Summary:__________________________________
La
vita e le convinzioni di Kurt vengono
stravolte da Sebastian Smythe, che lo ha invitato ad un appuntamento al
Lima
Bean. Quello che il povero Kurt ancora non sa è che, per uno
sfortunato o
fortunato incidente, una volta aperta la porta della caffetteria nulla
sarà più
come prima. Perché non sai mai dove una porta può
portarti, almeno fino a
quando non ti ci trovi.
Notes:______________________________________
Io
non ho idea di cosa diavolo sia
questa storia, seriamente. Non so nemmeno da dove cavolo mi
è venuta l’idea è
colpa di mia nipote che mi ha sottoposto alla visione forzata di Monsters & Co. troppe volte,
e
questa breve fanfiction è il delirio finale. Sono fuori di
testa? Sì,
abbastanza. Comunque, prendete questa storia con leggerezza, anche in
modo un
po’ demenziale, perché io sicuramente non
l’ho presa seriamente (non so nemmeno
dove abiti, la serietà). La fanfiction è di
quattro capitoli ed è completa,
aspetta solo di essere pubblicata e
niente, ci sentiamo giù.
Doors
oneisnone
Il destino,
quando apre una porta, ne chiude un’altra.
Dati certi passi
avanti, non è possibile tornare indietro.
Victor
Hugo
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Kurt
sapeva che rimanere in macchina non era il modo giusto
per scendere, sapeva anche che
ripetersi costantemente di rimanere tranquillo era il modo migliore per
perdere
la testa. Probabilmente il continuo tamburellare delle dita sul volante
della
macchina, o gli occhi che volavano da una parte all’altra del
parcheggio quasi
deserto, erano dei buoni segnali per convincersi a prendere fiato e
calmarsi,
veramente. L’ultima volta che Kurt aveva controllato,
l’infarto non era nella
lista di cose da fare/provare prima di morire, ne era abbastanza
sicuro. E no,
non aveva intenzione di provare il brivido folle della morte per ancora
molto,
molto tempo.
Non
sapeva esattamente perché si trovava fuori dal Lima
Bean, ancora chiuso nella sua macchina a fissare il nulla. Ma sapeva
che non voleva
scendere, né ora né mai. E no, il ragazzo che gli
aveva dato appuntamento
proprio lì non c’entrava nulla con la sua
momentanea follia, assolutamente no.
Kurt non avrebbe avuto mai paura di un appuntamento, figuriamoci!
Per
un misero, triste secondo Kurt pensò di fuggire, di
mettere in moto l’automobile e far finta di nulla. Fingere
che Sebastian Smythe
non gli avesse mai dato appuntamento al Lima Bean per prendere un
caffè
insieme. E perché mai lui e quella Mangusta avrebbero dovuto
prendere un caffè
insieme e chiacchierare e fare tante altre cose che no, loro non
potevano fare?
Se quella non era una pessima scusa per ucciderlo e nascondere il
cadavere,
Kurt allora non sapeva rispondere a nessuna delle mille domande che
rimbalzavano impazzite nella sua testa.
Si
lasciò cadere avanti, sconfitto, la fronte premuta contro
la plastica del volante e le mani serrate ad afferrare il nulla. Si
guardò per
l’ultima volta nello specchietto retrovisore –e
forse quella era veramente l’ultima
volta che avrebbe scorto il proprio riflesso, prima di finire dentro
una bara
bianca- e sfilò le chiavi dal quadro. La sua mano non
tremò per il terrore quando
aprì lentamente la portiera, era solo il freddo
di Maggio inoltrato.
Il respira, respira,
respira, respira che si ripeté nella testa non
stava funzionando poi tanto
bene, perché le sue gambe sembrarono gelatina e quasi
cedettero al primo passo e
sentì di poter vomitare il cuore in quell’esatto
istante.
Insomma,
Kurt Hummel non abbassava mai lo sguardo per
nessuno e Sebastian non sarebbe stato il primo a farlo cedere
così facilmente.
Mosse
i primi passi e si diede dell’idiota quando arrivò
facilmente davanti alla porta a vetri del Lima Bean, senza ruzzolare e
spaccarsi l’osso del collo, perché era
così facile
camminare. E di cosa aveva paura? Nulla poteva andare storto.
Era
in perfetto orario nonostante l’eccessivo tempo passato
preda del panico. Chiuse la mano attorno alla maniglia e
aprì la porta,
muovendosi per entrare e lasciare finalmente i pensieri omicidi fuori
dalla sua
testa per almeno un paio di ore. Varcò la soglia e la porta
si richiuse alle
sue spalle con un leggero tintinnio.
Nulla
poteva andare
storto.
Ora,
cos’è che andò storto, Kurt non lo
capì proprio
nell’immediato. Diciamo che gli ci vollero sì e no
tre minuti prima che riuscisse
a capire di non essere al Lima Bean, perché la caffetteria
non era buia,
piccola e silenziosa. E, se non era nel posto giusto, dove diamine era
finito?
E soprattutto, come ci era arrivato?
Allungò
le braccia in via sperimentale, dato che non
riusciva a vedere nemmeno le proprie mani talmente era buio,
scontrandosi
subito con qualcosa, avvertendo distintamente il suono ovattato di un
oggetto
non ben identificato cadere ai suoi piedi. Ora, non è che
fosse scemo, ma
qualcosa non quadrava in tutta quella storia. Ritrovarsi in un luogo
sconosciuto non è che fosse una delle esperienze migliori
della sua vita,
aggiungendoci anche il particolare di non sapere assolutamente come ci
fosse
arrivato lì –ovunque lì
fosse- si sentiva
come una merda abbandonata nell’oceano. E non è
che non stesse sclerando per
l’invidiabile self control che possedeva, stava semplicemente
aspettando di
capire come agire e non morire contemporaneamente. Perché
per quanto ne sapeva
potevano averlo colpito alla testa e rapito, da chi, esattamente,
questo Kurt
ancora non lo sapeva ma avrebbe ricevuto presto una risposta.
Il
primo passo era uscire da quel buco claustrofobico, quindi
allungò di nuovo le braccia e avanzò di qualche
passo. Tirò un sospiro di
sollievo quando i palmi delle mani si posarono su quello che
evidentemente
doveva essere un muro, e in silenzio religioso seguì la
linea della parete,
avanzando lentamente verso sinistra. Sentì quasi le lacrime
agli occhi quando,
sotto ai polpastrelli, avvertì un cambio di materiale e la
cornice di una
piccola porta, e rischiò l’infarto quando
sentì un pomello scontrarsi con il
dorso della sua mano alla ricerca di qualcosa.
Non
ci pensò nemmeno due volte prima di afferrarlo
saldamente e girarlo, facendo scattare la serratura. Muoversi
cautamente era
certamente la via migliore da seguire, ma Kurt non aveva tempo per cose
futili
come la cautela, pff!, preferiva
farsi sparare in faccia.
Ecco,
con tutti gli scenari che avevano fatto capolino nella
sua mente, forse ritrovarsi in una piccola camera da letto non era
quello che
aveva esattamente immaginato di trovarsi davanti agli occhi, una volta
uscito.
La bomba che aveva placato dentro se stesso iniziò a
ribollire, perché con
tutte le probabilità del mondo era finito tra le mani di uno
stupratore e... Kurt
si guardò veramente attorno, silenzioso. Le tende lasciate
aperte permettevano
al chiarore della luna di illuminare parzialmente la camera,
lasciandola in una
penombra confortante. Una volta posati gli occhi sul piccolo letto ad
un
piazza, Kurt riuscì a distinguere una sagoma riposare sotto
alle coperte.
E
la situazione stava diventando sempre più strana.
Ora,
chiunque sano di mente, senza nemmeno pensarci se la sarebbe
svignata in un batter d’occhio. Ma no, Kurt no. Mosse i piedi
sul pavimento,
facendo attenzione a non fare troppo rumore, e si avvicinò
al letto,
accarezzando con lo sguardo il ciuffo di capelli che usciva
dall’ammasso di
coperte, che si abbassavano e alzavano in un movimento lento e
regolare,
segnando il respiro quiete e rilassato della persona addormentata. Le dita fremettero curiose
quando sfiorarono
il tessuto del lenzuolo, artigliandolo subito dopo per tirarlo
giù e scoprire
il volto dell’uomo.
Il
respiro gli morì in gola, un urlo si strozzò
sulle sue
labbra e quasi cadde atterra mentre indietreggiava, gli occhi
spalancati come due
fanali e la bocca dischiusa in un urlo muto.
«Ma
che diavolo…?» domandò il ragazzo, la
voce arrochita dal
sonno e uno sbadiglio sonoro a riempire la sua bocca. Accese
velocemente la
lampada accanto al letto e scrutò la camera, mentre con il
dorso si
stropicciava gli occhi assonnati. Quando la figura impietrita di Kurt
entrò
nella visuale del ragazzo, non batté ciglio, rimase
lì a fissarlo in attesa.
Dopo
qualche secondo perso a fare nulla, con la speranza che
l’altro si decidesse a dargli una spiegazione, il ragazzo
parve decidersi ad
aprire bocca e domandare: «Chi sei?»
«Sebastian!»
urlò Kurt, indietreggiando e picchiando la
schiena contro la porta dell’armadio –
perché era da lì che era uscito, poco
prima.
Il
ragazzo – no, era Sebastian,
oh mio Dio, come cavolo era finito lì? –
scostò le coperte e scese dal letto. «Ti
chiami Sebastian?» domandò questo, il sopracciglio
inarcato e uno sguardo
scettico dipinto sul volto.
«Cosa…?
No, certo che no. Tu!» urlò indicandolo,
«Tu sei
Sebastian!»
«Dimmi
qualcosa che non so.» lo prese in giro.
«Ma
sei Sebastian, Sebastian!» ripeté Kurt, e i
pensieri
nella sua testa stavano facendo a pugni perché lui non
riusciva a metterli in
ordine e farli uscire in modo decente dalle proprie labbra. Si prese un
momento
per pensare, rilassò il corpo contro la parete e chiuse per
un solo secondo gli
occhi, doveva solo concentrarsi e i pensieri avrebbero di nuovo avuto
senso. E
quasi come un cazzotto nello stomaco, un pensiero si tuffò
fuori dalle sue
labbra. «Cosa ci faccio qui?»
Sebastian
alzò anche l’altro sopracciglio, assumendo
un’espressione che, se non fosse stato per il momento un
po’ tragico e
surreale, Kurt l’avrebbe trovata buffa e ridicola.
«Speravo
potessi dirmelo tu,» iniziò l’altro,
«Dato che ti
sei introdotto in camera mia e io non ho idea di chi tu sia,
diversamente da te
che a quanto pare hai una strana ossessione nei mie
confronti.»
«Io
non ho proprio nessuna ossessione nei tuo confronti!»
rispose piccato, Kurt. Mai poi realizzò veramente le parole
di quel bastardo, non ho idea di chi tu sia.
Oh, okay, era
uno scherzo? Non era divertente.
«Sebastian
non sei divertente.» si staccò dalla parete e con
sguardo minaccioso si avvicinò a Sebastian – che
sembrava più basso di una
manciata di centimetri. «Non prendermi in giro o giuro
che-»
«Senti,
io non so chi tu sia, ma se hai qualche problema
possiamo parlarne tra qualche ora. Sono le tre del mattino e
sinceramente mi
stai facendo venire un mal di testa da record. Quindi,» diede
le spalle a Kurt
e si risistemò sotto le coperte, «Conosci
l’uscita.»
Kurt
rimase immobile, il veleno che rischiava di uscirgli
anche dalle orecchie, segno evidente della sfuriata in arrivo. E
infatti…
«Ora
ascoltami bene, piccolo pezzo d’idiota,»
afferrò le
coperte e le tirò via, di nuovo, facendo sbuffare Sebastian.
«Dieci minuti fa
ero nella mia macchina, davanti al Lima Bean perché tu,
razza di decerebrato,
mi hai dato appuntamento lì. Ho preso coraggio e sono sceso,
sono entrato nella
caffetteria e, non so come, mi sono ritrovato nel tuo armadio. Ora, o a
mia
insaputa sono sotto l’effetto di qualche strano acido, o
tutto questo è opera
tua. So che hai una mente perversa e subdola, Sebastian, e questo
è un tuo
perfido scherzo perché ogni cosa che fai è con
l’intenzione di distruggermi.»
terminò, quasi senza fiato e rosso in viso per lo sforzo.
«Ma
di cosa stai parlando?» rispose scocciato, «Io non
ho
fatto niente, non so chi diamine sei e, giuro su Dio, se questo
è uno scherzo
di Jeff e Nick domani faranno meglio a non presentarsi alle lezioni.
Solo
perché sono arrivato da poco e sono al primo anno, questo
non li autorizza a prendersi
gioco di me! La Dalton non doveva essere una scuola con tolleranza zero
per
bulli e discriminazione?» accese la luce del lampadario,
illuminando
completamente la stanza.
E
Kurt finalmente riuscì a distinguere perfettamente i
lineamenti del suo viso, che erano stranamente più dolci e
gentili. Sembrava
più piccolo e… Aspetta, aveva detto Dalton? Primo
anno?
«E
poi che cazzo ci facevi nel mio armadio, sei un
guardone?» continuò imperterrito, Sebastian.
«Sta’
zitto un secondo!» Kurt gli urlò contro, si
portò una
mano alla testa e la massaggiò, pensieroso. «Sei
al primo anno?» domandò dopo
alcuni secondi, ricevendo dall’altro ragazzo come risposta
solo un cenno del
capo.
«Quindi…
sono tornato indietro nel tempo.» bisbigliò.
«Come
diavolo è potuto accadere?»
«Cosa?»
lo richiamò Sebastian, accigliato.
Kurt
lo ignorò e un sorriso beffardo comparve sulle sue
labbra, «Quindi hai quattordici anni.»
«Sì,
ma non vedo come questo possa-»
«È
interessante, sai, sei così… diverso,
piccolo.» disse più
a se stesso che a Sebastian, che comunque teneva le orecchie in
ascolto, «Mi
sarebbe piaciuto conoscerti quando eri ancora così indifeso.
Invece ora sei un
tale stronzo insopportabile che…»
«Ma
cosa stai dicendo?»
Kurt
sospirò arrendevole, «Sai, so che un giorno me ne
pentirò,
ma non dovresti farti mettere i piedi in testa dal primo che capita.
Conosco un
ragazzo molto simile a te e, per
quanto ora possa essere stronzo, narcisista, subdolo e prepotente,
ammiro
davvero il suo coraggio e il menefreghismo per l’opinione
altrui – anche se non
gliel’ho mai detto.»
«Grazie,
immagino.»
Si
guardarono per secondi interminabili, alla ricerca di
chissà cosa, e con uno strano imbarazzo ad impregnare
l’aria, distolsero
contemporaneamente lo sguardo.
Kurt
si schiarì la gola, «Allora io adesso vado.
Sì, ciao…
credo.»
Sebastian
non disse nulla, rimase a guardarlo, in attesa
della sua tanto agognata uscita di scena che non sembrava arrivare.
«Qualche
problema?» domandò, «Oltre a quello
mentale, ovviamente.» aggiunse a voce
talmente bassa che Kurt non riuscì a sentirlo.
«Sì,
certo!» rispose come se fosse stato punto da
un’ape.
«Per tornare indietro devo solo usare la porta dalla quale
sono entrato.» fissò
la porta socchiusa dell’armadio
e vi
entrò, richiudendosela alle spalle.
Attese
qualche minuto, in perfetto silenzio e al buio, ma
niente accadde. Assolutamente nulla. Questo sì che poteva
essere un bel
problema, rimanere intrappolato nel passato non doveva essere una
passeggiata.
Che fine aveva fatto il se stesso del presente? Come tutto quello fosse
possibile, comunque, era ancora un mistero. Forse stava sognando,
perché
viaggiare nel tempo era... assurdo e impossibile.
Si
massaggiò dolcemente la nuca quando un dolore improvviso
lo investì, seguito subito dopo da una piccola fitta al
fondoschiena, alla
quale non diede troppo peso.
Sbirciò
fra i panni, spostando le grucce e tastando il fondo
in legno dell’armadio. Nulla, nessuna porta, nessun
passaggio. Niente. Con un
sospirò girò di nuovo il pomello della porta,
uscendo da quel buco. Sebastian
era ancora lì, fissava la porta – beh, ora lui
– con uno sguardo allarmato.
«Quello
è l’armadio.» disse soltanto.
«Lo
avevo capito, genio!» Kurt rispose seccato, «Non so
come
andarmene di qui, dannazione!»
Sebastian
allungò il braccio destro, stendendolo di lato,
l’indice puntato verso la porta. «Prova ad usare la
porta, scommetto che
rimarrai sconvolto dalla sua funzionalità.» lo
canzonò il ragazzo.
«Figurati
se una semplice porta può riportarmi nel
presente.»
Kurt allacciò le braccia al petto, pensieroso. La punta del
piede iniziò a
picchiettare per conto suo sul pavimento della stanza.
«Ma
ti sei fatto di qualche droga pesante?» domandò
Sebastian.
«Ovviamente
no.»
«Senti,»
iniziò lo spilungone, «La porta è
un’ottima
opzione, davvero. Devi credermi, in questo mondo serve per entrare ed
uscire
dalle stanze, quindi…» e lo disse con quel tono
che di solito si usa per
spiegare qualcosa a un bambino, che fece ribollire il sangue di Kurt,
infastidito.
«Ti
dico che la porta non funzionerà. Te lo dimostro, se
vuoi.»
Kurt
si avvicinò alla porta, afferrò la maniglia e
l’abbassò, aprendola. Guardando attentamente il
corridoio davanti a sé, la
spalancò completamente e mosse solo la gamba sinistra, ormai
oltre la soglia.
«Visto? È solo una stupida porta.» mosse
anche l’altra gamba, uscendo
completamente dalla camera.
E
poi il buio.
Forse Sebastian aveva ragione. La porta era utile, in fin dei conti.
Notes:______________________________________
Sì
ragazzi, viaggi nel tempo! Non ho
idea da dove diamine mi sia uscita l’idea sicuramente
dal culo. Diciamo
che è un piccolo percorso che porta Kurt alla scoperta di un
Sebastian che
ancora non conosce bene. Tanto amore, tanti discorsi stupidi, le solite
turbe psichiche
di Kurt e un Sebastian in tutte le sale. Spero vi abbia incuriosito e
boh, se
avete voglia fatemi sapere cosa ne pensate.