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Autore: Angelic_Girl    19/03/2014    2 recensioni
E' da qualche anno, ormai, che Kurt si è trasferito a NewYork, con una nuova vita e nuovi sogni, alcuni dei quali mai si realizzeranno. Il suo cuore e i suoi occhi appartengono da allora ad un giovane sconosciuto, il suo dirimpettaio, che Kurt osserva suonare la chitarra e vivere la sua vita, appollaiato ora dopo ora, mese dopo mese alla finestra, come ipnotizzato da quel ragazzo che lo attira tanto.
Quanto vorrebbe parlagli, quanto vorrebbe accarezzare i suoi riccioli mori.
E' impossibile, si dice Kurt. Ma niente lo è quando c'è il vero amore.
Chissà che le sue fantasie non diventino realtà.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Rachel Berry | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve genteeeee! Eccomi di nuovo qui con quest'altra fanfic >w< So che dopo aver cliccato su "Pubblica" me ne pentirò perchè avevo intenzione di finir di scriverla e controllare il risultato prima di metterla online, ma non resisto. Vi prego di non giudicare l'intro di cacca che ho scritto perchè è difficile riassumere la storia senza spoilerare qualcosa; sappiate che mi sono impegnata e ci sono stata tipo un quarto d'ora sopra :'> Ooookay grassie già per aver aperto, come sempre, e per aver ignorato l'intro che già urlava "passa alla prossima ff" XD
E' una cosa molto strana, prima di ideare questa trama ho iniziato a scriverne un'altra e da questa che ho scritto all'inizio è uscita fuori tutta una mia idea contorta. Mi spiego, ho pensato di creare una serie e quell'idea che mi era venuta si è trasformata nel sequel di questa fanfiction o.o
Detto questo, dopo avervi confusi e aver scritto una nota lunga più del dovuto (mannaggia a me), vi auguro una buona lettura u.u
Ah, questo primo capitolo è un po' noiosamente descrittivo, per la cronaca, ma abbiate fiducia <3



 

"Faceva freddo.

Troppo.

Così tanto che neanche star seduto sulla mensola al di sopra del termosifone serviva a qualcosa.

Kurt si coprì le spalle con la coperta che gli era scivolata da dosso, avvolgendovisi dentro e prendendo una sorsata dalla grande tazza che aveva tra le mani gelate.

Non era affatto buona quella cioccolata.

Sempre che fosse stata davvero tale, aveva un sapore talmente disgustoso che non era identificabile come “cioccolata”.

Probabilmente l'aveva fatta bruciare.

Aveva cercato di capire il tempo di cottura, apparentemente assente sulla confezione, a tatto, ma le sue dita erano talmente fredde da non aver avvertito quando il bollitore era diventato rovente.

Pazienza, almeno si sarebbe riscaldato (se non ustionato) la gola.

Accostò la tazza di ceramica al petto, cercando di infondere un po' di calore, mentre con lo sguardo color ghiaccio vagava fuori, in strada.

Era appena autunno, le foglie rossastre e gialle coloravano il triste nero dell'asfalto e i rami spogli degli alberi erano come crepe e venature nel cielo azzurro. Non tirava un alito di vento e il freddo era pungente e secco.

Nonostante stesse congelando, a Kurt piaceva quell'atmosfera. Era un ragazzo solitario, gli piaceva stare rintanato in casa tutto il giorno, seduto su quella mensola ad ammirare il paesaggio. Poteva sembrare sempre lo stesso, ma lui trovava sempre qualcosa di nuovo e di affascinante da osservare.

Una foglia particolare che volava libera nel cielo, una rondine che facevo il nido sotto il tetto di fronte, una nuvola, anche un piccolo rivolo d'acqua piovana che correva giù per la grondaia era qualcosa di poetico e degno di essere studiato con attenzione.

Kurt adorava guardare e scoprire le cose. E quella era la sua postazione, il suo posto preferito, sul quale sedersi ed osservare.

Provava ad immaginare la storia di tutto quello che gli si parava davanti. Un passante, un foglio di carta, un'auto, una bicicletta parcheggiata e abbandonata al muro.

Era un passatempo coinvolgente, che gli permetteva di rimanere a contatto con la realtà restandone comunque lontano.

Il suo cervello aveva registrato anche li più piccolo dettaglio della vista che aveva da quella finestra.

Ogni più insignificante oggetto.

E poi c'era...

Quel giovane.

Era un ragazzo come lui, che adorava evadere dal mondo e rifugiarsi nella sua stanza, di fronte a quella finestra e seduto a quella scrivania.

Lo vedeva sempre, ad ore precise.

Era diventato come una sicurezza per Kurt. L'unica cosa che non era mai cambiata in tutto quel tempo, tutti quegli anni passati ad osservare.

Quando qualcosa andava male, a lavoro, con gli amici, gli bastava tornare lì e lanciare un occhiata di fronte, alla casa che aveva davanti, e proprio di rimpetto scorgeva lui.

Se c'era, Kurt sapeva che sarebbe andato tutto bene, che niente era cambiato a tal punto da disperarsi. Se lui era lì l'altro si sentiva sereno.

E il bello è che non si erano mai parlati, mai incontrati.

Forse perché a Kurt non piaceva uscire in strada. Quel ragazzo doveva essere molto dolce, ma aveva l'aria di chi adora spassarsela con gli amici e fare casino nei bar.

Non era solitario come l'altro. Né era solo come l'altro.

Kurt sapeva molto di lui, apprendeva semplicemente guardando.

Sapeva che era giovane ambizioso, un pianista, un chitarrista, un cantante. Tutto insieme, tanto talento in una sola persona.

Viveva solo: i genitori erano rimasti a casa quando lui era partito per trasferirsi lì, a New York.

Conosceva la marca del suo cellulare, della sua chitarra, sapeva che aveva una ragazza.

Quel dettaglio fece sorridere amaramente Kurt, mentre tirava a sé le gambe per raggomitolarsi nella rientranza della finestra.

Anche se quel giovane non lo conosceva, anche se non si erano mai scambiati neanche un ciao, anche se probabilmente lui non l'aveva mai neanche notato, Kurt aveva capito da tempo di provare qualcosa per l'altro.

Ogni volta che lo vedeva nel suo cuore si accendeva una luce, che lo riscaldava senza aiuto della cioccolata o altro. Era un sentimento stabile, e Kurt sospettava che non si sarebbe estinto tanto facilmente.

Sembrava come una fiamma, piccola ma forte, che avrebbe resistito ed era destinata a stare lì ed ardere.

Ricambiato o no, quel tenero amore ci sarebbe sempre stato. Qualcosa diceva così a Kurt.

Il ragazzo rimase ancora un po' fermo, osservando la finestra di fronte come aveva fatto mille volte. Ora la stanza era vuota.

Decise allora di posare quella tazza dal contenuto rivoltante e fece per alzarsi, quando vide una testa scura e riccioluta fare capolino dietro i vetri di fronte.

Il cuore di Kurt ebbe un balzo, costringendolo a sedersi di nuovo, lentamente.

Gli occhi chiari del ragazzo seguivano i movimenti dell'altro come calamite, guardandolo mentre si abbandonava sulla sedia e alzava lo schermo del PC con aria assorta.

Kurt lo guardò mentre collegava gli auricolari al computer e li indossava, facendo vagare attentamente lo sguardo sullo schermo.

Com'era bello.

La vista acuta di Kurt gli permetteva di cogliere anche i minimi particolari sul suo viso abbronzato: le iridi lucide di un colore bellissimo tra il nocciola e il verde, le lunghe ciglia corvine, le labbra carnose e rosee, se non serie, sempre piegate in un sorriso sincero e adorabile.

Amava osservarlo.

Era il passatempo migliore del mondo, con un'unica pecca, purtroppo incorreggibile.

A Kurt sarebbe piaciuto tanto poter toccare ciò che vedeva. Poter sapere se quei capelli ricci erano davvero morbidi come sembravano, sapere se quelle dita abili erano ruvide o lisce, se quella pelle era morbida e soffice come sembrava.

E avrebbe voluto con tutto se stesso sapere se la voce che immaginava gli apparteneva davvero.

Il ragazzo era immerso nei suoi pensieri, ma ne fu strappato sentendo qualcosa di bollente finirgli all'improvviso in grembo.

Maledizione, aveva abboccato la tazza senza accorgersene.

Balzò in piedi, sollevandosi la coperta inzuppata da dosso e poggiando la tazza sulla mensola, mentre imprecava sotto voce.

Alzando lo sguardo per qualche secondo gli parve che il ragazzo di fronte lo stesse guardando, sorridendo divertito.

Lo stava guar...?

Kurt si bloccò, spalancando gli occhi per capire se se l'era immaginato, e spostò lo sguardo sul viso del suo dirimpettaio.

Si, aveva le labbra leggermente piegate, ma lo sguardo era fisso sul PC.

Ah, Kurt, la testa.

Il ragazzo esitò prima di rassegnarsi all'idea che non era stato minimamente notato e, con un sospiro, si trascinò in camera da letto per cambiarsi.

 

Dopo essersi gettato addosso un semplice jeans e una felpa molto ma molto pesante, lanciò un'occhiata sofferente al mucchio di vestiti che giacevano al suo fianco.

Cento dollari di lavanderia, andati.

Avrebbe fatto meglio a precipitarsi subito al negozio per evitare che le macchie divenissero impossibili da eliminare, perciò infilò i panni, quei poveri pregiati panni, in una borsa e fece per andare a recuperare il cappotto, sbirciando un'ultima volta fuori dalla finestra.

Il ragazzo era in piedi, e stava allontanando il cellulare dal viso con un sorriso che gli occupava l'intera faccia. Sembrava nervoso, euforico...

Ma Kurt non potè indagare più a fondo: "i vestiti, Kurt, i vestiti" urlò una vocina nella mente.

E corse fuori dalla stanza.




 

-Si, ecco, mi sono rovesciato addosso della cioccolata calda e ho pensato sarebbe stato meglio venire subito- disse Kurt porgendo la borsa a una donna sui quaranta, un po' trasandata ma con dei modi squisiti.

-Vedrò cosa posso fare- sorrise lei.

Il ragazzo ricambiò, respirando il piacevole profumo di ammorbidente che aleggiava nel piccolo ambiente. Fece vagare lo sguardo, mentre l'altra era scomparsa sul retro con i suoi vestiti, sulle pareti colme di abiti di ogni genere, silenziosi e in attesa che il loro proprietario tornasse a prenderli.

Guardò fuori, sentendo già i brividi al pensiero di dover uscire di nuovo in strada; per fortuna il suo portone era a due passi.

Con i suoi occhi attenti, scorse una ragazza, all'altro marciapiede.

L'aveva vista migliaia di volte, con quei capelli biondi lasciati svolazzare liberi al vento, quegli occhi scuri, i vestiti leggeri nonostante il freddo.

La giovane si fermò, guardando dove la vetrina non permetteva a Kurt, per poi correre tra le braccia di un ragazzo.

E Kurt provò una fitta al cuore.

Con quei suoi riccioli d'ebano, lui la strinse a sè ridendo, per poi poggiare dolcemente le labbra su quelle dell'altra.

Lo sguardo del biondo fuggì contro la sua volontà, mentre il suo cuore gli diceva "perchè ti ostini a voler osservarlo? Fa male, smettila"

E il ragazzo seguì il suo consiglio.

-Hai fatto bene a portarmeli subito- disse una voce gentile, che permise a Kurt di sgombrare la mente -Torna tra... facciamo una settimana e saranno come nuovi- la donna gli regalò un altro dei suoi sorrisi materni per poi salutarlo.

-Arrivederci- fece Kurt aprendo la porta.

Fu investito da un'improvvisa folata di vento che lo costrinse ad alzarsi il bavero del cappotto, mentre malediceva i suoi occhi insistenti che si erano spostati di nuovo sui due di fronte.

Stavano parlando, ridacchiando e accarezzandosi; se non fosse stato proprio Kurt, avrebbe detto che erano dolcissimi.

Poi vide che lo sguardo del moro si era posato su di lui.

Oh santo Dio...

Non era mai successo prima.

Può sembrare una banalità, ma avere su di sè lo sguardo di qualcuno per cui si prova qualcosa ma che ignora quel sentimento può essere davvero...

Kurt si sentì male, si trovò paralizzato, rosso in viso come se lo stessero soffocando.

Quegli occhi verdi, belli, meravigliosi... su di lui.

E sorridevano.

O forse era solo un rimasuglio della felicità che aveva provato nel vedere la ragazza, ancorata a quelle iridi stupende.

Solo dopo Kurt si rese conto che quel contatto era durato un secondo.

I suoi occhi si erano bloccati, come una webcam inceppata, fermi alla scena in cui lui lo guardava.

Gli era sembrata un'eternità.

Cercò di tornare in sè, prendendo a camminare con una rigidità innaturale, senza voltarsi. Non ne aveva il coraggio.




 


Quella sera... Oh, quella sera fu una delle peggiori della sua vita.

Affondato nel divano, come un vecchio relitto, Kurt guardò la ciotola intatta di popcorn che lo supplicavano di non buttarli nella spazzatura a causa del suo poco appetito.

Il film di Jane Eyre andava avanti da una buon'oretta, seguito solo a tratti dalla mente del ragazzo, concentrata su ben altro.

Da lì aveva la perfetta visuale della finestra di fronte, quella che dava sulla camera del ragazzo.

Le tende erano chiuse, ma la luce soffusa che illuminava leggermente l'interno, faceva apparire il tutto come uno di quegli spettacoli di ombre.

Il giovane dirimpettaio era molto impegnato, da come la sua figura nera, proiettata sulla stoffa, si muoveva sinuosamente su un altro corpo.

E a Kurt veniva da vomitare.

Si sforzava con tutto sè stesso di non spostare lo sguardo lì.

Guarda altrove, per carità.

Ma era più forte di lui.

Fissò di nuovo fuori, dove le ombre di due ragazzi avvinghiati come piovre si stavano contorcendo poco decentemente. Poi si alzò di scatto, deciso a chiudere le tende. Non ce la faceva più, che diamine.

Le sue dita fredde esitarono nel tirare il tessuto, mentre i suoi occhi, fermi ancora alla finestra di fronte, urlavano muti che quello spettacolo finisse.

Era un egoista. Come poteva desiderare che una persona che neanche lo conosceva, facesse i suoi comodi? Come poteva solo desiderarlo?

Quel giovane non lo aveva neanche mai guardato in faccia. Be', quasi mai.

Ma comunque erano perfetti sconosciuti.

Non era da egoisti pretendere che qualcuno eseguisse i propri ordini dettati da uno stupido capriccio?

Kurt chiuse bruscamente le tende, la fronte aggrottata, il viso corrucciato, indignato di se stesso. Ripose sul tavolo la ciotola di popcorn, spense la televisione e, dopo essersi lavato rapidamente i denti, s'infilò nel letto, infagottato tra le varie coperte e la trapunta.

Sapeva già che si sarebbe svegliato presto. Voleva dormire, si sentiva stremato, ma ogni santa volta che desiderava rimanere il quel meraviglioso mondo di sogni per un po' più del solito, si svegliava sempre verso le sei.

Si rivoltò a pancia in giù, stringendo a sè il cuscino e seppellendo la testa sotto i morbidi strati. Da qualche tempo a questa parte dormiva in quella posizione, come se avesse bisogno di qualcuno da abbracciare, e di essere protetto.

Sperava che un giorno la sua coperta e il suo cuscino sarebbero diventati qualcosa in più che una semplice coperta e un semplice cuscino.

Quando anche gli ultimi pensieri, gli ultimi sogni di desideri impossibili lasciarono la sua mente, Kurt chiuse gli occhi.

Un altro giorno era andato.

  
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