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Autore: Amor31    17/03/2014    4 recensioni
Terra, roccia, oscurità.
Prigionia, cicatrici, dolore.
Jellal vuole cambiare le cose. E vuole riuscirci per Erza.
Per dimostrare che anche all'inferno si può riuscire a vivere.
Genere: Drammatico, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Erza Scarlet, Gerard
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Essenza di corniola

-Jellal, è proprio necessario continuare a scavare? Il nostro turno è finito e se le guardie dovessero accorgersi della nostra assenza…-.
-Millianna ha ragione. Ma che ti salta per la testa? Vuoi farci frustare tutti?-.
Incastrati in uno stretto cunicolo, tre bambini proseguivano il loro lento percorso nei meandri sotterranei della Torre del Paradiso strisciando carponi sull’irregolare suolo ricoperto di sassi e detriti. Nonostante avessero mani e ginocchia sanguinanti, sembravano ben decisi a non smettere di darsi da fare, anche se adesso la fatica accumulata durante la giornata cominciava a farsi sentire.
Jellal, in testa al piccolo corteo, provò a voltarsi indietro verso i compagni: -Andatevene, se avete paura. Io non uscirò di qui finché non avrò trovato quello che cerco-, disse. Il tono della sua voce era così fermo da apparire inquietante.
-Sono settimane che scaviamo sempre più a fondo-, riprese Millianna, sospirando sonoramente. -Ormai dovresti avere abbastanza pietre per poter confezionare il nostro regalo-.
-È qui che ti sbagli-, la interruppe Jellal, scuotendo la testa. -Me ne serve un’altra manciata. Solo un’altra manciata, capito? E questi cunicoli se ne sono rivelati ricchi-.
-Che ne dici di tornare domani?-, propose Sho, che chiudeva la fila. -Simon e Erza ci staranno già aspettando. Non pensi che si preoccuperanno, non vedendoci tornare insieme agli altri?-.
Jellal soppesò con attenzione quell’ultima frase: spaventare Scarlet non era di certo tra le sue intenzioni.
-D’accordo, allora-, si arrese. -Però promettetemi che mi darete una mano anche domani-.
-Puoi contarci-, risposero all’unisono i due compagni.
-E ricordatevi che dovremo sbrigarci, se vogliamo consegnare…-.
-Sì, sì-, assentì Millianna. -Lo ripeti tutti i giorni-.
Le guance di Jellal si colorarono lievemente di rosa e intimamente ringraziò di non essere stato visto dagli altri: alcune espressioni le riservava solo per una certa persona. Una persona di cui si era reso conto di non poter fare a meno.
-E ora come usciamo di qui?-, fece notare Sho, arretrando lentamente lungo il cunicolo.
-Uffa, dobbiamo raggiungere un punto più largo per girarci. Jellal, spero che non ti venga mai più in mente di coinvolgerci in una spedizione così rischiosa!-, esclamò Millianna, scivolando a sua volta nel sottopassaggio e prestando particolare attenzione a non battere la testa contro la bassa volta di duro terriccio.
Effettivamente quella era la prima volta che i tre si avventuravano così a fondo nella parete rocciosa. Erano abituati agli spazi stretti, alla mancanza d’aria che poco alla volta li lasciava senza fiato, ma di solito c’era sempre qualche sentinella a dare indicazioni su dove e come scavare. Per quanto le morti fossero numerose e all’ordine del giorno, la forza lavoro costituita dai bambini era considerata particolarmente utile e dunque non c’era alcun motivo di volere un aumento dei loro decessi, nonostante poi i piccoli fossero comunque sottoposti a torture di vario genere e alla mancanza di cibo. Trovarsi però completamente soli e quindi lontani dallo sguardo di un adulto li faceva sentire spaesati: temevano quasi di non essere più in grado di uscire da quel groviglio di cunicoli bui.
-Ancora un piccolo sforzo e poi avremo raggiunto lo spiazzo-, disse dopo un quarto d’ora di silenzio Jellal.
-Sì, ci sono-, informò Sho, la voce già più rilassata rispetto a poco prima.
Erano sbucati in una specie di sala dalla pianta circolare. Qui il soffitto era più alto e i tre ebbero finalmente l’opportunità di sgranchirsi le gambe, dopo ore ed ore passate in ginocchio.
-Posso vedere le pietre che abbiamo recuperato oggi?-, chiese Millianna a Jellal.
Il ragazzo prese un piccolo sacchetto di tessuto grezzo che aveva legato a un fianco con dello spago e tirò fuori tre piccoli sassolini colorati: -Tieni-, disse all’amica, poggiandoli delicatamente sul suo palmo. -Sta’ solo attenta a non farli cadere per terra-.
La bambina esaminò con cura le pietre, soffermandosi sulle striature che percorrevano la superficie levigata: -Cavoli, sono proprio belle! Hai avuto un’idea grandiosa, Jellal. Non vedo l’ora di godermi l’espressione di Erza!-, ridacchiò, riponendo i minerali nel sacchetto che il piccolo Fernandes le stava porgendo.
-Sbrighiamoci, adesso-, li richiamò Sho. -Scommetto che le guardie ci staranno cercando-.
Cauti, ma comunque pronti ad affrontare qualsiasi tipo di insidia, i tre compagni si riabbassarono nel cunicolo e strisciarono per un tempo che parve loro infinito. Nessuno osava aprir bocca; anzi, erano ben felici di essere ancora circondati dal silenzio: le urla avrebbero significato la presenza di sentinelle e queste non avrebbero esitato a punire il loro ritardo con un’abbondante serie di frustate.
Giunti alla fine del lunghissimo corridoio sotterraneo, i bambini si bloccarono. Lo scalpiccio di numerosi passi li aveva allarmati e furono costretti a riflettere sul da farsi.
-Se usciamo, ci vedranno-, disse Sho, girandosi verso gli amici. -Ci sono almeno quattro guardie che hanno appena iniziato il loro turno di sorveglianza-.
-Dobbiamo per forza muoverci-, replicò Jellal, senza battere ciglio. -Non possiamo rimanere qui fino a domani-.
-Ma ci frusteranno!-, rabbrividì Millianna, incrociando le braccia sul petto come a volersi scaldare.
-Non succederà-, la rassicurò il ragazzo, posandole delicatamente una mano sulla spalla. -M’inventerò qualcosa per cacciarci fuori dai guai-.
Detto questo, Jellal superò i due compagni e uscì allo scoperto, attirando immediatamente l’attenzione di una sentinella.
-E tu cosa ci fai qui fuori?-, sbraitò l’uomo, avanzando minacciosamente verso il bambino.
-Signore, abbiamo avuto un problema nel settore est…-, iniziò a spiegare, facendo cenno a Sho e Millianna di avvicinarsi.
-Il settore est? Di cosa stai parlando?-, chiese la guardia, alzando sospettosamente un sopracciglio e squadrando i tre piccoli.
-Abbiamo sentito la campana di fine giornata e siamo tornati indietro per unirci agli altri, ma una frana ha bloccato il passaggio per metà e siamo stati costretti a scavare per poter tornare qui. Non abbiamo ritardato di proposito-.
Jellal aveva parlato mantenendo un tono di voce costante, cercando di essere il più convincente possibile. E, nonostante il suo cuore stesse martellando contro la gabbia toracica da cinque, lunghi minuti, riuscì a strappare un sorriso sarcastico alla sentinella.
-Una frana nel settore est-, ripeté l’uomo, come se la cosa fosse molto divertente. -Dovremmo spedire qualche inutile vecchiaccio in quella zona. Magari è la volta buona che ce ne togliamo qualcuno di torno-.
La guardia lanciò uno sguardo truce in direzione di un anziano rinchiuso a poca distanza e Jellal, notando un movimento oltre le sbarre, visualizzò nella penombra i tratti di nonno Rob.
-Ora filate nelle vostre celle-, riprese la sentinella. -Vi conviene essere rapidi, se non volete assaggiare la mia frusta-.
I tre bambini non se lo fecero ripetere di nuovo. Corsero ai rispettivi alloggi e vi si rifugiarono all’interno non appena un’altra guardia fece scattare le grosse e semi arrugginite serrature che bloccavano l’entrata delle prigioni.
-State tutti bene?-, sibilò nonno Rob, non appena i sorveglianti si furono allontanati.
-Sì-, rispose a bassa voce Millianna, affacciandosi dalle sbarre della cella dirimpetto.
-Davvero c’è stata una frana?-, chiese Simon, affiancato da Erza.
-No-, disse sinteticamente Jellal, cercando lo sguardo di Scarlet e rivolgendole quello che sarebbe dovuto essere un sorriso rassicurante. -La verità è che ci siamo spinti oltre il confine del settore est e la cosa ci è lievemente sfuggita di mano. Niente di grave, comunque. Ora siamo qui-.
-Ma come vi è saltato in mente di andare fin laggiù?-, esclamò preoccupato nonno Rob. -I cunicoli sono già abbastanza pericolosi, non c’è bisogno che andiate in cerca di ulteriori guai!-.
-Non ci è capitato nulla di male-, intervenne Sho. -In compenso, ci siamo avvantaggiati una parte del lavoro di domani. Non è vero, Jellal?-.
Il piccolo Fernandes guardò con gratitudine l’amico e annuì con un cenno della testa. Di fronte a loro, nell’altra cella, nonno Rob continuava a dissentire, ancora preoccupato per i rischi che i tre bambini avevano corso.
-Voi invece siete stati nel settore nord-, disse dopo alcuni minuti Jellal, rivolgendosi a Erza e Simon. -Ci sono novità?-.
-Niente di rilevante, oltre al fatto di aver guadagnato nuove escoriazioni su gambe e braccia-.
-È sempre la solita storia-, sospirò il ragazzo. -E tu, Scarlet? Tutto bene?-, domandò, il tono appena esitante.
Erza abbassò tristemente lo sguardo sulle proprie mani, mostrando subito dopo i palmi fasciati. -Mi sono fatta male anch’io, ma Simon mi ha bendata subito. Ha evitato che le guardie mi punissero, visto che non sono stata in grado di scavare per tutta la giornata-.
Jellal sentì un improvviso moto d’ira infuocargli l’animo. Strinse automaticamente i pugni e maledisse mentalmente i loro aguzzini.
-Domani mattina starai meglio, vedrai-, le disse con tono dolce, provando ad infonderle coraggio.
-Domani sarà tutto identico ad oggi-, sussurrò la bambina, mentre lacrime invisibili alla vista di Jellal iniziavano a scorrerle lungo le guance.
“No, non sarà così”, pensò il ragazzo, sentendo Scarlet tirare su con il naso ed intuendo che stesse piangendo. “Voglio che diventi il giorno più bello di tutti. Farò in modo che tu sia felice”.
Si allontanò dalle sbarre e, augurato buon riposo a tutti gli altri, si rintanò in un angolo della cella, nascondendosi nell’ombra. Quando fu sicuro che nessuno, eccetto Millianna e Sho, lo stesse guardando, estrasse un sasso di medie dimensioni dalla parete ed infilò la mano destra in una piccola insenatura scavata nella roccia.
-A che punto sei con…?-, domandò Millianna, avvicinandosi e assistendo l’amico.
-Devo sistemare le pietre-, rispose sommessamente Jellal, poggiando a terra un altro piccolo sacchetto di stoffa identico a quello che ancora portava legato alla vita.
-Credevo che le avessi già messe in fila-, borbottò la ragazza, rannicchiandosi a sinistra del compagno. -Sono due settimane che raccogliamo sassolini, ma ancora…-.
-Li ho bucati con questo-, la interruppe, recuperando un sottile ed appuntito chiodo dal fondo del sacchetto. -E posso assicurarti che ho impiegato parecchio tempo per eseguire un lavoro pulito. All’inizio ho rovinato diverse pietre, prima di riuscire a capire come fare-.
-Ma Jellal, non hai del filo!-, realizzò in quel momento Sho, che si era accostato ai due amici ed aveva cominciato a seguire ogni movimento del piccolo Fernandes. -Mi spieghi come potrai preparare…?-.
-Nessun problema-, lo zittì pacatamente l’altro. -Di filo ne ho in abbondanza-.
-E dove lo avresti preso?-, domandò ancora Sho, con aria decisamente scettica.
-Qui-.
Jellal indicò uno strappo alla base della canotta che indossava e i compagni capirono.
-Vuoi tirare i fili da qui?-, chiese ingenuamente Millianna.
-Esattamente. È quello che farò proprio adesso-.
Il bambino prese un’estremità sporgente dalla stoffa e sfilò dolcemente il tessuto, prestando particolare cura a non spezzare la fibra. Quando ebbe raggiunto la lunghezza desiderata, pregò Sho di tagliarla con i denti.
-Perfetto-, disse semplicemente Jellal, esaminando il filo. -Ora passatemi le pietre, una alla volta-.
Millianna gli porse il primo sassolino e l’amico fece scorrere la fibra all’interno del foro già praticato con il chiodo; un secondo dopo il minerale era sistemato proprio come secondo i piani di Jellal.
L’operazione durò poco più di cinque minuti. Le dita del bambino compivano movimenti così rapidi da incantare i due amici che lo stavano aiutando.
-Ecco-, sospirò soddisfatto Jellal, ammirando la sequenza di pietre. -Ci servono solo altri sei sassolini per finire la collana-.
-È davvero carina-, sussurrò Millianna. -E a Erza starà benissimo-.
-Il nostro Jellal ha proprio buon gusto, quando si parla di Scarlet-, lo canzonò Sho, dandogli una pacca sulla spalla e facendolo arrossire per la seconda volta.
-Ascoltatemi: domani torneremo nel cunicolo del settore est e scaveremo ancora un po’. Dovremmo impiegarci di meno, rispetto ad oggi; e poi, sono sicuro che troveremo presto le pietre mancanti. Alla fine del turno ci converrà tornare qui di corsa, così finiremo il regalo e potremo consegnarlo a Erza. Chi le darà la collana?-.
Millianna e Sho si guardarono stupiti, dicendo all’unisono: -Jellal, l’idea è stata tua. Finisci l’opera, no?-.
Il ragazzo diede le spalle agli amici, nascondendo la propria espressione entusiasta con la scusa di riporre al sicuro il dono per Scarlet; poi si voltò verso di loro e disse: -Siete sicuri? Millianna, le sei molto amica…-.
-Oh, credo proprio che Erza sarà molto più felice se sarai tu a recapitarle la collana-, sorrise.
-Jellal, smettila di fare lo stupido. Lo sappiamo tutti che non vedi l’ora di farla contenta-, gli fece l’occhiolino Sho, provocando così un’altra risata da parte di Millianna.
-Va bene, allora-, parve arrendersi il ragazzo. -Mi assumerò questa responsabilità-, concluse, unendosi alle risate soffocate dei propri compagni.
 




-Sembra che non ce ne siano più-.
-Forse abbiamo sbagliato posto-.
-O magari dobbiamo solo andare più avanti, che ne dite?-.
I tre erano di nuovo in azione. Da un’ora si erano allontanati dal gruppo degli adulti per cercare le ultime pietre utili, ma pareva proprio che le pareti rocciose dello stretto cunicolo in cui si trovavano non avessero altro da offrire, se non rocce calcaree prive del minimo valore.
-Jellal, fatti bastare quelle che hai già raccolto-, disse all’improvviso Sho. -La collana potrebbe essere completa già così. Non è necessario trovare altri pezzi da aggiungere-.
-Sei, ragazzi. Ne servono sei. Aprite bene gli occhi e guardatevi intorno: può darsi che ce ne sia sfuggita qualcuna, visto quant’è buio qui sotto-.
-A quest’ora dovremmo aver superato il punto in cui ci siamo fermati ieri sera-, notò Millianna, con una nota di preoccupazione nella voce. -E se fossimo bloccati davvero da una frana? Nessuno riuscirebbe a trovarci, nessuno verrebbe ad aiutarci!-.
-Vi ripeto quello che vi ho già detto: se avete paura, tornate dagli altri. Posso trovare il materiale che mi serve anche da solo, in queste condizioni-, sbottò Jellal.
-Sai che non ti lasceremo-, disse ancora Sho. -Se dovesse succederti qualcosa, non ce lo perdoneremmo mai. Senza contare che Erza e Simon ci odierebbero-.
-Allora andiamo avanti. Vi prometto che, se non troveremo le pietre nell’arco di dieci minuti, torneremo indietro e consegneremo a Scarlet la collana così com’è. D’accordo?-.
Millianna e Sho annuirono in silenzio, seguendo subito dopo Jellal, che si era già rimesso in marcia.
Il cunicolo diventava più stretto man mano che i tre avanzavano. Inoltre era sempre più difficile distinguere l’ambiente circostante perfino ad un palmo dal naso: in pratica, i bambini stavano gattonando nel buio, completamente alla cieca. Sarebbe stato impossibile recuperare i tanto ambiti sassolini in cui tutti speravano di imbattersi al più presto.
-Niente da fare-, sospirò affranto Jellal, rendendosi conto della gravità della situazione. -Andiamo via. Dobbiamo fare presto, se vogliamo unirci al gruppo degli adulti e tornare alle celle senza dare nell’occhio-.
Come già accaduto il giorno precedente, i tre furono costretti a compiere movimenti lenti a causa della mancanza di spazio. Ora era Sho a guidare la fila, seguito a ruota da Millianna e Jellal.
Impiegarono più tempo del previsto per raggiungere lo spiazzo circolare. Lì si rimisero in piedi, stiracchiandosi ben bene e riattivando la regolare circolazione sanguigna; non potevano fare altro che aspettare l’arrivo degli altri schiavi, impiegati nel settore sud.
L’attesa non fu lunga: lo sciame umano tornò lentamente verso i cunicoli che riportavano alle prigioni, trascinando i piedi nudi su schegge rocciose e fastidiosi sassolini appuntiti. Le espressioni affaticate di quella marea di uomini e donne suggerivano la fine di una giornata dilaniante, passata a scavare ininterrottamente per ore sotto la continua minaccia delle guardie.
I bambini si unirono a quelle decine di persone senza suscitare la minima curiosità. Nessuno sembrava aver notato la loro assenza, così come adesso pareva proprio che nessuno si accorgesse della loro improvvisa apparizione.
Si chinarono tutti nel sottopassaggio, paradossalmente desiderosi di rientrare al più presto nelle celle per assaporare un briciolo di tranquillità: era incredibile come essere chiusi dietro le sbarre diventasse una consolazione, in confronto al duro lavoro nei cunicoli.
-Presto!-, sussurrò Jellal a Sho e Millianna, catapultandosi dentro lo spazio che era loro riservato. Corse immediatamente a prendere la collana e bloccò le estremità con due piccoli nodi, così da non lasciar scivolare via le pietre che aveva accuratamente sistemato. Contemplò per un paio di secondi il proprio operato e aspettò pazientemente che tornasse dal settore nord il gruppo di schiavi di cui faceva parte anche Erza.
-Come farai a darle il regalo, ora che siamo bloccati in cella?-, domandò Sho.
-Ci sono due possibilità: o le passo la collana mentre attende che le guardie aprano la sua prigione oppure aspetto che le sentinelle se ne vadano. A quel punto le lancerò il sacchetto contenente la…-.
-Ecco che arrivano!-, annunciò Millianna, che si era affacciata dalle sbarre per controllare se i lavoratori stessero tornando. -Non hai più tempo per pensare, Jellal: falla avvicinare e dalle il nostro regalo-.
-Ma io avrei voluto…-.
-Vedi di non farti beccare-, gli ricordò in un soffio Sho, spingendolo verso l’entrata della cella per attirare l’attenzione di Erza.
Jellal non impiegò molto a rintracciare la bambina tra la folla: il rosso scarlatto dei suoi capelli era inconfondibile. Sorrise, pensando alla faccia che la piccola avrebbe fatto vedendosi recapitare quel modesto pacchetto.
-Scarlet!-, la chiamò, non appena fu abbastanza vicina da poter sentire il suo basso tono di voce.
Erza si voltò di scatto e la sua espressione si distese nell’incrociare gli occhi del ragazzo.
-Ciao-, lo salutò, abbassando appena lo sguardo e torcendosi le mani, come imbarazzata.
-Millianna e Sho…-.
Un’altra spinta lo costrinse a correggersi: -Io… Ho una sorpresa per te-.
Un guizzo di stupore attraversò le pupille della piccola: -Sul serio?-, domandò con tono incerto.
-Già-.
Jellal prese il sacchetto che aveva nascosto dietro la propria schiena e lo fece dondolare davanti al viso di Scarlet, poi glielo passò attraverso le sbarre.
-È davvero… Per me?-, disse incredula Erza, soppesando il regalo che ora stringeva nel palmo della mano.
-Sì. Dopotutto, oggi è una giornata speciale e…-.
-Cos’hai lì, mostriciattolo?-.
Una seconda guardia, appena arrivata dal corridoio sud, si parò di fronte alla bambina, minacciandola con un vocione cavernoso.
-N-niente-, tremò la piccola, cercando di celare in qualche modo il sacchetto.
-Piccola bugiarda-, sputò la sentinella, avventandosi contro di lei. -Dammi subito quella cosa!-.
-No!-.
-Obbedisci, stupida!-.
La strattonò violentemente, facendola cadere a terra sotto gli sguardi atterriti di tutti i presenti. Nessuno, però, sembrava avere il coraggio di ribellarsi a quella ingiustizia; anzi, molti preferirono voltarsi dalla parte opposta, pur di non assistere a quel nuovo sopruso che si stava consumando.
-Lasciala andare!-, urlò Jellal, scrollando inutilmente le sbarre che chiudevano la propria cella. -Non farle del male!-.
Per tutta risposta, la guardia estrasse dalla cintola una frusta di cuoio e senza pensarci due volte colpì una prima volta il corpo inerme di Erza, che aveva nascosto il sacchetto sotto la pancia, facendo scudo con il resto del corpo.
-Sei davvero testarda, eh?-, gridò ancora la sentinella, vibrando un secondo colpo che stavolta aprì uno strappo nella sottile stoffa che copriva la schiena della bambina.
Scarlet non urlò: strinse i denti, chiuse gli occhi e immaginò di trovarsi in un posto diverso, con la speranza che questo potesse aiutarla a sentire meno dolore. Ma ogni tentativo era vano: la sofferenza rimaneva lì, con lei, ed aumentava sempre di più. Prestò la sua pelle subì altri tre schiocchi di frusta e nuove ferite andarono ad aggiungersi a quelle che aveva già accumulato negli anni di prigionia.
Quando finalmente lo sfogo di violenza sembrò essersi esaurito, la guardia fece voltare Erza, spingendola su un fianco con la punta del piede: la piccola stringeva ancora tra le mani il suo sacchetto e l’uomo fu ben felice di tirare fuori il contenuto.
-Allora, cosa abbiamo qui?-, disse, dando una sbirciata all’interno. -Ma guarda-, continuò, -una collana. Una collana di insulsi sassi colorati. Cos’è, uno scherzo?-.
Si accovacciò vicino alla bambina e le mostrò quello che sarebbe dovuto essere il suo regalo: -Di’ un po’, a cosa credi che ti possa servire? Pensi che farti bella risolverà i tuoi problemi?-.
Erza sollevò le palpebre quel tanto che le permetteva di scorgere la sorpresa. Incredibilmente, trovò la forza di stirare le labbra in un piccolo sorriso: -Che bella…-, esalò, la voce interrotta da un improvviso attacco di tosse.
-Ad ogni modo, questa non è per te-, disse con durezza l’uomo. -E i sassi dovrebbero rimanere sassi-.
Si rimise in piedi, contemplando ancora per qualche secondo il corpicino immobile della bambina. Aspettò che il suo sguardo seguisse la collana e poi, con un atto di spietatezza, ruppe il filo, facendo disperdere tutte le pietre che Jellal, Sho e Millianna si erano dati tanta pena di trovare.
-Maledetto!-, gridò il piccolo Fernandes, provando a trattenere le lacrime di frustrazione che avrebbero volentieri fatto irruzione sul suo viso.
-Ehi, ragazzino-, lo chiamò la guardia, lanciandogli un’occhiata di profondo disprezzo, -non dirmi che hai voglia di fare compagnia alla tua amichetta. Sta’ zitto o ce ne saranno anche per te-, lo minacciò, facendo schioccare la frusta nell’aria.
-E tu-, proseguì, tornando a rivolgersi a Erza, -vattene nella tua cella. Subito!-.
Spalancò l’entrata della prigione e, sollevata di peso la bambina, la gettò per terra, senza curarsi di averle probabilmente rotto una costola a causa dell’impatto. Immediatamente nonno Rob e Simon le furono accanto per accertarsi delle sue condizioni.
-Visto che avete un così grande desiderio di ribellarvi, questa sera non vi distribuirò né la razione di cibo né l’acqua-, annunciò la sentinella con un tocco di sadismo negli occhi. -Domattina vedremo se avrete ancora la voglia e la forza di protestare-.
Fece scattare due volte la serratura che chiudeva la porta della cella e poi si allontanò verso il corridoio del settore sud, badando bene a ridere di gusto per suscitare ulteriore risentimento nei prigionieri.
Nelle carceri era calato il silenzio. Non un sussurro, non un respiro.
Jellal, sconvolto e adirato con se stesso, rimase affacciato alle sbarre, il viso rivolto in direzione di Erza.
-Come sta?-, chiese piano, quasi a nascondere il singulto che lo avrebbe interrotto per colpa del pianto.
-È svenuta-, annunciò nonno Rob. Aveva sistemato la testa della piccola sulle ginocchia e non smetteva di controllarle il battito cardiaco.
-Non morirà, vero?-, domandò Millianna, ponendosi di fianco a Jellal e sbirciando a sua volta nell’altra cella.
-Non dire stupidaggini!-, esclamò Simon. -Erza è forte e starà bene. Lei… Lei non se ne andrà così facilmente. Mi ha promesso che saremmo usciti da qui insieme, un giorno. E so per certo che saprà mantenere la parola data-.
Jellal abbassò gli occhi e sentì un fiume di lacrime rigargli le guance. Era tutta colpa sua. Non avrebbe dovuto darle quel regalo. Quell’inutile gesto era servito solo ad attirare l’attenzione di quella dannata guardia. E a cosa aveva portato? Alla sofferenza di Scarlet. Della sua Scarlet.
-Volevo solo renderla felice-, biascicò, dandosi uno schiaffo. -Volevo che questa diventasse la giornata più bella che potesse vivere stando in questo inferno-.
-Jellal, non sei tu il responsabile-, gli diede una pacca sulla spalla Sho. -Toglitelo dalla testa-.
-Ma guarda cosa ho fatto!-, gridò l’altro di rimando, afferrando il compagno per le braccia e scrollandolo con veemenza. -Erza sarebbe dovuta essere felice, invece adesso sta lottando tra la vita e la morte solo perché io non ho prestato abbastanza attenzione. Mi sarei dovuto accorgere dell’arrivo della seconda guardia, ma non sono stato capace di fare neanche questo!-.
-Ora calmati, Jellal-, lo riprese dalla cella di fronte nonno Rob. Nonostante la preoccupazione e l’ansia per le condizioni critiche di Scarlet, era riuscito a mantenere una voce pacata, in grado di tranquillizzare chiunque. -Erza si riprenderà. E non dubito che, seppur per pochi secondi, tu l’abbia resa davvero felice. Hai avuto un bellissimo pensiero per lei-.
Jellal era zittito, le mani strette in due pugni che fremevano dal bisogno di assestare un paio di colpi alle dure pareti della cella in cui si trovava. Non si dava pace per ciò che era accaduto.
-Che pietre avete raccolto?-, chiese all’improvviso l’anziano, accarezzando la fronte di Scarlet.
-Non lo sappiamo-, disse mestamente Sho, scrollando le spalle.
-Sono rosse-, aggiunse Jellal, tirando su con il naso. -È per questo che ho… Abbiamo pensato a Erza-.
Nonno Rob sorrise: era sorprendente che un bambino come il piccolo Fernandes potesse provare tanta tenerezza nei confronti di un’amica.
-Simon, controlla se ne è caduta qualcuna vicino alla nostra cella-, ordinò al ragazzo che lo stava assistendo.
-No, non c’è niente che… Ah, eccone una!-.
Il bambino tese il braccio oltre le sbarre, cercando di afferrare un minuscolo sassolino che faceva capolino dal polveroso suolo del corridoio. Quando riuscì a prenderlo, lo mostrò al vecchio.
-Cos’è?-, domandò Simon, notando la grande attenzione con cui l’uomo stava esaminando il minerale.
-Non è una pietra qualsiasi-, spiegò nonno Rob, richiamando l’interesse degli altri tre piccoli prigionieri. -È corniola-.
-Ha qualche significato?-, lo interruppe Jellal, asciugandosi prontamente le lacrime che ancora gli bagnavano le ciglia.
-Oh, sì-.
L’anziano alzò la testa di Erza e la poggiò delicatamente a terra; si spostò di qualche passo al suo fianco e la osservò per alcuni secondi, poi prese a sussurrare parole incomprensibili alle orecchie dei presenti.
-Nonno Rob, che fai?-, chiese incuriosita Millianna.
Silenzio.
-Secondo me non ti ha sentito-, sbuffò Sho, storcendo la bocca con disapprovazione.
-Volete stare zitti?-, esclamò Simon. -Non vedete che si sta prendendo cura di Erza?-.
I due bambini ammutolirono. Stretto tra di loro, Jellal tratteneva il respiro, aspettando una risposta dal vecchio.
-La corniola è anche conosciuta come Pietra della Vita-, spiegò brevemente l’uomo, alternando il discorso ad alta voce con le indistinguibili parole di poco prima. -Rappresenta la vitalità e la socievolezza. Assorbe le influenze negative e le trasforma in energia positiva. Spesso viene usata da alcuni maghi per curare ferite gravi e malattie-.
 -Allora puoi guarirla?-, chiese Simon, dando voce ai pensieri di Jellal.
-Posso provare a farla stare meglio-.
Nonno Rob continuò ad accarezzare la fronte della bambina, sfiorandole la pelle con la corniola. Nonostante la penombra della cella, era possibile scorgere la lucidità della pietra.
I successivi venti minuti trascorsero lentamente. Gli occhi di Jellal erano incatenati ai movimenti che l’anziano compiva e non ci fu un secondo in cui smise di pregare affinché Erza riprendesse i sensi.
-Ora ha un’espressione serena-, annunciò il vecchio. -La magia sta funzionando-.
Di lì a poco Scarlet dischiuse le palpebre, pur sentendole pesanti come macigni. Le doleva ancora la testa e la schiena risentiva dei colpi che le erano stati inferti a suon di frusta.
-Erza!-, la chiamò Jellal, vedendola provare ad alzarsi.
-Sta’ giù, piccola mia-, le raccomandò nonno Rob, costringendola a rimanere distesa. -Non è ancora il momento di rimettersi in piedi-.
-Cosa… Dov’è la mia collana?-, sussurrò flebilmente, respirando a fatica.
-Non preoccuparti, pensa a riposare-, disse Simon, rimanendole accanto.
-Jellal… Sta bene? La guardia ha picchiato anche lui?-, domandò preoccupata la ragazza.
-Scarlet, io sono qui. Stai tranquilla, non mi hanno fatto nulla. Ma tu…-.
Si bloccò per evitare di scoppiare di nuovo a piangere. L’ultima cosa che voleva era far soffrire ulteriormente la bambina.
-Il regalo… È stato distrutto, vero?-.
Al sentire quelle parole, Jellal serrò con più forza le mani attorno alle sbarre di metallo della sua cella. In quel momento desiderò avere tanta forza da distruggere tutto e liberare finalmente chiunque si trovasse rinchiuso in quella maledetta Torre del Paradiso.
-Mi dispiace, Scarlet-, trovò la forza di dirle, contrastando le lacrime e il grumo che gli si stava formando in gola. -È stata tutta colpa mia-.
-Non dire così-, lo pregò lei. -Mi hai fatto il più bel dono che potessi chiedere-.
Sorrise, pur non potendo essere vista in viso dal ragazzo a cui era tanto legata. Malgrado le ferite e il dolore che si ostinava a non darle pace, sentiva uno strano calore avvolgerle il cuore e rassicurarla.
-Grazie-, bisbigliò, chiudendo gli occhi e addormentandosi.
Il silenzio li avvolse un’altra volta. C’era così tanta calma da riuscire ad ascoltare il respiro della bambina.
-L’hai salvata, Jellal-, disse nonno Rob, sporgendosi dalla propria cella e guardando il ragazzo dall’altra parte. -Grazie a te, Erza si riprenderà completamente dopo una sana dormita-.
-Ma come?-, sgranò gli occhi il piccolo. -Io non ho fatto niente. Anzi, ho combinato soltanto un mucchio di guai, provando a confezionare quella collana-.
-Hai raccolto delle pietre benefiche-, sottolineò l’anziano. -Non avrei potuto fare niente per lei, se non avessi avuto della corniola-.
-Che vuol dire?-.
-Significa che hai alimentato il mio potere magico attraverso quelle cose che consideravi semplici sassolini colorati. Inoltre, è un tipo di pietra che ripristina le energie perdute, infondendo nuova forza a chi ne usufruisce. Hai trovato il cristallo che più si addice ad Erza. E ci sei riuscito perché ispirato dal colore che ti ricordava i suoi capelli-.
Jellal rimase spiazzato. Davvero aveva fatto del bene a Scarlet? E possibile che nonno Rob avesse visto così lontano? Era stato forse il destino a suggerirgli di agire così come aveva fatto?
-Ora riposate anche voi. La giornata vi avrà stancato e gli ultimi avvenimenti non avranno fatto altro che alimentare il vostro senso di spossatezza. Chiudete gli occhi e sognate un mondo migliore; lasciate che i vostri pensieri volino verso gli universi incantati delle storie che vi ho raccontato-, concluse il vecchio.
La voce calda di nonno Rob ebbe un effetto soporifero sui bambini: ebbero giusto il tempo di abbassare le palpebre, prima di sprofondare nel sonno.
 




Jellal scattò a sedere, ansimando. Sentiva riecheggiare nelle proprie orecchie il detestato schiocco della frusta che si abbatteva contro Erza. Si guardò intorno e nel buio vide Sho e Millianna stesi l’uno accanto all’altra, entrambi troppo esausti per accorgersi che il compagno si fosse improvvisamente svegliato.
Rendendosi conto di avere la bocca insolitamente secca, il piccolo Fernandes si avvicinò alla ciotola dell’acqua per dare sollievo alla gola riarsa, ma solo in un secondo momento si ricordò delle dure parole della guardia: per quella sera a nessuno sarebbe stata distribuita la dose giornaliera. Tutti in punizione.
-Maledetto-, sussurrò, tornando a distendersi vicino agli amici.
-Jellal? Sei tu?-.
Sentendosi chiamare, il bambino spalancò le palpebre che aveva appena serrato nel tentativo di riprendere sonno. Si accostò alle sbarre della cella e sbirciò verso la prigione in cui era rinchiuso nonno Rob.
-Scarlet? Sei sveglia?-.
-Sì. Non riesco a dormire-.
Jellal sorrise: il tono di voce della ragazza suggeriva un netto miglioramento delle sue condizioni.
-Come ti senti?-.
-Sto molto meglio. È strano, sai?-.
-Cosa?-.
-È come se le frustate fossero un brutto ricordo. Voglio dire, di solito il dolore dura giorni interi, ma stavolta… Ti sembrerà assurdo, ma pare scomparso-.
-Sul serio?-.
Nonno Rob aveva avuto ragione. La corniola aveva avuto davvero un effetto salutare su Erza.
-Già. Tu, invece? Sei sicuro che sia tutto a posto?-.
-Non preoccuparti. Sto bene se anche per te è così-.
Erza percepì il proprio cuore battere più forte: fortunatamente erano al buio, altrimenti Jellal avrebbe visto un deciso rossore imporporarle le guance.
-Quelle pietre erano molto belle-, si azzardò a dire la bambina, interrompendo quel breve silenzio. -Anche se non le ho potute vedere bene, mi è sembrato che avessero un colore familiare-.
-Ehm… Sì, beh…-, balbettò il ragazzo, grattandosi lievemente la nuca. -In effetti le ho scelte proprio perché mi piacevano. E poi mi facevano pensare a te, Scarlet-.
Si fermò di botto, dandosi dello stupido: -Scusami, è una motivazione sciocca…-.
-E sei andato fino alla fine del settore est per raccoglierle?-.
Jellal annuì nelle tenebre: -È così-.
-Mi stai dicendo che hai corso dei grossi rischi solo per fare un regalo a me?-.
Il piccolo non sapeva cosa rispondere. Dal tono che stava usando Erza non sapeva dedurre che tipo di replica si aspettasse.
-Sì-, bisbigliò alla fine. -L’ho fatto perché volevo vederti sorridere. Sono contento quando tu sei felice: è come se un raggio di luce entrasse in questo buio angolo di mondo e lo rischiarasse-.
Nonostante non toccasse da ore una goccia d’acqua e dunque avesse la bocca inaridita, Scarlet sentì un grumo di saliva accumularsi sotto la lingua e lo inghiottì a fatica, tanto era stata sorpresa dalle parole di Jellal.
-Nonno Rob ha detto che si tratta di corniola-, continuò dopo qualche secondo il bambino. -L’ha anche chiamata Pietra della Vita. Secondo lui, ha poteri curativi-.
-E tu ci credi?-.
-Ciecamente-.
Erza non proferì parola. Le faceva uno strano effetto sentir parlare l’amico in quel modo.
-Mi dispiace che la guardia abbia distrutto la collana-, disse con una punta di tristezza nella voce. -Avrei voluto vedere meglio quelle pietre-.
-Simon è riuscito a recuperarne una-, la informò Jellal. -L’ha consegnata a nonno Rob. Domani mattina chiedigli se te la può mostrare-.
-Lo farò, stai pur tranquillo-.
Un piccolo sbadiglio fece capire a Jellal che Erza si era di nuovo assopita. Non dandosi per vinto, sussurrò un altro paio di volte il nome della ragazza, prima di arrendersi e scrivere un piccolo messaggio nel terriccio con le dita.
“Non sono riuscito a dirtelo oggi, ma domani sarà la prima cosa che vedrai”, si disse mentalmente, tornando a prendere posto vicino a Sho e Millianna.
 




-Nonno Rob! Nonno Rob, è ora di svegliarsi!-.
L’anziano sussultò nel sonno, prima di costringersi ad aprire le palpebre.
Erza era accanto a lui e continuava a scrollarlo per un braccio. Simon giaceva in un angolo della cella, ancora addormentato.
-Vedo che ti sei ripresa-, sorrise il vecchio, mettendosi a sedere.
-Sì, mi sento benissimo. Jellal mi ha detto che hai conservato una delle pietre della collana-.
-Jellal?-, ripeté l’uomo. -Ma quando…?-.
-Dov’è?-, insistette la bambina, sbirciando dietro la schiena dell’altro.
-Dammi un secondo soltanto-.
L’anziano si mise in piedi e affondò una mano nell’unica tasca dei suoi pantaloni; l’attimo dopo aveva estratto il sassolino colorato e lo aveva poggiato nel palmo aperto di Erza.
-Si chiama…-.
-Corniola-, lo anticipò la ragazza. -Me l’ha detto Jellal-.
-E cos’altro ti ha detto?-.
-Che ha poteri curativi-.
-Solo questo?-.
Scarlet assentì con un cenno del capo.
-Jellal non sa che questo cristallo è un vero e proprio portafortuna-.
Gli occhi della piccola si illuminarono di gioia: -Dillo anche a lui, nonno!-.
-Lascialo dormire ancora un po’-, la fermò l’anziano: Erza era già corsa alle sbarre per chiamare il ragazzo e annunciargli la lieta notizia. -Vieni qui. Devi sapere che… Ma cosa succede?-.
La piccola non sembrava avere alcuna intenzione di muoversi. Stava guardando un punto imprecisato nel corridoio e il vecchio si chiese se non avesse rintracciato qualche altro resto della collana.
-Erza? Erza?-.
La chiamò più volte, ma la bambina non diede cenno di risposta.
-Si può sapere cosa stai… Oh-.
Un sorriso di tenerezza gli distese le labbra e lo sguardo gli si addolcì ancor di più nel vedere l’espressione estasiata e in un certo senso commossa di Scarlet.
-Guarda lì, nonno-, indicò con la manina Erza, puntando l’indice verso la cella in cui dormivano Jellal, Sho e Millianna.
Sul suolo era apparsa una scritta tracciata da sottili dita di bambino. Le lettere si distinguevano appena, un po’ per colpa dell’opprimente penombra, un po’ a causa della polvere che di tanto in tanto si sollevava, ricadendo e nascondendo il messaggio che qualcuno aveva lasciato.
 
Buon compleanno, Scarlet
 
 -Ieri era il tuo compleanno, no?-, le fece notare il vecchio. -Non vorrai dirmi che te ne eri dimenticata-.
-Ero così stanca che me ne sono scordata-, sussurrò Erza. -Ora capisco perché Jellal mi ha regalato la collana. Insieme a Sho e Millianna-, si corresse in un secondo momento, arrossendo appena.
-Mancavano gli auguri. Ma a quanto pare c’è stato chi ha avuto più di un pensiero per te-.
Senza alcun preavviso, Scarlet abbracciò l’anziano, affondando il viso nel petto scheletrico dell’altro. Nonno Rob replicò con una stretta altrettanto vigorosa, accarezzandole dolcemente i capelli.
-C’è un’altra cosa che devi sapere della corniola-, le sussurrò ad un orecchio. -È un simbolo di vittoria; portala sempre con te e ti aiuterà a sconfiggere chiunque voglia farti del male-.
Un silenzioso pianto liberatorio proruppe dagli occhi innocenti di Erza. Furono lacrime di contentezza, lacrime con cui avrebbe dissetato senza alcuna esitazione Jellal e tutti i suoi amici.
Non dimenticò mai le parole che nonno Rob le aveva rivolto. E negli anni seguenti, le bastò stringere quella piccola pietra tra le mani per essere sicura di superare qualsiasi momento critico.
Non avrebbe dovuto temere nulla: aveva con sé l’essenza della corniola. Un’essenza che le manteneva Jellal costantemente nel cuore.
 
 

Oggi è il compleanno di una persona speciale.
Tanti auguri, Giulia <3
   
 
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