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Autore: _Nightingale    20/03/2014    4 recensioni
«Lei non è come noi, Harry» mi urlò Tommo dall’altra parte della stanza, guardandomi dritto negli occhi con i suoi cristalli di ghiaccio, mentre attorno a noi gli oggetti volavano liberi a mezz’aria, mossi dalla sua rabbia. «Lei non è come noi, fattene una cazzo di ragione!»
Fermai un vaso prima che si scontrasse contro la parete, mandai a fanculo tutti i miei buoni propositi ed alzai la voce anch’io. «Tu non puoi capire, tu non sei mai stato innamorato!»
«Senti piccola canaglia, te lo dirò un’ultima volta» sussurrò lui, avvicinandosi a me, senza interrompere il contatto visivo neppure per un battito di ciglia. «È una Horan, e gli Horan sono demoni, e noi siamo angeli, capisci? Siamo fatti per scontrarci ed ucciderci, non per innamorarci. Quindi vedi di farti passare questa pazzia, perché se lo scopre suo fratello sai benissimo che non ti coprirò»
Forse avrei dovuto ascoltarlo, quel pomeriggio di tanto tempo prima. Forse mi sarei risparmiato un sacco di botte, oltre che l'arresto. Forse mi sarei dovuto fidare di lui, e chissà, forse se l'avessi ascoltato ora non starei correndo a salvare Lacey da morte certa.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO




 
HARRY

Lacey
Mi svegliai di colpo in preda al panico, con il respiro affannato ed il battito cardiaco accelerato ben oltre il normale. L'avevo sognata, di nuovo. Sempre la stessa scena, la stessa oscurità, la stessa oppressione, la stessa terribile sensazione di adimensionalità; ogni notte lo stesso silenzio, lo stesso scambio di sguardi, la stessa muta richiesta di aiuto. Ogni mattino mi svegliavo con lo stesso amaro in bocca che la sua immagine mi aveva lasciato, ed ogni sera mi addormentavo con lo stesso desiderio misto a paura di rivederla.
Cercai di mettermi seduto per riprendermi un po', ma scoprii amaramente che le mie mani erano bloccate: del freddo metallo mi circondava i polsi, inchiodandomi al letto ed impedendomi ogni movimento. Ruotai velocemente lo sguardo nella penombra che circondava lo spazio attorno a me, e vi distinsi il bianco del soffitto sopra la mia testa, le pareti ben imbottite, la porta di piombo blindata e ben chiusa dall'esterno. Assalito dal terrore cercai nuovamente di ribellarmi, ma non vi fu verso: le manette erano inflessibili.
Dove mi trovavo?
Perché non stavo dormendo tranquillo nella mia stanza assieme a tutti gli altri?
Perché ero tenuto prigioniero?
E poi, all'improvviso, un ricordo riaffiorò nella mia mente, e la invase completamente.


Forza, sediamolo! gridò qualcuno, puntando un ago contro il mio braccio e pungendolo.
Sentii il liquido scorrermi nelle arterie e raggiungere ogni parte del corpo, fino alle punte dei piedi che iniziarono a informicolarsi.
Che ha fatto? chiese una donna, forse un'infermiera.
Una luce a led mi accecò la pupilla, e delle mani mi presero di forza e mi caricarono su una barella.
Ha rotto il naso e chissà che altro a Scott rispose una terza voce, che alle mie orecchie arrivò bassa e soffusa.
Lentamente gli occhi iniziarono a chiudersi e le forze mi abbandonarono, facendomi entrare in una dimensione di suoni ovattati e giochi di luce. Le palpebre si serrarono definitivamente, ed io caddi in un sonno profondo.
 

La camera bianca.
Era così che la chiamavano.
Ci rinchiudevano quelli facili alla violenza e quelli che tentavano di porre fine alla propria vita, e tutti quelli che prendevano parte, seppur passivamente, alle risse che spesso capitavano a pranzo, quando tutti eravamo riuniti nel grande refettorio, sotto lo sguardo vigile degli inservienti. Avevo visto tante volte i medici buttarci dentro qualcuno, ma mai avevo avuto l'onore di entrarvi o anche solo darci un'occhiata da vicino. Chi aveva avuto la fortuna di uscirci con le proprie gambe raccontava come il vuoto e il silenzio ti facessero impazzire davvero: te ne stavi lì, con i tuoi pensieri urlanti nella testa che ti penetravano fino al midollo, nessuna possibilità di distrazione, nessuna possibilità di salvezza. Bastavano un paio d'ore, lì dentro, a farti morire.

Ed il fatto che anch'io vi fossi rinchiuso non faceva altro che aumentare la mia frustrazione; stare lì, in quella prigione, era un supplizio enorme. Dovermi mescolare a quella folla di psicopatici, dover mangiare con loro, dormire con loro, lavarmi con loro, ascoltare i loro discorsi perversi, dover stare zitto senza mai alzare un dito contro chi mi sfotteva. Mi ero concesso soltanto una volta il lusso di replicare, e quelle ne erano le conseguenze.


Allora, Styles, come sta la tua cara amichetta dagli occhi blu? mugugnò Scott mentre gli passavo davanti per sedermi sulla mia panchina, quella all'ombra del salice, dove passavo i miei pomeriggi a scrutare il cielo e dimenticare il resto del mondo. Proseguii per la mia strada senza voltarmi, senza prestargli troppa attenzione, mentre lui continuava.
Che fine ha fatto la tua bella bambolina?
Finsi nuovamente di non averlo sentito, mentre dentro di me il sangue si scaldava e ribolliva nelle vene insieme alla rabbia.
Che c'è piccolo Styles, hai forse paura di me? Vuoi che chiamiamo la mamma così ti viene a prendere? Ah no già, la tua mammina non c'è più! esclamò tra le risate dei suoi compari, che subito si complimentarono con lui per il colpo ben segnato. Strinsi forte i pugni e mi imposi di non reagire, o sarei finito nei guai. Non dovevo. Non potevo.
Quel colosso di novanta chili si alzò in piedi e venne verso di me, strattonandomi per una spalla.
Lasciami stare, Scott gli intimai allontanando da me la sua possente mano. Cercai di mantenere un respiro regolare per non dargli la soddisfazione di essermi incazzato, ma i miei tentativi sembrarono inutili.
Avete capito? Devo lasciarlo in pace! Altrimenti che farai? Correrai a ripararti sotto le gonne di quella puttana della Horan?
Quando nominò il suo cognome non resistetti un attimo di più. Non aveva il permesso di insultarla, di ridere di lei, di far uscire quelle cinque lettere dalla sua lurida bocca da pompini. Neanche due secondi dopo era a terra, io a cavalcioni su di lui a sfogare il mio disappunto, le guardie già in arrivo pronte a fermare la mia ira a suon di manganello.
 

Almeno avevo avuto il mio momento di gloria, pensai. E mi trovai a sorridere, in quella stanza buia, tra me e me, nonostante il velo di tristezza nei miei occhi. Era proprio vero che è la solitudine a portare un uomo alla pazzia. Ma io ero pazzo, altrimenti perché mi ritrovavo chiuso in un ospedale psichiatrico? L'importante è crederci, si dice, quindi io che ero? Non ero pazzo, non lo ero mai stato, mi avevano internato senza che io potessi ribattere e reagire. Scacciai il ricordo prima che al mio cervello venisse la brillante idea di aprirlo ed analizzarlo, altrimenti sarei finito per prendere a pugni quella stupida parete ricoperta fi materassi, destinati ad attutire le urla dei prigionieri e a proteggere gli altri – ma soprattutto loro – da loro stessi.

Una fitta improvvisa alle tempie interruppe i miei vagabondaggi mentali, e mi costrinse a chiudere gli occhi per cercare una via di scampo a quel dolore lancinante. Mi bastò far scendere un poco le palpebre per capire che quella non era una normale emicrania, e a farmi preparare al peggio. Iniziai a tremare convulsamente da capo a piedi, roteai più volte gli occhi all'indietro, urlai a scuarciagola come se qualche demone si fosse impossessato di me. Poi, come ka quiete dopo la tempesta, tutto finì.

Le mie membra si placarono, lo sguardo tornò fisso, il silenzio regnò di nuovo sovrano. Era da mesi che non mi succedeva, da prima che mi rinchiudessero in quell'inferno, da prima che dicessi per sempre addio alla mia vita, da prima che le mie certezze crollassero, costringendomi a trovare conforto nella mia mente malata. Com'è che li chiamavano? Attacchi di panico. Ma definirli così era riduttivo, non erano attacchi di panico, erano visioni, visioni sul passato, sul presente, a volte sul futuro. Visioni che andavano al di là del semplice sogno, delle estasi premonitrici, dei sesti sensi o di qualsiasi altro tipo di chiaroveggenza. Era una cosa molto più complessa e profonda, talmente radicata da aver condiziona in ogni minima scelta la mia vita.

Attacco di panico alludeva a qualcosa di cattivo, di sbagliato, di negativo, qualcosa di cui aver paura. Ma io non avevo paura di quelle visioni, no, facevano parte di me stesso dalla mia nascita. Non era una questione di abitudine, anzi, ancora non faticavo a riconoscerne i segnali, ma sapevo che erano lì, nell'oblio della mia mente, pronte a farsi strada tra i meandri del mio cervello al momento giusto.

Quello che temevo era ciò che potevo vedere, lì, chiaro e tondo, impresso nelle pupille come una fotografia in un album. E quello che avevo visto quella notte mi preoccupava non poco: Lacey era in pericolo, e dovevo salvarla. Poteva anche essere dall'altra parte del mondo, ma non l'avrei abbandonata, come già avevo fatto in passato. Avevo riconosciuto quello sguardo, il suo sguardo, che non avrei mai dimenticato. Era come se.. come se l'incubo che mi teneva sveglio la notte si fosse rivelato per ciò che era in realtà, un avvertimento di qualcosa che incombeva su di lei, su di me, su di noi. Ne ero certo, il mondo intero me lo stava gridando, forse chissà da quando tempo, forse avevo ritardato ad interpretare i segnali, forse era troppo tardi.

L'immagine della ragazza stesa sul pavimento in una pozza di sangue scuro mi diede la forza di stringere i pugni e i liberarmi dalla morsa delle manette, che ora giacevano spezzate ai lati del letto. Finalmente libero di muovermi mi passai una mano tra i capelli per spostarli dalla fronte sudata; ora si trattava soltanto di andarsene. Non che fosse un problema, insomma è di me che si stava parlando! Se non ero evaso prima era per il semplice fatto che mi era sempre mancata la voglia e, soprattutto, un motivo per farlo. Lì fuori non mi era rimasto nessuno, quindi che senso aveva darmi alla fuga?

Appoggiai una mano al muro imbottito alla mia destra per trovare il punto esatto di scissione, la mossi leggermente avanti e indietro per captare ogni vibrazione, anche la più insignificante, finché non lo trovai. Feci sbattere forte il palmo sulla gommapiuma ed una crepa si aprì nella parete, come avevo previsto.
Non era gigantesca, ma abbastanza grande da farci passare un uomo; mi avventurai nella buia fessura spessa mezzo metro, e subito un vento leggero mi scompigliò i capelli, lo stesso che all'esterno muoveva i rami spogli degli alberi e faceva tremare le inquietanti ombre proiettate dalla luna, che illuminava debolmente il parco sotto di me.

 
Data la stramba situazione mi sarei anche concesso una risata ed un respiro sereno a pieni polmoni, peccato che mi trovassi in bilico sul cornicione dell'ultimo piano a quasi venti metri d'altezza. Questo non mi impedì di sorridere come non facevo da tempo, con il cuore sereno ed un desiderio di libertà finalmente esaudito. Chiusi gli occhi un'ultima volta per godermi l'intensità di quella notte, poi, dicendo addio alla mia vecchia vita, saltai, inghiottito dall'oscurità che nulla lasciava intravedere.




LOUIS

Harry
Aprii gli occhi nell'esatto istante in cui il telecomando cadde rumorosamente sul parquet con un tonfo sordo e disordinato.

Che ore erano?
Mezzanotte, forse?
Dovevo essermi scomodamente addormentato sul divano mentre guardavo un noiosissimo film trasmesso dalla TV via cavo, a giudicare dall'indolenzimento delle gambe, che si stavano rifiutando di sostenere il mio corpo nel delicato processo di alzarmi per raggiungere la cucina. Il sonno improvviso mi aveva prosciugato la gola, lasciandomi una sensazione di disagio e malessere, che per fortuna potevo spazzare via con un semplice bicchier d'acqua- anche se, conoscendomi, mi sarei scolato l'ennesima birra. Dopo cinque lunghissimi minuti riuscii ad abbandonare il mio letto improvvisato e mi diressi al frigo, per prendere qualcosa da bere; la finestra sopra l'acquaio si aprì nonostante l'avessi chiusa prima di cena, e fu allora che lo sentii.

Il vento.
Quel vento.
Il vento che muove le tende e ti mette in disordine i capelli, il vento che ti stride nelle orecchie e penetrando attraverso i vestiti ti si insinua nelle ossa, il vento che ti impedisce di camminare a testa alta, il vento che annuncia un cambiamento. Sì, non c'era dubbio, era proprio lui. E, a giudicare dal nome che avevo pronunciato nel dormiveglia potevo intuire chi stesse per entrare nella mia vita. O meglio, chi stava per travolgerla, dopo tutto quel tempo, esattamente come la prima volta, senza lasciarmi via di scampo.

E, affogando tra i ricordi che di lui mi restavano e che a lungo avevo cercato di reprimere corsi ad aprire la porta. Quella notte lui sarebbe tornato, ed io sarei stato pronto a dargli la lezione che si meritava.





 



ECCOMI TORNATA CON UNA NUOVA FANFICTION. ♥
Lo ammetto, questa storia del sovrannaturale un po' mi spaventa, perché è la prima volta che mi avventuro in questo genere!
Diciamo che l'idea è nata per caso guardando Frozen, e poi affezionandomi a Twilight.. e in una noiosissima ora di filosofia sull'empirismo inglese mi è uscito questo.
Questo primo capitolo credo di averlo scritto decine di volte, e neanch'ora mi soddisfa completamente - ma sono giunta alla conclusione che non lo farà mai, quindi eccomi qui.
So che ve l'avevo promesso secoli fa, ma soltanto oggi mi sono convinta che valeva la pena tentare la sorte, e chissà, magari a voi piace molto più che a me hahaha
Come sempre vi invito a farmi sapere che ne pensate e - dato che ho pronti solo 8 capitoli - sono ben accetti anche consigli su trama, personaggi e setting.
Che altro?
So che per adesso ho introdotto soltanto Haz e Tommo, ma tranquilli che arriveranno anche gli altri ;)
Un abbraccio a chi è giunto fin qui (xx) spero sia di vostro gradimento e mi scuso già in anticipo dato che i tempi di aggiornamento saranno molto più lunghi!
Bye bye!

_Nightingale

PS: che ve ne pare del banner?



 
   
 
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