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Autore: YOUSHOULDLETMEBE    19/03/2014    3 recensioni
Il mondo di glee trasferito in quello di Hunger games.
La storia d'amore tra Brittana e Santana proiettata nell'arena.
***
Dal testo: «Faremo capire a Capitol City che non possono trattarci come se fossimo loro, noi siamo nostre, e di nessun altro.»
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
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Quando mi sveglio sono ancora nervosa, o forse già nervosa, questa è la quinta volta che partecipo alla mietitura, ormai mi sono abituata a questa sensazione, ma resta brutta lo stesso.
Esattamente 25 anni fa le forze ribelli si impossessarono di Capitol City, ci volle ben poco però per far sì che tutto tornasse come prima, e non più di due anni dopo, tutti i distretti erano di nuovo sottomessi. Tutti meno uno, il 13, che fu distrutto, questa volta, davvero.
E così tutti i giovani sono mietuti, ogni anno, in ogni ditretto, senza favoritismi, però.
Mi alzo e faccio colazione con un pezzetto di vecchio formaggio, rimasto dalla cena di ieri.
Mio fratello, che ormai non corre più il rischio di partecipare ai giochi, sta ancora dormendo. Oggi, nessuno lavora.
Come me, mio padre si è appena svegliato, ma non fa colazione.  Non la fa mai. Preferisce mangiare solo quando necessario, preferisce lasciare che io e mio fratello mangiamo al posto suo.
Mia madre, invece, non ha chiuso occhio. Non dorme mai, prima della mietitura.
Ha preparato i miei vestiti che ora stanno piegati e in ordine su una sedia.
Quando finisco di mangiare faccio il bagno, cercando di rilassarmi, almeno un po'.
Poi mi asciugo e mi vesto, con la gonna marrone lunga fino alle ginocchia e la camicia color panna che mia madre aveva preparato per me, infine raccolgo i miei capelli in uno chignon veloce ma ordinato, intrappolando qualche ciuffo fuggente.
Non appena finisco di prepararmi le due sono arrivate e silenziosamente mi reco alla piazza principale, con la mia famiglia.
Durante il tragitto stiamo in silenzio, proprio come tutti gli altri che incontriamo. In giorni come questo, i distretti sono in lutto. Forse non tutti, ma il 7 di sicuro.
Quando arriviamo mi separo dal resto della mia famiglia, e mi metto in fila, qualcuno prenderà del sangue dal mio indice destro e lo schiaccerà su un registro di carta, dopo averlo analizzato, in pochi istanti.
Una volta finito vado a sistemarmi con le altre ragazze della mia età sul lato sinistro della piazza, siamo tutte in piedi.
Dal municipio una donna alta dai capelli biondo platino e non troppo lunghi, si avvia verso il palcoscenico montato per l’occasione.
I vestiti fluorescenti, la pelle colorata, mi basta guardarla per vomitare, per vedere in lei lo spreco di Capitol city.
E poi sorride,  e quel sorriso mi fa rabbrividire.
Come ogni anno, inizia con un bel discorso in cui dice che il vincitore avrà immensa ricchezza e infinita gloria, come se non lo sapessimo, il difficile però sta nel vincere.
Poi fa partire un video con la storia di Panem;
I giorni bui, l’epoca del regime di Snow, la rivolta dei ribelli, guidati dalla ghiandaia imitatrice, la vittoria dei ribelli, il crollo del nuovo governo, fino a noi.
Quando il video finisce la donna di capitol city è l’unica ad applaudire, ma ormai nemmeno lei lo fa con convinzione.
Quando vede che noi non abbiamo intenzione di imitare quel suo gesto, ci sorride di nuovo e si prepara a estrarre il tributo femmina, questa volta, il suo sorriso nasconde malizia.
Le sue mani gelide e rigide nei movimenti si sciolgono quando sono immerse nella boccia di vetro. In quel momento, tutte le ragazze, me compresa, e tutte le loro famiglie, smettono di respirare.
La mano della donna gira tra i foglietti, cercando famelica la sua prossima vittima.
Le sue dita si fermano di scatto, attaccate ad un biglietto. Lo stringe forte e lo avvicina a sé, alzandolo.
Si avvicina di nuovo al microfono e il suo volto adesso è su tutti gli schermi che circondano le pareti della piazza, e su quelli montati in strada. Con piccoli movimenti apre il piccolo pezzo di carta che aveva piegato in mano e legge un nome, il mio nome.
«Santana Lopez»
   
 
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