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Autore: Aliceclipse    21/03/2014    1 recensioni
Avevano tutta la vita per fare incubi.
Uno, per Blaine, si era già fatto sentire.
Ed era uno degli incubi peggiori, perché doveva viverlo ogni giorno, ad occhi aperti. Scendere le scale e avere paura, una paura folle, ogni secondo di più, ad ogni gradino di più.
Quello era l’incubo.
Quello vero.
E quando l’incubo è dovuto a un trauma, si trasforma in paura. Pura e semplice Paura. Profonda.
L’inizio della Fobia.

Raccolta di OS collegate da un unico filo conduttore: le fobie.
Capitolo 1, Blaine and Cooper.
Capitolo 2, Brittany.
Capitolo 3, Sebastian e Thad.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Brittany Pierce, Kurt Hummel, Santana Lopez | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Puck/Rachel, Quinn/Rachel, Sebastian/Thad
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Beh, benvenuti. Prima di tutto, vi devo dare un avviso importante: Questa è una raccolta di OS molto, molto angst. Quindi, se avete problemi con l'angst, non leggete. Secondo avviso importante: gli unici fili conduttori delle storie saranno il tema delle fobie, e il fatto che i personaggi sono quelli che tutti conoscete grazie a Glee. Come introduzione ad ogni storia, c'è una spiegazione della paura che viene trattata. Molte sono paure che io non ho, e sono presenti situazioni che io non ho realmente vissuto, quindi mi scuso in anticipo se qualcuno le trova banali o inadeguate. In caso, potete contattarmi in qualsiasi momento su Twitter, la mia pagina di Facebook o Ask, o, se preferite, qui su efp. Vi lascio al primo capitolo, sperando che vi piaccia. Buona lettura.
Alis.







Capitolo Uno

Altezza.

La paura dell’altezza o dei luoghi alti, definita anche “Acrofobia”, è solita presentarsi in situazioni tipiche quali sporgersi dai balconi, o essere nelle vicinanze di un burrone. Come altre fobie, genera forti livelli di ansietà in quegli individui che ne soffrono, e che cercheranno di evitare la temuta situazione. Può essere, in certi casi, letta come un’irrazionale paura di cadere nel vuoto.
In alcuni casi, la paura di cadere – detta Basofobia- è talmente forte da impedire alle persone di rimanere in piedi. In caso di frattura o di trauma recente, la persona ha paura di cadere per l’incapacità di reggersi in piedi autonomamente, e sono necessarie diverse sedute di fisioterapia e il sostentamento dei propri cari per riacquistare abbastanza fiducia da superare la paura.
Un altro comune tipo di paura dovuto all’altezza è la Climacofobia, in stretta relazione con la paura dovuta alla vertigine. Si tratta della paura di cadere dalle scale, o del vuoto che una scala a chiocciola o una scala piuttosto ripida può provocare. Di solito appare quando si è avuta una cattiva esperienza o un evento traumatico che coinvolge scale (ad esempio, vedere qualcuno cadere, aver subito un perdita per una caduta). Si tratta di una fobia sociale: si possono cercare un’infinità di modi per rassicurare una persona e dissuaderla dalla sua fobia, ma questa non se ne andrà nel corso del tempo o con delle semplici rassicurazioni.

Il pavimento del salotto era piacevolmente freddo, in contrasto con l’afosa giornata d’estate. La loro casa era stata costruita tanti anni addietro, anche se Blaine non avrebbe saputo dire quando. Aveva solo sei anni, dopo tutto.  Comunque, sapeva che era antica, e che suo padre, nonostante il caldo  asfissiante, si ostinava a non voler installare in giro dei condizionatori, sperando invano che le finestre aperte bastassero a rinfrescare tutti quanti.
Il  bambino si puntellò sui gomiti, prima di allungarsi verso la scatola che conteneva i suoi pastelli preferiti. Di fronte a lui, un album di disegni, di quelli che suo fratello gli comprava spesso tornando da scuola, quando passava dall’edicola per comprare le figurine di cui faceva collezione, e che poi scambiava con i suoi compagni, quando lo venivano a trovare, o, gli raccontava lui, a scuola.
Suo fratello Cooper non era perfetto. A volte, quando era particolarmente nervoso, lo ignorava, o se la prendeva con lui. Blaine non riusciva a capirne il motivo. Ad ogni modo, per Blaine, Cooper era un punto di riferimento. Aveva un sacco di amici, cantava bene, era divertente, e il loro papà stravedeva per lui.
Spesso, il bambino dai boccoli indomabili e scuri pensava che avrebbe proprio voluto essere come suo fratello maggiore. Era il suo eroe, un modello da seguire.
Nonostante questo, tutta quella  perfezione talvolta era irritante. Quando erano in compagnia del padre, l’uomo non sembrava avere occhi che per Coop. Blaine si sentiva messo da parte. Si sentiva piccolo e insignificante nei confronti di Richard Anderson, che non lo guardava mai. A volte, Blaine pensava che suo padre lo odiasse.
C’era stato un momento, o forse più di uno,  in cui suo padre lo aveva guardato con un misto di apprensione, confusione e odio. Blaine aveva solo sei anni, e non poteva riconoscere le sfumature che quello sguardo stava inviando, ma sapeva, si era accorto, per quanto, in seguito, avrebbe provato a rimuoverlo, che secondo il padre c’era qualcosa in lui che non andava bene. Qualcosa che a Blaine sarebbe sempre piaciuto, avrebbe sempre disgustato l’uomo che esteriormente gli somigliava così tanto. Ma il piccolo non capiva, non poteva capire. Era presto. Troppo.
Con un mugolio,  il bambino si allungò di nuovo per afferrare il pastello rosso, rotolato di lato mentre, col giallo, aveva disegnato i contorni di quella che doveva diventare una casetta. Sarebbe diventata casa Anderson. Blaine avrebbe disegnato i suoi genitori, Cooper, e, alla fine, anche se stesso.
Si fermò per alcuni secondi col pastello a mezz’aria, poi sorrise, e, premendo la lingua contro il palato per la concentrazione, portò il pastello sul foglio, cominciando a colorare accuratamente il tetto triangolare.
Quando era già più o meno a metà del tetto, il rumore di una sedia che strideva sul pavimento, esattamente sopra di lui, lo fece sobbalzare per lo spavento.
Di sopra, i suoi genitori stavano evidentemente discutendo. Blaine alzò gli occhi verso il soffitto, mentre il rumore di passi agitati, di colpi, e di voci concitate gli arrivavano alle orecchie.
Era confuso. Terribilmente confuso. Tutta quella confusione, quando prima c’era stato completo, assoluto silenzio, lo turbava profondamente.
Il bambino si spinse lentamente a sedere, e si guardò intorno. Cooper era appena entrato nella stanza, e stava avanzando verso di lui.
Blaine sentiva le lacrime agli occhi. Non aveva idea del motivo, ma aveva voglia di piangere. I genitori, in quel periodo, litigavano spesso. Li aveva sentiti urlare diverse volte, ma temeva che non si sarebbe mai abituato.
Strinse i denti, tentando di non scoppiare a piangere, perché, come diceva suo papà, solo i bambini piangevano. Lui era grande. Era forte.
Ma, mentre Cooper si sedeva al suo fianco, l’espressione rassegnata e le braccia tese, pronto a prenderlo in braccio e dirgli che andava tutto bene, non riuscì a resistere, e due lacrimoni scivolarono lungo le sue guance arrossate.
Blaine si lanciò tra le braccia del fratello, e si strinse debolmente a lui, mentre, dal piano di sopra, arrivavano delle grida più forti. Cooper alzò gli occhi al cielo, proprio come aveva fatto il fratellino pochi minuti prima, come se avesse potuto vedere cosa stava succedendo. I loro genitori non litigavano mai così.
Ormai gli insulti che si urlavano, per quanto incomprensibili per un bambino di sei anni, erano udibili perfettamente, anche da lì. E facevano male. Faceva male la paura nella voce della mamma, e la rabbia, pura e semplice rabbia nella voce del padre. Anche Cooper aveva paura, tanta.
Sei una troia.
Quelle parole, e il silenzio che ne seguì, rimbombarono per alcuni minuti nella mente dei due ragazzini. Poi, le urla ricominciarono.
Blaine cercò lo sguardo del fratello, gli occhi gonfi e arrossati, colmi di confusione, e gli tirò piano la maglietta, piegando la testa di lato. Cooper scosse la testa,  scompigliandogli i capelli con una mano.
Blaine non è mio figlio, cazzo, quando avevi intenzione di dirmelo?
Non è mio figlio.
Ci fu un secondo attimo di silenzio. Poi, Blaine cominciò a singhiozzare, stringendo di più la felpa del fratello, e guardandolo.
Blaine era ancora troppo piccolo per capire tante, tante cose. Perciò, sul momento, non capì, e non avrebbe capito per tanto tempo il significato delle parole di suo padre. Ma sentirle rimbombare nelle pareti della sua mente, cercare una risposta nello sguardo di Cooper e vedere solo domande, domande e ancora domande, non fece altro che aumentare la sensazione che gli stava attanagliando il petto.
Lui era un bambino. Questo lo sapeva. Non aveva idea del motivo per cui i suoi genitori, adulti che in teoria avevano giurato di amarsi per tutta la vita, stessero litigando così.
Ma aveva capito che era colpa sua, se stava succedendo.
Blaine non era mai stato un  bambino particolarmente sicuro di quello che era. Non si sentiva sempre allegro e spensierato, aveva un sacco di paure. E la più grande in assoluto era, forse, quella di non essere abbastanza per la sua famiglia.
Si sentiva un errore. Blaine, a soli sei anni, aveva capito di essere profondamente sbagliato.
Cooper aveva allentato la presa per la sorpresa, e per Blaine non fu difficile divincolarsi dall’abbraccio del fratello, e correre verso le scale.
L’unica cosa a cui riusciva a pensare era che voleva capire. Voleva capire, e voleva a tutti i costi dimostrare al suo papà che non era cattivo, che era coraggioso, che non era colpa sua, che lui non aveva fatto niente. Voleva essere sicuro che tutto tornasse al posto giusto.
Con il dorso della mano, si asciugò le lacrime, mentre suo fratello lo prendeva sottobraccio e lo issava in aria, per poi farlo voltare dall’altro lato, senza smettere di tenerlo per le spalle.
-Lasciami!- Blaine tentò di divincolarsi dalla presa del fratello, senza troppo successo.
-Non puoi farci niente. Sono cose da grandi, B.- Cooper aveva solo cinque anni più del fratello, non era poi così grande, ma lo era abbastanza da tenerlo fermo, con qualche sforzo.
Ma Blaine continuava a divincolarsi, e, alla fine, riuscì a sgusciare via, e corse di nuovo in direzione delle scale che portavano al piano superiore.
Le grida si accentuarono.
Una volta saliti i primi gradini, sia Blaine che suo fratello s’immobilizzarono.
Nel momento esatto in cui Blaine aveva salito il primo gradino, sua madre era sbucata fuori dalla porta di una delle camere, indietreggiando, e appoggiandosi febbrilmente allo stipite della porta, mentre il marito avanzava verso di lei.
I due ragazzi rimasero fermi, il fiato sospeso.
Entrambi sapevano che stava per succedere qualcosa, almeno quanto lo sapevano il padre e la madre. Entrambi ebbero l’impressione di essere stati catapultati in una bolla. Era come se tutto, tutto attorno a loro  fosse terribilmente ovattato. Tutto sembrò incredibilmente lento, e, allo stesso tempo, troppo veloce.
Poi, la mano del padre ruotò con violenza verso il volto rigato dalle lacrime della donna dai riccioli scuri, e tutto sembrò vorticare troppo, troppo veloce.
All’improvviso, mentre la donna perdeva l’equilibrio e finiva contro una macchinina giocattolo lasciata chissà come sul bordo della rampa di scale di marmo bianco, cadendo giù, e sbattendo la testa all’indietro contro i gradini, sia Blaine che Cooper non riuscirono a trattenere le lacrime. Blaine si coprì gli occhi con le mani, singhiozzando, e candendo a sedere, mentre Cooper tentava invano di allungarsi in avanti, gridando.
Lisa Anderson rimase immobile, dopo un ultimo tonfo, esattamente a metà delle scale, e il silenzio invase la casa, interrotto solo dai singhiozzi di Blaine. Mentre Richard osservava la scena che gli si parava davanti, preso dal terrore. Aprì la bocca, mentre il mondo gli crollava addosso, ma non disse nulla. La sua gola era terribilmente impastata.
Anche Cooper rimase a mezz’aria, osservando la madre, sperando di vederla rialzarsi, di sentirla parlare.
Non successe niente.
Alla fine, solo Blaine, incerto, si mosse a gattoni sui gradini, continuando a singhiozzare, chiamando piano la madre, con la voce rotta.
Suo padre e suo fratello lo fissarono, sperando che qualcosa sarebbe cambiato.
Sapevano che non sarebbe successo niente.
Blaine, però, continuò a salire. Le ginocchia e i palmi delle mani erano innaturalmente freddi, premuti contro il marmo delle scale.
Ma Blaine non si fermò, nemmeno quando rischiò di scivolare sulla striscia rossa che gocciolava, all’altezza della testa della mamma.
Il bambino la scosse piano, tentando di non piangere. Perché se le mostrava che era forte, forse gli avrebbe detto che stava bene. Che andava tutto bene. Che non era niente.
-Mamma?- Sussurrò, scuotendole piano la schiena. Non poteva accorgersi del fratello che si avvicinava a loro, né del padre che era sparito in camera, alla ricerca del telefono con cui avrebbe chiamato l’ambulanza. Sapeva solo che aveva bisogno della sua mamma.
Ma la sua mamma non rispondeva.  Si aggrappò a lei, e pianse ancora, mentre tutto, intorno a lui, si faceva scuro.
E, quando l’ambulanza arrivò, lui era ancora lì. Quando delle persone che non aveva mai visto si avvicinarono, Coop lo spinse piano per una spalla, il volto sconvolto, tentando di farlo scendere giù.
Blaine guardò in basso, verso, tutte quelle persone, verso tutti quei colori, verso tutta quella luce, e i gradini gli sembrarono terribilmente troppo alti. Ogni passo che faceva verso il basso era una tortura. Ogni passo che faceva verso il basso rievocava quello che aveva appena visto. Alla fine dell’ultimo gradino, scoppiò a piangere di nuovo, e, quando il fratello lo prese in braccio, lui affondò la testa nella sua spalla, per non vedere giù.
-Ho paura, Coop. Voglio la mamma.-  Cooper si strinse a lui. Era estate, ma faceva un freddo terribile, in quel momento. Un freddo che scavava nella pelle di quel bambino di sei anni, e di suo fratello di undici.
Erano piccoli. Si sentivano piccoli. E impotenti. E non sapevano cosa fare, non avevano idea di cosa sarebbe successo. Si sentivano confusi e stanchi. E non potevano capire. E forse era meglio così.
Ma anche non potendo capire, sapevano che tutto stava per cambiare. Che era l’inizio di qualcosa di spaventoso e sconosciuto.
Per la prima volta, così presto, la vita aveva loro offerto la prova che tutto, tutto può cambiare da un momento all’altro. Che le certezze crollano, mutano.
Cadono, proprio come era caduta la mamma. Proprio come, loro, in quel momento, si sentivano cadere, scivolare via. Blaine non voleva stare in piedi. Mai come in quel momento, si sentiva un giocattolo rotto, con una gamba spezzata. Non sapeva come avrebbe fatto a reggersi in piedi.
-Anch’io, Blaine. Anch’io-.
Perché nella vita è troppo facile scivolare all’indietro, portandosi tutto con se'. Blaine e Cooper lo stavano imparando in quel momento, e lo avrebbero imparato e tenuto a mente in ogni loro scelta. Per il momento, però, dovevano reggersi da soli.
Cooper strinse il fratello per l’ultima volta. Si era addormentato tra le sue braccia, e cominciava a pesare davvero troppo. Con qualche difficoltà, lo trascinò verso il divano, lo stese, e poi crollò al suo fianco, addormentato, nonostante il rumore che c’era nella stanza accanto, nonostante il volume della voce del padre, mentre parlava con degli uomini vestiti in maniera strana, non fosse per nulla basso.
Nessuno dei due, quella notte, sognò.
Avevano tutta la vita per fare incubi.
Uno, per Blaine, si era già fatto sentire. Ed era uno degli incubi peggiori, perché doveva viverlo ogni giorno, ad occhi aperti. Scendere le scale e avere paura, una paura folle, ogni secondo di più, ad ogni gradino di più.
Quello era l’incubo.
Quello vero.
E quando l’incubo è dovuto a un trauma, si trasforma in paura. Pura e semplice Paura. Profonda.
L’inizio della Fobia.


   
 
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