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Autore: SoCrazyMe_    17/03/2014    2 recensioni
Paige guarda Seattle attraverso il cancello dell’istituto dove è cresciuta e pensa che ormai non verrà più adottata da nessuno.
Finché una coppia di sposi che hanno appena perso una bimba chiedono di adottarla.
Arrivata lì capirà che avevano sbagliato e che la coppia non aveva chiesto di lei ma la terranno comunque con se.
Il loro figlio, Liam, non era entusiasta dell’adozione pensando che era inutile dopo aver portato a termine tre gravidanze e averne persa una.
Nonostante tutto, il rapporto tra lui e Paige migliorerà di poco a poco finché qualcosa non scoccherà tra i due..che sia amore?
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Loved you first

 

C’era rumore nell’aria. Ma non un rumore brutto di quelli che davano fastidio all’udito. Era un rumore piacevole, simile ad una melodia composta da una piccola orchestra, di quelle che si sentono nelle grandi sale piene di gente ricca.

La città era immersa nel blu innaturale di un cielo limpidissimo.

Le fontane di marmo e i giardinetti che adornavano le piazze e i vicoletti risplendevano sotto la luce del sole.

Paige li guardava con ammirazione, ma nel fondo del cuore sentiva un punto di nostalgia. Era tutto troppo bello e splendente per poter durare, e lei sapeva con certezza che quello spettacolo meraviglioso sarebbe svanito nel nulla come se non fosse mai esistito.

Si affacciò a una balconata di vetro e vide sotto di sé le nuvole. Stava volando, ma stranamente non aveva paura. Lei soffriva di terribili vertigini anche quando si affacciava da un palazzo abbastanza basso. Eppure là sopra, con la brezza che le accarezzava il viso, non aveva paura.

Paige alzò la testa di scatto sentendo un rumore simile a quello di un tuono.

La luce del sole l’accecò, impedendole di distinguere qualsiasi forma.

“Allora, ti alzi o no?”

Aveva freddo, alle gambe, alle spalle.

“Sono stufa di doverti chiamare due volte ogni mattina e salire fin qua quando tutti i ragazzi sono già scesi”

Paige strizzò gli occhi. Niente meravigliosa città, niente dolce melodia, niente cielo limpido. Come sempre, invece, un soffitto bianco macchiato dall’umidità.

“Ti alzi?”
Davanti a lei le apparve la figura di Giada. Lei aveva cinquanta anni e lavorava da sempre nell’orfanotrofio. Quando Paige la guardava pensava che il suo destino sarebbe stato uguale a quello della donna: Crescere dentro l’istituto, guardare Seattle dalle sbarre del cancello, e un giorno diventare acida e antipatica come lei.

Del resto neanche gli altri mancavano d’occasione per ripeterglielo “A diciassette anni non ti adotta più nessuno, poco ma sicuro. Tu qua dentro ci resterai per sempre”
Era questa la frase che si sentiva ripetere da tutti, anche dai più magnanimi di cuore come Elisabeth.

“Scusami” bofonchiò Paige tirandosi su dal letto per nulla comodo, poggiò i piedi al pavimento sentendo il freddo trafiggerle ogni lembo di pelle presente sotto il piede.

“Scusami..scusami.. me lo ripeti ogni mattino ma lo stesso ogni mattina devo venirti a buttare  giù dal letto”

Paige non ci fece poi tanto caso, ne era ormai abituata, tutte le mattine si ripeteva questo.

Dopo poco si affrettò a dirigersi verso i bagni, l’unica cosa positiva dello svegliarsi tardi era avere i bagni tutti per sé. Le piaceva la solitudine, anzi, le piaceva stare lontana da tutti quei ragazzi superficiali e con la lingua aguzza. A volte si chiedeva come mai non era cresciuta come loro ma diversa, anche se quella diversità non le dispiaceva poi così tanto. Non le sarebbe piaciuto essere una di quelle ragazzine che pensavano ai vestiti belli e a essere popolari.

Era semplicemente Paige.

Scelse uno dei lavandini e iniziò a lavarsi la faccia.

Si contemplò allo specchio e, com’era prevedibile, i suoi capelli biondi erano tutti arruffati.

Sospirò.

Si contemplò gli occhi verdi battendo più volte le palpebre.

Era una storia lunga, quando aveva cinque anni un ragazzo dell’istituto le aveva detto che i suoi occhi erano simili a quelli di un pesce, sapeva che era una cosa stupida ma da allora ogni mattina passava svariati minuti a cercare di capire se era vero.

Finì l’analisi mattutina per poi dirigersi alle docce, non le amava, erano strette e spesso puzzavano ma quello era il massimo che il suo insignificante essere poteva avere. E dopo una doccia abbastanza veloce indossò un maglione marroncino e dei jeans, aveva poca scelta, i suoi vestiti erano la carità delle persone che offrivano all’istituto.

Scese dal piano delle camere andando verso la porta della sua aula fermandosi lì. Sapeva che appena entrata avrebbe avuto una di quelle ramanzine infinite da Suor Costanza.

La sua vita era un libro in cui c’era una sola pagina che si ripeteva all’infinito.

Con coraggio entrò nell’aula beccandosi l’occhiataccia truce della suora.

Il suo aspetto incuteva timore con quel corpo vigoroso e la fronte costantemente corrugata, anche il suo carattere era severo e irremovibile. Tutto di lei incuteva timore.

“Trenta minuti” disse

Paige abbassò lo sguardo sentendo le guance scottare per la vergogna, sapeva che tutti gli occhi della classe erano puntati su di lei.

“Vedo che non riesci a capire e insisti con il tuo comportamento scostumato”

“Mi scusi.” Disse con un fil di voce la bionda.

Suor Costanza alzò una mano fermandola prima di poterle far dire altro.

“Lo dici tutte le mattine, ormai quest’espressione di rammarico si è svalutata. A pranzo penserai al tuo comportamento facendo il turno nella cucina..per una settimana”
Paige aprì bocca per replicare ma lo sguardo della suora non le fece uscire nemmeno un suono dalle sua labbra.

“E ora siediti”

Sbuffò per poi andarsi a sedere nel suo banco di colore verdognolo e con qualche piccola crepa sopra.

Restò ad ascoltare per una buona mezz’ora le lezione della suora finchè la sua mente iniziò a vagare in un confine tra immaginazione e realtà. Non poteva farci niente se era affetta da distrazione cronica.

Immaginava come sarebbe stato poter guardare la bellissima città di Seattle da fuori quello stupido istituto, poter camminare per le strade a lei quasi sconosciute, conoscere persone non così stupide come quelle che aveva attorno da ormai diciassette lunghi anni. Non ne poteva più ma sapeva che il suo destino era segnato.

Il collegio sarebbe stata la sua casa.

Per sempre.

Cominciò a battere le dita ossute sul banco a ritmo di una canzone che sentì tempo fa nella radio che si trovava nelle cucine.

Lei amava la musica ma in quel posto c’era ben poco spazio per essa.

A volte, la notte invece di dormire si metteva sotto le coperte con la pila tra i denti e i libri pieni di spartiti che riusciva a procurarsi di nascosto.

“Allora?” La voce spessa dell’insegnante la risvegliò dai suoi pensieri.
Si girò verso di lei quasi spaventata.

“Allora? Qual è la soluzione?”

Paige si girò intorno cercando qualche appiglio per capire almeno di cosa stavano parlando, guardò la lavagna ma era completamente nera. Si girò verso i suoi coetanei che non facevano trapelare nulla dai loro occhi.

“Napoleone” sentì una vocina dietro di lei “La risposta è Napoleone” continuava la vocina.

Mise le mani in tasca “Napoleone” disse a voce alta facendo contrarre lo sguardo della suora. “Ma davvero? Napoleone? Non pensavo che fosse uno studioso di metafisica. Un altro tre Paige”

Sentì i ragazzi ridere attorno a lei, si girò verso la voce che le aveva suggerito e scorse la figura di Luke che rideva talmente tanto che gli uscivano le lacrime dagli occhi.

La bionda si sedette nuovamente stizzata dal comportamento dei suoi compagni, si chiedeva perché doveva andarle sempre tutto male.

 

Il pranzo si presentava ancora più brutto del resto della mattinata. Prima di tutto perché era giorno di piselli e non c’era alimento che lei odiava di più.

“Sfigata perché non ci parli un po’ di Napoleone e la sua metafisica?” le chiese un ragazzo provocando la risata di tutti i presenti.

Paige cercò di tenere almeno un po’ della sua dignità.

“È stato Luke a suggerirmi male apposta”

“Già..ma poi ci spieghi cosa centra Napoleone con la metafisica”

Altro coro di risate.

La ragazza sospirò mentre spargeva i piselli sul piatto, sperando che da li a poco tutti attorno a lei decidessero di volatilizzarsi uno a uno per poi lasciarla lì da sola.

Passò tutto il resto della giornata nella cucina con Suor Margarete a lavare centinaia e centinaia di piatti fino a far consumare le sue piccole dita.

 

A fine giornata dire che era distrutta era poco, si portò nel dormitorio stanca come nessun altro poteva essere, tutte le ragazze parlavano tra di loro e lei come suo solito se ne stette per buoni 10 minuti sola sul suo letto cercando di far riposare mente e corpo.

Quel momento di tranquillità durò fin quando Giada non entrò nella stanza.

“Ti vuole suor Costanza”

Paige sentì un improvviso nodo allo stomaco. Succedeva raramente che Suor Costanza facesse chiamare qualcuno. L’ultima volta era stato quando Luke aveva scavalcato il cancello dell’istituto per scappare.

“Vuole me?” disse incredula con la tensione che filtrava dalla voce

“Sicuro”

Deglutì alzandosi dal letto e iniziando a torturarsi le mani. Anche il tono di voce di Giada era preoccupato e questo voleva dire che qualcosa di grave era successo per davvero.

Mentre camminava il “lungo” tratto tra il dormitorio e la stanza della direttrice ebbe tutto il tempo per pensare terribili ipotesi sul perché di quella chiamata.

Giada bussò delicatamente alla porta e l’avanti della direttrice risuonò così lugubre da far venire un brivido lungo la schiena della bionda.

“Su và” Giada la spinse delicatamente avanti facendola entrare in quello studio.

Paige si guardò intorno, era tutto in legno e quella stanza puzzava come un libro nuovo appena comprato.

“Vieni e siediti” disse la suora non distogliendo lo sguardo dalle carte che aveva tra le mani.

Paige si fece avanti con passetti piccoli e silenziosi fino alla poltrona tutta tappezzata di rosso. Si sedette guardando la direttrice che si sistemava meglio sulla sua di poltrona e aggiustava gli occhiali posizionandoli sul naso.

“Domani incontrerai una persona, perciò sei tenuta a mancare alle lezioni” disse con la sua solita voce spessa e che faceva paura ma in quel momento la ragazza non ci fece caso, stava ancora cercando di mettere insieme le parole che aveva appena sentito.

“C’è una coppia di sposi che vuole adottarti”

Adottarti. Quella parola fu in grado di cancellare ogni altro tipo di rumore presente nella stanza.

Adottarti. Adottarti. Adottarti.

Le risuonava nella mente

“Adottare..me?” chiese con la voce tremante di una persona incredula, cosa che era davvero.

“Si te, domani incontrerai il figlio dei signori Payne, e se tutto andrà bene da dopo domani sarai fuori da qui. Puoi andare”

Paige si alzò ancora con la bocca semi aperta e gli occhi che le brillavano.

“Grazie..Arrivederci” Riuscì solamente a borbottare per poi uscire dalla stanza.

Quella notte Paige non chiuse quasi occhio. Era agitata, emozionata, e sperava con tutto il cuore di far colpo sul figlio dei signori Payne.

Passò dall’essere a volte scoraggiata, pensando che una come lei non avrebbe mai fatto colpo su qualcuno, all’essere determinata pensando che doveva mettercela tutta, o almeno provarci.

Il risultato finale di quella notte fu non dormire per nulla.

La mattina seguente, per la prima volta in diciassette anni si “svegliò” in orario regolare.

Dal momento in cui aveva messo piedi fuori dal letto non aveva smesso un minuto di immaginare come sarebbe stato il momento con il figlio delle persone che la volevano adottare.

Per quella mattina anche lei si concesse di sistemarsi meglio degli altri giorni.

Mise un maglioncino color lavanda e dei jeans un po’ più nuovi degli altri. Legò i capelli con un vecchio nastrino viola che una signora aveva donato all’orfanotrofio qualche mese fa.

Rimase svariati minuti vicino allo specchio pensando se il figlio dei Payne non avrebbe pensato che fosse una stracciona.

Magari lui era ricco, aveva vestiti firmati, cellulare..

 Roba da ricchi insomma

“Paige è arrivato il figlio del signore e la signora Payne”

La voce di Giada la fece sobbalzare risvegliandola dai suoi pensieri.

Iniziò a mordersi il labbro carnoso che si ritrovava, lo faceva sempre quando era estremamente nervosa o preoccupata.

“Su andiamo”

Paige ebbe soltanto la forza di annuire per poi seguirla.

La guardava con la coda dell’occhio.

Non era una donna che si curava, ma si portava bene i suoi cinquanta anni tondi tondi.

Aveva un caschetto di color rosso ramato, i capelli perfettamente lisci come gli spaghetti.

Era alta e indossava sempre la divisa da governante dell’istituto.

Una maglietta color kiwi a collo alto e dei pantaloni marroncini larghi.

“Tu.. tu lo hai già visto questo ragazzo?”

Disse facendo spostare gli occhi neri di Giada su di lei.

“L’ho visto per la prima volta 10 minuti fa”

“E..com’è?”

Sentì la rossa sospirare e capì che non era un buon segno.

“ È ”

Cosa voleva dire è? È cosa? È gentile? Cattivo? Scorbutico?

È cosa?!

Non ebbe il tempo per aprire di nuovo bocca che si ritrovò nello studio della direttrice come la sera prima ma a differenza in quel momento non c’era lei ma un ragazzo.

Un bellissimo ragazzo.

Aveva i capelli leggermente alzati e sbarazzini castani come gli occhi.

Non erano occhi comuni, erano così profondi che Paige sarebbe stata ore a fissarli.

Un accenno di barbetta che rendeva il suo viso più maturo.

Aveva uno sguardo annoiato, una sigaretta tra le labbra e un cellulare tra le mani.

Alzò lo sguardo verso di lei che subito sentì una sensazione allo stomaco ma non come quella della sera precedente..questa era più piacevole.

“Sei tu Paige vero?”

Paige annuì chiudendosi lentamente la porta alle spalle senza staccare i suoi occhi verdi da quelli castani del ragazzo.

Il ragazzo sospirò e si sedette su una delle due poltroncine vicino alla scrivania della direttrice.

“Su vieni a sederti che abbiamo di che parlare”

La ragazza annuì di nuovo sentendosi una stupida totale a non aver ancora aperto bocca.

Ecco che quel poco di determinazione sbocciata ora prime si era andata a frantumare in mille pezzi.

Si avvicinò al ragazzo per poi sedersi di fronte a lui cercando di sembrare il meno impacciata possibile.

“I miei genitori vogliono adottarti, hanno parlato con la direttrice e domani verrai a vivere a casa nostra. Sono Liam il loro terzo figlio”
“Piacere io sono Paige”

Un secondo dopo la risposta che diede si sentì ancora più stupida di prima.

Lui sapeva già chi era, la conosceva

Abbassò lo sguardo sentendo di star iniziando a sudare freddo nonostante il suo corpo stava andando a fuoco dalla vergogna.

Sentì il ragazzo ridere e vide la sigaretta che aveva poco prima poggiato sulle labbra scivolare tra le sue dita.

“Lo so che sei Paige, genio”

Disse con tono di scherno.

Di sicuro Paige non aveva immaginato quel momento così.

 

 

Angolo Autrice

Ciao! Questa storia a me piace molto e spero che anche per voi sia lo stesso, ci ho messo davvero tanto per riuscire a scriverla perlomeno decentemente.

Grazie per aver letto   

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