Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: CathLan    21/03/2014    1 recensioni
E si è seduto, mentre raccontava un’altra giornata monotona a suo nonno, quello morto in guerra, quello che solo lui va a trovare. Quello che in realtà non è neanche suo nonno.
Perché Dallas di Eugene sa solo quanto è vissuto, nient’altro. Hanno cognomi diversi, ma lo sguardo è lo stesso.
E’ per questo che Dallas lo ha scelto.
Perché non c’è mai nessuno da Eugene, così come non c’è mai nessuno per Dallas.
Ci sono sempre stati solo loro due e adesso, a quanto pare, c’è anche Constance.
Genere: Angst, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



dimmi che cos'è 

che fa la vita storta 

che ti fa camminare sul lato sbagliato
della via di casa
 


Lui e Constance si sono incontrati in un cimitero.
Quando l’ha raccontato a sua sorella Maggie, lei ha riso, ma non gli ha chiesto nient’altro. 
«Chi è Constance?» non l’ha domandato.
Lei non parla mai, ascolta la musica e basta.
Se ne sta voltata di spalle e non lo guarda.
Mentre gli Escape the fate riempivano il silenzio, Dallas ha ripensato alla ragazza bionda seduta sulla lapide di suo nonno.
A come è stato strano vedere una sconosciuta seduta accanto al viso di suo nonno Eugene, a come però non gli ha dato fastidio.
Sembrava una cosa da film, qualcosa di programmato. Qualcosa di giusto.  
Lui in bianco e nero, con il sorriso di chi sa che non sopravvivrà alla guerra, lei colorata come un dipinto di Van Gogh, dagli occhi tristi ed espressivi fissati sulla sua Moleskine nera, appoggiata alle cosce lunghe bianchissime malgrado il sole alto di San Francisco.
Dallas non è riuscito a dirle niente, ha finto di dover andare a far visita alla tomba accanto. Ci si è seduto davanti e ha chinato il capo gettando occhiate curiose al suo fianco.
Al momento non ricorda neanche a chi abbia rivolto saluto, ma non gli importa. In quel momento non aveva importanza.
Voleva solo sapere chi stesse tenendo compagnia ad Eugene, sempre così solo, così grigio.
Ricorda che la ragazza non ha osato alzare lo sguardo celeste su di lui, ma che deve averlo sentito, perché si è messa a tamburellare le dita della mano destra sul prato.
Comunque ha continuato a scrivere con la sua scrittura fitta fitta sull’agendina finché il vento non le ha spostato una ciocca color grano sul volto. L’ha dovuta spostare con la mano piccola, dalle unghie mangiucchiate, ed è lì che Dallas ha letto “ti voglio bene Constance” in pennarello sul suo avambraccio magro.
Poi lei si è alzata, ha chiuso con l’elastico rovinato il quadernino pieno di orecchie ed è salita in sella alla sua bicicletta rossa, che lui non aveva mai visto prima. Né lì, né altrove.
Dallas non conosce tutta San Francisco, ma è sicuro che una bici del genere se la ricorderebbe.
Alla fine l’ha guardata andare via come si osserva il sole tramontare.
«Chi è Constance?» ha domandato a suo nonno, sfiorandogli con le nocche il volto bianco. «La conosci da tanto?»
Il suo trisavolo non ha detto niente, è rimasto lì a sorridere come sempre. E Dallas ha riso, perché quella ragazza non doveva avere più di sedici anni, mentre Eugene manca sulla terra da circa sessanta.
«’Gene, te l’ho detto che Maggie ha fatto di nuovo arrabbiare mamma?»
E si è seduto, mentre raccontava un’altra giornata monotona a suo nonno, quello morto in guerra, quello che solo lui va a trovare. Quello che in realtà non è neanche suo nonno.
Perché Dallas di Eugene sa solo quanto è vissuto, nient’altro. Hanno cognomi diversi, ma lo sguardo è lo stesso.
E’ per questo che Dallas lo ha scelto.
Perché non c’è mai nessuno da Eugene, così come non c’è mai nessuno per Dallas.
Ci sono sempre stati solo loro due e adesso, a quanto pare, c’è anche Constance.

La settimana dopo, sempre di martedì, Constance è seduta accanto ad Eugene e scrive con la mano sinistra cose che sembra non pensare nemmeno.
Ha la ricrescita nera più pronunciata sulla testa piegata e questa volta indossa delle calze che le coprono le gambe fino alle ginocchia.
«E’ tuo parente?» la voce di Constance è bassa, intonata. Non alza il volto, eppure Dallas lo sa che ce l’ha proprio con lui.
Gli sembra assurdo a questo punto fingere di andare a far visita alla tomba accanto, così si ferma di fronte al volto sorridente di ‘Gene e dice «sì» anche se no, non sono parenti.
La ragazza annuisce e smette di scrivere. Chiude l’agendina, che è la stessa della volta prima, e mostra le guance coi piercing.
«Ti dispiace?»
«No» risponde lui, anche se non sa a cosa si rivolga lei con quel “ti dispiace” che può dire tutto e anche niente. «Fa’ pure» aggiunge, facendo spallucce.
Constance si lecca le labbra e si volta verso la fotografia grigia di Eugene. «Vi assomigliate» sussurra, con la mente rivolta a qualcosa che nessuno potrebbe cogliere.
«Lo so».
«Avete lo stesso sguardo».
“Quello di chi sa che non sopravvivrà alla guerra”.
«Era un paracadutista» spara Dallas, anche se non lo sa proprio di che divisione fosse Eugene. In realtà non sa nemmeno se in guerra ci sia stato – e morto – davvero. Non che abbia importanza.
«Ti sarebbe piaciuto conoscerlo» dice lei, sfiorando con le unghie rosse uno zigomo di quel qualcuno che non c’è più.
Sembra strano, ma Eugene accanto a Constance ci sta bene. O forse è il contrario, Constance accanto ad Eugene ci sta bene. Be’, il punto è che insieme sono okay. Anche se lei fa parte del ventunesimo secolo e lui no.
Sono belli, insieme.
Forse è per questo che le parole gli escono dalle labbra così velocemente. «Perché proprio qui?»
Constance si volta verso di lui ed è la prima volta che i loro sguardi si incrociano. Dallas sente le viscere ritirarsi e un senso di nausea sconvolgergli la gola. Vorrebbe baciarla, crede.
«Qui non ci viene mai nessuno» soffia fuori la ragazza, per poi aggiungere subito: «tranne te».
Magari anche lei vorrebbe baciarlo. Davanti ad Eugene.
Magari Eugene lo vorrebbe.
«Non ha molti amici».
Constance non ride, annuisce e riapre la Moleskine. Scrive qualcosa talmente confusamente che Dallas non riesce proprio a leggere e poi la richiude, questa volta tenendoci l’indice dentro a mo’ di segnalibro. «E tu ne hai?»
Il cielo è chiarissimo, ma il sole Dallas non riesce a vederlo. Non ha neanche molta voglia di cercarlo. Segue il percorso di una nuvola che all’improvviso scompare e sospira con le narici. «Non molti» mente.
«Io sono Conny».
Conny si sta grattando una clavicola da sopra la camicia. Ha i capelli legati in una treccia bassa. E’ troppo magra per essere così alta.
«Dallas».
«Sei qui tutti i giorni?»
«Sì».
«Allora a domani».
Dallas sorride e annuisce, ma non si alza. Non la accompagna all’uscita e non la guarda andare via.
Resta a cercare il solito senso di familiarità che gli nasce dentro ogni volta che torna lì, con Eugene. Eppure non lo trova.
C’è qualcosa di diverso ora.

Il giorno dopo e quello dopo ancora Conny non si fa vedere.
Arriva la settimana successiva, sempre di martedì, con lo zaino su una spalla e nessuna bici sotto alla gonna.
«Ho avuto delle cose da fare» si giustifica, prima di sedersi accanto a lui.
Incrocia le gambe lunghe e tira fuori l’agendina. La pagina è bianca, prima di scrivere ci segna la data in alto, ma non è quella giusta.
E’ il ventitré aprile, non il cinque giugno.
«Dallas?»
«Mh?»
Constance profuma di buono, qualcosa che si avvicina alla vaniglia e al bucato di mamma. «E se questa fosse l’ultima volta che ci vediamo?»
Eugene è sorridente, ma non è felice.
Dallas esiste, ma non è sicuro di essere vivo.     
«Perché?»
«Cosa faresti?»
Ci sono tante cose che si possono fare in un pomeriggio di primavera con una bella ragazza seduta di fianco. Lui a Constance darebbe un bacio. «Nulla» dice invece, stringendosi nelle spalle larghe.
Lei ride e si sistema i capelli dietro le spalle. «Io ti bacerei».
«Perché?»
«Perché no?»
Dallas non lo sa. Resta in silenzio e guarda Eugene che guarda loro.
Chissà se davvero, da qualche parte, c’è un Eugene che tifa per loro. Che vorrebbe vederli baciarsi in un cimitero, con le mani sudate intrecciate tra loro e il sole che splende sulle loro palpebre.
«Pensi davvero che io ed Eugene ci assomigliamo?»
Constance sorride. «Lo pensa anche lui».
«Come puoi dirlo?»
Conny sbuffa. «Perché siamo amici, come me e te».
«Siamo amici?»
«Non lo siamo?»
Dallas è confuso. Scrolla il capo e si sistema i capelli scuri indietro, perché quando gli finiscono davanti agli occhi gli danno troppo fastidio. «Settimana prossima non verrai?»
«No, me ne torno da dove sono venuta».
«Non sei di San Francisco» e non è una domanda, Dallas lo sospettava.
Constance annuisce, poi scrive due righe piccole e scure sul quadernino e lo chiude. «Lo ero».
«Anche io me ne vorrei andare».
«Allora vai via da qui. Ma dove?»
«Altrove».
«So che non ci vedremo più, ma mi devi promettere una cosa».
Dallas dice «sì» anche se vorrebbe dirgli che no, non gli farà alcuna promessa se lei se ne andrà. Perché non è giusto, gli amici non fanno così.
«Devi promettermi che non tornerai più qui, okay?»
«Cosa?»
«Dopo che me ne sarò andata, tu dovrai dire addio ad Eugene e non tornare più qui. Prometti».
Dallas chiude gli occhi, aggrotta le sopracciglia e cerca di capire, ma non ci riesce.
Non ha alcun senso logico ciò che lei gli sta dicendo.
«Dallas, devi tornare a casa tua. Non puoi stare qui, manchi a tutti. Prometti» e le parole di lei sembrano gridate da dietro un muro. «Dallas!»
«Prometto!» urla di rimando lui, aprendo gli occhi verdi.  
Constance non c’è più, è come se si fosse dissolta assieme al vento.
Sono rimasti Eugene, sorridente come sempre, e lui.
Il sole in cielo non c’è e lui davvero non ricorda da quanto non torna a casa.
Maggie la vede sul serio?
«Eugene, tu vuoi dirmi addio?»
Il volto sorridente di suo nonno non risponde.
Eppure è diverso.
Dallas si alza, cerca di capire cosa stia succedendo, ma è tutto troppo confuso e gli fanno male i polsi.
Li fissa e ci vede dei segni.
Ricorda qualcosa.
Forse un coltello, con del sangue. Tanto sangue ovunque, Maggie che urla.
Chiede aiuto e piange.
Maggie non piange mai, nemmeno quando chiude con l’ennesimo ragazzo dai vestiti firmati.
«Me ne devo andare?»
La foto di Eugene è più chiara, il sorriso sempre lo stesso.
«Perché non posso restare?»
Ripensare a Constance fa male, perché Dallas lo sa che non la rivedrà mai più.
Però ha promesso.
«Allora è un addio, ‘Gene».
E il sole scompare, così come le lapidi e il cimitero che in realtà Dallas non ha mai girato.
Ha sempre e solo visto Eugene, ma gli altri?
E Conny?
Maggie piange e canticchia una canzone che fa proprio schifo.
Ci sono troppe grida, la testa fa quasi male.
Vorrebbe dirle di abbassare il volume, ma non la vede.
E’ come il sole.
Quando dà le spalle ad Eugene si sente un po’ cadere, ma non si ferma.
Ha promesso.
Perché manca a tutti, quindi torna.
Per Eugene che non è sopravvissuto alla guerra, per Conny che non ce l’ha fatta. 
Per se stesso, che forse non è solo come credeva.
«Dallas? Mamma! Dallas si è svegliato: chiama il medico!»
Maggie lo guarda, ha gli occhi spalancati e le guance scavate.  
«Sono vivo?»
E Maggie scoppia a piangere così forte che Dallas non sente più niente.
Il calendario dell’ospedale segna il cinque giugno, non il ventitré aprile.


Note autore: Non so cosa dire. E' una storia particolare, se avete domande contattatemi o qui o sul mio ask.
Grazie per aver letto, un bacio. 
  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: CathLan