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Autore: Glorfindel of Utumno    09/12/2004    0 recensioni
Una nave galleggia solitaria nello spazio. Un capitano mezzo pirata pensa di ricavarne un utile. Ne ricavera' la piu' grande rivoluzione dai tempi della dimenticata Numenor.
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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La grande nave galleggiava immobile nello spazio, circa trecentocinquanta miglia a prua dell' "Asimov". La sua struttura aggraziata, le linee sinuose dello scafo, le torrette minacciose non lasciavano dubbi sulla sua provenienza.

"Elfi, direi. Anche se non so cosa ci facciano in questa regione dello spazio."

"Non sia troppo precipitoso, signor Callaghan. La fretta è una cattiva consigliera, e, anche se non dubito che lei abbia ragione, è meglio aspettare il responso del roboanalizzatore. Non vorrei dare inizio a qualcosa che non saprei concludere."

Il navigatore dell'Asimov, un pezzo d'irlandese dai capelli rossi e dal fisico imponente, si volse verso il capitano Thorndyke.

"Ho percorso innumerevoli anni luce in questa parte di spazio, capitano, e so riconoscere una nave elfica quando la vedo. E quella è una nave elfica. Senz' ombra di dubbio. Probabilmente ci sta già puntando addosso i suoi cannoni."

"Correremo questo rischio, signor Callaghan." rispose il comandante. "Signor Nakaru: lo scudo è efficiente?"

"Potenza 100%, capitano. Armamento pronto. Bersaglio inquadrato. Dobbiamo far fuoco?"

"No, per ora. Aspettiamo il responso dell'analizzatore."

 

L'Asimov, costruito nella seconda metà del secolo precedente, era una nave di medie dimensioni, di quelle che effettuano il servizio di linea sulle lunghe tratte. Benchè non si trattasse di una nave da guerra, pure aveva uno scudo deflettore e due batterie di cannoni a ioni, per trattare con i numerosi pirati che infestavano lo spazio del Procione (od eventualmente sostituirsi a loro). Lungo duecentocinquanta metri, stazzava circa centosettantamila tonnellate, e poteva trasportare fino a quattrocento passeggeri, più i trenta uomini d'equipaggio e i venti marines di scorta.

La nave che gli stava di fronte era decisamente più grossa, sei o settecento metri di lunghezza per almeno mezzo milione di tonnelate di stazza, e sembrava potentemente armata. Pure, era perfettamente immobile. Due grandi fori scuri, a poppa, tradivano la presenza dei grandi motori a ioni, spenti. Nessuna luce brillava nello scafo metallico, nessun movimento tradiva la presenza di un equipaggio. Cosa ci potesse fare una nave del genere in quel settore, ferma, era un mistero che il comandante dell'Asimov non riusciva a risolvere.

 

"L'analizzatore ha terminato, signore. Ecco il responso."

"Grazie signor Renson. Può tornare al suo posto."

Il comandante volse gli occhi allo schermo posto sulla sua poltrona. Sullo sfondo chiaro spiccavano linee e diagrammi, che illustravano la nave nemica fin dove gli occhi elettronici dell'analizzatore erano riusciti a penetrare.

"Elfica, senza dubbio. Un incrociatore da battaglia. Ora, signori" disse il comandante, alzando la voce "rimane da scoprire cosa ci faccia un incrociatore da battaglia elfico abbandonato da queste parti. L'analizzatore non ha rilevato forme di vita. Il supporto vitale sembra funzionare, ma tutti i sistemi d'armamento appaiono disattivati. Lo scudo è abbassato. Non credo che ci sia qualcuno a bordo."

Gli ufficiali presenti sulla plancia si guardarono l'un l'altro. Nessuno si era mai trovato in una situazione del genere. Pochi avevano visto navi elfiche, nessuno ci era mai salito a bordo. Eppure qualcosa bisognava decidere.

"Suggerisco di lasciarla qui e andarcene. Dopotutto non sono affari nostri." suggerì il navigatore Callaghan.

"Abbiamo un'opportunità unica, di catturare una nave di quel genere, e lei vuole fuggire! Mi meraviglia, signor Callaghan " ribattè il tenente Renson, addetto alle comunicazioni "che lei non riesca a vedere le grandi prospettive che ci si aprono. Io dico, capitano, che questa è un'occasione unica, e che la dobbiamo sfruttare. Dobbiamo inviare immediatamente una squadra su quella nave."

"Signor Nakaru?"

"Non ho mai visto nulla del genere, capitano. Non so cosa dire. Sicuramente è deserta; la ragione, però, mi è ignota." rispose l'addetto alle armi di bordo. "Sicuramente ci è possibile inviare una squadra; abbiamo venti marines a bordo, ed una scialuppa d'assalto. Non credo ci sia pericolo - almeno non immediatamente."

"Signor Callaghan?"

"Non c'è traccia di altre navi nel raggio dei nostri sensori, signore. Nè abbiamo rilevato distorsioni spaziali recenti. Credo che questa nave sia qui da almeno una settimana."

"Questo è molto strano" - ribattè Renson - "si tratta di un oggetto piuttosto grosso, anche in termini di astronavigazione. Il nostro rilevatore gravitazionale è stato in grado di individuarla a tre ore luce di distanza. E le navi da guerra dispongono di strumentazione anche più efficiente. E non è credibile che nessuno sia passato per questa rotta in una settimana" concluse Renson.

"La decisione spetta comunque a voi, capitano" intervenne il secondo ufficiale, tenente Holridge.

"Lo so, accidenti" sbottò Thorndyke "D'accordo, e speriamo che sia la decisione giusta. Signor Nakaru: che una squadra di cinque uomini si prepari a salire a bordo dell'incrociatore. Dovrà verificare che non ci siano pericoli in agguato. Signor Renson: che una squadra di tecnici si prepari a salire a bordo non appena avremo il rapporto del sergente Corrigan. Signor Callaghan: si mantenga in un'orbita stabile a 250 miglia dall'incrociatore, e occhi aperti. Vediamo quale sorpresa ci riserva quel grosso uovo."

 

Con un rombo simile al tuono sulla lontana Terra la navetta si staccò dall'Asimov. Nonostante l'isolamento dato dalle paratie corazzate, in grado di resistere ad un colpo diretto di laser, la sensazione di vuoto data dallo spazio esterno era ben presente tra i cinque marines della squadra d'assalto. Il sergente Corrigan proveniva dalle colonie Arturiane, un immenso agglomerato di piattaforme spaziali situato a poca distanza dalla grande stella rossa. Era un uomo di circa cinquant'anni, tarchiato e muscoloso; nonostante apparisse quasi goffo nella sua armatura da battaglia, pure era un combattente di prim'ordine, veterano della terribile guerra delle Nazioni. Però, nonostante tutta la sua esperienza, o forse a causa di questa, non era tranquillo. L'immensa nave davanti a lui poteva cancellarli dallo spazio con un solo colpo dei suoi grandi cannoni, o semplicemente distruggerli con una manovra improvvisa. Secondo il comandante non doveva esserci nessuno a bordo, pure dovevano stare attenti.

La navetta si avvicinò all'incrociatore, fino ad accostare le paratie alla corazza esterna, e lì rimase, come uno scarafaggio su un dinosauro. Il dispositivo magnetico d'abbordaggio teneva le due navi unite; non fu difficile per gli uomini della squadra d'assalto praticare un foro nella spessa corazza esterna della nave nemica. Uno ad uno entrarono tutti, tranne i piloti della navetta.

Il sergente si trovò in un'ampia sala dalle pareti metalliche, con un'immensa porta su di un lato, ed alcuni corridoi che si allontanavano dall'altro. All'interno, un mucchio di casse di plastica, pezzi di metallo, recipienti semiaperti, oggetti distrutti. Sulle pareti si notavano chiazze brunastre, bruciature e colate di metallo fuso. Una delle porte d'accesso giaceva fusa sul pavimento.

"La stiva direi" parlò nell'interfono uno dei marines "e sembra che si sia combattuto in maniera piuttosto violenta."

"Già" disse un altro "ma dove sono i cadaveri? Qui non c'è nessuno."

"Secondo lo schema, il ponte di comando e la sala di navigazione sono da questa parte" disse l'addetto alle comunicazioni indicando una porta semidistrutta.

I cinque uomini attraversarono la porta, trovandosi in un corridoio che proseguiva diritto, con alcune porte ai lati. Le pareti sembravano intatte, anche se un graffio qua e la indicava che pure li si era combattuto. Spesso trovavano cartelli ed indicazioni, scritte nell'elegante alfabeto elfico. Grazie al traduttore automatico fu facile per i marine raggiungere il ponte di comando. Durante tutto il viaggio la squadra si era imbattuta in evidenti tracce di lotta: porte sfondate, graffi profondi nelle pareti, attrezzature distrutte. Pero' nessuna traccia di corpi. Nessun essere vivente - e nessun cadavere.

 

Le creature che il comandante dell'Asimov ed i suoi ufficiali chiamavano “elfi” non avevano in realtà molto in comune con gli elfi della tradizione classica terrestre, a parte l'aspetto fisico. Si trattava di una razza aliena scoperta circa duecento anni prima, quando l'uomo era intento ad esplorare (e colonizzare) lo spazio circostante da almeno quattrocento anni. Non si era trattato di un incontro pacifico: la nave terrestre aveva immediatamente aperto il fuoco con i suoi potenti cannoni laser appena individuata la nave nemica. Solo che non era servito a nulla. Lo scafo argenteo sembrava protetto da una sorta di campo di forza in grado di respingere il fuoco delle batterie terrestri. Però sembrava che gli alieni non avessero intenzioni ostili. Nessun raggio mortale si era sprigionato dalle bocche minacciose di cui la nave era abbondantemente dotata. Al contrario, un lampeggiare su diverse frequenze (dai cortissimi raggi gamma fino alle onde lunghe) pareva evidenziare un desiderio di comunicazione.

Anni erano trascorsi da quel primo contatto. Gli uomini avevano appreso a parlare con quelle creature, anzi, avevano appreso a commerciare con esse. Grazie ai manufatti della scienza elfica il progresso sulla Terra e sui mondi umani non era mai stato tanto veloce. Le navi terrestri erano ora veloci e bene armate, ed avevano eplorato quasi tutto il quadrante originario. Il nome di quelle creature tuttavia non era stato loro comunicato, e cosi' avevano deciso di chiamarle come un antico popolo di cui si narravano le gesta nei miti terrestri. Anche perchè, proprio come gli Elfi della Terra, gli alieni si dimostravano schivi e diffidenti. Nessuno aveva mai visto un mondo elfico, nessuno era mai salito su una delle loro navi, e, anche se ormai l'uomo conosceva la loro lingua, assai raramente rivolgeva loro la parola. Man mano che le navi terrestri esploravano il cosmo, sempre piu si diffondeva tra i mondi umani la leggenda del pianeta d'origine elfico, una sorta di Eden colmo di ogni ricchezza dove gli uomini avrebbero trovato la vita eterna.

 

Il capitano Thorndyke non era di quelli che cercavano l’Eden. Era un “onesto mercante” – così si definivano quegli uomini che, armata una nave spaziale, di solito un vecchio mercantile, si davano tanto al commercio quanto alla pirateria. Di solito ex militari, tendevano a dare alla loro nave un’organizzazione che ricalcava quella delle navi della Marina, e a radunare attorno a se come quadri altri ex militari. L’Asimov in realtà era una vecchia nave di linea, una tra le prime ad essere dotata di scudi deflettori, dall’aspetto abbastanza innocuo; per questo era stata scelta da Thorndyke. Una buona nave, cui il capitano era affezionato. Ora però si affacciava una prospettiva totalmente nuova. Mentre il rapporto della squadra d’esplorazione risuonava dal tridi della sala comando (attentamente ascoltato dai cinque ufficiali) un’idea prendeva forma nella sua mente. E fu al termine del rapporto che il capitano, quasi parlando a se stesso, mormorò “e se la prendessimo noi?”

 

Gli ufficiali si voltarono sbalorditi.

“Riflettete. Quella nave è piu grande della nostra, sicuramente meglio armata, probabilmente piu veloce. E chissà quali segreti potremo trovare a bordo: robot, computer sofisticati, armi potenti.”

“Si ma non sappiamo nulla del loro funzionamento. E anche se alcuni di noi conoscono l’elfico, pure potrebbero volerci mesi anche solo per capire come farla muove” – ribattè Renson

“E poi non vorrà mica piombare nello spazio delle Colonie con un incrociatore da battaglia elfico!” - sbottò Callaghan, sottolineando la frase con un’espressione di incredulo stupore – “ci abbatteranno immediatamente.”

“Non avete tutti i torti. Eppure io penso che con l’aiuto dell’Asimov potremmo farcela. Dopotutto non abbiamo che da rimorchiare la nave fino su qualche pezzo di roccia vagante, ed usare l’Asimov per procurarci scorte ed attrezzature. Nel frattempo parte dell’equipaggio potrebbe studiare l’equipaggiamento di questa nave e capire se possiamo usarla oppure no.”

“Permette una parola, signore?” – interloquì Nakaru - “Non abbiamo ancora stabilito chi ha attaccato questa nave, uccidendo l’intero equipaggio. Potrebbero essere ancora nei dintorni, nel qual caso potrebbe essere pericoloso andare in giro con la loro preda.”

Il capitano non rispose. Nessuno aveva più in mente le scene trasmesse dal tridi, le pareti fuse, le attrezzature devastate, i crateri. Ci fu qualche minuto di assoluto silenzio, mentre ognuno cercava di immaginare cosa avesse potuto annientare totalmente l’equipaggio di un incrociatore elfico, a tal punto da far sparire persino i cadaveri. E se quel nemico misterioso fosse stato li a guardarli mentre parlavano? Se fosse stato la fuori, invisibile persino ai sensori, in attesa? I sei ufficiali non erano uomini facili a spaventarsi, eppure quel senso di insicurezza che deriva dall’avere di fronte un nemico totalmente ignoto non era facile da combattere.

“Se fosse qui ci avrebbe gia attaccato, penso. E dopotutto questa nave è qui da una settimana, no?”

 

Era passato un mese dall’incontro tra l’Asimov e l’Alcarondas (così si chiamava la nave elfica, stando a quanto scritto nei documenti di bordo), ed i lavori procedevano spediti. L’incrociatore si trovava su un asteroide talmente desolato da non avere neppure un nome – era noto solo con la sigla A-Pc-4917, secondo una vecchia notazione che usava i nomi delle costellazioni viste dalla Terra. L’Asimov aveva fatto spola con il pianeta abitato piu vicino (Alfa Procionis Quattro, anche noto col nome locale di Nova Moskva) per procurarsi attrezzature e materiali con cui riparare l’altra nave. Ora i lavori erano quasi terminati, i motori rimessi in funzione, l’armamento pronto a vomitare morte, la corazza restaurata. Il capitano Thorndyke assisteva soddisfatto al procedere dell’opera, assaporando l’attesa del momento in cui la possente nave si ssarebbe sollevata dall’asteroide – al suo comando.

 

Tuttavia non era destino che fosse lui a comandare il primo volo del nuovo vascello. Fu quando gli strumenti di bordo dell’Asimov annunciarono quel piccolo disturbo gravitazionale che indicava l’avvicinarsi di una nave in iperspazio, che il capitano capì che era finita. Prima ancora che potesse dare ordini, una massa immensa apparve nell’orbita dell’asteroide. Si trattava – il capitano la riconobbe subito – di una corazzata da battaglia della Terra. Lunga piu di cinque chilometri, potentemente armata, recava l’emblema del Sole sul ponte di comando. Thorndyke si rese immediatamente conto che non poteva opporre resistenza. Il suo gioco era stato scoperto, e lui non poteva farci niente. Neanche la nave elfica avrebbe potuto nulla contro quel mostro. Il capitano Jurgen Thorndyke vide l’occasione della sua vita oscurarsi e svanire.

  
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