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Autore: bemyronald    18/03/2014    10 recensioni
Lui non le aveva mai detto esplicitamente quanto fosse terrorizzato all'idea di abbandonare la propria famiglia per chissà quanto tempo, non le aveva mai confessato quanto l'ignoto lo spaventasse. Sentiva che poteva parlarne con lei, sentiva che l'avrebbe capito. Sentiva il bisogno di essere capito.
«Hermione?» mormorò voltandosi verso di lei.
Hermione, che aveva tenuto gli occhi chiusi durante quei minuti di silenzio, li riaprì lentamente.
«Tu hai paura?» bisbigliò guardandola negli occhi. Lei non rispose subito, per qualche secondo rimase a fissarlo.
«Molta» disse dopo un po'. Ron sapeva benissimo che dietro quella semplice risposta c'era molto di più.
«Io sono terrorizzato» disse lui, quasi sussurrando.
~
{Missing Moments. “Forse si erano addormentati tenendosi per mano.” Cosa è successo tra Ron e Hermione durante la prima notte al numero 12 di Grimmauld Place? Ecco una mia personale versione!}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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A te, mio esempio di forza.
A te, che non dimenticherò mai.

“Stay here, have no fear.”



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«Non se ne parla!» sbottò Hermione in tono deciso. Era in piedi di fronte a Ron, con le braccia conserte. «Dormirò a terra, nel sacco a pelo, come voi»
«Avanti, Hermione, ci sono dei cuscini, perché non sfruttarli?» ribattè Ron mentre si impegnava nel sistemare i cuscini del divano di pelle marrone del salotto di Grimmauld Place, tentando di trasformarli in qualcosa di comodo che potesse avvicinarsi ad un letto, sotto lo sguardo irritato e allo stesso tempo divertito di Hermione e di un Harry che li osservava, ridacchiando sotto i baffi.
«Ecco» disse Ron dopo un po', guardando soddisfatto la propria opera composta da morbidi cuscini.
«Non mi sembra giusto, abbiamo deciso di stare insieme, posso dormire a terra con voi» tentò di nuovo Hermione.
«Sì, va bene, fa come vuoi...» farfugliò Ron sbadigliando, mentre tentava di infilarsi nel suo sacco a pelo. Era sul punto di stendersi quando Hermione, ancora in piedi con le braccia incrociate, richiamò la sua attenzione.
«Ron!»
«Eh?» rispose puntellandosi sui gomiti e voltando la testa per guardarla.
«I denti?» chiese Hermione alzando un sopracciglio, ma Ron notò che tratteneva un sorriso.
«Ah, certo, subito» disse sbuffando, e senza replicare si alzò subito. Si maledisse per non essersene ricordato prima di aver trovato la posizione nel suo sacco a pelo, ma sapeva che non gli conveniva contraddire Hermione, non a quell'ora almeno e soprattutto non se si trattava di igiene orale, fosse matto!
Uscì dalla stanza dopo aver preso il suo spazzolino e raggiunse il bagno. Si guardò allo specchio sporco posto sul lavandino e non potè non notare l'accenno di occhiaie. Si sentiva letteralmente a pezzi. Nel silenzio che incombeva nella stanza, cominciò a rendersi seriamente conto della situazione reale: erano a Londra, al numero 12 di Grimmauld Place... di nuovo. Ma stavolta era totalmente diverso. Erano in quella che era stata la dimora di Sirius, della famiglia Black, quello che un tempo era il Quartier Generale dell'Ordine della Fenice e che Harry aveva ereditato dopo la morte del suo padrino. Stavolta però la fatiscente casa era del tutto vuota. Non c'erano i membri dell'Ordine che andavano e venivano e che di tanto in tanto si fermavano lì. Anzi, forse, l'Ordine della Fenice non esisteva nemmeno più. In un attimo il suo pensiero andò a Sirius, a Malocchio, a Silente...
Scosse la testa freneticamente passandosi una mano tra i capelli scompigliati, distogliendo poi lo sguardo dallo specchio. Non c'erano adulti attorno a loro, non c'era la sua famiglia. Lui non era con la sua famiglia. Erano lì, completamente soli. Solo quella stessa mattina si era svegliato alla Tana, nella sua stanza, nel suo letto... nella sua casa. Eppure sembrava fosse trascorsa un'eternità. Sentiva un peso, un blocco sullo stomaco che restava lì, immobile, e si sentiva opprimere da una terribile sensazione d'angoscia. Spesso, in quei giorni, si era trovato ad immaginare la situazione di fuga nella quale si sarebbero trovati, prima o poi. Ci pensava da tempo, ci pensava tutte le notti, a volte anche di giorno in realtà, quel pensiero era diventato un'ossessione. Solo qualche ora prima festeggiavano l'unione tra Bill e Fleur, ed improvvisamente nel caos generale, erano fuggiti, abbandonando tutto e tutti. Nemmeno un avvertimento né un saluto né un abbraccio. Pensò alla sua camera lasciata in disordine e rise piano immaginando la faccia di sua madre alla vista di quel disastro. Poi la malinconia prese il sopravvento e quell'accenno di risata si spense all'istante.
Ma cosa ci faceva lì?
Si rese conto che il senso di colpa, che ultimamente gli faceva compagnia sempre più spesso, continuava a crescere inesorabilmente. Il senso di colpa per aver lasciato la sua stanza nel disordine più totale e che avrebbe, inevitabilmente, fatto arrabbiare sua madre. Ma forse sua madre non era arrabbiata con lui a causa di quel disordine, certo che no. Forse lo era perché lui era andato via, perché non le aveva raccontato nulla, nonostante lei avesse tentato tante, troppe volte di estorcere anche la più piccola ed insignificante informazione. Lei era consapevole del fatto che suo figlio minore stesse per affrontare qualcosa di molto più grande di lui, e lui non le aveva mai regalato una parola di conforto, mai che l'avesse consolata, nonostante sapesse benissimo quanto ne soffrisse. Il senso di colpa per le lacrime che lei avrebbe versato, per lo stato di angoscia e terrore in cui avrebbe vissuto per causa sua. Le aveva mentito, e non era stato semplice farlo. Era stato menefreghista e li aveva lasciati improvvisamente, mentre loro, nella confusione generale, cercavano di proteggersi. E lui se l'era svignata.
Una sensazione di sollievo l'aveva invaso nel momento in cui il Patronus di suo padre era apparso nel salotto del numero 12 di Grimmauld Place: "Famiglia al sicuro", ed era tornato per qualche minuto a respirare. Suo padre era forte, come lo erano i suoi fratelli e sua sorella, come lo era sua madre, e lui lo sapeva. Ma questa sicurezza non servì a sciogliere quel maledetto blocco posatosi sullo stomaco.
Ma cosa ci faceva lì?
Se fosse andato ad Hogwarts, protetto dal suo stato di Purosangue, sarebbe stato accanto a Ginny. Se fosse rimasto alla Tana, sarebbe stato con sua madre e i suoi fratelli, sarebbero stati insieme... qualsiasi fosse la situazione. Il non sapere, l'essere lontano... tutto faceva incredibilmente male. E se fosse successo loro qualcosa? E se lui avesse potuto far qualcosa ed in quel momento non era lì? E se...
Si sentiva uno schifo, una nullità, continuava a torturarsi come se fosse la cosa più giusta da fare. Forse, se avesse potuto, si sarebbe Smaterializzato in quel preciso istante e sarebbe andato da loro, avrebbe chiesto scusa a sua madre e avrebbe perfino sistemato la sua camera.
Ma cosa ci faceva lì?
Scosse leggermente la testa, si sedette sul bordo della vasca e prese ad osservarsi le mani. Avrebbe voluto urlare.
Si costrinse a ritornare alla realtà, al luogo in cui si trovava, alle persone che aveva intorno in quel momento. Pensò a Harry che sulle spalle portava un peso incredibile, una grossa responsabilità, più grande di lui. Più grande di loro. Provò un moto d'affetto per l'amico che aveva perso le persone a lui più care e che aveva avuto il coraggio di non sfuggire a quello che era un terribile destino. Ma era il suo destino ed aveva deciso di affrontarlo. E aveva bisogno di qualcuno. Lui aveva bisogno di loro, e loro dovevano esserci.
Pensò a Hermione. Poteva ancora sentire la sua voce disperata che chiamava il suo nome mentre lo cercava tra la folla, terrorizzata...


«Il Ministero è caduto. Scrimgeour è morto. Stanno arrivando»
Ron mollò all'istante le due bottiglie di Burrobirra lasciandole cadere sul tavolo, lo sguardo fisso sul punto in cui il Patronus era sparito un attimo prima. Sfoderò la bacchetta.

Silenzio.
Gelo.
Panico.
Gli invitati schizzavano da tutte le parti, Ron li vide Smaterializzarsi e pensò subito agli incantesimi ormai infranti attorno alla Tana. Tra la folla terrorizzata, lui rimase lì, immobile. Sentiva le gambe pesanti, come due blocchi di cemento. Non riusciva a muoversi, non riusciva a distinguere i volti attorno a lui, come se fosse tutto sfocato. Poi una voce lo scosse.
«Ron! Ron! Dove sei?» era la voce di Hermione, si voltò all'istante verso la fonte ma non riuscì a vederla. 

Panico.
Iniziò a muovere qualche passo guardandosi attorno in modo convulso. Vide figure incappucciate e mascherate, luci verdi e rosse sfrecciavano tutt'attorno, scorse Ginny e istintivamente scattò verso di lei ma vide suo padre che le si parò davanti prima che lui potesse raggiungerla.
«Ron! Ron!» sentì ancora Hermione chiamarlo tra i singhiozzi.
«Hermione!» tentò di urlare ma la voce gli uscì appena. Non riusciva quasi a parlare, sentiva solo il suo respiro affannoso, come se avesse perso tutto il fiato di cui disponeva e questo gli impediva di dire qualsiasi cosa. Gli impediva di urlare.

Terrore.
Cominciò a correre verso quella fonte nonostante non riuscisse a vedere né Hermione né Harry, non gli importava delle maledizioni che quasi lo sfioravano, di chi si trovava davanti, voleva solo raggiungere quella voce. Finalmente scorse la figura di Hermione che teneva la mano ad Harry. Li raggiunse, afferrò la mano libera di lei e la strinse più forte che potè, come se volesse impedire ad una qualsiasi forza sconosciuta di separarli. In quel preciso istante, parte del panico lo abbandonò.
Sollievo.



Rabbrividì ricordando quei momenti di puro terrore. Non riusciva a credere di averla lasciata qualche minuto prima dell'intrusione dei Mangiamorte, non poteva credere di essere riusciuto ad udire la sua voce e di essersi smosso proprio in quell'istante, nonostante il panico non glielo permettesse e le sue gambe lo tenessero incollato al pavimento. Non poteva credere di essere riuscito ad afferrare la sua mano. Ecco cosa ci faceva lì
I suoi fratelli, sua sorella e i suoi genitori si sarebbero protetti a vicenda, si sarebbero dati forza l'un l'altro. Li avrebbe ritrovati tutti, li avrebbe riabbracciati tutti, e per le scuse ci sarebbe stato tempo. Ma Harry aveva bisogno di lui e di Hermione. E lui, Ron, aveva bisogno di Hermione. Sentiva di doverci essere per lei, aveva timore di poterla perdere di vista anche solo per pochi minuti, proprio come qualche ora fa. Non poteva abbandonarli. Non doveva abbandonarla. E in fin dei conti, non sarebbero mai stati veramente soli. Dopotutto, erano insieme.
Sorrise tra sé e sé, si alzò dal bordo della vasca, prese lo spazzolino e cominciò a lavarsi i denti.
Appena rientrato in salotto fu accolto dai respiri di Harry, profondamente addormentato. Guardò Hermione nel suo sacco a pelo, distesa sui morbidi cuscini del divano, girata dalla parte di Harry. Era molti centimetri più su rispetto a loro due, e sorrise soddisfatto constatando che la ragazza non aveva fatto altre obiezioni, accettando così lo pseudo-letto che lui stesso le aveva preparato. Si sistemò nel sacco a pelo, pancia all'aria, le mani intrecciate dietro la nuca e cominciò a fissare un punto non identificato del soffitto. Era sovrappensiero e non si accorse che Hermione aveva preso a rigirarsi diverse volte, fino a quando non si mise pancia in giù e voltò il viso verso di lui che, a sua volta, girò la testa nella sua direzione.
«Tutto bene?» sussurrò Ron. «Forse sono scomodi».
«Sono più che comodi» rispose Hermione, incrociò le proprie mani e vi poggiò la guancia sopra.
«Volevo ben dire, ho fatto un lavoro eccellente, fa quasi invidia ad un letto vero!» disse Ron ridacchiando. «Non volevi nemmeno dormirci» aggiunse, fingendosi offeso. Hermione non disse nulla, ma sorrise. Per parecchi minuti entrambi rimasero immersi nei propri pensieri, fino a quando Ron, che ancora fissava il soffitto, ruppe il silenzio.
«Hai avuto paura?» disse piano senza guardarla. Hermione annuì semplicemente.
«Temevo che non fossi riuscito a trovarvi» riprese Ron parlando lentamente. «Ero bloccato lì che non riuscivo a muovermi, poi ho sentito che mi chiamavi» si voltò verso di lei che lo osservava dall'alto dei cuscini.
«E quando ho sentito la tua voce, è scattata una specie di molla, non so... e mi sono schiodato da terra... ma non riuscivo a vedere né te né Harry, non riuscivo nemmeno a chiamarti...» sospirò. «Tu sei stata straordinaria invece» aggiunse poi, sorridendo.
«Oh, io... io non ho fatto nulla, Ron...» fece spallucce e arrossì leggermente.
«Oh, sì, certo. Adesso mettere a punto un piano come il tuo, studiato nei minimi particolari, con giorni e giorni di anticipo, non è nulla. Nessuno aveva pensato ad una fuga improvvisa... nessuno tranne te, ovviamente» rise in silenzio. Non era una risata vera, era una risata non da lui. C'era quel pizzico di malinconia facilmente percepibile. Dopodiché, tornò a fissare il soffitto.
Silenzio. Li circondava un silenzio strano, ma non imbarazzato. I pensieri restavano intrappolati nelle loro menti, eppure lottavano per venir fuori, come se in quel momento confidare le proprie paure, fosse la cosa più giusta e naturale del mondo. Ron sentiva il forte bisogno di doverne parlare, non poteva continuare a tenersele dentro. Molte volte avevano affrontato l'argomento alla Tana, ma più che altro era stata Hermione a sfogarsi, in particolare sull' "argomento genitori". Ron aveva pensato a consolarla ma sapeva per certo che quei pensieri continuavano a tormentarla. Invece lui, non le aveva mai detto esplicitamente quanto fosse terrorizzato all'idea di abbandonare la propria famiglia per chissà quanto tempo, non le aveva mai confessato quanto l'ignoto lo spaventasse. Sentiva che poteva parlarne con lei, sentiva che l'avrebbe capito. Sentiva il bisogno di essere capito.
«Hermione?» mormorò, voltandosi verso di lei.
Hermione, che aveva tenuto gli occhi chiusi durante quei minuti di silenzio, li riaprì lentamente.
«Tu hai paura?» bisbigliò guardandola negli occhi. Lei non rispose subito, per qualche secondo rimase a fissarlo.
«Molta» disse solo, dopo un po'. Ron sapeva benissimo che dietro quella semplice risposta c'era molto di più.
«Io sono terrorizzato» disse lui quasi sussurrando, tornando a guardare davanti a sé. «Ci penso ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. In questo preciso istante siamo qui e non sappiamo cosa accadrà fra un attimo» sospirò e si sistemò a pancia in giù. Entrambi ora erano nella stessa posizione: le proprie mani intrecciate, sulle quali vi era poggiata la guancia. Si fissavano dritti negli occhi.
«Vorrei poter essere ad Hogwarts per proteggere Ginny» riprese. «Vorrei essere a casa per stare accanto a tutti gli altri, vorrei essere con Harry» la guardò intensamente come se volesse trasmetterle appieno il significato di quel messaggio.
«E vorrei essere con te...» aggiunse in un sussurro appena udibile. Hermione lo guardò con tenerezza, prima di fingersi perplessa.
«Non essere sciocco, Ron, non si può essere in più posti nello stesso momento» rispose, abbozzando un sorriso.
Ron sapeva a cosa alludeva. Ricordava benissimo quando, al terzo anno, lei scompariva per poi ricomparire sempre un attimo prima dell'inizio di una lezione. Lui faceva sempre caso alla sua presenza e ancor di più alla sua assenza. Ma non disse nulla, ricambiò il sorriso.
Calarono di nuovo attimi di silenzio. Attimi che i loro sguardi, fissi l'uno nell'altra, riempirono più di quanto un dizionario ricco di tante parole avesse mai potuto fare. Ron amava guardare quegli occhi, faceva di tutto per incontrarli ogni qualvolta ne sentisse il bisogno. Amava il modo in cui si univano ai suoi, erano fatti per incontrarsi e voleva che fossero solo per lui. Cercava sempre con tutto se stesso di trasmetterle ciò che provava, perché percepiva un miscuglio di emozioni negli occhi di lei che voleva assolutamente ricambiare. In quel momento decifrò ciò di cui aveva più bisogno: sicurezza e incoraggiamento. Sapeva che confessarle quelle paure l'avrebbe aiutato, perché sapeva per certo che lei, più di chiunque altro, l'avrebbe compreso. Solo quando, dopo un po', vide gli occhi di Hermione brillare di una luce triste e malinconica, un pugno lo colpì dritto allo stomaco. Aveva gli occhi lucidi.
Stava pensando a qualcosa da dire, qualcosa che avrebbe dovuto cancellare e scacciare anche solo per un momento le brutte emozioni che vi leggeva e che lo facevano star male.
Ma fu Hermione a bloccare il corso dei suoi pensieri quando, cautamente, avvicinò una mano per sfiorargli il viso, segnando il contorno della mandibola con l'indice. Lui, istintivamente, chiuse gli occhi, mentre lei prese ad accarezzargli la guancia. Si lasciò completamente andare al tocco dolce e delicato della sua mano che con lentezza gli sfiorava alcune ciocche di capelli posate sulla fronte, le palpebre, il naso, le labbra. Si lasciò accarezzare ancora e ancora beandosi di quel contatto capace di lasciargli serenità, capace di lasciargli la sensazione più bella che avesse mai provato. Il solo averla lì, sentire la sua voce, il suo profumo, percepire il suo tocco delicato e sicuro, guardare quegli occhi, leggere il suo sguardo, era la sensazione più bella che avesse mai provato. Avrebbe voluto starsene lì per sempre, lasciandosi trasportare da quel tocco che amava, che per lui era speciale. Aprì gli occhi mentre Hermione continuava ad accarezzarlo, e vide con orrore che lacrime silenziose scorrevano senza sosta sulle guance della ragazza.
«Hermione...» mormorò e lentamente si mise a sedere. Hermione scattò a sedere a sua volta, e si asciugò le lacrime che però continuavano a scendere, imperterrite.
«Vieni qui» le disse tirandola gentilmente a sé. Hermione, senza esitare, si avvicinò a Ron e poggiò la testa sul suo petto mentre lui cominciava ad accarezzarle i capelli. Rimasero così per parecchi minuti, senza parlare, permettendo a piccoli e delicati gesti di farlo per loro, per far si che riempissero il vuoto e che li avvicinassero più di quanto non lo fossero già in quel momento. Hermione piangeva silenziosamente, sussultando appena, e Ron sentiva le sue lacrime bagnargli il colletto del pigiama e spontaneamente, la strinse più forte.
Dopo un po' Hermione si scostò appena da lui e si asciugò gli occhi con il dorso della mano.
«Va meglio?» le chiese Ron prendendole la mano con la quale aveva appena asciugato le lacrime, ancora bagnata.
«Scusa» farfugliò Hermione.
«Già, guarda qui, ora ho la maglia del pigiama tutta bagnata!» disse indicando il colletto del pigiama, e fu grato di averle rubato un sorriso anche in quel momento.
«Forse sono io che dovrei chiederti scusa» riprese dopo un po', puntando gli occhi nei suoi. «Dovrei dirti che andrà tutto bene, che ce la faremo, che non accadrà niente di brutto né a noi né...» si fermò e sospirò, mentre cominciava ad accarezzarle col pollice il dorso della mano che stringeva, senza distogliere lo sguardo dal suo.
«Vorrei tanto poterlo fare, solo per rassicurarti... ma non voglio nemmeno mentirti. Vorrei avere la sicurezza... ma non ce l'ho». Era chiara la delusione che si percepiva dalle sue parole, si sentiva avvilito. Adesso desiderava con tutto se stesso non averle mai confessato le sue paure. Era certo che lei l'avrebbe compreso, ma non aveva messo in conto che dar voce a quelle paure, avrebbe potuto scoraggiare lei. E l'ultima cosa che avrebbe voluto, era leggere frustrazione in quegli occhi.
«Quando al matrimonio non riuscivo a vederti, per un attimo mi è crollato il mondo addosso» Hermione tirò un lungo e stanco sospiro, fece una breve pausa e riprese. «Io... io temevo che in mezzo a tutta quella gente, non ti avrei visto. Temevo che non mi avresti sentito...»
«E invece è stata proprio la tua voce a scuotermi» intervenne prontamente Ron, sorridendole incoraggiante. «Ma credimi se ti dico che vorrei davvero avere delle certezze, perché... be', ecco, sto male nel vederti così» disse l'ultima frase quasi bisbigliando e gli costò un acceso rossore in zona orecchie.
«Non voglio che tu mi dica che andrà tutto bene... nessuno di noi ne ha la certezza» lo guardava, mentre alla tristezza si univa determinazione. Tipico di Hermione.
«Vorrei solo che tu restassi» aggiunse lentamente guardandolo negli occhi e mordendosi il labbro inferiore prima di continuare. «Io... vorrei che affrontassimo le nostre paure insieme» aggiunse.
Ron rimase un attimo spiazzato, prima di comprendere appieno il significato di quella frase. 
"Vorrei solo che tu restassi".
Restare. Lei gli aveva chiesto di restare lì, in quel momento e nel momento successivo e in quelli consecutivi ancora. E lui l'avrebbe fatto. L'avrebbe fatto per rassicurarla quando ce ne sarebbe stato bisogno, per alleviare le paure che si sarebbero aggiunte a quelle che li tormentavano già. L'avrebbe fatto per proteggerla. Non riusciva ad immaginarsi lontano da lei, non riusciva ad immaginare la sua assenza. Ci sarebbe stato, ormai aveva capito cosa ci faceva lì. Era lì per Harry. Era lì per lei. 
Le parole cominciarono a vorticare senza sosta nella mente di Ron. Quante cose avrebbe voluto dirle! Così tante che la testa quasi gli esplodeva. Non sapeva da dove cominciare, erano tutte cose di tale importanza! Allora, a quel punto, fece la cosa più spontanea e naturale che il cuore potesse suggerirgli: smise di accarezzarle il dorso della mano, gliela strinse e si sporse leggermente verso di lei per posarle un lieve bacio sulla guancia che poi accarezzò con la mano libera. Seppe per certo di essere arrossito, lo percepiva dal calore delle sue orecchie e ringraziò mentalmente il buio che li circondava. Ma non si pentì di quel gesto, doveva semplicemente dimostrarle che sì, ci sarebbe stato. Si guardarono ancora per qualche secondo prima che Hermione decidesse di tornare a stendersi a pancia in giù sui cuscini. Ron la guardò e le scostò qualche ricciolo dalla fronte, prima di stendersi su un fianco. Le loro mani erano ancora intrecciate, poggiate sul bordo di uno dei cuscini di Hermione e sfioravano il pavimento freddo. Nessuno dei due sembrava avere né l'intenzione né la voglia di sciogliere quel contatto, di dividersi. La stessa intenzione che avevano i loro occhi. Ron pensò che avrebbe voluto tenerle la mano tutta la notte. Pensò che avrebbe voluto stringere lei per tutta la notte. Guardò le loro mani e poi di nuovo lei.
«Hermione» disse piano, lei gli sorrise leggermente. «Vorrei dirti tante cose» bisbigliò.
«Ci sarà tempo» rispose tornando seria, senza distogliere lo sguardo da lui.
«Già, il tempo. Sembra essere proprio lui il nostro peggior nemico» abbozzò un sorriso forzato.
«Ma io aspetto» disse. «E resto» aggiunse subito dopo, guardandola con tenerezza. Le strinse ancor di più la mano e sorrise non appena percepì la stretta in risposta di lei. La sentì vicina in quell'istante, più di quanto non l'avesse mai sentita prima d'ora. I loro occhi si incontrarono ancora una volta, prima che Hermione li chiudesse, e lui avvertì una sensazione di pace invaderlo completamente. Da giorni non si sentiva così, come se la sua mente non avesse il diritto di sentirsi libera, leggera. In quel momento seppe che quella sarebbe stata una notte diversa, una notte serena. Sapeva che le paure erano lì, sapeva che erano pronte a venire a galla in qualsiasi momento, pronte a tormentarlo ancora. Ma non quella notte. Non mentre stringeva la sua mano. Non in quel momento. Loro erano lì, insieme, pronti a farsi coraggio, a farsi forza, a sostenersi a vicenda, pronti a comprendersi. Continuava ad osservare le loro mani intrecciate, strette, unite. Poi chiuse gli occhi e non poté trattenere un lieve sorriso. Le avrebbero combattute quelle paure, purché stessero insieme.

 
“La mattina dopo Harry si svegliò in un sacco a pelo sul pavimento del salotto. Una striscia di cielo era visibile tra le tende pesanti; aveva il colore azzurro fresco e limpido d'inchiostro annacquato, era tra la notte e l'alba e tutto taceva, tranne i respiri profondi e tranquilli di Ron e Hermione. Harry guardò le sagome scure che si disegnavano sul pavimento accanto a lui. Ron, in uno slancio di galanteria, aveva insistito perché Hermione dormisse sui cuscini tolti dal divano, quindi lei era più in alto. Il braccio le ricadeva sul pavimento, le dita a pochi centimetri da quelle di Ron.
Forse si erano addormentati tenendosi per mano.”
(Harry Potter e i Doni della Morte - Capitolo 10, pagina 167)


Angolo di un'autrice insonne ~
Quando la notte non ti permette di chiudere occhio perché nella mente si affollano tanti pensieri che cerchi di scacciare. Ma poi ti viene un'idea, cominci a scrivere e... questo è il risultato! Se dovesse essere un disastro, date la colpa al senso di solitudine che lascia la notte hahahah. Se non lo è, almeno un po'... be', dovrei proprio ringraziarla! u.u Scherzi a parte, il momento in cui Harry nota le mani di Ron e Hermione vicine, è uno dei "momenti-Romione" che avrei voluto che la nostra zia Row approfondisse. D'accordo, il tutto è raccontato dal punto di vista di Harry, ma non poteva addormentarsi un po' dopo, dico io? No, lasciamo perdere, sto sclerando. Be', spero davvero che questa mia versione vi sia piaciuta e, cosa per me più importante, spero di aver gestito bene sia Ron che Hermione. Che dite? Come li avete percepiti? :)
Io mi sono emozionata molto, devo essere sincera. Ron è un personaggio che apprezzo tantissimo, e scavare nella sua testolina, non solo mi diverte ma mi fa anche riflettere parecchio.
Ci tengo a dedicare questa breve storia ad una persona a me cara, è lei che mi ha dato l'ispirazione, ed è il mio esempio di forza interiore.
Grazie a chi le dedicherà del tempo per leggerla, e a chi le dedicherà del tempo in più anche per recensire. E, ovviamente, grazie anche alla nostra regina, per averci regalato personaggi meravigliosi. (Non finiremo mai di ringraziarla, eheh).
Okay, ho scritto anche troppo.
Saluti maghi e streghe!
peace, love & Romione.
Jess





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