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Autore: malukuku    20/03/2014    4 recensioni
I miei ricordi a riguardo erano ormai vaghi e confusi, il ché mi aiutava a considerarli in gran parte fantasie di bambina. Restava il fatto che per quanto breve, quello strano incontro mi aveva lasciata con un certo, insidioso problema.
Genere: Slice of life, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Da bambina incontrai una persona incredibilmente bella.

Allora consideravo belle solo le principesse e la mia mamma, quasi mai gli uomini e certamente non quelli reali. (A papà volevo bene, era una cosa diversa). La persona che incontrai non somigliava né a mia mamma, né ad una principessa e non ero sicura che non fosse un uomo.

I suoi capelli rosso fuoco si muovevano continuamente, scossi da un vento che io non avvertivo, e gli occhi brillavano come tizzoni ardenti. Mi fissava e io restituivo lo sguardo, dimentica della palla che ero andata a riprendere.
Avvertivo chiaramente che fosse il tipo di persona da cui la mamma avrebbe detto di tenermi lontana. Tuttavia non mi mossi; non mi allontanai e non mi avvicinai.

Fu lui –o lei– a raggiungermi.

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Per anni mia madre fece incubi su quell'incontro. Non credeva a nessuno degli strani particolari che le avevo raccontato, solo al fatto che uno sconosciuto al parco avesse avvicinato la sua bambina di 7 anni.
Dopo essermi sentita ripetere fino alla nausea che gli occhi non bruciano in quel senso, le persone non spariscono in nuvole di cenere e nessuno può bruciare la terra camminandoci sopra, mi convinsi di aver immaginato buona parte della vicenda. I bambini sono fantasiosi, è risaputo.
Un estraneo mi aveva chiesto di seguirlo e io ero scappata: questa era la versione a cui finii per credere.

Rimase il fatto che in qualche modo quell'episodio mi segnò. Le persone belle, o che io reputavo tali, iniziarono a spaventarmi. Non al punto da piangere o mettermi ad urlare, però abbastanza da farmi tremare le ginocchia.
Il problema si fece più spinoso quando diventai adolescente e scoprii di essere un po' un'esteta. Avevo degli standard ben precisi in fatto di bellezza, la apprezzavo, la desideravo, e allo stesso tempo ne ero terribilmente intimorita.

A 16 anni mi ritrovai con una sfilza di cotte impossibili e una collezione di ex bruttini e insoddisfacenti.
A 17 mi arresi all'idea di lasciar perdere i fidanzati. In fondo era così bello, il prospetto di una vita da zitella. Mi sarei attorniata di gatti e non avrei dovuto depilarmi mai più. Bello.

- È solo un tuo blocco mentale. Un bravo psicanalista dovrebbe riuscire a sistemarti. -

- Dovrei andare da uno psicanalista perché non ho il ragazzo? Stai scherzando? -

Alessia corrugò la fronte mentre si apriva l'ennesimo pacchetto di patatine. - In effetti sarebbe come barare. -

- No, sarebbe imbarazzante. È fuori discussione, mi rifiuto. - tagliai corto chiudendo il quaderno di filosofia per poi restituirle il suo.

Certo non avevo problemi solo con i bei ragazzi: anche le belle ragazze mi spaventavano. Fortunatamente non consideravo "bello" il trucco pesante, e altrettanto fortunatamente la mia amica era di quelle che non uscivano di casa senza quintali di fard. Alessia diceva di non offendersi, perché ero io quella dai gusti strani, ma lo ripeteva troppo spesso per essere credibile.

- Se non vuoi parlare del problema con i ragazzi, parliamo di qualche altro tuo problema. - Ficcò la cannuccia nel succo come se lo stesse pugnalando. - Come per esempio il fatto che mi lascerai sola per un anno intero. -

- Guarda che quello è un tuo problema. -

Alessia tirò su forte dalla cannuccia, fissandomi in cagnesco. - Stronza. -
Risposi solo con un ghigno.

Non ero tranquilla come cercavo di mostrarmi riguardo al soggiorno studio in Inghilterra. Ero nervosa per il mio primo viaggio in aereo e terrorizzata dalla prospettiva di passare un intero anno in un posto dove presumibilmente nessuno parlava la mia lingua. Insomma, era normale esserlo, no?

Se però io ero solo preoccupata, Alessia era molto depressa per la faccenda. Fino a quando non le avevo dato la notizia, non mi ero accorta di quanto tenesse alla nostra amicizia. Mi sarei presa a calci per la mia insensibilità.
L'unico modo che avevamo trovato per addolcire la pillola, era stato scherzarci su. Se ne avessimo fatto un dramma, non sarebbe piaciuto a nessuna delle due. E comunque mancava un'intera settimana alla partenza: non era il momento di intristirsi.

- Sono disposta a perdonarti solo se mi porti qualcosa da Abercrombie; possibilmente uno dei modelli. E qualcosa dall'M&Ms Store. E qualcosa firmato da Beckham. Oppure Beckham. E anche qualcosa che ha indossato la regina. E voglio anche 007. Quello di Skyfall! Quello di Skyfall è un figo. -

- Guarda che 007 è scozzese, non londinese. -

- Avrai tutto il tempo di fare un salto in Scozia in un. intero. anno. - punteggiò con la faccia di chi sta bevendo succo di limone.

Lo faceva suonare come se questo soggiorno fosse colpa mia. Lo Stato aveva dato i fondi, la scuola aveva indetto il concorso, e la Dognibene aveva costretto l'intera classe a partecipare. L'unica mia colpa era di essere una specie di Shakespeare (ma anche di avere un culo grande come la Cina dato che il test era a crocette).
Che poi no, quale “colpa”? Stavo per andare a Londra, una delle maggiori capitali europee! Quella col Big Ben e la Regina d'Inghilterra, quella delle olimpiadi, quella di Sherlock Holmes! A parte essere una culona, non c'era proprio niente di cui sentirmi in colpa.

Stavo per farglielo notare quando mi accorsi di come stesse guardando fuori dalla finestra. Raramente Alessia era così meditabonda.
- Un anno. - si fece sfuggire - È davvero un sacco di tempo. -

Lasciai perdere l'idea di prenderla in giro. Mi concentrai invece sui lacci delle mie scarpe.
- Nah, non è poi tanto tempo. Pensa che è già passato un anno da Andrea. -

Alessia grugnì un sorriso sghembo. - Wow, tu che sai come tirarmi su il morale! -

- Ma piantala. - sghignazzai.

- Farmi pensare al tipo che mi ha messo le corna, che brava amica! - continuò stringendosi il petto con una mano.

- Era un cretino, lo sai! -

- Un cretino che mi ha messo le corna! A cui non sono mai riuscita a tirare nemmeno un pugno! - Si distese drammaticamente sul banco su cui era seduta. - È il più grande rimpianto della mia vita! -

Finalmente scoppiammo entrambe in una risata fragorosa, liberatoria. Coprimmo del tutto il suono della campanella e quasi mancammo il rimprovero del professore di Filo.
Tornate entrambe al nostro posto, passò meno di un minuto prima che mi arrivasse un messaggio.
Alexxx: “Stasera usciamo... Non è un'ordine....è un'affermazione”

Sbuffai divertita e le risposi tenendo nascosto il cellulare nello zaino.
Sof: “Se è l'ineluttabilità a volerlo P: (un ordine non ha l'apostrofo, capra)”

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Io e Alessia avevamo la fortuna di vivere relativamente vicine. Dopo dieci minuti di autobus, avremmo fatto un altro buon pezzo di strada insieme se io non avessi avuto una tappa fissa che sviava parecchio dal percorso.
Lo sapeva benissimo anche lei ma non perdeva mai l'occasione di punzecchiarmi a riguardo.

- Passi anche oggi dal gay per cui hai una cotta? - sogghignò staccando un morso dal suo Mars.

Aggrottai la fronte e storsi la bocca. Avevamo questa conversazione così spesso che ormai era noiosa. - Non ho una cotta: sono solo una persona in grado di apprezzare le cose belle. E poi che ne sai che sia gay! -

- Magari perché è un uomo e fa il fioraio? -

- Tu e il tuo sessismo gratuito . - roteai gli occhi. - Quindi secondo il tuo ragionamento, mia madre sarebbe lesbica? -

- Guarda che l'avvocato non è più un lavoro da soli uomini. È un mestiere che abbiamo conquistato con successo! - Eravamo ormai all'incrocio dove le nostre strade si separavano e ci fermammo per terminare il discorso. - Però essere un maschio e fare il fioraio è una cosa ben diversa. -

- La pianti di dirlo come se fosse un insulto? - la ripresi incrociando le braccia. - Solo perché tu non sei cultrice della bellezza, non puoi concludere che un ragazzo a cui piacciono i fiori sia gay. È un modo di pensare rozzo e primitivo; sono in imbarazzo per te. -

- Sempre a fare l'illuminata. - Accartocciò la carta del Mars con quella degli altri due snack che si era mangiata in autobus e fece miracolosamente canestro in un cestino poco lontano. La piccola vittoria la distrasse abbastanza da lasciar cadere la questione “lavori da gay”.
- Vabbè, se davvero ci tieni a fare la figura della stalker, non sarò io a fermarti. Mi chiedo solo perché non ti sia ancora dichiarata. Guarda che non ci vuole molto a provarci con qualcuno. -

Incassai ancora di più la testa nelle spalle. Se l'argomento di prima era noioso, questo non mi piaceva per niente. - Te l'ho detto che non è una cotta. Mi basta guardare. - borbottai a disagio.

Alessia mi dedicò l'occhiata che serviva a ricordarmi quanto fossi strana. Avevo provato a spiegarle le gioie del “guardare e non toccare” una marea di volte; abbastanza da concludere che non avremmo mai trovato un punto di incontro. Era un pensiero che proprio non riusciva a concepire.

- Ricordati che ci vediamo stasera. - mi salutò con uno sfarfallio di dita prima di voltarsi e imboccare la strada di casa.
Io mi diressi nella direzione opposta, pregustando il delizioso incontro che mi attendeva.

Era ormai più di un anno che avevo scovato questo negozio in cui lavorava il commesso più avvenente che avessi mai visto. Praticamente tutto in lui parlava di delicatezza e grazia: dal modo in cui salutava i clienti, a quello in cui si spostava per il negozio. Sul lavoro teneva i capelli setosi legati in una coda bassa, portava occhiali ovali dalla montatura sottile e aveva un sorriso disponibile che gli illuminava il viso.
Pensavo che gli uomini belli come donne esistessero solo nei manga ma per fortuna mi sbagliavo. Ammirarne uno dal vero era infinitamente gratificante, mi faceva tornare la speranza nel genere umano.

Siccome era fra le persone più belle che avessi mai visto, ovviamente il mio piccolo trauma si manifestava a piena potenza con lui. Il primo mese non ero riuscita nemmeno a superare la soglia della porta, restando a spiarlo dalla vetrina come un guardone. (Di fatto Alessia non aveva tutti i torti a definirmi una stalker).
Adesso non avevo più difficoltà ad entrare e ogni tanto comprare qualche fiore. Sul fare conversazione stavo ancora lavorando.

Forse era quella la terapia giusta per superare la paura dei bei ragazzi. Poco per volta, a piccoli passi e con una magnifica creatura dall'altra parte di un bancone. Tsk, macché psicologo.

- Dieci anni, come promesso. -

Fu solo grazie alla voce che riuscii a fermarmi in tempo: ancora un passo e mi sarei scontrata con il suo proprietario. O proprietaria? Era un'inflessione così insolita che non riuscivo a distinguerne il sesso.

Risalii con lo sguardo la figura che avevo davanti e persi del tutto la capacità di parlare, muovermi o ragionare.
Capelli rosso fuoco mossi da un vento inesistente e occhi scuri che bruciavano come tizzoni ardenti. Con i lineamenti affilati composti in un'espressione troppo terrificante da poter definire sorriso, svettava su di me come una colonna di fuoco, del tutto uguale a com'era nei miei ricordi.
Stava in equilibrio sulla punta di un piede solo, come se non avesse peso. Si teneva il gomito con una mano e la guancia con l'altra, la testa inclinata di lato. Mi osservava.

- Ti ho fatto aspettare - riprese con il suo accento sibilante, simile al crepitio della carta che brucia. - ma finalmente ti sei insaporita al punto giusto. -

Ero sola sul marciapiede.
Nessuno si accorse dell'essere spaventosamente bello che si piegò su di me per prendermi il viso fra le mani e darmi un bacio sulla fronte. Nessuno mi vide sparire in una nube di fuliggine.

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Ho 7 anni e questa strana persona mi è arrivata ad un passo di distanza, non smettendo un solo attimo di guardarmi. Non posso fare altro che ricambiare lo sguardo.
Chissà se è un bello o una bella.

Quando apre la bocca, fa uscire due sottili fili di fumo insieme alla voce. - Di solito mi interessa più il talento della potenzialità ma tu sei un bocconcino niente male. -

Sono sul punto di precisare che sono una bambina, non cibo, ma decido che prima voglio sentire tutto il discorso. Ha il genere di voce che trovo piacevole ascoltare; la stessa della mamma quando mi racconta le fiabe.

- Se ti lascio andare, diventerai una figura di spicco della politica internazionale. Grazie al tuo contributo, molti conflitti fra Paesi saranno appianati e molte antipatie fra leader politici verranno sanate. Laureata a Cambridge a pieni voti, scrittrice di successo, donna libera ed emancipata dalla personalità magnetica. Una vita lunga, una vecchiaia lucida e in salute, una morte serena nel sonno. Davvero un futuro invidiabile, non c'è che dire. -
Quelle che mi sembrano fiamme, guizzano più lucenti nei suoi occhi. - Lasciarti andare sarebbe da sciocchi. -

Con la netta sensazione che stia per succedere qualcosa, rimango in attesa.

Il momento passa, interrotto da un suo lieve sospiro.
- Purtroppo mi sembri ancora un po' acerba. - Chiude gli occhi e incrocia le braccia. - D'altro canto però la potenzialità non è come il talento. Se aspetto, non è detto che il tuo futuro prenda la piega prevista. Ahh, che dilemma, è per questo che preferisco i virtuosi di natura. -

Credo che abbia finito. O almeno, ci sta mettendo parecchio a pensare: forse adesso posso parlare io.
Indico i suoi piedi, attorno ai quali l'erba è diventata tutta grigia. - Come fai? E perché non hai le scarpe? -
Faccio per spostare il dito verso la sua faccia ma ricordo che indicare le persone non è molto carino. - Perché ti esce fumo dalla bocca anche senza sigaretta? Cos'hai mangiato? E gli occhi non ti fanno male? Non ti bruciano? Sembra molto doloroso! Dovresti metterci un po' d'acqua. -
Per ora credo che le domande possano bastare. Vorrei ancora sapere come mai i suoi capelli si muovono in quel modo e se è un maschio o una femmina ma glielo chiedo dopo.

Ho di nuovo attirato il suo sguardo su di me. Mi studia attentamente prima di incurvare le labbra verso l'alto.
Un brivido mi attraversa il corpo come una scarica. Nonostante sia bello, questo sorriso non mi piace; mi fa paura.

- Non ti fai proprio scrupoli a parlare, eh? Allora lascio che sia tu a decidere. -
Si piega su di me. Così tanto che inclinando la testa per non perdere i suoi occhi, non riesco a scorgere nemmeno un pezzetto di cielo. Mi sembra di soffocare, non voglio più starci così vicino, voglio andarmene.
- Preferisci venire via con me adesso o più tardi? -

Voglio andarmene.

- Adesso no. - pigolo accennando un passo indietro. - Devo andare dalla mamma. -

Il suo sorriso si apre e compaiono denti aguzzi, lucidi e neri come carbone.
- Va bene. - dice tornando per bene in piedi. Il movimento fa uscire nuvolette di fumo dai suoi vestiti rossi. Me ne finisce in bocca e negli occhi, facendomi tossire e lacrimare. - Direi che il punto di svolta è il viaggio in Inghilterra; fino a quel momento avrai una vita piuttosto comune. -

In mezzo alle lacrime, noto l'occhiata piena di compiacimento che mi lancia. - Attenderò dieci anni. -




 --L'Autrice Rantola--
Potete non crederci ma questa fic c'entra in qualche modo con la letteratura nordica. E non sto nemmeno parlando di quella figa; quella con guerrieri in berserk, divinità col martello, sanguinose battaglie e magnifiche creature maligne!
Semplicemente Ibsen mi fa pensare troppo (e mai a cose utili per un esame =3=) 

 

  
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