Loved
you first
C’era
rumore nell’aria. Ma non un rumore brutto di
quelli che davano fastidio all’udito. Era un rumore
piacevole, simile ad una
melodia composta da una piccola orchestra, di quelle che si sentono
nelle
grandi sale piene di gente ricca.
La
città era immersa nel blu innaturale di un cielo
limpidissimo.
Le
fontane di marmo e i giardinetti che adornavano le
piazze e i vicoletti risplendevano sotto la luce del sole.
Paige
li guardava con ammirazione, ma nel fondo del
cuore sentiva un punto di nostalgia. Era tutto troppo bello e
splendente per
poter durare, e lei sapeva con certezza che quello spettacolo
meraviglioso
sarebbe svanito nel nulla come se non fosse mai esistito.
Si
affacciò a una balconata di vetro e vide sotto di
sé le nuvole. Stava volando, ma stranamente non aveva paura.
Lei soffriva di
terribili vertigini anche quando si affacciava da un palazzo abbastanza
basso.
Eppure là sopra, con la brezza che le accarezzava il viso,
non aveva paura.
Paige
alzò la testa di scatto sentendo un rumore
simile a quello di un tuono.
La
luce del sole l’accecò, impedendole di distinguere
qualsiasi forma.
“Allora,
ti alzi o no?”
Aveva
freddo, alle gambe, alle spalle.
“Sono
stufa di doverti chiamare due volte ogni mattina
e salire fin qua quando tutti i ragazzi sono già
scesi”
Paige
strizzò gli occhi. Niente meravigliosa città,
niente dolce melodia, niente cielo limpido. Come sempre, invece, un
soffitto
bianco macchiato dall’umidità.
“Ti
alzi?”
Davanti a lei le apparve la figura di Giada. Lei aveva cinquanta anni e
lavorava da sempre nell’orfanotrofio. Quando Paige la
guardava pensava che il
suo destino sarebbe stato uguale a quello della donna: Crescere dentro
l’istituto, guardare Seattle dalle sbarre del cancello, e un
giorno diventare
acida e antipatica come lei.
Del
resto neanche gli altri mancavano d’occasione per
ripeterglielo “A diciassette anni non ti adotta
più nessuno, poco ma sicuro. Tu
qua dentro ci resterai per sempre”
Era questa la frase che si sentiva ripetere da tutti, anche dai
più magnanimi
di cuore come Elisabeth.
“Scusami”
bofonchiò Paige tirandosi su dal letto per
nulla comodo, poggiò i piedi al pavimento sentendo il freddo
trafiggerle ogni
lembo di pelle presente sotto il piede.
“Scusami..scusami..
me lo ripeti ogni mattino ma lo
stesso ogni mattina devo venirti a buttare
giù dal letto”
Paige
non ci fece poi tanto caso, ne era ormai
abituata, tutte le mattine si ripeteva questo.
Dopo
poco si affrettò a dirigersi verso i bagni,
l’unica cosa positiva dello svegliarsi tardi era avere i
bagni tutti per sé. Le
piaceva la solitudine, anzi, le piaceva stare lontana da tutti quei
ragazzi
superficiali e con la lingua aguzza. A volte si chiedeva come mai non
era
cresciuta come loro ma diversa, anche se quella diversità
non le dispiaceva poi
così tanto. Non le sarebbe piaciuto essere una di quelle
ragazzine che
pensavano ai vestiti belli e a essere popolari.
Era
semplicemente Paige.
Scelse
uno dei lavandini e iniziò a lavarsi la faccia.
Si
contemplò allo specchio e, com’era prevedibile, i
suoi capelli biondi erano tutti arruffati.
Sospirò.
Si
contemplò gli occhi verdi battendo più volte le
palpebre.
Era
una storia lunga, quando aveva cinque anni un
ragazzo dell’istituto le aveva detto che i suoi occhi erano
simili a quelli di
un pesce, sapeva che era una cosa stupida ma da allora ogni mattina
passava
svariati minuti a cercare di capire se era vero.
Finì
l’analisi mattutina per poi dirigersi alle docce,
non le amava, erano strette e spesso puzzavano ma quello era il massimo
che il
suo insignificante essere poteva avere. E dopo una doccia abbastanza
veloce
indossò un maglione marroncino e dei jeans, aveva poca
scelta, i suoi vestiti
erano la carità delle persone che offrivano
all’istituto.
Scese
dal piano delle camere andando verso la porta
della sua aula fermandosi lì. Sapeva che appena entrata
avrebbe avuto una di
quelle ramanzine infinite da Suor Costanza.
La
sua vita era un libro in cui c’era una sola pagina
che si ripeteva all’infinito.
Con
coraggio entrò nell’aula beccandosi
l’occhiataccia
truce della suora.
Il
suo aspetto incuteva timore con quel corpo vigoroso
e la fronte costantemente corrugata, anche il suo carattere era severo
e
irremovibile. Tutto di lei incuteva timore.
“Trenta
minuti” disse
Paige
abbassò lo sguardo sentendo le guance scottare
per la vergogna, sapeva che tutti gli occhi della classe erano puntati
su di
lei.
“Vedo
che non riesci a capire e insisti con il tuo
comportamento scostumato”
“Mi
scusi.” Disse con un fil di voce la bionda.
Suor
Costanza alzò una mano fermandola prima di
poterle far dire altro.
“Lo
dici tutte le mattine, ormai quest’espressione di
rammarico si è svalutata. A pranzo penserai al tuo
comportamento facendo il
turno nella cucina..per una settimana”
Paige aprì bocca per replicare ma lo sguardo della suora non
le fece uscire
nemmeno un suono dalle sua labbra.
“E
ora siediti”
Sbuffò
per poi andarsi a sedere nel suo banco di
colore verdognolo e con qualche piccola crepa sopra.
Restò
ad ascoltare per una buona mezz’ora le lezione
della suora finchè la sua mente iniziò a vagare
in un confine tra immaginazione
e realtà. Non poteva farci niente se era affetta da
distrazione cronica.
Immaginava
come sarebbe stato poter guardare la
bellissima città di Seattle da fuori quello stupido
istituto, poter camminare
per le strade a lei quasi sconosciute, conoscere persone non
così stupide come
quelle che aveva attorno da ormai diciassette lunghi anni. Non ne
poteva più ma
sapeva che il suo destino era segnato.
Il
collegio sarebbe stata la sua casa.
Per
sempre.
Cominciò
a battere le dita ossute sul banco a ritmo di
una canzone che sentì tempo fa nella radio che si trovava
nelle cucine.
Lei
amava la musica ma in quel posto c’era ben poco
spazio per essa.
A
volte, la notte invece di dormire si metteva sotto
le coperte con la pila tra i denti e i libri pieni di spartiti che
riusciva a
procurarsi di nascosto.
“Allora?”
La voce spessa dell’insegnante la risvegliò
dai suoi pensieri.
Si girò verso di lei quasi spaventata.
“Allora?
Qual è la soluzione?”
Paige
si girò intorno cercando qualche appiglio per
capire almeno di cosa stavano parlando, guardò la lavagna ma
era completamente
nera. Si girò verso i suoi coetanei che non facevano
trapelare nulla dai loro
occhi.
“Napoleone”
sentì una vocina dietro di lei “La
risposta è Napoleone” continuava la vocina.
Mise
le mani in tasca “Napoleone” disse a voce alta
facendo contrarre lo sguardo della suora. “Ma davvero?
Napoleone? Non pensavo
che fosse uno studioso di metafisica. Un altro tre Paige”
Sentì
i ragazzi ridere attorno a lei, si girò verso la
voce che le aveva suggerito e scorse la figura di Luke che rideva
talmente
tanto che gli uscivano le lacrime dagli occhi.
La
bionda si sedette nuovamente stizzata dal
comportamento dei suoi compagni, si chiedeva perché doveva
andarle sempre tutto
male.
Il
pranzo si presentava ancora più brutto del resto
della mattinata. Prima di tutto perché era giorno di piselli
e non c’era
alimento che lei odiava di più.
“Sfigata
perché non ci parli un po’ di Napoleone e la
sua metafisica?” le chiese un ragazzo provocando la risata di
tutti i presenti.
Paige
cercò di tenere almeno un po’ della sua
dignità.
“È
stato Luke a suggerirmi male apposta”
“Già..ma
poi ci spieghi cosa centra Napoleone con la
metafisica”
Altro
coro di risate.
La
ragazza sospirò mentre spargeva i piselli sul
piatto, sperando che da li a poco tutti attorno a lei decidessero di
volatilizzarsi uno a uno per poi lasciarla lì da sola.
Passò
tutto il resto della giornata nella cucina con
Suor Margarete a lavare centinaia e centinaia di piatti fino a far
consumare le
sue piccole dita.
A
fine giornata dire che era distrutta era poco, si
portò nel dormitorio stanca come nessun altro poteva essere,
tutte le ragazze
parlavano tra di loro e lei come suo solito se ne stette per buoni 10
minuti
sola sul suo letto cercando di far riposare mente e corpo.
Quel
momento di tranquillità durò fin quando Giada non
entrò nella stanza.
“Ti
vuole suor Costanza”
Paige
sentì un improvviso nodo allo stomaco. Succedeva
raramente che Suor Costanza facesse chiamare qualcuno.
L’ultima volta era stato
quando Luke aveva scavalcato il cancello dell’istituto per
scappare.
“Vuole
me?” disse incredula con la tensione che
filtrava dalla voce
“Sicuro”
Deglutì
alzandosi dal letto e iniziando a torturarsi
le mani. Anche il tono di voce di Giada era preoccupato e questo voleva
dire
che qualcosa di grave era successo per davvero.
Mentre
camminava il “lungo” tratto tra il dormitorio e
la stanza della direttrice ebbe tutto il tempo per pensare terribili
ipotesi
sul perché di quella chiamata.
Giada
bussò delicatamente alla porta e l’avanti della
direttrice risuonò così lugubre da far venire un
brivido lungo la schiena della
bionda.
“Su
và” Giada la spinse delicatamente avanti facendola
entrare in quello studio.
Paige
si guardò intorno, era tutto in legno e quella
stanza puzzava come un libro nuovo appena comprato.
“Vieni
e siediti” disse la suora non distogliendo lo
sguardo dalle carte che aveva tra le mani.
Paige
si fece avanti con passetti piccoli e silenziosi
fino alla poltrona tutta tappezzata di rosso. Si sedette guardando la
direttrice che si sistemava meglio sulla sua di poltrona e aggiustava
gli
occhiali posizionandoli sul naso.
“Domani
incontrerai una persona, perciò sei tenuta a
mancare alle lezioni” disse con la sua solita voce spessa e
che faceva paura ma
in quel momento la ragazza non ci fece caso, stava ancora cercando di
mettere
insieme le parole che aveva appena sentito.
“C’è
una coppia di sposi che vuole adottarti”
Adottarti.
Quella parola fu in grado di cancellare
ogni altro tipo di rumore presente nella stanza.
Adottarti.
Adottarti. Adottarti.
Le
risuonava nella mente
“Adottare..me?”
chiese con la voce tremante di una
persona incredula, cosa che era davvero.
“Si
te, domani incontrerai il figlio dei signori
Payne, e se tutto andrà bene da dopo domani sarai fuori da
qui. Puoi andare”
Paige
si alzò ancora con la bocca semi aperta e gli
occhi che le brillavano.
“Grazie..Arrivederci”
Riuscì solamente a borbottare
per poi uscire dalla stanza.
Quella
notte Paige non chiuse quasi occhio. Era
agitata, emozionata, e sperava con tutto il cuore di far colpo sul
figlio dei
signori Payne.
Passò
dall’essere a volte scoraggiata, pensando che
una come lei non avrebbe mai fatto colpo su qualcuno,
all’essere determinata
pensando che doveva mettercela tutta, o almeno provarci.
Il
risultato finale di quella notte fu non dormire per
nulla.
La
mattina seguente, per la prima volta in diciassette
anni si “svegliò” in orario regolare.
Dal
momento in cui aveva messo piedi fuori dal letto
non aveva smesso un minuto di immaginare come sarebbe stato il momento
con il
figlio delle persone che la volevano adottare.
Per
quella mattina anche lei si concesse di sistemarsi
meglio degli altri giorni.
Mise
un maglioncino color lavanda e dei jeans un po’
più nuovi degli altri. Legò i capelli con un
vecchio nastrino viola che una
signora aveva donato all’orfanotrofio qualche mese fa.
Rimase
svariati minuti vicino allo specchio pensando
se il figlio dei Payne non avrebbe pensato che fosse una stracciona.
Magari
lui era ricco, aveva vestiti firmati,
cellulare..
Roba da ricchi insomma
“Paige
è arrivato il figlio del signore e la signora
Payne”
La
voce di Giada la fece sobbalzare risvegliandola dai
suoi pensieri.
Iniziò
a mordersi il labbro carnoso che si ritrovava,
lo faceva sempre quando era estremamente nervosa o preoccupata.
“Su
andiamo”
Paige
ebbe soltanto la forza di annuire per poi
seguirla.
La
guardava con la coda dell’occhio.
Non
era una donna che si curava, ma si portava bene i
suoi cinquanta anni tondi tondi.
Aveva
un caschetto di color rosso ramato, i capelli
perfettamente lisci come gli spaghetti.
Era
alta e indossava sempre la divisa da governante
dell’istituto.
Una
maglietta color kiwi a collo alto e dei pantaloni
marroncini larghi.
“Tu..
tu lo hai già visto questo ragazzo?”
Disse
facendo spostare gli occhi neri di Giada su di
lei.
“L’ho
visto per la prima volta 10 minuti fa”
“E..com’è?”
Sentì
la rossa sospirare e capì che non era un buon
segno.
“
È ”
Cosa
voleva dire è? È cosa? È gentile?
Cattivo? Scorbutico?
È
cosa?!
Non
ebbe il tempo per aprire di nuovo bocca che si
ritrovò nello studio della direttrice come la sera prima ma
a differenza in
quel momento non c’era lei ma un ragazzo.
Un
bellissimo ragazzo.
Aveva
i capelli leggermente alzati e sbarazzini
castani come gli occhi.
Non
erano occhi comuni, erano così profondi che Paige
sarebbe stata ore a fissarli.
Un
accenno di barbetta che rendeva il suo viso più
maturo.
Aveva
uno sguardo annoiato, una sigaretta tra le
labbra e un cellulare tra le mani.
Alzò
lo sguardo verso di lei che subito sentì una
sensazione allo stomaco ma non come quella della sera
precedente..questa era
più piacevole.
“Sei
tu Paige vero?”
Paige
annuì chiudendosi lentamente la porta alle
spalle senza staccare i suoi occhi verdi da quelli castani del ragazzo.
Il
ragazzo sospirò e si sedette su una delle due
poltroncine vicino alla scrivania della direttrice.
“Su
vieni a sederti che abbiamo di che parlare”
La
ragazza annuì di nuovo sentendosi una stupida
totale a non aver ancora aperto bocca.
Ecco
che quel poco di determinazione sbocciata ora
prime si era andata a frantumare in mille pezzi.
Si
avvicinò al ragazzo per poi sedersi di fronte a lui
cercando di sembrare il meno impacciata possibile.
“I
miei genitori vogliono adottarti, hanno parlato con
la direttrice e domani verrai a vivere a casa nostra. Sono Liam il loro
terzo
figlio”
“Piacere io sono Paige”
Un
secondo dopo la risposta che diede si sentì ancora
più stupida di prima.
Lui
sapeva già chi era, la conosceva
Abbassò
lo sguardo sentendo di star iniziando a sudare
freddo nonostante il suo corpo stava andando a fuoco dalla vergogna.
Sentì
il ragazzo ridere e vide la sigaretta che aveva
poco prima poggiato sulle labbra scivolare tra le sue dita.
“Lo
so che sei Paige, genio”
Disse
con tono di scherno.
Di
sicuro Paige non aveva immaginato quel momento
così.
Angolo
Autrice
Ciao!
Questa storia a me piace molto e spero che anche
per voi sia lo stesso, ci ho messo davvero tanto per riuscire a
scriverla
perlomeno decentemente.
Grazie
per aver letto