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Autore: ale0_0    19/03/2014    0 recensioni
«Era sceso talmente in basso, che tornare a galla non era più possibile; aveva scelto di legarsi al collo, con la catena dei sensi di colpa, la pesante e sorda disperazione.»
[...]
Vuole solo un po’ di pace, ma, forse non se la merita? Sì. È così. Lui non si merita la pace. Deve continuare a soffrire. Forza disperazione! Urla come un dannato in quel locale. Tienimi vigile ancora! Devo soffrire, disperarmi sino a strapparmi i capelli dalla cute! Lascia che dai miei occhi coli sangue, che le mie orbite vuote si riempano di dolore!
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Words: 1,569
Coppia: Het/Nessuna
 
~ La felicità, quella vera dico ~

 
 
E quindi quella esattamente cos’era? Aveva perso il conto… probabilmente dall’inizio dell’anno – ed era solamente la metà di febbraio – si era ritrovato in quella situazione quante volte? Una dozzina? O una ventina? Ma che importa! Continuava a ripetersi mentalmente per convincersi.
Certamente non era una novità che la sua vita facesse schifo. Da quando era nato ad ora, l’unico raggio di felicità che aveva mai ricevuto, era morto per sempre, in uno stupido incidente d’auto…già, quell incidente.
Quell’unica stella luminosa nel suo mare di tenebre si era spenta per sempre e, come da copione, sempre per colpa sua. Sempre, per colpa della sua irresponsabilità. Stupidità.
Non vuole pensare, e fa bene a non volerlo; pensare porta solamente ad accumolare pensieri, ed i pensieri, se tenuti in una gabbia buia e stretta – come la sua mente – tendono a diventare molto pericolosi.
L’ennesimo drink, che butta giù per la gola. Non è bravo neanche a bere, non sa assaporare il gusto pungente dell’alcol, lui lo ingurgita e basta. Lo butta nello stomaco, solamente per fare peso. Più beve, e più velocemente lo fa, e prima smette di pensare.
 
Quella sera non si era neanche preso il disturbo di scegliere un locale abbastanza decente per i suoi canoni. Era sceso talmente in basso, che tornare a galla non era più possibile; aveva scelto di legarsi al collo, con la catena dei sensi di colpa, la pesante e sorda disperazione.
Il puzzo disgustoso di fumo stopposo  e di profumo troppo acuto gli riempiva le narici, provocandogli una smorfia ogni volta che ingollava un po’ di liquore. Anche il barrista aveva iniziato a guardalo di traverso, perché si sa, anche se a loro piace avere sempre qualche ubriaco, uno che beve sin troppo è pericoloso e imprevedibile.
Un altro! Grida, anche se ormai sono cuore e stomaco a parlare.
L’ennesimo bicchierino colmo di invitante e piacevole bugia gli si parà davanti al muso sudicio di alcol.
Squadra quella sostanza dall’alto, in cui, per quanto la vista doppia e sfuocata glielo permetta, si specchia. Rivede la sua immagine, ma non quella del ragazzo di quando Caterina era con lui, o del bambino contento per il balocco; un uomo triste, barba incolta, profonde occhiaie, e l’aria di uno che ha visto troppo dolore per un vita troppo breve, è tutto ciò che scorge in quella bevanda rossiccia.
L’ennesima smorfia. Una smorfia per tutto.
Per la gola che brucia e che sta per prendere fuoco mentre l’alcol scende rapido.
Per il posto di merda in cui è andato ad ubriacarsi, ancora.
Per l’opprimente puzzo di fumo e incenso.
Per la disperazione che sembra essere l’unica ad esser rimasta sempre e costantemente con lui.
Per aver perso l’unica persona che avesse veramente amato.
Per la consapevolezza, che ubiracarsi non la riporterà in vita, e che questa situazione, peggiora solamente le cose.
Può veramente continuare così? Mentre guarda con aria accigliata lo scaffale di liquidi colorati, i rumori ovattati si affievoliscono sempre di più. È la sbronza che si fa sentire, o la consapevolezza di esser ancora un po’ lucido, da riuscire ancora a fare qualche pensiero razionale? NO! BASTA! BASTA PENSARE!
Alza la mano, e con quella bocca fetente, la stessa con cui ha ripetuto milioni di volte il dolce gesto di un bacio fugace sulla porta di casa, ordina l’ennesimo drink.
Scuote la testa come un cane bastonato, e questa volta, neanche guarda la bevanda, appena la mano untuosa del barrista gli posa il contenitore sotto il naso, lui lo afferra e se lo porta alla bocca. Si fa passare l’alcol tra i denti, vuole soffrire, le gengive devono piangere sangue, solo allora sarà soddisfatto.
Quella sera però era diversa, i ricordi, più tentava di allontarli, e più si facevano vicini.
Cos’è che adesso si faceva spazio nella sua mente contorta, malata?
Il ricordo di un bambino, cresciuto in una casa di sbandati. I pensieri più disgustosi di una vita da pezzente si fanno largo tra gli ultimi barlumi di felicità, quella vera, ma che mai lascerà andare, perché vive nel suo cuore.
Una madre assente? La consapevolezza di essere nato per errore? Un padre sempre ubriaco che lo picchiava? Il fratello che lo derideva, schernendolo per il fisico debole? La voglia di felicità che non gli era concessa?
In poche parole, la sua infanzia e adolescenza rovinata. Ro-vi-na-ta.
Neanche gli psicologhi più bravi erano riusciti a sistemare qualche tassello nella sua mente marcia.
E poi, dopo? Dopo cosa è successo? Dopo il nero stopposo, ricorda il bianco, il bianco di un sorriso radioso, il tiepido calore della felicità vera, del gusto di poter assaporare la vita nelle sue briciole migliori.
Caterina.
Ma lei non era più lì. Eppure, adesso che era ubriaco fradicio, la sentiva così vicina… Sentiva nuovamente la sua pelle incombere sul suo petto, scarnito dalle troppe bevute.
Si stiracchia il collo come un gatto al sole. La luce soffusa del locale lo manda in trans. Tutte le immagini si confondo in un vortice sfumato, mentre la musica continua a riempire ogni angolo. Le palpebre quasi chiuse, l’immente buio. Un po’ di pace.
No. Niente di quello che vuole in quel momento c’è, il liquore gli dà le visioni. Non sta per dormire, è ancora vigile e attento ad ogni dettaglio. Possibile non essere ancora stramazzato a terra come tutti gli ubriachi? Perché stasera che ne ho così tanto bisogno, non cedo all’alcol?
Gli pare che quelle braccia invisibili lo sorreggano, gli impediscano di abbandonarsi al dolore della sbronza, al piacere del buio. Lo tengono vigile.
Vuole solo un po’ di pace, ma, forse non se la merita? Sì. È così. Lui non si merita la pace. Deve continuare a soffrire. Forza disperazione! Urla come un dannato in quel locale. Tienimi vigile ancora! Devo soffrire, disperarmi sino a strapparmi i capelli dalla cute! Lascia che dai miei occhi coli sangue, che le mie orbite vuote si riempano di dolore!
È un attimo, e si trova scaraventato per il vicolo immondo. L’alcol ha finalmente fatto il suo corso, facendolo disperare come un matto. Ma, lui è un matto. Il matto che ha rovinato la vita alla famiglia, a sé stesso, alla ragazza che amava, che tutt’ora ama.
Quel vicolo, pieno di spazzatura, lo rispecchia, in ogni pozza di fanghiglia rivede la sua vita. Si fa schifo.
 
Da circa una mezz’ora è fuori da quel locale maleodorante e madido d’alcol. Buttato fuori con una spinta come i veri ubriachi meritano.
Cammina a tentoni, reggendosi al muro sporco di graffiti che in qualche modo lo adornano.
È al parco, il loro parco.
Mentre con gli occhi rossi e socchiusi vaga da un albero all’altro, decide di sdraiarsi su di una panchina. A scelto il luogo più doloroso, per andare a smaltire la sbornia, ma, riposare in una parco gelato d’inverno, dopo una pesante bevuta, e con solo dei miseri stracci in dosso, non è una buona idea. Ma a Marco, non importa. Ormai non importa più niente.
I pensieri continuano a pungerlo dolorosamente, gli rodono il cervello come un tarlo fa con un ciocco di legno.
Strizza gli occhi, quasi a cavarseli, per allontare i parassiti che infestano la mente, per scacciare i fantasmi del passato che lo perseguitano da troppo tempo ormai.
Ricorda tutto di lei, quella sera più che mai.
Ricorda la sua risata, le parole di sfida che si dissero al chiosco del gelato.
Ricorda la sua aria vittoriosa di quando vinse la scommessa.
Ricorda la sua pelle tiepida e le sue labbra carnose.
Ricorda i suoi occhi troppo profondi per essere reali.
Ricorda le sue ultime parole, quel ti amo bramato per troppi anni, e arrivato nel loro ultimo momento.
Quella sera erano entrambi un po’ alticci, ma Marco, aveva insistito per tornare a casa in macchina, nonostante le proteste di Caterina, leggermente più lucida del ragazzo – la prima lacrima comincia a solcare la guancia barbuta –.
La musica a palla, la capot abbassata, il vento che faceva svolazzare in qua e là i loro capelli corvini, lo stesso identico cielo stellato di quella sera in cui sta ricordando tutto – contrae la mascella, ma i ricordi scorrono impetuosi come un fiume.
Poi una luce in senso contrario a loro, ed infine il buio dopo la curva maledetta.
Sa solo che prima di svoltare quella tornante satanico, si erano guardati negli occhi, e mentre lui scalava marcia, si erano finalmente dichiarati, sigillando quella promessa con un bacio dolce, a fior di labbra.
Dopo quella sera, il nero l’ha perseguitato, l’ha seguito in carcere, in ogni luogo, ma quella notte stranamente, sembra più lontano del solito. È come se le stelle gli stessero sorridendo, suggerendogli che l’attesa per ciò che più cerca dalla serata rossa di sangue, è ormai terminata.
Non piangerà più sale, non vomiterà più l’anima, non udirà più il lamento straziante della donna che ama, non vedrà più le tenebre. Il manto innevato lo avvolge come una coperta, lo vuole forse tenere al caldo?  Vuole sigillare il suo corpo dannato, nell’ultima notte sulla Terra, con un candido e freddo bacio?  
Marco guarda il cielo, mentre piange lacrime ghiacciate, che come delle cuspidi gli graffiano il volto.
La sua vita, un grande fallimente, perché aspettare per ritrovare la pace?

E mentre si lascia abbracciare dal freddo e dal buio della notte, si sente avvolgere e sfiorare da delle braccia fin troppo familiari: la felicità,ma quella vera, dico.


 
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~
N.d.A

Grazie a tutti quelli che leggeranno
   
 
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