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Autore: redbullholic    18/03/2014    2 recensioni
They tell us everything’s alright
and we just go along.
How can we fall asleep at night
when something’s clearly wrong?

E se... Kelly fosse sopravvissuta?
Genere: Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kelly Gibbs, Leroy Jethro Gibbs, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl Who Lived'
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Kelly trascorse i giorni seguenti a casa di Tony, con l'ordine di riposare da parte di Ducky. Le era concesso trasgredire solo per andare a trovare suo padre, cosa che faceva regolarmente tutti i giorni.
Si sedeva accanto al suo letto e parlava. I medici erano convinti che sentire voci conosciute lo avrebbe aiutato, e in ogni caso lei lo avrebbe fatto lo stesso. Le piaceva, ed era fermamente convinta che lui potesse sentirla. Parlava del più e del meno, soprattutto di quanto si annoiasse a casa da sola tutto il giorno e di quanto le mancasse il suo lavoro, il suo lavoro all'NCIS, non a New York.
Una sera, di ritorno dalla visita in ospedale, Tony tirò fuori una busta sigillata dal cruscotto dell'auto e la porse a
Kelly.
-Che cos'è?- chiese la ragazza, incuriosita.
-Da parte del direttore- rispose Tony evasivo, ma non riuscì a trattenere un sorrisetto che a Kelly non sfuggì.
Con le mani tremanti aprì la busta. Immaginava già cosa contenesse, ma l'emozione era comunque incontenibile. Ne rovesciò il contenuto sulle ginocchia e ne uscirono due fogli e un distintivo; il primo foglio era il congedo firmato dal capo della Omicidi di New York, l'altro un modulo compilato dal direttore Shepard che attestava che era ufficialmente un'agente speciale della squadra di Gibbs.
Leggendo il nome di suo padre le si strinse leggermente il petto; si chiese se quella fosse rimasta la squadra di Gibbs, o se in un futuro non molto lontano sarebbe diventata la squadra di DiNozzo. Si chiese anche se suo padre l'avrebbe mai vista all'opera come un vero agente speciale, e se avrebbero mai avuto l'occasione di partecipare fianco a fianco ad un'indagine. Scosse il capo per scacciare quei pensieri e si sforzò di pensare a ciò che le aveva detto Tony appena una settimana prima: "Si sveglierà, lui è Gibbs".
-Il più contento del tuo arrivo è McGee- disse Tony, riportandola alla realtà.
Kelly lo guardò con aria interrogativa.
-Ora non è più il pivello della squadra, e penserà sicuramente che lo lascerò in pace, concentrandomi solo su di te... povero illuso!- ridacchiò l'agente anziano.
-Se pensi di fare a me quello che fai o hai fatto a lui, non avrai vita facile- fece di rimando Kelly.
-Concedimi almeno di chiamarti 'pivella'!- esclamò Tony, fingendosi offeso.
-Neanche morta- rise la ragazza, che sembrava aver perso la capacità anche solo di sorridere dal giorno del rapimento di suo padre.
 
Altre due settimane se ne andarono veloci. Dopo un controllo veloce di Ducky, a Kelly era stato concesso di tornare, o meglio di cominciare, a lavorare. In assenza di Gibbs il comando era passato a DiNozzo, che però si azzuffava  spesso con la nuova arrivata quando si trattava di dare ordini e prendere decisioni importanti. Tony tendeva a sottovalutare troppo la sua somiglianza con il padre, e di conseguenza anche la sua innata attitudine al comando e la sua poca voglia di eseguire ordini che riteneva inutili alla risoluzione del caso.
Nonostante quel lavoro le portasse via praticamente tutta la giornata, Kelly continuava a trascorrere almeno un'ora in ospedale con suo padre, raccontandogli le sue giornate, i battibecchi con Tony, le intuizioni geniali di McGee e il rapporto di amicizia che stava sviluppando con Ziva e Abby.
Stava per iniziare la quarta settimana di coma per Gibbs la sera in cui a Kelly fu concesso di rimanere oltre l'orario visite perché era arrivata più tardi del solito.
-Scusa per il ritardo, ma abbiamo avuto un caso complicatissimo- disse, entrando nella stanza di suo padre e sedendosi al suo solito posto, ovvero la poltroncina morbida accanto al letto. Le veniva estremamente naturalre salutarlo in quel modo quando entrava, come se fossero a casa, come se potesse risponderle.
Iniziò a raccontargli di come Abby -che non mancava mai di raccomandarsi di salutarle Gibbs ogni volta- aveva trovato in pochi minuti la prova decisiva per individuare il colpevole di un omicidio, e di quanto avessero dovuto correre per inseguirlo ed arrestarlo.
Ben presto la stanchezza per la lunga giornata iniziò a farsi sentire; le parole del racconto di Kelly divennero sempre più vaghe, confuse e senza senso, mentre la sua testa ricadeva sullo schienale della poltroncina e le sue palpebre si facevano sempre più pesanti. Nel giro di cinque minuti era crollata, esausta.
 
Gibbs non riusciva a capire dove si trovasse. Tutto intorno a lui era completamente bianco, e la luce era tanto forte da fargli male agli occhi. Mosse qualche passo incerto, ma lo scenario non cambiava. Non vedeva assolutamente nulla, solo un'infinita distesa bianca. Continuò a camminare, deciso a trovare una porta, una via d'uscita, qualsiasi cosa che lo aiutasse a capire che razza di posto era quello.
Non passò molto che davanti a lui distinse una sagoma umana controluce. Si trattava di una donna, ma non riusciva a vederla in volto.
-Ehm... scusa- si avvicinò, tentando di attirare la sua attenzione -Sai dirmi dove ci troviamo?-.
La donna si voltò e iniziò a camminare verso di lui. Aveva un bel viso, contornato da lunghi capelli rossi che le ricadevano morbidi e lisci sulle spalle. Un leggero sorriso contribuiva  renderla ancora più bella. Quando Gibbs fu abbastanza vicino da riconoscerla rimase impietrito e si fermò di colpo.
-Shannon...- mormorò, il cuore stretto in una morsa.
-Ciao, Jethro- il sorriso di Shannon si allargò.
Con gesti lenti e meccanici Gibbs si portò a pochi centimetri da lei. Allargò le braccia per poi stringerle intorno al corpo della donna che non aveva mai smesso di amare. La strinse forte a se, sperando che in quel modo non se ne potesse più andare, e inspirò il suo profumo, quel profumo che tanto gli mancava.
-Dove siamo? Sono morto?- chiese, quando riuscì a sciogliere almeno in parte il nodo che gli stringeva la gola, senza sciogliere l'abbraccio.
-No, non sei morto- rispose Shannon -Ma non puoi stare qui-.
Gibbs si staccò appena da lei, senza lasciarla -Che significa? Io voglio stare qui con te... Ora che ti ho ritrovata...-.
La donna gli posò una mano sulla guancia con fare comprensivo -Purtroppo non è possibile, Jethro- disse, accarezzandolo dolcemente -Devi tornare-.
-Ma come... Ora siamo qui, insieme, e io non mi muovo! E poi tornare dove?- Gibbs stava iniziando ad agitarsi. Non aveva idea di che posto fosse quello, ma era disposto a passarci il resto dei suoi giorni se ciò significava riavere la sua Shannon.
-Devi tornare a casa. Kelly ha bisogno di te- questa volta fu lei ad abbracciarlo.
Kelly... era vero, aveva bisogno di lui e non poteva abbandonarla, dovunque si trovasse. Ma non voleva perdere Shannon, non un'altra volta. Magari esisteva un modo per restare lì, tutti e tre... Non fece in tempo ad aprire bocca però, che Shannon sciolse l'abbraccio e iniziò ad indietreggiare piano.
-Aspetta...- Gibbs allungò una mano verso di lei, ma non riuscì a toccarla. Lei continuava ad allontanarsi e lui sembrava bloccato, non riusciva a muoversi, a inseguirla.
-Abbi cura di te, Jethro... e pensa a Kelly- la voce di sua moglie gli giunse ovattata  e lontana. Ormai non riusciva più a vederla.
-Shannon...- sussurrò, mentre le lacrime scesero a rigargli le guance.
   
 
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