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Autore: oneisnone    18/03/2014    5 recensioni
Ship: Kurt/Sebastian
Rating: Verde
Summary: La vita e le convinzioni di Kurt vengono stravolte da Sebastian Smythe, che lo ha invitato ad un appuntamento al Lima Bean. Quello che il povero Kurt ancora non sa è che, per uno sfortunato o fortunato incidente, una volta aperta la porta della caffetteria nulla sarà più come prima. Perché non sai mai dove una porta può portarti, almeno fino a quando non ti ci trovi.
Warnings: dosi ingenti di stupidità e tenerezza a vagonate
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Summary:__________________________________
La vita e le convinzioni di Kurt vengono stravolte da Sebastian Smythe, che lo ha invitato ad un appuntamento al Lima Bean. Quello che il povero Kurt ancora non sa è che, per uno sfortunato o fortunato incidente, una volta aperta la porta della caffetteria nulla sarà più come prima. Perché non sai mai dove una porta può portarti, almeno fino a quando non ti ci trovi. 

Notes:______________________________________
Io non ho idea di cosa diavolo sia questa storia, seriamente. Non so nemmeno da dove cavolo mi è venuta l’idea è colpa di mia nipote che mi ha sottoposto alla visione forzata di Monsters & Co. troppe volte, e questa breve fanfiction è il delirio finale. Sono fuori di testa? Sì, abbastanza. Comunque, prendete questa storia con leggerezza, anche in modo un po’ demenziale, perché io sicuramente non l’ho presa seriamente (non so nemmeno dove abiti, la serietà). La fanfiction è di quattro capitoli ed è completa, aspetta solo di essere pubblicata e niente, ci sentiamo giù.

Doors
oneisnone

 
Il destino, quando apre una porta, ne chiude un’altra.
Dati certi passi avanti, non è possibile tornare indietro.

Victor Hugo

____________________________________________
Capitolo 1

 

Kurt sapeva che rimanere in macchina non era il modo giusto per scendere, sapeva anche che ripetersi costantemente di rimanere tranquillo era il modo migliore per perdere la testa. Probabilmente il continuo tamburellare delle dita sul volante della macchina, o gli occhi che volavano da una parte all’altra del parcheggio quasi deserto, erano dei buoni segnali per convincersi a prendere fiato e calmarsi, veramente. L’ultima volta che Kurt aveva controllato, l’infarto non era nella lista di cose da fare/provare prima di morire, ne era abbastanza sicuro. E no, non aveva intenzione di provare il brivido folle della morte per ancora molto, molto tempo.

Non sapeva esattamente perché si trovava fuori dal Lima Bean, ancora chiuso nella sua macchina a fissare il nulla. Ma sapeva che non voleva scendere, né ora né mai. E no, il ragazzo che gli aveva dato appuntamento proprio lì non c’entrava nulla con la sua momentanea follia, assolutamente no. Kurt non avrebbe avuto mai paura di un appuntamento, figuriamoci!

Per un misero, triste secondo Kurt pensò di fuggire, di mettere in moto l’automobile e far finta di nulla. Fingere che Sebastian Smythe non gli avesse mai dato appuntamento al Lima Bean per prendere un caffè insieme. E perché mai lui e quella Mangusta avrebbero dovuto prendere un caffè insieme e chiacchierare e fare tante altre cose che no, loro non potevano fare? Se quella non era una pessima scusa per ucciderlo e nascondere il cadavere, Kurt allora non sapeva rispondere a nessuna delle mille domande che rimbalzavano impazzite nella sua testa.

Si lasciò cadere avanti, sconfitto, la fronte premuta contro la plastica del volante e le mani serrate ad afferrare il nulla. Si guardò per l’ultima volta nello specchietto retrovisore –e forse quella era veramente l’ultima volta che avrebbe scorto il proprio riflesso, prima di finire dentro una bara bianca- e sfilò le chiavi dal quadro. La sua mano non tremò per il terrore quando aprì lentamente la portiera, era solo il freddo di Maggio inoltrato.

Il respira, respira, respira, respira che si ripeté nella testa non stava funzionando poi tanto bene, perché le sue gambe sembrarono gelatina e quasi cedettero al primo passo e sentì di poter vomitare il cuore in quell’esatto istante.

Insomma, Kurt Hummel non abbassava mai lo sguardo per nessuno e Sebastian non sarebbe stato il primo a farlo cedere così facilmente.

Mosse i primi passi e si diede dell’idiota quando arrivò facilmente davanti alla porta a vetri del Lima Bean, senza ruzzolare e spaccarsi l’osso del collo, perché era così facile camminare. E di cosa aveva paura? Nulla poteva andare storto.

Era in perfetto orario nonostante l’eccessivo tempo passato preda del panico. Chiuse la mano attorno alla maniglia e aprì la porta, muovendosi per entrare e lasciare finalmente i pensieri omicidi fuori dalla sua testa per almeno un paio di ore. Varcò la soglia e la porta si richiuse alle sue spalle con un leggero tintinnio.

Nulla poteva andare storto.

Ora, cos’è che andò storto, Kurt non lo capì proprio nell’immediato. Diciamo che gli ci vollero sì e no tre minuti prima che riuscisse a capire di non essere al Lima Bean, perché la caffetteria non era buia, piccola e silenziosa. E, se non era nel posto giusto, dove diamine era finito? E soprattutto, come ci era arrivato?

Allungò le braccia in via sperimentale, dato che non riusciva a vedere nemmeno le proprie mani talmente era buio, scontrandosi subito con qualcosa, avvertendo distintamente il suono ovattato di un oggetto non ben identificato cadere ai suoi piedi. Ora, non è che fosse scemo, ma qualcosa non quadrava in tutta quella storia. Ritrovarsi in un luogo sconosciuto non è che fosse una delle esperienze migliori della sua vita, aggiungendoci anche il particolare di non sapere assolutamente come ci fosse arrivato lì –ovunque fosse- si sentiva come una merda abbandonata nell’oceano. E non è che non stesse sclerando per l’invidiabile self control che possedeva, stava semplicemente aspettando di capire come agire e non morire contemporaneamente. Perché per quanto ne sapeva potevano averlo colpito alla testa e rapito, da chi, esattamente, questo Kurt ancora non lo sapeva ma avrebbe ricevuto presto una risposta.

Il primo passo era uscire da quel buco claustrofobico, quindi allungò di nuovo le braccia e avanzò di qualche passo. Tirò un sospiro di sollievo quando i palmi delle mani si posarono su quello che evidentemente doveva essere un muro, e in silenzio religioso seguì la linea della parete, avanzando lentamente verso sinistra. Sentì quasi le lacrime agli occhi quando, sotto ai polpastrelli, avvertì un cambio di materiale e la cornice di una piccola porta, e rischiò l’infarto quando sentì un pomello scontrarsi con il dorso della sua mano alla ricerca di qualcosa.

Non ci pensò nemmeno due volte prima di afferrarlo saldamente e girarlo, facendo scattare la serratura. Muoversi cautamente era certamente la via migliore da seguire, ma Kurt non aveva tempo per cose futili come la cautela, pff!, preferiva farsi sparare in faccia.

Ecco, con tutti gli scenari che avevano fatto capolino nella sua mente, forse ritrovarsi in una piccola camera da letto non era quello che aveva esattamente immaginato di trovarsi davanti agli occhi, una volta uscito. La bomba che aveva placato dentro se stesso iniziò a ribollire, perché con tutte le probabilità del mondo era finito tra le mani di uno stupratore e... Kurt si guardò veramente attorno, silenzioso. Le tende lasciate aperte permettevano al chiarore della luna di illuminare parzialmente la camera, lasciandola in una penombra confortante. Una volta posati gli occhi sul piccolo letto ad un piazza, Kurt riuscì a distinguere una sagoma riposare sotto alle coperte.

E la situazione stava diventando sempre più strana.

Ora, chiunque sano di mente, senza nemmeno pensarci se la sarebbe svignata in un batter d’occhio. Ma no, Kurt no. Mosse i piedi sul pavimento, facendo attenzione a non fare troppo rumore, e si avvicinò al letto, accarezzando con lo sguardo il ciuffo di capelli che usciva dall’ammasso di coperte, che si abbassavano e alzavano in un movimento lento e regolare, segnando il respiro quiete e rilassato della persona addormentata.  Le dita fremettero curiose quando sfiorarono il tessuto del lenzuolo, artigliandolo subito dopo per tirarlo giù e scoprire il volto dell’uomo.

Il respiro gli morì in gola, un urlo si strozzò sulle sue labbra e quasi cadde atterra mentre indietreggiava, gli occhi spalancati come due fanali e la bocca dischiusa in un urlo muto.  

«Ma che diavolo…?» domandò il ragazzo, la voce arrochita dal sonno e uno sbadiglio sonoro a riempire la sua bocca. Accese velocemente la lampada accanto al letto e scrutò la camera, mentre con il dorso si stropicciava gli occhi assonnati. Quando la figura impietrita di Kurt entrò nella visuale del ragazzo, non batté ciglio, rimase lì a fissarlo in attesa.

Dopo qualche secondo perso a fare nulla, con la speranza che l’altro si decidesse a dargli una spiegazione, il ragazzo parve decidersi ad aprire bocca e domandare: «Chi sei?»

«Sebastian!» urlò Kurt, indietreggiando e picchiando la schiena contro la porta dell’armadio – perché era da lì che era uscito, poco prima.

Il ragazzo – no, era Sebastian, oh mio Dio, come cavolo era finito lì? – scostò le coperte e scese dal letto. «Ti chiami Sebastian?» domandò questo, il sopracciglio inarcato e uno sguardo scettico dipinto sul volto.

«Cosa…? No, certo che no. Tu!» urlò indicandolo, «Tu sei Sebastian!»

«Dimmi qualcosa che non so.» lo prese in giro.

«Ma sei Sebastian, Sebastian!» ripeté Kurt, e i pensieri nella sua testa stavano facendo a pugni perché lui non riusciva a metterli in ordine e farli uscire in modo decente dalle proprie labbra. Si prese un momento per pensare, rilassò il corpo contro la parete e chiuse per un solo secondo gli occhi, doveva solo concentrarsi e i pensieri avrebbero di nuovo avuto senso. E quasi come un cazzotto nello stomaco, un pensiero si tuffò fuori dalle sue labbra. «Cosa ci faccio qui?»

Sebastian alzò anche l’altro sopracciglio, assumendo un’espressione che, se non fosse stato per il momento un po’ tragico e surreale, Kurt l’avrebbe trovata buffa e ridicola.

«Speravo potessi dirmelo tu,» iniziò l’altro, «Dato che ti sei introdotto in camera mia e io non ho idea di chi tu sia, diversamente da te che a quanto pare hai una strana ossessione nei mie confronti.»

«Io non ho proprio nessuna ossessione nei tuo confronti!» rispose piccato, Kurt. Mai poi realizzò veramente le parole di quel bastardo, non ho idea di chi tu sia. Oh, okay, era uno scherzo? Non era divertente.

«Sebastian non sei divertente.» si staccò dalla parete e con sguardo minaccioso si avvicinò a Sebastian – che sembrava più basso di una manciata di centimetri. «Non prendermi in giro o giuro che-»

«Senti, io non so chi tu sia, ma se hai qualche problema possiamo parlarne tra qualche ora. Sono le tre del mattino e sinceramente mi stai facendo venire un mal di testa da record. Quindi,» diede le spalle a Kurt e si risistemò sotto le coperte, «Conosci l’uscita.»

Kurt rimase immobile, il veleno che rischiava di uscirgli anche dalle orecchie, segno evidente della sfuriata in arrivo. E infatti…

«Ora ascoltami bene, piccolo pezzo d’idiota,» afferrò le coperte e le tirò via, di nuovo, facendo sbuffare Sebastian. «Dieci minuti fa ero nella mia macchina, davanti al Lima Bean perché tu, razza di decerebrato, mi hai dato appuntamento lì. Ho preso coraggio e sono sceso, sono entrato nella caffetteria e, non so come, mi sono ritrovato nel tuo armadio. Ora, o a mia insaputa sono sotto l’effetto di qualche strano acido, o tutto questo è opera tua. So che hai una mente perversa e subdola, Sebastian, e questo è un tuo perfido scherzo perché ogni cosa che fai è con l’intenzione di distruggermi.» terminò, quasi senza fiato e rosso in viso per lo sforzo.

«Ma di cosa stai parlando?» rispose scocciato, «Io non ho fatto niente, non so chi diamine sei e, giuro su Dio, se questo è uno scherzo di Jeff e Nick domani faranno meglio a non presentarsi alle lezioni. Solo perché sono arrivato da poco e sono al primo anno, questo non li autorizza a prendersi gioco di me! La Dalton non doveva essere una scuola con tolleranza zero per bulli e discriminazione?» accese la luce del lampadario, illuminando completamente la stanza.

E Kurt finalmente riuscì a distinguere perfettamente i lineamenti del suo viso, che erano stranamente più dolci e gentili. Sembrava più piccolo e… Aspetta, aveva detto Dalton? Primo anno?

«E poi che cazzo ci facevi nel mio armadio, sei un guardone?» continuò imperterrito, Sebastian.

«Sta’ zitto un secondo!» Kurt gli urlò contro, si portò una mano alla testa e la massaggiò, pensieroso. «Sei al primo anno?» domandò dopo alcuni secondi, ricevendo dall’altro ragazzo come risposta solo un cenno del capo.

«Quindi… sono tornato indietro nel tempo.» bisbigliò. «Come diavolo è potuto accadere?»

«Cosa?» lo richiamò Sebastian, accigliato.

Kurt lo ignorò e un sorriso beffardo comparve sulle sue labbra, «Quindi hai quattordici anni.»

«Sì, ma non vedo come questo possa-»

«È interessante, sai, sei così… diverso, piccolo.» disse più a se stesso che a Sebastian, che comunque teneva le orecchie in ascolto, «Mi sarebbe piaciuto conoscerti quando eri ancora così indifeso. Invece ora sei un tale stronzo insopportabile che…»

«Ma cosa stai dicendo?»

Kurt sospirò arrendevole, «Sai, so che un giorno me ne pentirò, ma non dovresti farti mettere i piedi in testa dal primo che capita. Conosco un ragazzo molto simile a te e, per quanto ora possa essere stronzo, narcisista, subdolo e prepotente, ammiro davvero il suo coraggio e il menefreghismo per l’opinione altrui – anche se non gliel’ho mai detto.»

«Grazie, immagino.»

Si guardarono per secondi interminabili, alla ricerca di chissà cosa, e con uno strano imbarazzo ad impregnare l’aria, distolsero contemporaneamente lo sguardo.

Kurt si schiarì la gola, «Allora io adesso vado. Sì, ciao… credo.»

Sebastian non disse nulla, rimase a guardarlo, in attesa della sua tanto agognata uscita di scena che non sembrava arrivare. «Qualche problema?» domandò, «Oltre a quello mentale, ovviamente.» aggiunse a voce talmente bassa che Kurt non riuscì a sentirlo.

«Sì, certo!» rispose come se fosse stato punto da un’ape. «Per tornare indietro devo solo usare la porta dalla quale sono entrato.» fissò la porta socchiusa  dell’armadio e vi entrò, richiudendosela alle spalle.

Attese qualche minuto, in perfetto silenzio e al buio, ma niente accadde. Assolutamente nulla. Questo sì che poteva essere un bel problema, rimanere intrappolato nel passato non doveva essere una passeggiata. Che fine aveva fatto il se stesso del presente? Come tutto quello fosse possibile, comunque, era ancora un mistero. Forse stava sognando, perché viaggiare nel tempo era... assurdo e impossibile.

Si massaggiò dolcemente la nuca quando un dolore improvviso lo investì, seguito subito dopo da una piccola fitta al fondoschiena, alla quale non diede troppo peso.

Sbirciò fra i panni, spostando le grucce e tastando il fondo in legno dell’armadio. Nulla, nessuna porta, nessun passaggio. Niente. Con un sospirò girò di nuovo il pomello della porta, uscendo da quel buco. Sebastian era ancora lì, fissava la porta – beh, ora lui – con uno sguardo allarmato.

«Quello è l’armadio.» disse soltanto.

«Lo avevo capito, genio!» Kurt rispose seccato, «Non so come andarmene di qui, dannazione!»

Sebastian allungò il braccio destro, stendendolo di lato, l’indice puntato verso la porta. «Prova ad usare la porta, scommetto che rimarrai sconvolto dalla sua funzionalità.» lo canzonò il ragazzo.

«Figurati se una semplice porta può riportarmi nel presente.» Kurt allacciò le braccia al petto, pensieroso. La punta del piede iniziò a picchiettare per conto suo sul pavimento della stanza.

«Ma ti sei fatto di qualche droga pesante?» domandò Sebastian.

«Ovviamente no.»

«Senti,» iniziò lo spilungone, «La porta è un’ottima opzione, davvero. Devi credermi, in questo mondo serve per entrare ed uscire dalle stanze, quindi…» e lo disse con quel tono che di solito si usa per spiegare qualcosa a un bambino, che fece ribollire il sangue di Kurt, infastidito.

«Ti dico che la porta non funzionerà. Te lo dimostro, se vuoi.»

Kurt si avvicinò alla porta, afferrò la maniglia e l’abbassò, aprendola. Guardando attentamente il corridoio davanti a sé, la spalancò completamente e mosse solo la gamba sinistra, ormai oltre la soglia. «Visto? È solo una stupida porta.» mosse anche l’altra gamba, uscendo completamente dalla camera.

E poi il buio.

Forse Sebastian aveva ragione. La porta era utile, in fin dei conti.  


Notes:______________________________________
Sì ragazzi, viaggi nel tempo! Non ho idea da dove diamine mi sia uscita l’idea sicuramente dal culo. Diciamo che è un piccolo percorso che porta Kurt alla scoperta di un Sebastian che ancora non conosce bene. Tanto amore, tanti discorsi stupidi, le solite turbe psichiche di Kurt e un Sebastian in tutte le sale. Spero vi abbia incuriosito e boh, se avete voglia fatemi sapere cosa ne pensate.  

   
 
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