Alchimia dei sensi.
Ma buongiorno a tutti
XD Io sono Meg, di nome vero Linda, scrittrice alla prima pubblicazione
*cominciano a tremarle le gambe* Difatti… XD Beh, cosa dire? Questa storia
dovrebbe avere dei toni comici… ma mi sa che alla fine sarà parecchio
avventurosa, perché quello è il mio genere e finisco per fare sempre quello XD
Ovviamente ci sono tutti i nostri più adorati personaggi: Inu, Kaggy, Miro,
Sango, Sesshi e Rin. E le coppie potete benissimo immaginarle… >O<
Cos’altro posso dirvi? È ambientata nel nostro tempo, a Tokyo, e beh… ci saranno
parecchi segreti da svelare… *_* (o almeno credo X3) Mi raccomando, lasciatemi
un commento, gentilmente <3 Bacioni, Meg.
Capitolo
uno
Un’umana in
più.
«No
che non voglio un’altra umana per
casa» sussurrò un frustrato Sesshoumaru.
Inuyasha
annuì, fervido. «Pure io!» esclamò, testardo.
La
donna anziana li fissò, al limite dell’indifferenza. «Cavoli vostri miei cari»
replicò, sistemando accuratamente i libri sulle mensole. «quella ragazza ha ogni
diritto di soggiornare in casa sua»
disse, riprendendo a spazzare la polvere.
Inuyasha
si infervorò velocemente. «Casa
sua?!» ripetè, acuto «questa non è casa sua!».
Sesshoumaru
la fissava, atono. «È scritto nel testamento di nostro padre, vero?». Gli occhi
color ambra del demone si puntarono in quelli marroni della
donna.
A
quella domanda Inuyasha si zittì, sorpreso.
«Ma
certo. Non ve l’avevo forse detto?» disse, cadendo dalle
nuvole.
Il
sopracciglio di Inuyasha sfiorò il cielo. «No stupida vecchiaccia!».
La
donna lo fulminò con un solo sguardo, mettendo a tacere qualsiasi altra
esclamazione velenosa. «Quella ragazza verrà
ad abitare qui. Se non vi fidate di ciò che dico, guardate voi stessi il
testamento» borbottò, indignata.
Sesshoumaru tentò di
calmare le acque. «Kaede, grazie dell’informazione» poi lanciò un’occhiata ad
Inuyasha «non avremo bisogno di conferme».
L’anziana donna
sorrise radiosa al primogenito. Era sempre così riflessivo e responsabile… tutto
il contrario di Inuyasha, testardo e irascibile! Condividevano proprio gli
estremi caratteriali del loro padre. Però
Inuyasha non ha preso proprio niente da sua madre, riflettè, sconsolata, una donna straordinaria. «Meglio per
voi».
Inuyasha ridusse gli
occhi dorati a due fessure, quasi dovesse incenerirla. Stava per mandarla
direttamente a quel paese quando Sesshoumaru lo strattonò per il braccio,
trascinandolo nella stanza accanto.
«La smetti di fare il
bambino?» esclamò, serafico.
Il mezzodemone puntò
lo sguardo in quello del fratello. «E tu la smetti di fare l’adulto?» replicò,
velenoso.
«Mh… che noia» borbottò «Inuyasha, non siamo
più bambini in continua rivalità. Ragiona e smettila di aggrapparti
all’orgoglio».
L’hanyou incrociò le
braccia, ostentando un’offesa che non c’era. «Io non sono orgoglioso» biascicò,
convinto.
Sesshoumaru alzò un
sopracciglio cesellato. «…Certo» concluse, sarcastico «ma ti prego di fidarti di
Kaede e di accettare l’arrivo di questa ragazza. Casa nostra è grande e non
sarai costretto a vederla ogni istante».
Inuyasha lo fulminò
con uno sguardo. «Com’è che improvvisamente sei contento che arrivi?» domandò,
indagatore.
«È nel testamento»
rispose, semplicemente.
L’hanyou aggrottò le
sopracciglia. «Non è che cominci ad essere gentile verso gli umani?» soffiò,
maligno.
Sesshoumaru sospirò.
«Smettila» lo zittì.
«Gentile…» ripetè,
divertito.
«Non sono gentile»
esordì, infastidito «era una richiesta di nostro padre.
Punto».
Inuyasha lo fissò,
atono.
«…E io voglio
rispettare i suoi ultimi voleri, ecco tutto».
Il mezzodemone
sospirò. «Va beh. Un’umana in più…» sussurrò, più a se stesso che al fratello
maggiore. «Ma solo una!» esclamò, livido. Non ne poteva più di quel fetore umano
che emanavano. Erano davvero fastidiosi.
Sesshoumaru
gli lanciò uno sguardo di comprensione. Anche lui faticava a sopportarne
l’odore.
«Kachan, ma sei
davvero sicura…?» sussurrò, preoccupata.
La ragazza annuì,
fervida. «Ma certo Rin. Sono persone ricche. Credi che abbiano problemi ad
ospitare una persona in più?» borbottò, ricontrollando scrupolosamente il
borsone ed i suoi averi.
La piccola Rin la
fissò. «Beh… forse è comunque il caso di avvisare…»
suggerì.
Kagome scosse la
testa, intenta a controllare da cima a fondo la stanza. «Non ti preoccupare Rin!
Stai tranquilla» infilò la testa nel bagno, lasciando qualche momento di
silenzio «e poi tu sei sotto la mia tutela».
La piccola si lasciò
andare sul divano. «Questo è vero, ma…» biascicò, lasciando cadere il discorso.
Indossava una svolazzante gonna bianca ed una canottiera rosa. «Kachan, quando
arrivano… a prendere i mobili?» domandò, curiosa, guardandosi attorno. Le
sarebbe mancata la loro piccola casa. Ora non più loro.
La risposta giunse
ovattata. «Credo nel pomeriggio».
Rin
sospirò.
Kagome ritornò in
salotto con in mano la spugna della doccia. «L’avevo dimenticata…» disse, imbarazzata.
Rin scoppiò in una
risatina. Kagome era tremendamente
sbadata. Non era goffa - non fisicamente per lo meno; però aveva tutta l’aria di
esserlo. Era ritardataria, smemorata e poco amante degli sport. «Che novità»
replicò, con un sorrisino.
Kagome la inchiodò con
uno sguardo fintamente offeso. «Ehi, piccola antipatica, guarda che tu sei a
tutti gli effetti alle mie
dipendenze!» esclamò, autoritaria, lanciandosi su Rin e cominciando a farle il
solletico.
La piccola lo soffriva
terribilmente, e dappertutto, per sua sfortuna. Cominciò a ridere e singhiozzare
allo stesso tempo, dimenandosi come un animale in gabbia. «No Kachan… no… Ka…»
esclamava, acuta, fra le risate smorzate.
La mora, a cavalcioni
su di lei, placava la sua ira tramite la vendetta. Quando un calcio la colpì
sullo stomaco, si accasciò sul lato e la lasciò libera. «Ora sei ufficialmente
in debito con me» esordì, seria.
Rin aggrottò le
sopracciglia. «E per quale motivo?» domandò la pimpante
sedicenne.
«Ma è ovvio» esclamò
la mora «perché ti ho perdonato quella battuta insolente!».
La piccola Rin la
fissò, con la bocca spalancata. Offesa, esordì un «Ah si?!» ed afferrò in fretta
il cuscino, tirandoglielo in volto «Ecco, ho saldato il mio debito!» urlò,
cominciando una frenetica battaglia di cuscini.
Saltarono in piedi sul
divano, cominciando a lanciarsi tutti i cuscini che gli capitavano a tiro.
«Ehmm… scusate!» fu un
commento maschile alla loro sinistra. Un uomo, avvolto da una massa maschile in
tuta, era a pochi metri da loro, decisamente contrariato.
Le due arrossirono di
botto e scesero velocemente dal divano. Che sciocche! I traslocatori erano
arrivati prima del previsto.
«Ops» esordì Kagome,
gettando un’occhiata fugace a Rin «scusateci, non volevamo disturbare il vostro
lavoro. Ora ce ne andiamo» borbottò, avviandosi direttamente verso il suo
borsone e il trolley.
«Non disturbavate
affatto!» fu il commento malizioso e provocatore di uno, nascosto fra la folla.
Kagome si sentì
avvampare di umiliazione e si affrettò ad allontanarsi. «Scusate ancora… Rin?» chiamò, subito dopo, vedendo che
anche la piccola era parecchio indaffarata a coricarsi di
valigie.
«Ehm.. si…
arrivederci» sussurrò acuta, abbozzando un sorriso. Un uomo le fece una veloce
radiografia e si sentì decisamente fuori posto.
Schizzarono fuori
dall’appartamento ad una super velocità. Presero l’ascensore, mute, e non appena
si chiusero le porte, sospirarono entrambe. Poi scoppiarono a
ridere.
«Kachan, guarda cosa
ci hai fatto fare!» esclamò, un pochino arrabbiata. Per Rin era insolito fare
figuracce e gaffe: le capitava di rado di esserne vittima, e le detestava
particolarmente. Kagome, invece, col suo animo testardo e a volte insolente, era
più che abituata. Aveva una certa faccia tosta.
«Scusa Rin» mormorò
«pardon» disse,
sarcastica.
L’altra sbuffò.
«Dobbiamo chiamare un taxi» disse,
imitando l’accento francese dell’amica.
Kagome annuì. «Lo
faccio subito» esordì, mentre l’ascensore suonava debolmente, indicando che
erano giunte al piano terra. Uscirono, cariche, e si diressero vicino alla
Portineria del palazzo. La mora prese il cellulare dalla tasca e digitò
velocemente il numero del servizio taxi. «Salve, senta
vorrei…».
Rin si voltò,
distratta, incrociando con lo sguardo le auto veloci che sfrecciavano di fronte
al portone in vetro. Rimase un tempo indeterminato impalata a fissarle,
ricordando quando una notte si era ritrovata quasi presa sotto da una di
loro…
«Cinque minuti e
arriva» esplicò la voce di Kagome,
che le carezzò delicatamente una spalla. «Ricordi ancora?» domandò,
dolcemente.
Lei annuì,
delicatamente. «Sempre»
ammise.
Kagome non ebbe nulla
da dire, perché si allontanò da lei e si avvicinò alle cassette della posta.
«Ehi! Hanno già messo un altro nome!» esordì, offesa «non ce ne siamo neanche
andate!» biascicò.
Rin scoppiò in una
risatina. «Kachan, noi – per loro –
ce ne siamo andate eccome» mormorò. Il suo sguardo cadde sul citofono. Anche
lì il loro cognome era scomparso.
«Saitou?! Che schifo di cognome è?! Così
corto… e…» esclamò, vaneggiando su un’offesa non subita.
Rin scosse il capo. Il
taxi si fermò proprio di fronte al portone. «Ehi Kachan! È
arrivato».
Raccolsero in fretta
le valigie e con l’aiuto del taxista, salirono sull’auto.
«Residenza No Taisho,
grazie».
Sesshoumaru No Taisho
era inclito a non fidarsi delle
persone. Solitamente non accettava l’aiuto di nessuno, e questo gli aveva
permesso di diventare una persona in grado di cavarsela da sé. Tuttavia, non era
nemmeno un egoista – non normalmente,
e finiva quasi sempre per aiutare coloro che ne avevano bisogno. Un esempio
era proprio Inuyasha, il quale si ficcava sempre nei pasticci. In rari casi, però, si prendeva il merito
di una buon’ azione. Preferiva essere considerato un asociale, piuttosto che un
benefattore.
Il Demone entrò nello
studio di suo padre. Era una sala rotonda, ben arredata, con stile
inconfondibile: sulla parte troneggiava un enorme albero genealogico della
famiglia Taisho, fin dalla prima fondazione, il loro tris-trisnonno. Oltrepassò
i divanetti in pelle e raggiunse a grandi falcate la scrivania in mogano. Nel
secondo cassetto a destra, chiuso a chiave – di cui vi era una sola copia esistente –
c’era il testamento di Inu No Taisho.
Aprì il cassetto con
due veloci mandate ed estrasse l’allegato di fogli e clausole legali. Era tutto
avvolto in una cartelletta marrone, rilegata con un nastro rosso. Lo sciolse e
lo aprì. Suo padre aveva scritto tre pagine di discorso d’addio, prima della sua
morte, ed erano state lette al suo funerale. Dov’era dunque la clausola che
permetteva a questa ragazza di soggiornare nella sua casa?
In fondo alla
cartelletta, adocchiò un foglio mai
visto. Da dov’era uscito? Lo prese in mano, controllò la firma e la scrittura.
Erano assolutamente autentiche. Le
confrontò anche con il discorso, e combaciavano.
Tokyo, 30 giugno
2006
Sesshoumaru rilesse
velocemente la data. Era stato scritto prima del discorso funerario. Prima di
tutti gli altri testamenti che erano giunti fino a loro.
Io sottoscritto Inu No
Taisho, reclamo il bisogno di trasmettere la seguente informazione ai miei
figli, Sesshoumaru No Taisho e Inuyasha No Taisho, o chiunque abbia il possesso
della Residenza No Taisho.
Il demone aggrottò le
sopracciglia. Parlava della casa.
L’albero genealogico
presente nel mio studio, nella Residenza No Taisho, riporta tutti i nomi,
cognomi, data di nascita e morte dei nostri parenti passati, presenti e
prossimi. Il valore di quest’opera è enorme: revoco ogni mia precedente
disposizione e ne affido la custodia ai miei posteri, Sesshoumaru o Inuyasha, o
chiunque discenda da loro.
Come mai? Nel discorso
lo aveva ceduto a chiunque avesse comprato la casa. Come mai ora lo dava a
loro?
In questo albero
genealogico ci sono tutti i tesori della famiglia No Taisho, anche se, non è
questo ciò di cui vi voglio parlare. Questo mio scritto, è rivolto ai possessori
della Residenza No Taisho, al fine di permettere la salvaguardia di una
vita.
La salvaguardia di una
vita…? Lo rilesse, pensoso. Poi decise di andare avanti. Si accucciò sulla
poltrona di suo padre.
La mia seconda moglie,
Izayoi Inezumi, ed io, ci sposammo nel settembre del 1990, convolando a nozze un
amore cresciuto lentamente nei nostri animi. Quello stesso anno, venne alla luce
il piccolo Inuyasha, il mio secondogenito. Due mesi dopo, assistetti al terzo
parto della mia vita.
Sesshoumaru spalancò
gli occhi sconvolto… non era possibile… Izayoi aveva avuto un altro
figlio?
La sorella di mia
moglie, Sumiko, aspettava una bambina. Il legame fra Izayoi e Sumiko era
infrangibile. Me ne accorsi quando si dovettero separare, per permettere alla
mia amata di raggiungermi alla Residenza No Taisho.
Lanciò un sospiro di
sollievo ma la curiosità lo divorò, e riprese a leggere.
Sumiko aveva ereditato
un lato caratteriale della madre che Izayoi non possedeva: l’ingenuità. Fu così
che la piccola appena nata, ebbe un padre disgraziato, scialacquatore di beni e
dedito alla poligamia. Capì subito che quell’unione non sarebbe durata, e se
anche lo fosse, la piccola bambina sarebbe nata sbagliata, senza un’infanzia
felice. E fu per quello che promisi a me stesso di prendermi cura di
lei.
Sesshoumaru fu
completamente assorbito dalla lettura. Erano particolari scottanti… non era a
conoscenza di tante verità su suo padre.
Promisi ad Izayoi, che
qualunque cose fosse successo, avrei accolto quella piccola nella mia casa,
proteggendola da un padre tanto crudele.
E con questo scritto, dunque, che richiedo ed esigo, che Kagome
Higurashi, figlia di Sumiko Inezumi e Kaii Higurashi, in caso di bisogno,
esigenza o necessità, soggiorni nella mia dimora (Residenza No Taisho) per tutto
il periodo di cui abbia bisogno. Nessuno potrà impedire che questo avvenga.
In fede e con amore,
Inu No Taisho.
Lì, Residenza No
Taisho, Tokyo, Giappone.
Sesshoumaru alzò lo
sguardo sorpreso. Quanti altri segreti nascondeva quel testamento? Quante altre
clausole nascoste sarebbero presto comparse?
Ripiegò il tutto e
richiuse il nastro rosso con cura. Ripose la cartelletta nel cassetto e lo
bloccò con due mandate.
«Padre… quante altre cose nascondi?» domandò, nel silenzio. Si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla porta. Il suo sguardo cadde sull’albero genealogico, scritto da diverse mani minuziose. Si avvicinò all’ultimo ramo, dove compariva anche il suo nome e quello di Inuyasha. Seguì il filo di Izayoi. Come avevano fatto a non accorgersene prima? Di fianco, compariva il nome Sumiko. E più, sotto, Kagome.
Continua nel prossimo capitolo...