beh lascia perdere”

“Hai litigato con Mulder?”

Meraviglia. Sorpresa.

“Perché mi fai questa domanda?”

“Hai un tono così malinconico, bambina…” esalò mia madre, quasi lei sapesse qualcosa che io non sapevo.

“Affatto! Non preoccuparti, comunque, sto bene”. E riattaccai. La testa mi pesava e ero improvvisamente stanca. Cosa avevo fatto? Ho le chiavi di casa, perché ho voluto chiamarla? Dove sto andando?

“Quindi?” incalzò Mulder, mettendo in moto. Sospirai.

“Ho bisogno di un posto dove stare”.

Mi sorrise, infilò la seconda e partì.

“No problem” scrollò le spalle.

Topi. Tsk.

Qualcuno mi fermi.

 

Non credevo che la vita di Mulder lupo solitario si svolgesse in quel modo quando non era preso dal lavoro.

La prima domenica che passammo insieme fu qualcosa di così irreale e inimmaginabile che mi scosse.

Il venerdì, o quello che ne rimaneva, lo passammo a scrivere quei famosi rapporti accumulatisi nel tempo che non avevamo fatto in due settimane, fino ad addormentarci stanchi e sfiniti lui sul pavimento ed io sul divano. La mattina successiva fummo svegliati dal telefono, cui rispose Mulder, ed era Skinner, che chiedeva dove fossi finita dato che al cellulare non rispondevo e neanche a casa mia.

“Aveva i topi in casa e sarà andata a dormire da qualche suo parente” rispose prontamente Mulder.

“Non ha mica qualche recapito… qualcosa, qualche posto in cui possa rintracciarla…”

“Nulla. Mi ha solo detto che andava da qualcuno dei suoi, e che mi avrebbe fatto sapere. È successo qualcosa?” domandò sospettoso, corrugando la fronte alla cornetta, come se poi il vicedirettore l’avrebbe potuto vedere.

“No. Era solo per sapere”. A queste parole, capì che aveva capito tutto.

“Sempre a sua disposizione”. A queste parole, anche Skinner aveva capito che lui aveva capito che aveva capito.

“Buon weekend, a lunedì” e riattaccò. Mulder mi raccontò tutta la conversazione ed io non potei fare altro che annuire e pregare che non gli venissero strane idee in mente.

Mentre bevevo il succo d’arancia, unica bevanda da bere di prima mattina presente in quel buco di appartamento, non potei fare a meno di ricordare a me stessa che quella era solo una situazione temporanea,  che lunedì avrei fatto di nuovo la valigia e sarei ritornata a casa, sperando che la settimana successiva sarei di nuovo potuta ritornare a dormire nel mio comodo, freddo e vuoto letto a due piazze.

Già, dormire. Se la notte precedente il problema chi_dorme_dove era stato ampliamente superato dalla stanchezza e dalla precarietà della situazione, prima o poi, e sfortunatamente per me troppo prima, il problema si sarebbe presentato. E sarebbe stato terribilmente imbarazzante!

“A che pensi?”.

“Nulla” sobbalzai, sciacquando il mio bicchiere.

Dopo colazione, ce ne stemmo per un bel pezzo seduti in due punti diversi della casa a riflettere. O meglio, credo che l’unica che stesse davvero pensando fossi io. Domandai a Mulder se dovessimo a quel punto parlare di qualcosa in particolare. Lui per tutta risposta disse che andava a farsi una doccia e mi chiese se poteva mettersi in tranquillità. Rimasi perplessa e ovviamente acconsentii, in fondo l’intrusa ero io e quella era casa sua. Non avrei mai pensato che ne uscisse in boxer blu scuro con navicella sul bordo destro e t-shirt blu scuro coordinata con navicella sul cuore. Fu il massimo, in tutti i sensi. Penso di essere arrossita nel vederlo conciato a quel modo, perché mi sorrise debolmente e mi apostrofò:

“Mi hai visto nudo, Scully, e per di più sei il mio medico. Sette anni insieme e vederne di cotte e di crude, e questo” si passò un dito per indicarmi i boxer e la t-shirt “ti mette in difficoltà?”.

Inghiottii  un pesante boccone di imbarazzo per togliere il rosso dalla guance e borbottai qualcosa sulla cucina e mi sedetti lì con uno dei libri che mi ero portata, Presagio Triste di Banana Yoshimoto. Ma in realtà, non lessi molto. Pensai, e parecchio, mentre Mulder, stravaccato sul divano, guardava innocentemente la Tv.

Punto primo: nella malefica ipotesi che mia madre, per motivi oscuri, non avesse avuto la bontà di accogliere in seno alla famiglia la sottoscritta bambina ribelle, sarei dovuta per forza rimanere dov’ero. Sì, c’era Bill, ma andare a casa sua, sottostare di nuovo ai suoi tormenti su quanto pericoloso fosse il mio lavoro e soprattutto sulla minacciosa influenza negativa che il mio collega emanava su di me mi facevano deprimere ancora prima di averlo visto. E sicuramente, dire al suddetto malefico collega che volevo andarmene a stare in albergo l’avrebbe offeso e mi avrebbe fatto un sacco di domande sul perché, per come, cosa ti ho fatto, andiamo sii trattabile…. Ora sia chiaro, non è che la compagnia di Mulder io non la gradisca, anzi, il perfetto contrario, è solo che era in qualche modo come stare nel mezzo di Campo Minato. Avevo il terrore che dove mettessi il mio piccolo piede avrei innescato una bomba che mi avrebbe fatto cadere a gambe all’aria. Ed era l’ultima cosa che io volessi. Ehm….

Punto secondo: ammettiamo che fossi rimasta lì tutta la settimana. Dato il precedente comportamento di Mulder, più che Campo Minato si sarebbe andati a finire a tarallucci e vino, con lui che viaggiava per casa in boxer e me che mi facevo lo shampoo mentre lui si rasava. Che non è affatto la stessa cosa che il nostro caso in Arcadia. Dormivamo in stanze separate, c’erano ben due bagni e nessuno dei due aveva visto l’altro appena sveglio se non prima della colazione. Totalmente diverso stare in questo buco dove ci saremmo potuti pestare i piedi a vicenda anche solo per mangiare.

La sera Mulder mi lasciò la camera e lui dormì in salotto. Incrociai le dita e chiusi gli occhi.

 

Domenica. I primi raggi di sole che mi colpirono non erano molto caldi. Mi solleticarono gli occhi e il naso con il loro profumo di nuovo e di bello. Nello stesso tempo, la sensazione di non essere a casa mia sul momento mi spaventò. Sciocchezze. L’ultimo baluardo del celibato si estese di fronte ai miei occhi in tutta la sua tranquillità delle prime luci del mattino. Oddio prime. Erano le nove e mezza passate. Scossi la testa con vigore e barcollando tentai di dare un quadro preciso a questa nuova, emozionante giornata, senza riuscirci. In pigiama azzurro cielo mi alzai stordita come tutte le mie domeniche, e mi avviai in salotto. E lì, steso sul divano con una gamba a penzoloni, c’era Fox Mulder che dormiva come un bambino. Tenerezza. Gli rimboccai le coperte provando un po’ di dispiacere nel vederlo tutto storto sul divano. Però almeno dormiva.

Era strano che dormisse così profondamente lui, l’uomo che non soffre di insonnia nervosa e fustigante da almeno, se non più, di vent’anni. La fronte rilassata, i capelli arruffati, le coperte che gli scendevano oblique lungo il corpo robusto, dorato e forte, che mi aveva stretta tante volte, tantissime…. E come i bambini, stringeva con i pugni chiusi la coperta. Che dolce.

Che facevo? Sono un medico, giustificai il mio ego. È logico che mi interessi al corpo umano.

Non c’è bisogno che mi diciate voi che era una stupidata, lo so da me. Ma ogni tanto bisogna mentirsi per non impazzire… vero?

Chiamai dalla camera da letto il bar all’angolo (Mulder ha una lista di “numeri utili” attaccata dietro il telefono) chiedendo cortesemente di portare due caffè caldi, qualche brioche, due cornetti con la crema e un litro di latte. Mi feci la doccia, mi rimisi il pigiama e aprii al barista, vagamente somigliante a Frankie l’allegrone. Posando tutto sul tavolo della cucina, stavo per svenire. Dio, l’avevo fatto davvero. Mi ero sentita a mio agio. Avevo lasciato da parte i pregiudizi e le paure che quella casa mi metteva addosso e tutto era filato liscio. E Mulder dormiva ancora, placidamente.

Rinvigorita dalla splendida mattina che si affacciava alle finestre, chiamai più volte Mulder, finché, stropicciandosi gli occhi, non aprì gli occhi ed entrambi, nello stesso fatidico momento, proprio in quell’attimo, ci rendemmo conto a che punto eravamo arrivati. Sorridemmo. Era andata.

“Hai preparato da sola?”

“Certo che no!” risi, mostrandogli lo scontrino.

“Nove dollari?! E chi ha pagato?” fissai colpevole le macchioline che il latte aveva formato nel suo caffè. “Comincio a pensare che la tua permanenza qui sarà molto dispendiosa…”

“Se vuoi vado via!” squittii falsamente indignata.

“Okay smettiamola sembriamo usciti da una soap opera” tagliò corto, mordendo il cornetto. Uomini, pensai.

Saltando a piè pari tutta la parte dedicata alle pulizie, lo spettrale propose una gitarella dai Gunmen, pranzo fuori, visita a mia madre e in serata, la visione di un bel film.

“Del tipo?” domandai scioccamente.

“Hai due possibilità: un teen – movie oppure un classico”.

“Uhm…. Quali sono le scelte?”.

Gossip o Close Encounters of the third kind”.

Ah beh.... se la metteva su questo piano poteva benissimo spararmi anche tutte le prime 100 puntate di Dawson’s Creek non avrebbe fatto di molto la differenza…. Alla fine comunque decidemmo di risparmiarci questo immenso grattacapo quando ne sarebbe stato il tempo.

Avevo avuto la possibilità di vedere entrambi i film durante la mia vita, e mi stupii del fatto che Mulder avesse visto Gossip. Io ebbi modo di vederlo con mia nipote Julia, assieme a 10 interminabili puntate di Dawson’s Creek, l’ultimo Natale che passai a casa. Il film…. Bel film, veramente, anche se Julia strillava più che per l’ansia per gli attori. Quando mai Mulder aveva il tempo di vedere film come Gossip?

Con *chi*?

Fu difficile verso le undici convincere Byers che saremmo andati a trovarli solo e soltanto perché non avevamo nulla di meglio da fare. Byers ci passò Langly che ne volle sapere ancora di più su questa improvvisa visita e alla fine, prendendo il telefono dalle mani di Mulder, ordinai a Langly di chiamarmi Frohike per terminare l’interminabile lista di domande. Convinsi con moltissimo tatto Frohike che non era in programma nessun atto criminoso contro di loro e ci diedero il permesso di andare.

Già che c’ero, mentre Mulder si vestiva, chiamai mia madre, avvertendola che la sarei andata a trovare nel primo pomeriggio. Mi rispose che l’avrei trovata dalle 17 alle 19 perché poi sarebbe andata a Baltimora a trovare delle sue amiche. Ormai per passare del tempo con mia madre devo prendere un appuntamento.

“Sarai da sola?” domandò mia madre, a furor di cronaca.

È vero. Mulder sarebbe venuto con me?

 

Dai Gunmen non mi divertii poi molto. Arrivammo intorno alle undici e qualcosa e ce ne andammo parecchio dopo l’ora di pranzo, e dato che ero in minoranza numerica e questo sulla carta è un Paese democratico, neanche la pietà per i miei crampi allo stomaco riuscirono a fermare Mulder e i suoi piani. D’altronde, cosa potevo aspettarmi da quattro pazzi riuniti nello stesso bunker che giocano a Risiko mentre parlano di strane abduzioni in Nevada e navicelle comparse nel cielo dell’Ohio?         

Tuttavia, riuscii a fare un paio di chiamate al mio palazzo per sapere se la situazione era migliorata. Prima di tutto cercai l’amministratore che straordinariamente era fuori a pranzo con la sua assistente (così diceva la segreteria), ragazza talmente giovane da poter essere sua nipote e talmente rifatta da poter rimbalzare dal quinto piano, e quantunque non ci sperassi molto, provai a chiamare Frankie. Inaspettatamente, rispose, aggiornandomi sui topi che si moltiplicavano e sul disinfestatore troppo occupato.

“Ehi Scully” mi chiamò Langly “tu di solito non sei dei nostri in queste riunioni, che ci fai qui? Scrocchi telefonate?”

“Ho i topi in casa” feci spallucce, come se questo potesse essere un valido chiarimento.

“E con ciò? Il Capo dei topi ti ha ordinato di venire qui?” continuò Langly.

“Dorme da me fintanto che la disinfestazione non uccida quegli animali” spiegò Mulder per me.

“Uuhhh…” fecero i tre in coro, guardandosi con l’aria di chi ha capito tutto. Sarei voluta sprofondare.

Con Mulder andammo a pranzo in un fast food, sebbene io fossi contraria. Ma al grido di “quattro patatine fritte e un po’ di colesterolo non ci ammazzeranno”, entrammo nel locale sentendoci due adolescenti al primo appuntamento. Impacciati, imbarazzati e idioti.

“Abbiamo ancora due ore da ammazzare prima di andare da tua madre” disse Mulder a fine pranzo guardando l’orologio “che facciamo? Ti va di fare un giro?”

Pagammo e ci avviamo verso il piccolo parco che c’era nei dintorni. A quell’ora era tutto calmo e tranquillo, e ogni tanto si avvertiva una macchina passare quasi come se fosse un sogno. Camminavamo vicino, respirando a fondo l’aria che ci sembrava più pulita. Ci lasciammo cadere sull’erba al sole come due lucertole, e lui si stese prono con gli occhi chiusi. Borbottò qualcosa che non riuscii a sentire, così mi allungai supina accanto a lui chiedendogli cosa avesse detto.

“Dicevo, è bello stare qui. È tutto così calmo e tranquillo”.

Sembrava come se stessimo in un film, di quelli che hai paura di vedere ma la curiosità di sapere come andrà a finire ti impedisce di cambiare canale. Vivevamo un sogno. D’improvviso Mulder si tirò a sedere ed io per lo spaventò scattai sulle ginocchia, appoggiata ai talloni. Ci guardammo.

“Non ho più nulla da perdere, Scully.”

Non volevo sentirlo parlare oltre. In qualche modo,sapevo già dove volesse arrivare. Ed io, semplicemente, non volevo sentirlo. Il primo istinto fu quello di chiudergli la bocca, il secondo quello di tapparmi le orecchie. So solo che chiusi gli occhi, sospirando piano. Mi batté un dito sul ginocchio per farmi aprire gli occhi, per farsi ascoltare. Dovevo ascoltare.

“Samantha è morta, ora lo so, mia madre si è suicidata, mio padre è stato ucciso. La Verità è solo una meta irraggiungibile, ormai…”. Mi fece del male. Volevo rispondergli ma le parole mi si bloccarono in gola.

“Sto invecchiando e della mia vita non ne ho fatto nulla. Potevo avere una brillante carriera e l’ho distrutta così. Ho lasciato che gli eventi mi sopraffacessero senza salvarmi, trascinandoti dietro. E ho distrutto anche te. Hai creduto in me e ti ho delusa. Mi dispiace”.

Prima ancora che lo rispondessi, il contatto tra la mia mano e il suo volto fu talmente violento che schioccò.

“Uno, non sei solo. Secondo, non hai sprecato un bel niente. Terzo, non mi hai distrutta affatto. E quarto,” mi allungai per abbracciarlo, affondando il viso nel suo collo “non dire mai più cose del genere. Per favore”.

Mi restituì l’abbraccio con quanta forza e quanta anima potesse possedere, uniti in una morsa azzardata.

“Non mi hai mai delusa. Ho sempre guardato con rispetto a ciò che facevi, alle tue teorie, anche se mi hai trascinato dappertutto. E ho scoperto che lo spettrale non è solo mostriciattoli e omini verdi, ma una persona reale, autentica. Tu sei vero, Mulder. Capisci?, sei vero, fai parte di questo mondo come me e questo albero e il cielo. E questa è la cosa più bella che hai: la vita”. Strusciò sull’erba e mi ritrovai Mulder ovunque intorno al mio corpo, tanto che i suoi stinchi toccavano sulle mie anche.

Allentando la presa, fermando le mani sul suo torace e le labbra sulla mia fronte, respirai la tranquillità che emanava quel minuto.

“Mamma ha chiesto se vieni anche tu” parlottai dopo un po’.

“Vuoi che io venga?”.

“Ci sarà anche Bill”. Convenne con me era meglio che andasse a farsi un giro.

E ridemmo, scaricando la tensione.

 

Lasciandomi davanti la porta verde di mia madre, lo guardai andare via provando un senso quasi di abbandono, come se non dovesse più tornare a prendermi.

Bussai e venne ad aprirmi Tara, sorridente e affabile come sempre. Scodinzolante come un cagnolino affettuoso, mugolò in direzione di suo marito annunciando “la bella sorpresa che è appena arrivata”.

Personalmente non ho nulla contro mia cognata. È una brava donna, Bill non si è mai lamentato di lei e cresce Matty dandogli un’educazione quasi perfetta. È solo che il suo atteggiamento così adorante verso il marito mi rende nervosa, la vorrei sballottare dicendole che non deve solo cucinare e annuire qualsiasi cosa lui le dica, ma far valere la propria opinione. Non voglio neanche immaginare che il tristissimo quanto di cattivo gusto campanello che suona “Beyond The Sea” ogni volta che qualcuno va a casa loro in sacra memoria di mio padre sia stata una sua idea.

Bill mi venne incontro, e la prima cosa  che mi disse fu “Sono contento che quel tuo collega non sia venuto con te”. Cominciamo bene, pensai distrattamente, cercando la mamma.

La trovai in camera sua, intenta a preparare la seconda valigia.

“Ciao!” mi salutò allegra, seduta sulla valigia “Mi daresti una mano?”

“Perché non hai chiamato Bill?”

“Con Tara fra i piedi?” bisbigliò “Avrei fatto prima a chiamare uno sconosciuto per strada! E Mulder?”

“Aveva delle commissioni da sbrigare” mentii, almeno in parte. La sua unica commissione era chiudersi da Blockbuster fino alle diciotto e trenta a cercare una cassetta decente da vederci stasera. Avevo bocciato, mentre mi accompagnava fin lì, sia Gossip che Close Encounters, così mi aveva promesso che avrebbe cercato di meglio.

“Quando la finirai di dirmi bugie?” sbottò mia madre, guardandomi torva.

“È vero!” insistei, dando il colpo di grazia alla zip che finalmente si chiuse. “Doveva andare a prendere una cassetta, e allora…” eccomi, Dana l’adolescente che cerca di giustificarsi con la madre perché è uscita con un ragazzo che papà non aveva ancora conosciuto.

“Okay, ti credo!” si arrese mia madre, correndo a prendere il beauty case dal bagno.

“Allora, te ne vai a Baltimora…. Quanto tempo ci rimarrai?”

“Un paio di settimane. Elise ha appena perso il marito ed io so cosa si prova… ho deciso di farle compagnia, il tempo che razionalizzi la cosa e si abitui”. Avevo chiaramente sentito un tono di sconfitta nella voce di mamma. La morte improvvisa di papà non l’aveva mai razionalizzata. In quel periodo, solo Bill le fu vicino. Io affogai il mio dolore nel lavoro per non pensare e per non soffrire.

Immaginai con amarezza come dovesse essere perdere la persona che hai amato per tanto tempo. Scacciai con forza l’immagine di Mulder putrefatto davanti ai miei occhi.

“Dove stai alloggiando ora?” mi chiese a bruciapelo mamma, riponendo i trucchi nel bauletto.

“Eh?” inghiottii con forza. E adesso, che le rispondevo?

“Sì…. Stai da Mulder?” mi chiese ancora, con noncuranza. Sputai fuori un sì stridulo e cupo.

“Ah” fu solo il suo commento. Sbuffai, implorandola quasi di spiegare quel “ah”.

“Sai bene che mi piace Mulder, come persona, ovviamente”. Cominciò. Mi sedetti sul letto. “Ma sai, è sconveniente per una signorina dormire a casa di uno scapolo”.

“Mamma, a parte che questa è una regola molto ottocentesca” proruppi “quanto poi non dormiamo insieme, lui sul divano ed io sul letto”.

“Ma io ti credo, tesoro mio” smielò “è solo che non credo che la gente che vede entrarti in casa sua ti crederebbe”.

Avrei potuto benissimo replicare dicendole che il palazzo in cui abitava Mulder non brillava certo per conformismo, ma pensai che così avrei solo peggiorato la situazione. Continuando a ciarlare di perbenismo, mia madre fu capace di farmi venire un mal di testa tremendo, che neanche la camomilla di Tara riuscì a calmare. E i pianti di Matty perché aveva fame non migliorarono di certo la situazione.

In ritardo di dieci minuti sulla tabella di marcia, Mulder scampanellò vigorosamente annunciando la sua venuta. Guardai mia madre e Bill, mentre Tara, sempre scodinzolante, apriva la porta.

“Dana, è arrivato il tuo cavaliere”. Avevo già sentito questa frase: detta da Melissa e prima di un ballo. Bill tossicchiò verso mamma, che l’abbracciò comunque. Mi avvicinai alla porta ed infilai il giubbotto di jeans.

“Stai bene?” domandò Mulder.

“Mal di testa. Passerà. Sto bene.” Telegrafai.

Salendo in macchina, memore dei tempi che furono, vidi Bill che sbirciava dalla finestra e mia madre che lo tirava via. E Mulder aveva preso The Devil’s Lawyer.

 

Cominciai a capire che Mulder usava pochissimo la cucina di casa sua, tanto da farsi amico il cinese che portava il take – away. Nel frattanto che Mulder si intratteneva con Hiroshi, seppellii la testa nella borsa alla folle e inutile ricerca di un’Alkaseltzer. Trovai un’aspirina e mi andò bene lo stesso, ma i suoi effetti, durarono solo per la durata della cena.

In tv, Charlize Theron decideva di quale verde imbiancare la casa, Mulder gettava i cartoni che avevano contenuto del riso al curry ed io mi piegavo in due per il mal di testa. Era davvero lancinante, talmente forte che non sentivo nemmeno più Mulder di là che armeggiava tranquillo. Avevamo mangiato sul tappeto, così appoggiai la testa sul divano, chiudendo gli occhi. Quando arrivò e spense la tv, sobbalzai, ma in fondo, che quel chiacchiericcio fosse finito, era stato un bene.

“Cosa, Mulder?” ansai, cercando di far finta di niente.

“Quando la finirai di fare l’eroina e mi chiederai di andare in farmacia, allora riprenderemo il film”.

Regola numero 15, mai far preoccupare Mulder o diventa una chioccia.

“Sto bene!” mi opposi.

“Non che non stai bene! Hai lasciato di là il bicchiere con i resti dell’aspirina. Scully, lavoriamo all’FBI!”.

Beccata in pieno, dovetti annuire sconfitta da Mulder che mi guardava dall’alto del suo 1.80 cm e dal mal di testa, che non reggevo più. E non mi reggevo più io stessa, tanto che, nel momento in cui provai ad alzarmi, scivolai tra le sue braccia come se niente fosse.

“Tu stai bene. Si vede talmente chiaramente….” Enfatizzò Mulder, trascinandomi in camera da letto. Mi domandò se fossi riuscita ad infilarmi il pigiama e non ruzzolare via mentre sarebbe andato in una farmacia notturna a prendermi qualcosa. Annuii di nuovo e con gli occhi lo pregai di tornare presto.

Infilare il pigiama fu un’impresa, ma ci riuscii usando tutte le mie forze. Un martello pneumatico rimbombava nella mia testa a non finire e stavo per impazzire. Immagini di topi e hamburger mi si presentarono davanti agli occhi, con la faccia di mio fratello Bill. Terrore. Sentì la porta sbattere e Mulder arrivare correndo.

“L’asiatica, Scully, sei stata capace di prenderti l’asiatica prima ancora che fosse tempo. Complimenti per il tempismo!”. Tirò fuori una bottiglietta di sciroppo e mi aiutò a berlo, mentre io gli raccontavo dei topi con la faccia di Bill in giro per casa. Prese un’altra coperta dall’armadio e me la buttò addosso.

“Ci sono molte possibilità che tu possa vomitare tutto il curry, Scully. In ogni caso, la febbre durerà solo 3 giorni, il tempo che i topi se ne vadano da casa tua. Devo assisterti e stare con te aspettando il rigurgito,per evitare che sporchi le coperte”.

Di ciò che aveva detto capii ben poco, anche perché dopo lo sciroppo entrai in uno stato semicosciente da cui passai poi al sonno profondo e agitato. Mi svegliai di colpo sognando Tara che uccideva Bill a suon di valigie. Ero sudata e totalmente stanca, svuotata da ogni energia quasi avessi fatto chissà che. Mi tirai a fatica a sedere, intontita.

“Tutto okay?” mormorò qualcuno da qualche parte della stanza. Socchiudendo gli occhi, vidi Mulder rannicchiato su una sedia con una copertina addosso.

“Sì… no. Che fai? Vieni qui a stenderti, morirai di freddo e ti verranno i reumatismi”. Titubante, Mulder si sedette accanto a me, aspettando. Mi stesi da un lato, fissando il buio. Lui fece lo stesso.

Era la prima volta che dormivamo insieme. Ed era strano, perché non ero affatto imbarazzata, ma sicuramente era per via della febbre. Stetti per un po’ a pancia in su, guardando il baldacchino.

“Mi daresti la mano, Mulder?”. Lui si stese, cercò e trovò la mia mano nel buio. “Mulder? Se dovessi improvvisamente morire, tu che faresti?”. Il sogno e le parole di mamma avevano avuto uno strano effetto.

“Ti seguirei”.

“Ed io non morirò a causa di questa febbre, vero?”.

“Vero”.

Stavo prendendo di nuovo il controllo di me, aggrappandomi alla speranza che così non avrei vomitato. Tuttavia, scivolai comunque lungo il suo braccio arrivando sul suo petto. Sicurezza, calore, tranquillità.

“Come si sta bene qui….”. mi circondò con tutte e due le braccia, stringendomi. Sicurezza, calore….

“Sai Scully, non è del tutto vero che non ho più niente da perdere….”

Mi stavo riaddormentando di nuovo.

“Come dici?” sospirai.

“Nulla. Buonanotte Scully. Sono qui con te, stai tranquilla….”

La notte porta consiglio ma porta anche quell’intimità che andavamo cercando. Soli e in qualche modo isolati dal mondo, stavamo solo aspettando un’occasione per darci sostegno, e affetto. Eravamo forti insieme e deboli soli, uniti da un vincolo che supera i normali canoni.

E mi addormentai sapendo che nessuno, almeno quella notte, mi avrebbe fatto del male.

 

 

Mercoledì tornai a casa, dopo due giorni passati a mangiare e vomitare. Bevvi l’intera bottiglietta di sciroppo e venne anche il medico, che mi scambiò per la ragazza di Mulder. Nessuno dei due però aveva cambiato l’opinione del medico, ed ora nel palazzo di Mulder tutti credono che io sono la sua ragazza.

Il disinfestatore aveva lavorato due giorni per nulla. Cercava uno stuolo di topi che avrebbero invaso tutto il Paese mentre i topi in realtà erano solo due ma erano davvero simili a pantegane, ma il disinfestatore aveva ingrandito la cosa e fece pagare al condominio un conto esorbitante.

Mia madre chiamò da Baltimora, dicendo che Elise stava benone e che la morte del marito non l’aveva scossa più di tanto. Era già il terzo marito che le moriva in circostanze misteriose ed ormai ci aveva fatto l’abitudine. Tutto questo mi portò a pensare ad un vecchio caso che….

“Non c’è due senza tre e il quattro vien da sé” aveva commentato sarcastica, ma la mamma era decisa comunque a rimanere lì, in un totale stato di catarsi a guardare di nuovo la morte.

Bill e Tara hanno finalmente litigato. Sotto consiglio di Ann, sua sorella, Tara aveva deciso di smontare il nefando campanello per installarne uno più decente e umano, ma Bill si era opposto vigorosamente. Allorché Tara ha preso Matty ed è andata a piangere da Ann, ma sapevo già a priori che sarebbe durata poco più di due giorni.

Byers, Langly e Frohike hanno invitato me e Mulder, notare: anche me!, ad una riunione davanti al Cervellone domenica prossima. Tema cardine: l’enigma di Marte. Non voglio assolutamente perdermi tutto questo!

Frankie l’allegrone si è finalmente deciso a tagliarsi quella sua ridicola barba ed adesso dimostra quindici anni di me. La sua eterna ragazza Clotilde l’ha minacciato di non sposarlo con quel gatto morto in faccia ed adesso è tutto sbarbato. Dopo il matrimonio anche Clotilde verrà a vivere nel mio palazzo e diventerà di diritto Clotilde l’allegrona.

Il mio amministratore oggi è venuto a sollecitare i pagamenti senza Jasmine. La poverina, durante la cena, si è sentita male e sta ancora in ospedale. In realtà in giro si mormora che durante il pranzo l’amministratore abbia allungato le mani, lei si sia difesa e le è scoppiato un seno finto, facendo finire il silicone nel piatto di roastbeef al barolo. Ora è in Canada a farsi “aggiustare”.

A Matty è caduto il primo dentino e Tara è decisa a festeggiare in grande, facendo una festa. Litigheranno di nuovo per via mia e di Mulder.

Skinner ha avuto un weekend tranquillo senza il pensiero di me e Mulder in giro a combinare guai. La sua segretaria ha detto che però è sceso spesso giù in cantina, quasi come se fosse dispiaciuto che non ci fossimo. Probabilmente è vero che nessuno gli allieta le giornate senza di noi!

Ah, il medico ha scoperto che poi la mia asiatica altro non era che un gran colpo di freddo, probabilmente l’ho preso nel bunker dei Gunmen, passando poi dal gelo alla temperatura mite che c’era fuori. Insomma, mi ero preoccupata per niente!

Mulder? È stato il mio infermiere personale per ben tre giorni, beh, due e mezzo. Lunedì se n’è stato steso con me tutta la giornata, alzandosi solo per necessità impellenti. Abbiamo dormito insieme anche lunedì, ma poi martedì mi ero quasi totalmente ripresa, e lui ha avuto quasi timore, anche se in verità mi avrebbe fatto solo piacere.

Cinque giorni condividendo qualcosa di più del nostro ufficio: se me l’avessero detto, avrei quasi sicuramente pensato al peggio. Ci pesteremo i piedi, sicuramente, litigheremo, e fandonie del genere. La verità, è che in fondo temevo che chissà cosa sarebbe potuta accadere, mentre, ed è stato solo questo a farmi realmente paura, siamo stati bene. Anzi, benissimo.

L’elemento che caratterizza lo strano rapporto che si è creato tra e Mulder è indubbiamente il platonico. L’ho avvertito immediatamente dopo il mio ritorno dal rapimento ed è una sensazione a cui, nel bene o nel male, a torto o a ragione, mi sono abituata.

Tra le braccia di Mulder, in questo atteggiamento molto poco cameratesco da parte nostra, ho potuto toccare con mano come quanto questa linea che ci separava si sia man mano assottigliata, tanto che ormai non la vediamo neanche più. La superiamo e torniamo indietro neanche stessimo giocando al tiro alla fune, e se da un lato ci salviamo, dall’altro soffriamo, si tutti e due, e ci facciamo del male. E ciò non so se sia bene.

Dove ci porterà la corrente che fluisce tra di noi? Quel che coviamo dentro, e che reprimiamo per paura di separarci, è grande e non si nasconderà per sempre. Come dice Mulder, la verità non si cura di nulla, prima o poi verrà a galla. Impetuosa come un fiume in piena, caparbia come Mulder, e testarda come me.

Probabilmente questo momento verrà molto presto. O forse passeranno ancora altri sette anni.

Ed in quel momento, in qualunque momento avverrà, noi saremo uniti.

 

  
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