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Autore: Altariah    18/03/2014    1 recensioni
Un popolo di maledetti stolti. Non avrebbero meritato un respiro in più, nessuno di loro l’avrebbe meritato.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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P e r l a



 
Sevarna portò una mano alla base del collo lasciandovi qualcosa che poteva ricordare una carezza, poi si sgranchì le vertebre muovendo la testa da un lato e dall’altro. Era seduta su un mucchio di vecchie casse ed era in una posizione piuttosto rialzata. Controllava se tra la folla ci fossero abusi o violenze, tenendosi pronta ad intervenire.
Sotto ai suoi occhi c’erano masse enormi di persone che piangevano insieme… a miliardi, miliardi di cipigli esausti intenti a pregare.
Per cosa, poi… per essere stati persone rispettabili? Per aver pregato ogni giorno verso divinità che ora sembravano quasi averli rinnegati? Perché temevano che i propri figli non avrebbero avuto il tempo neppure di diventare adulti, e non sapere più come sfamarli?
Dalla sua posizione poteva scorgere soltanto le placche craniche di troppi altri come lei. Se non avesse assistito a ciò che era successo soltanto una manciata di ore prima non avrebbe creduto che il suo popolo sarebbe stato capace di così tanto orrore.
Si credeva membro di una razza fiera; nessuno gridava ora, nessuno. Poteva però ricordare che solo poche ore prima c’era stato qualcosa di fondamentalmente sbagliato e brutale che aveva guidato altri a correre e gridare, incuranti di calpestare schiene di chi era in ginocchio, bambini, madri con neonati in braccio che provavano a socchiudere gli occhi, stanche dopo ore di code sotto il sole.
Beh, si disse, loro ci avevano provato.
Avevano provato a salire sulle navi prima che si chiudessero, prima che altri si affacciassero dai vetri di un finestrone e annunciassero che loro fossero gli ultimi, che non poteva entrare più nessuno.
Aveva visto tante lacrime e una volta ne aveva sentito perfino il sapore, anche se solo per qualche istante, non riuscendo a reprimere il dolore che l’aveva attanagliata da dentro. Erano così tante le mani che venivano divise da dei portelloni. Erano così tante le preghiere e i pianti di un figlio in braccio alla madre, costretto ad accettare in una manciata di secondi l’idea di un futuro senza padre.
Sì… ma ora non c’erano grida, non c’erano corse impazzite per evitare la rovina.
Ormai le navi erano andate, e chi lo sa se avrebbero mai fatto ritorno… chi lo sa se lei e gli altri rimasti avrebbero dovuto ridursi a cancellare anni di evoluzione e selezione naturale per tornare creature istintive, a scontrarsi e a graffiarsi fino ad uccidersi per un ultimo pezzo di cibo.
C’erano state delle selezioni e ognuno ne era a conoscenza, nonostante non si dicesse apertamente. Avevano scelto famiglie giovani, persone mentalmente aperte e intelligenti. I malati, gli zoppi, chi non avrebbe apportato nulla alla specie sarebbe stato scartato, lei compresa. Tutto il suo pianeta aveva fatto in modo di fare una selezione, per quanto quella parola suonasse terribile e aspra, troppo crudele. Eppure ognuno sapeva fin troppo chiaramente che fosse l’unica cosa da fare, la sola opzione.
L’idea reggeva, ma non solo era eticamente sbagliata, in quanto ogni individuo avrebbe meritato la stessa salvezza o la stessa rovina, ma nonostante le ferree cernite e divisioni, i meritevoli erano comunque troppi.
Troppi speranzosi che hanno visto una nave decollare loro davanti. Troppo spreco.
Troppa ingiustizia.
Sevarna sapeva che condividessero tutti la medesima paura… e se non fosse stata paura, era qualcosa che aveva un retrogusto veramente simile. Esattamente come quello che le permeava la lingua e scendeva a stringerle lo stomaco. Una folata di vento la investì in pieno, e lei socchiuse gli occhi per evitare che i pochi granelli di sabbia alzati da terra le appannassero la vista.
Respirò a fondo, e capì in un momento tutto ciò che avrebbe dovuto capire da molto tempo. Tutte le emozioni che aveva provato stavano subendo una metamorfosi mostruosa, che la lasciò sbalordita ad osservare i tasselli ricomporsi in un mosaico visto da una nuova angolazione. Lo smog che le stava riempiendo i polmoni, l’odore di migliaia di corpi stanchi che le pungeva il naso, la polvere e la sabbia che a folate irregolari le pizzicavano gli occhi… si sommò tutto insieme e lei comprese che non aveva mai conosciuto Rakhana.
Né lei, né nessun altro drell sulla faccia di quel pianeta. Insieme a questa nuova visione terribile si sommò anche la consapevolezza che le diceva che non l’avrebbe mai conosciuta. Non c’era più tempo, non c’era più Rakhana stessa; era tutto perduto. Con quale coraggio avrebbero potuto continuare ad abitare un pianeta che loro stessi avevano fatto marcire, ammesso che non fosse sorta la carestia? Con quale nome sarebbero stati ricordati dall’Universo?
Stolti, avidi, egoisti.
Così ossessivamente interessati  a raggiungere vette industriali, a racchiudere uomini in cubi di cemento, totalmente indifferenti verso un mondo che già da troppi decenni stava gridando e cercando di farsi capire per ascoltarlo, finendo quasi per dimenticarlo e lasciarlo spegnere lentamente.
Si erano tappati le orecchie per non sentire, si erano portati le mani sugli occhi perché così avrebbero avuto una scusa per non aver visto.
Un popolo di maledetti stolti. Non avrebbero meritato un respiro in più, nessuno di loro l’avrebbe meritato.
Sevarna osservò il suo fucile, e per un solo istante sentì il bisogno di mettere una conclusione alla sua storia… inutile. Inutile perché sarebbe stata dimenticata, esattamente come la donna che piangeva a sei metri da lei, avvolta da un vestito giallo. Inutile come l’altra vedetta distante venti metri su un altro mucchio di casse…
Con quale folle coraggio alcuni erano saliti sulle navette, lei non riusciva a capirlo, non ora. Ed era tutto così chiaro adesso ai suoi occhi, così definito e senza sbavature da farle male.
Fu felice di non essere salita sulle navi dei Salvatori, fu felice che tutto il suo mondo li stesse uccidendo mano a mano; se fosse restata viva anche solo un giorno in più avrebbe dovuto lottare contro la vergogna e il ribrezzo.
No, non invidiava affatto coloro che erano salvi, perché la salvezza equivale alla pace, ne va di pari passo… e loro non l’avrebbero mai provata, troppo presi rendere grazie agli Hanar, a riverirli e ricordare il luogo che loro avevano chiamato casa piangendosi addosso.
Credono di essere stati salvati, invece quella sarà la loro condanna peggiore.
Rigirò per un paio di volte il fucile, passando il polpastrello sul grilletto dolcemente senza premerlo abbastanza per far partire un colpo. Le mura della città ad est iniziavano a coprire il sole morente, e la massa di drell cominciava a dissiparsi. Alcuni tornavano a casa, altri restavano accasciati dov’erano rimasti tutto il tempo, ancora increduli di aver sfiorato talmente da vicino un sogno che li aveva lasciati intontiti e solo con un pugno di polvere. Altri, rimasti soli, separati dai cari iniziavano ad inoltrarsi tra le dune, sperando forse di essere uccisi dalla notte.
Le sembrò paradossale tutto questo, assurdo come se le persone non agissero più secondo il loro volere, come se fossero in una sorta di trance. E osservando i padri senza più figli che si costringevano ad avanzare verso la sera tra le sabbie, si rese conto che forse quella pazzia che li stava guidando verso l’oblio aveva attraversato anche lei, solo pochi istanti prima, quando aveva gustato l’idea di portarsi la canna del fucile sotto il mento.
Quanto sarebbero potuti andare avanti a quel punto, quelli che avrebbero deciso di provare a resistere? Dieci, vent’anni? Altri vent’anni fingendo che il loro pianeta fosse ancora vitale e che sarebbe stato capace di dar loro le risorse che volevano?
 
“È tardi”
Sevarna si voltò di scatto, trovando una bambina dagli occhi umidi ma da una voce troppo severa che la osservava dal basso.
“Sì, lo è.” Accondiscese lei. In altre circostanze le avrebbe risposto che sì, fosse tardi perché stava calando la sera. Ma la piccola non intendeva affatto il naturale passare del tempo, e neppure lei. “Dov’è tua madre?” Domandò poi, eccessivamente distaccata. Il mento della piccola tremò di disperazione, ma i suoi occhi non cedettero e riuscì a trattenere queste lacrime, anche se per poco.
“Fa male?” Sussurrò la bambina lasciando la domanda in sospeso, avvicinando successivamente la donna per indicarle l’occhio destro con un dito.
“No, è solo cieco, piccola.”
“Assomiglia ad una perla” Si strinse un indice tra le dita dell’altra mano. “Sei stata ferita?”
“È diventato cieco senza altre cause.” La drell strinse le labbra, concentrandosi meglio sulla bambina. Tutti coloro che aveva conosciuto nel tempo le avevano fatto la stessa domanda, e lei aveva sempre risposto nel medesimo modo. Era stata così terribilmente sfortunata da avere perso la vista da un occhio dopo essere diventata una militare specializzata nei fucili di precisione, e tutto questo al solo ricordo la faceva schiumare di rabbia. L’avrebbero addirittura cacciata, ma lei aveva dimostrato di saper controllare la situazione, e l’avevano premiata lasciandola lavorare... e questo era tutto quello che le era sempre importato: lavorare per uno scopo in cui lei credeva.
E ci credeva davvero in quello scopo, ci aveva messo la sua intera essenza e l’avrebbe fatto senza esitare sempre… ma ora non aveva importanza, nulla aveva più importanza. “Amonkira non è stato molto gentile con me.” Ironizzò seccamente, e quell’inflessione diede fastidio perfino a se stessa.
“Per lo meno ne hai un altro.” Replicò l’altra, in un tono che Sevarna non seppe interpretare. Sembrava quasi una battuta per sdrammatizzare, ma la sua voce ebbe una strana cadenza, una strana intensità.
“Quanti anni hai?”
“Sei, Perla.”
Sevarna abbassò lo sguardo, distogliendolo da quello della bambina. Tsk, Perla. Chiederle di chiamarni Sevarna, si disse, la inciterebbe a continuare a parlarmi. E l’idea di una bambina che la disturbava e non la lasciava riflettere in pace la innervosiva terribilmente; e quello non solo in quel contesto. Aveva sempre avuto molti problemi con i bambini. Non era per lei. Lei non era fatta per essere una madre e lo sapeva fin troppo bene.“E qual è il tuo nome?”
“Kimeen”  Rispose, mentre il mento riprendeva a tremare senza più smettere.
“Torna da chi chiami famiglia, Kimeen.”
La piccola drell si sedette a terra, lasciandosi andare completamente alle lacrime. “La mano di mamma scivola dalla mia. Mi volto, non vedo più nessuno. Solo pieghe di vesti. La voce della mamma si fa acuta. Grida. Papà mi chiama, Bhek mi chiama. Li cerco e loro non ci sono. La terra trema. I Salvatori tornano in cielo, lo capisco solo ora.”
“Bhek è tuo fratello?” Domandò Sevarna, espirando dolorosamente.
“Sì, Perla.” Sussurrò, cercando di raggiungerla sulle casse, ma fallendo miseramente. Sbuffò frustrata, non riuscendo a smettere di piangere. “Non torneranno a prendermi, vero?”
La donna si morse le labbra prima di trovare la forza di rispondere. “No.”
 
Osservarono insieme la luce che moriva lentamente al di là degli ultimi ritagli della skyline di fronte a loro. Della ressa di qualche ora prima, in quel momento si potevano vedere solo persone che facevano ritorno in città, strette le une alle altre, e un terreno calpestato.
Kalahira avrebbe deciso per lei. Bucarsi il cranio con un proiettile sarebbe stato troppo vigliacco.
La drell scese dalle casse e senza dire una parola smontò la propria arma con una calma surreale e mano a mano gettò i vari pezzi il più lontano possibile, laddove sarebbero stati inghiottiti dal vento e la sabbia in pochi minuti.
Si tolse con un gesto deciso la targa d’identificazione che teneva al collo, lasciando che i granelli di sabbia ne attutissero il suono della caduta. Strappò via dalla divisa il simbolo per cui lei aveva lottato fino a quel momento.
Non aveva più nessuna ragione… e nulla le avrebbe mai potuto dare la forza di sopportarsi, a quel punto.
“Dove vai?” Domandò Kimeen, voltandosi a guardare la giovane donna addentrarsi nel deserto buio.
“Spero di arrivare dove i viaggiatori non si stancano” Bisbigliò Sevarna senza voltarsi, sentendosi scorrere sulle guance lacrime che le ricordarono quanto fosse capace di provare emozioni anche lei, che aveva sempre cercato di mettere al primo posto la dignità e l’orgoglio.
Kimeen la osservò svanire dietro le colline rossastre tinte di blu dal cielo nero, piangendo a sua volta. Poi si alzò e iniziò a correre verso la direzione nella quale la donna si era inoltrata, sperando che le sue orme non fossero del tutto state levigare dalla brezza secca del sud.
 










Questo vorrebbe essere un ringraziamento. Non ho mai preso in considerazione personaggi originali, non ho mai osato abbastanza per la troppa paura di combinare macelli immotivati. Ma niente, sta volta pubblico questo pezzo di ragionamento che è nato da solo e che non vuole essere assolutamente nulla e non si porta dietro alcuna pretesa.
Grazie mille a tutti <3
  
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