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Autore: Fidia    02/07/2008    0 recensioni
Infantili vagheggiamenti in una Parigi senza tempo...
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Parigi, una sera di pioggia. Battei le palpebre e scorsi fra le ciglia imperlate di lacrime un'ampia strada, la cui superficie umida riluceva come il pelo di un lago cristallino, rischiarata dagli sprazzi della sfibrata luce crepuscolare e dai tremuli bagliori dei lampioni, che correvano in una lunga sequela accanto al marciapiede. Poca gente lungo la via; si trattava di donnette esili con ombrelli dai colori smorti o violacei, di bambini festosi che sfogavano la loro connaturata verve malgrado le intemperie e il tempo burbero. Onde ferrigne abbuiavano la volta trapunta di stelle, invisibili ai parigini che si muovevano cineticamente, raggruppandosi in folle disinteressate e indifferenti.
La bottega dei giochi era gremita di uomini. Il vecchio proprietario, canuto e savio, sorrideva dietro al bancone, adocchiando bonariamente souvenir della torre e dei monumenti, sorridendo alla moglie che quieta ricamava alle sue spalle, ai piccini che scorazzavano fra gli scaffali, attratti da insignificanti particolari su cui mai gli occhi degli adulti indugiavano. Il viavai di gente era un fulmineo mutare di sagome informi, un oceano di luci raminghe e sfumature di ogni genere e tono.
Qualcuno, alle mie spalle, parlava di uno zoo, uno zoo con tanti animali, eretto nel suburbio di Parigi in cui mai mi ero addentrato. La bramosia di raggiungerlo, malgrado la tormenta imperversante, si impossessò di me con parossistica violenza, ma un rossore di malcelata vergogna mi imporporò le guance allorché mi resi conto di quanto infantile fosse il mio sciocco desiderio. Lo stoppino di una vecchia candela ancora illuminava fiocamente l’entrata della bottega, e la fiamma mi ridiede una speranza.
Uscii non appena il richiamo dello zoo lontano divenne impossibile da ignorare. Dovetti superare il fiume d’asfalto, proprio quando il languido barbaglio delle lampade si andava affievolendo e la strada di Parigi cadeva in un buio placido. Ancora pioveva. E se anche sapevo di essere diretto allo zoo, non avevo idea di che strada imboccare. Le viottole carrozzabili erano tutte molto simili: alcune lastricate con blocchetti di pietra nera, altre asfaltate per intero, con ciuffi di piantacce disordinate ai margini.
Sgocciolii più radi annunziarono l’incombente fine del nubifragio e l’arrivo di una notte serena seppur reduce di un rabbioso scombussolamento. L’empireo si era trasformato in un cosmo idilliaco. Fino a che le ultime forze non mi abbandonarono continuai a cercare lo zoo. Non distinguevo più le voci e forse ero caduto in uno stato di sonnolenza precaria, come un dormiveglia tormentoso. Sentivo uno spirito urlante dimenarsi impazzito nelle mie viscere, moltiplicando in misura esponenziale il sogno dello zoo distante. Non c’era nulla che indicasse la giusta strada. Ma la via rischiarata dai lampioni e attraversata da calessi e barrocciai serpeggiava fino all’orizzonte, infinitamente lunga, invitandomi con un occulto richiamo. Il disco lunare era infine emerso dal suo rifugio di nembi e proiettava pozze di tenue chiarore sul bitume.
Sollevai lo sguardo.
Fenicotteri rosa, con ali di fumo, si libravano in volo, seguiti da angelici pavoni, danzatori in una pista nebulosa. Allontanandosi nella caligine notturna, grazie a uno straordinario gioco di raggi, si trasformavano in puntini scarlatti e sparivano inghiottiti dalla nebbia e dal blu...
  
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