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Autore: Vibia Matidia    21/03/2014    2 recensioni
Tutti sappiamo la storia di Balilla, il ragazzino che, col lancio di una pietra, scatenò la rivoluzione contro gli oppressori della sua città, un nuovo, piccolo David contro Golia. In realtà, le notizie su di lui sono così scarse da dargli un alone quasi di leggenda. Di lui, oggi, è rimasto solo un nome. Chi era, in realtà, Giovan Battista Perasso, detto Balilla? Questa è la mia risposta. Un tuffo nella Genova del XVIII secolo. Enjoy.
Genere: Azione, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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You want a revelation, some kind of resolution. You want a revolution. 

Isabella si sistemò meglio il giaco liso, mascherando le sue forme femminili.
Aveva raccolto i suoi boccoli castani sotto un berretto e aveva tracciato sulle gote degli aloni 
nerastri, spalmandosi della fuliggine che aveva grattato via dal caminetto, di nascosto.

Si guardò allo specchio di sfuggita: l'impressione era quella di un ragazzino ancora imberbe, uno 
dei tanti mucciûsi di Prè che stavano perennemente a zonzo per i vicoli della città, combinando 
marachelle e scatenando il borbottare dei bittegæ [1].
Era il travestimento ideale per perlustrare le vie ed entrare in contatto con il popolo, cosa da 
sempre impeditale, per via dei suoi natali. Da quando Adorno e le sue truppe di crucchi e soldati 
sabaudi erano arrivati nel luglio scorso, il malcontento dilagava, e lei voleva tenersi aggiornata.

Ancora ricordava quel giorno infausto.

Avevano da poco finito di assestarsi nella nuova residenza, in seguito alla nomina di suo padre, 
avvenuta solo quattro mesi prima. Erano i primi di settembre, il giorno di San Bonifacio, per essere 
precisi.

Suo padre era nel suo ufficio, come di consueto, ormai, da quando l'Europa era divenuta teatro di 
molteplici conflitti per il possesso della corona imperiale d'Austria. Giochi di alleanze molto 
delicati si erano tessuti, bastava pochissimo per rompere quel fragile equilibrio.

Adorno e le sue truppe piombarono inattesi, come un fiume in piena calarono dai monti sino giù 
alla costa di Sampierdarena, a un passo dal cuore della città. Respinti più volte i tentativi di 
conciliazione proposti dai notabili cittadini, Adorno entrò in armi nella città che fu dei suoi avi.
Tutte le famiglie nobili residenti erano sfollate, fiutando vento di burrasca. Solo suo padre non 
aveva potuto allontanarsi, e quindi nemmeno lei e sua madre. Erano soli dinanzi all'invasore, 
impotenti e impreparati.

Antoniotto Botta Adorno prese il potere due giorni dopo, il 6 settembre 1746. Allontanati a forza 
dal palazzo Ducale, lei e la sua famiglia furono scortati dagli armigeri sino alla loro vecchia 
residenza di palazzo Rosso.
Aveva origliato di nascosto, quando suo padre si era presentato supplice al cospetto del Tedesco, 
implorando pietà per la sua città.
"Aî Zeneizi lassiô sulu î euggi pe' cianze ", era stata la risposta. [2]


Erano passati alcuni mesi, da allora. Si stava avvicinando il Natale di Nostro Signore, ma pochi 
quell'anno avevano il cuore di festeggiare, nella Superba.
A Isabella era stato interdetto qualunque tipo di uscita che non avesse ricevuto la diretta 
approvazione di Adorno; da quel settembre era uscita solo due volte per vedere il mare in Darsena, 
ma era tenuta sotto stretta sorveglianza. Le era venuto spesso da ridere: cosa pensavano che 
avrebbe potuto mai fare, lei, una ragazza di vent'anni appena compiuti, da trattarla alla stessa 
stregua di un pericoloso criminale?
Aveva dovuto sopportare, inoltre, benché sporadicamente, le attenzioni dello stesso Adorno, che 
aveva sviluppato una certa inclinazione, lui, un sessantenne, per lei, che aveva avuto la sfortuna di 
essere l'unica fanciulla di nobile nascita rimasta in città. Fortunatamente i suoi genitori si 
premuravano di tenerla il più possibile al riparo da tali attenzioni, che però, secondo loro, 
sarebbero potute essere facilmente evitate, se fosse già stata promessa a qualche giovane di buona 
famiglia.
Isabella tuttavia non vedeva il matrimonio tra le sue priorità: il suo unico desiderio era difendere il 
suo popolo, la sua città. Se sposarsi lo avrebbe protetto, in ogni caso, lo avrebbe fatto. Di certo non 
con Adorno, però; il solo pensiero la divertiva ma la agghiacciava al tempo stesso.

Da tempo aveva studiato il modo di eludere la sorveglianza: con degli abiti maschili poveri e 
molto consunti, le sue fattezze potevano facilmente essere confuse con quelle di un ragazzino di 
non più di quindici anni.
Era così che si era costruita una falsa identità, per poter aggirarsi indisturbata tra la folla. Voleva 
informarsi sempre delle condizioni di salute della sua città, toccare con mano le ferite inferte, 
saggiando il terreno in attesa di un'occasione di rivalsa.

Griphus ut has angit, sic hostes Ianua frangit. [3]
Sotto la bianca coltre di neve dicembrina, si celava il fuoco della rivolta. Isabella lo avvertiva ora 
più che mai. Dovevano solo cogliere la palla al balzo, e finalmente la città sarebbe stata libera dal 
giogo di Adorno.
Per questo aveva deciso di tentare una nuova sortita, quella mattina.
Voleva essere presente.

-Sua Grazia Isabella Antonietta Brignole-Sale, figlia di Sua Altezza Serenissima Gian Francesco, 
marchese di Gropallo e doge di Genova...-, si presentò allo specchio di fronte a lei, accennando una 
riverenza.
Sorrise di scherno nel percepire il cozzare grottesco del suo aspetto attuale con la sua altisonante e 
gravosa identità. Allora soggiunse:
-... Ma potete chiamarmi Giovan Battista Perasso, Balilla-.

 
 *

Piazza Fontane Marose era un putriggiu: la neve si era mescolata alla terra, creando una fanghiglia 
gelida e molto viscida, sulla quale i mezzi a ruote faticavano a procedere. 
Isabella, uscita da Strada Nuova, si strinse nei suoi stracci e si fece largo tra la folla, cercando di 
mimetizzarsi. 
Decise di evitare la piazza, dopo aver avvistato un plotone di soldati austriaci scendere da 
Portòria, alla sua destra. Si addentrò in via Luccoli a levante, percorrendo il dedalo di vicoli dietro Palazzo 
Ducale, dove Adorno aveva preso residenza. Era molto vicina alla tana del nemico, ma Isabella era 
relativamente tranquilla: era raro che i soldati si spingessero così dentro quel labirinto, dove solo 
un vero genovese poteva orientarsi. 
Tagliò poi verso sud in vico degli Indoratori: da piccola, era spesso entrata dentro qualcuna di 
quelle botteghe, osservando gli artigiani che, con perizia, terminavano qualche lavoro 
commissionato da suo padre.
Molte di esse erano fallite: le pesanti tassazioni di Adorno avevano reso proibitivi i prezzi dei 
metalli preziosi, costringendo molti negozianti alla chiusura per mancanza di materie prime.
Ricordava bene il pulviscolo dorato che aleggiava per la via dandole un'atmosfera quasi fiabesca. 
Ora le assi di legno gonfie di umidità che erano inchiodate a numerose imposte riportavano ai suoi 
occhi una visione spettrale, decadente.
Decise di risalire fino a piazza San Domenico, la piccola spianata triangolare dove si affacciava 
anche palazzo Ducale, alle pendici del colle di Piccapietra, cuore del sestiere di Portoria.
Avrebbe voluto passare per la via Giulia: lì erano le botteghe che furono del Maragliano e dello 
Schiaffino, le cui opere scultoree adornavano chiese e palazzi di tutta la Repubblica. Ma essendo 
una via altolocata, era tenuta sotto stretta sorveglianza da pattuglie, e Isabella, pardon, Balilla, non 
voleva guai. Perciò passò a fianco alla chiesetta di San Domenico, che dava il nome alla piazza, e si 
diresse a est, verso l'Acquasola e il sestiere di San Vincenzo.
All'improvviso, si ritrovò davanti un manipolo di soldati, intento a togliere dal pantano nevoso un 
cannoncino su ruote. Balilla non fece in tempo a svoltare.

-Ehi, tu, moccioso! Dacci una mano!-, sentì apostrofarsi da uno di loro.
Provò a far finta di niente, anche se poteva essere rischioso.
Il capitano, infatti, ordinò qualcosa in tedesco, e cinque soldati si staccarono dal cannoncino, 
imbracciando i fucili con le baionette e minacciando il crocicchio di curiosi che si era radunato lì 
attorno nel frattempo.
Balilla si vide puntare contro un fucile. Alzò le braccia, in segno di resa, seguita dai genovesi lì 
radunati.
-Vi ordino di spostare questo cannoncino, in nome del generale Adorno e di Sua Maestà Imperiale 
Maria Teresa d'Austria!-, sbraitò il capitano con il suo aspro accento.

-Nî atri nu feîmu proppriu în bellu nînte!-, rispose una voce tra la folla.
-Annêvene a câ!-
-Agiutêve vî atri, chè Diu v'agiûtte!- [4]
Il capitano, rendendosi conto di quello che stava succedendo, gridò: -Collaborate, o vi fucilo tutti 
quanti!-. E la folla, di colpo, si zittì.
Il capitano passò in rassegna i presenti, selezionando gli individui che parevano più adatti a 
spostare quel cannoncino.
-Tu! Tu! E tu! Andate, Lauf!-

Poi si soffermò davanti a Isabella.
-Come ti chiami? Rispondi!-
-Perasso Giovan Battista, detto Balilla-, gli rispose
-Come hai osato disubbidire a un mio ordine, moccioso?! Sei in arresto, per resistenza a pubblico 
ufficiale. Penzolerai da una forca prima dell'alba di domani!-.
Isabella non fece in tempo a reagire, che fu strattonata via da più mani, mani di popolani, che la 
sottrassero alle grinfie dei soldati. I genovesi, i suoi concittadini, l'avevano salvata. Fu messa al 
riparo tra la folla, nascosta.
-U l'è sulu în figgeû! Lascêlu stâ!-, -Lascê stâ u Balilla!-, incominciò a ruggire la folla. [5]
-Siete tutti dei traditori! Vi sbatterò in galera, vi farò giustiziare! E voi, decidetevi a spostare quel 
cannone, o vi prendo a fucilate!-
I popolani costretti a spingere iniziarono a lavorare, tenuti sotto tiro con le baionette.

Isabella non poté sopportare ulteriormente.

Aveva un sasso, nelle tasche. Era il suo portafortuna, lo aveva trovato ai piedi della Torre degli 
Embriaci; doveva essersi staccato da uno dei suoi muri, voluti dal leggendario condottiero genovese 
Guglielmo Embriaco, immortalato nella Gerusalemme Liberata del Tasso. Quante volte i suoi
precettori gliel'avevano ricordato, orgogliosi! [6]

Lo prese nel pugno, e lo soppesò, secoli di Repubblica nel suo palmo.

Che abbia inizio.

Prese la mira e tirò.
Il sasso degli Embriaci cozzò contro la corazza degli Asburgo.
Il clangore zittì il tumulto per un istante.
Il capitano, colpito, barcollò.

Allora, Balilla urlò.

-Che l'inse?-



Note d'autore.
Questa fanfiction è nata come atto d'affetto per la città in cui al momento sto passando cinque 
giorni a settimana (Universitatis gratiā. Ahah.).
Ho sempre amato il personaggio di Balilla, simbolo di libertà e indomito coraggio, avulso da 
qualsiasi categoria politica. Mi ricordo perfettamente la prima volta in cui ho sentito la sua storia, in seconda 
elementare, di fronte al monumento nella via che porta il suo nome, a est del teatro Carlo Felice, 
nello storico sestiere genovese di Portória.
Essendoci pervenute scarse informazioni biografiche su Giovan Battista Perasso, ho deciso di 
'rivisitare' semplicemente la sua storia in chiave femminile, intrecciandolo con un altro 
personaggio, stavolta immaginario, che ha popolato le mie fantasie infantili: Isabella, la figlia del 
doge di Genova.
Ho fatto accurate ricerche storiche e in loco per dare alla mia narrazione una veridicità storica, per 
quanto possibile. Gian Francesco Brignole-Sale era davvero il doge di Genova, all'epoca; tuttavia si 
è sposato con Battistina Raggi solamente quindici anni prima, nel 1731; ho anticipato la data al 
1726 perché volevo una Isabella più matura, sulla ventina. La mia data peraltro è verosimile, 
perchè Gian Francesco e Battistina si sono sposati piuttosto tardi: diciamo che li ho fatti solo 
conoscere un po' prima! ;)
Antoniotto Botta Adorno era davvero di ascendenza genovese: la famiglia degli Adorno donò ben 
otto dogi alla Repubblica di Genova, prima di trasferirsi a Milano col ramo dei Botta-Adorno, nel 
1634.

Mi sto rendendo conto che le note a momenti sono più lunghe della oneshot. D:
Credo sia opportuno fermarsi qui. Se avete bisogno di ulteriori delucidazioni, non esitate a 
contattarmi!
Vi invito a esprimere liberamente il vostro parere: apprezzamenti e critiche sono ben accetti allo 
stesso modo, tanto più per questa, che è la mia prima pubblicazione. Vi ringrazio infinitamente per 
aver letto sino a qui.
Mi eclisso.

Valete, et salve.

                                      Vibia Matidia

P.S. Il titolo è parzialmente ispirato a 'No light, no light' dei Florence + the Machine.

Note al testo.
 1. Negozianti, possessori di botteghe.
 2. "Ai Genovesi lascerò solo gli occhi per piangere". Parole testuali di Antoniotto Botta Adorno.
     Fonte: Wikipedia.
 3. "Come il grifone stringe queste tra le zampe, così Genova stritola i suoi nemici". Antichissimo
     motto della Repubblica, spesso accompagnava uno stemma di un grifone che stringeva tra le 
     zampe un'aquila (simbolo dell'Impero) e una volpe ( probabilmente Pisa).
 4. "Noi altri non facciamo proprio un bel niente!" "Andatevene a casa!" "Aiutatevi, che Dio v'aiuta!". Citazione manzoniana. Scusa, Ale.
 5. "È solo un ragazzino! Lasciatelo stare!" "Lasciate state Balilla!". Adoro parlare in genovese, capitemi.
 6. http://it.wikipedia.org/wiki/Guglielmo_Embriaco . Detto Testadimaglio. Just in case.
   
 
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