Serie TV > Agents of S.H.I.E.L.D.
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Autore: Thiare    22/03/2014    2 recensioni
[I fatti narrati viaggiano in contemporanea agli avvenimenti descritti nella one shot "Manila's lab"; non è necessario leggere quest'ultima per comprendere la narrazione.]
- So che sta pensando, agente May. - cominciò Sitwell appoggiandosi al tavolo. - "E' un'operazione tanto segreta da ritenere necessario blindarci qui dentro?" - May lo guardò smarrita, ma non lo diede a vedere. - Abbastanza. - L'agente si fece più serio.
- Immaginavo. - disse finalmente Melinda con sufficienza, mentre l'uomo lanciava furtivo uno sguardo ad una piccola rientranza nel muro di destra immersa nel buio.
[...] La sagoma di un agente acquisì presto le forme di una ragazzina che dimostrava si e no una ventina d'anni, dagli occhi verde scuro e i lunghi capelli ricci. Lo sguardo della donna emersa dal buio sembrava scolpito in un'espressione di determinazione ma quasi immediatamente le sue labbra si incresparono in un sorriso, quasi come quello di Melinda, che era rimasta a bocca aperta.
- Abbastanza segreto.. - sussurrò la May con un filo di voce sbalordita.
Sitwell guardò le due donne con un sorriso soddisfatto dipinto in volto. - Per questo abbiamo bisogno della Cavalleria. -
Genere: Azione, Mistero, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Melinda May, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dedico questa storia a Paoletta76, che non esita a seguire le mie follie e a riempirmi di autostima. E anche perché, con la sua dolcezza, mi ha convinta a scrivere la famosa serie su i nostri agenti preferiti.
Love you so much, baby! :*


[I fatti narrati viaggiano in contemporanea agli avvenimenti descritti nella one shot "Manila's lab"; non è necessario leggere quest'ultima per comprendere la narrazione.]


- Oh. Bé, come vanno le cose lì? -
- Come al solito: cattivi a cui mettere le manette, missioni senza piano d'estrazione per Ward e May, ieri è persino venuto a farci visita l'agente Sitwell, quell'uomo è ricco di sorprese. - dall'altra parte, Jemma sospirava. - Skye è diversa, è riuscita ad atterrare Ward in un combattimento d'esercitazione, la ferita però le fa ancora male delle volte. May la scorsa settimana è stata convocata al Centro, penso guai in vista. -
§Fitz in 'Manila's lab'



L'agente May oltrepassò la porta scorrevole dell'Hub ancheggiando. Era andata da sola, nessun accompagnatore ed era scivolata quatta verso la sala riunioni. La chiamata era stata improvvisa, la sua espressione non era cambiata, era rimasta gelata in una maschera di neutralità. Dopo quel richiamo la prima parola l'aveva rivolta all'agente Arturi, che aveva visto le sue curve arrivargli addosso, rinchiuse in quella tutina aderente.
- Vedo che ha ricevuto la telefonata. - cominciò. - Scommetto che è impaziente di sapere di cosa si tratta. - Il volto dell'agente non fece a meno di celare un espressione soddisfatta, mentre Melinda arricciava lievemente il naso innervosita. - Immagino di sì.

- Arturi si rispose da solo mentre l'agente Sitwell li raggiungeva per scortare May nel posto predefinito.

- Venga con me, - la invitò con un gesto della mano. - le daremo una risposta. - La May annuì lasciandosi guidare verso una porta adiacente alla sala. La oltrepassò silenziosamente mentre il collega la conduceva al centro della stanza.

Vuota. Era completamente vuota, eccetto il grande tavolo rotondo in legno di mogano, nero come le pareti intervallate da piccole finestrelle da cui, fioca, traspirava la luce. -
So che sta pensando, agente May. - cominciò Sitwell appoggiandosi al tavolo. - "E' un'operazione tanto segreta da ritenere necessario blindarci qui dentro?" - May lo guardò smarrita, ma non lo diede a vedere. - Abbastanza. - L'agente si fece più serio.

- Immaginavo. - disse finalmente Melinda con sufficienza, mentre l'uomo lanciava furtivo uno sguardo ad una piccola rientranza nel muro di destra immersa nel buio. La May spostò l'attenzione nel punto indicato da Sitwell e contrasse le sopracciglia non capendo. L'aria tremò e, in quel punto, una figura si staccò dalla parete fuoriuscendo dall'oscurità. La sagoma di un agente acquisì presto le forme di una ragazzina che dimostrava si e no una ventina d'anni, dagli occhi verde scuro e i lunghi capelli ricci. Lo sguardo della donna emersa dal buio sembrava scolpito in un'espressione di determinazione ma quasi immediatamente le sue labbra si incresparono in un sorriso, quasi come quello di Melinda, che era rimasta a bocca aperta.

- Abbastanza segreto.. - sussurrò la May con un filo di voce sbalordita.
Sitwell guardò le due donne con un sorriso soddisfatto dipinto in volto. - Per questo abbiamo bisogno della Cavalleria. -


*


- Emma Jheremy.. - cominciò Melinda protendendosi verso di lei. - Quale onore. - L'agente allungò la mano che, prontamente, l'altra strinse.

- Ne è passato di tempo, sono cambiate molte cose intanto. - Emma raggiunse a passi languidi il tavolo rotondo e lanciò un'occhiata ai vari fascicoli presenti sopra di esso.

- Il mondo gira comunque, indipendentemente da noi e dai nostri problemi. - disse la May sospirando.

- Tu sei cambiata. - continuò l'agente Jheremy girandole attorno con circospezione. - Dopo quella missione.. -

- C'eri anche tu quella volta in Bahrain. -

- Sì, c'ero, ero insieme alla donna più allegra e coraggiosa che avessi mai incontrato, ma tuttora mi chiedo ancora dove sia finita. -

- Non sono qui per analizzare i miei problemi ma per risolvere quelli degli altri. - sibilò contenendo la propria rabbia.

In quel preciso istante la porta si spalancò lasciando entrare l'agente Sitwell, uscito per richiamare il terzo componente della missione.
La luce entrò lesta appena aprì la porta e il buio nuovamente impedì di riconoscere i lineamenti della spia appena entrata. Jasper si avvicinò al tavolo rotondo lasciandosi alle spalle il nuovo arrivato, estrasse nuovi fascicoli dalla ventiquattrore che si era portato dietro e li sparpagliò rapidamente sulla superficie lucida. Il terzo agente incrociò le braccia sul petto sospirando, chiuse gli occhi e rimase in ascolto.

Sitwell cominciò a parlare. - Melissa Crewberg. E' lei l'obiettivo, era sotto l'ala dello S.H.I.E.L.D. -

- Era una di noi? -

- No, ma era spaventata. -

- Che le è successo? - intervenne prontamente May.

- Dovete scoprirlo. -

Emma camminò intorno al tavolo raggiungendo la parte opposta da dove si trovava prima, proprio vicino a Sitwell. Lanciò uno sguardo al rapporto e ritornò a guardare dritto davanti a sé, dove ancora il buio nascondeva il volto del nuovo arrivato.

- Dev'essere qualcosa di molto grave. -

- Per questo abbiamo richiamato voi. - Jasper si voltò verso la terza figura indistinta nell'oscurità. - La Cavalleria, la Sirenenis... e la Vedova. -




- Natasha Romanoff, signore? - gli gridò contro l'agente Jheremy.

Natasha uscì dall'oscurità venendo illuminata, anche se poco, dalla fragile luce che appariva dalla finestrella.

- Vi aiuterà a risolvere la missione. Ci sono domande? - concluse Sitwell con aria di sufficienza.

- Sì signore. -

- Dimmi May. -

- Come faremo a portare a termine la missione? -

- E' tutto scritto in quel fascicolo. Leggetelo attentamente, potreste scoprire segreti incredibili. - disse indicando i fogli sul tavolo. - Siete autorizzate ad usare misure estreme
per questo caso. Buon lavoro. -

E così dicendo, uscì senza aggiungere altro.

Le tre donne si osservarono a vicenda, studiandosi come per trovare un dettaglio fondamentale a cui agganciarsi per comprendere qualcosa della vita delle altre. Me tutte e tre erano troppo esperte per far cadere la maschera di neutralità che si erano dipinte in viso dal primo giorno in cui erano diventate spie.

- Cosa è successo a quella donna? - si fece avanti Emma.

Natasha si avvicinò a sua volta ai fascicoli sul tavolo. - Melissa Adrianne Crewberg, quarantadue anni, Cincinnati, Ohio. E' sposata e ha una figlia. Il marito, Rupert Walker è un chimico molto noto, originario canadese, quarantadue anni anche lui. I due erano già amici d'infanzia, hanno frequentato la stessa scuola. Fidanzati alle medie, sposati non appena raggiunta la maturità per via della gravidanza. La figlia, Jones Elise Walker, ventiquattro anni, laureata in scienze della comunicazione, al momento disoccupata, vive ancora con i genitori dopo aver lasciato il suo appartamento. - concluse l'agente dopo aver esposto tutte le informazioni presenti nei files.

- Scusa, ho sentito bene? - domandò l'agente Jheremy. - Jones? Chi mai chiamerebbe sua figlia Jones? -

Melinda si avvicinò lentamente al tavolo attorno al quale erano riunite le altre due spie. Afferrò velocemente il rapporto sul signor Walker e lo lesse attentamente. Le righe scorrevano e lei ebbe un tuffo al cuore.

- Chiunque abbia qualcosa da nascondere. -




- Che è capitato a questa famiglia? - domandò May a Natasha.

Quest'ultima si rigirò gli ultimi fascicoli tra le mani e aspettò qualche istante per rispondere.

- C'è un piccolo errore... - iniziò la donna. - Melissa è morta. -



Emma spalancò gli occhi e acquisì la strana tranquillità che si impossessava di lei quando doveva affrontare situazioni delicate.

- Trovate il difetto che cerchiamo nella loro famiglia, il mistero è troppo fitto perché ce ne sia solo uno. Io devo fare una cosa. - e così dicendo la Sirenenis uscì dalla stanza stringendo in files interessati.

Pochi minuti dopo Melinda ritornò a fissare i vari fogli, li sparpagliò nuovamente sul tavolo e ne individuò uno. L'immagine di Melissa occupava il centro del fascicolo.

- Ho la sensazione di aver già visto questo viso.. - cominciò. - Ha un che di familiare...- si mise a ragionare aggrottando le sopracciglia fini. - Uh. - sussultò. - Gli assomiglia maledettamente...! -

- Assomiglia a chi? - chiese di getto Natasha.


La porta si spalancò immediatamente ed Emma entrò con uno sguardo terribilmente serio in volto. - Al professor Elliot Randolph. -




Melinda si voltò nuovamente verso Natasha. - Prepara il jet, si va a Cincinnati. -


*


Il logo dello S.H.I.E.L.D., ha sempre pensato, è il simbolo più riconoscibile in tutte le grandi organizzazioni segrete. Che ancora non si sa perché si chiamino "segrete" se poi anche un chiacchierata con il vicino di cesso nel bagno dell'autogrill è una buona scusa per sbandierare la sua esistenza ai quattro venti. E anche sul dorso del mini jet messo a loro disposizione dall'agente Hand è presente quell'aquila stilizzata. E sì, avrebbe dovuto imparare un po' di buona storia dello S.H.I.E.L.D., almeno l'avrebbe aiutata a capire perché un'organizzazione multinazionale, di cui sembrerebbe omessa l'esistenza, distribuisse jet come cioccolatini mentre non c'era neanche la minima ombra di una rivista nel bagno. Emma avrebbe dovuto convivere con questo dubbio ancora per molto.

- Avete mai sentito parlare di "Occhi di Gatto"? - chiese affacciandosi alla cabina di controllo dove erano sedute, rigorosamente con i loro completi neri e l'espressione da "o stai zitta o ti strangolo con il cavo delle cuffie", le due piloti dell'aereo. Melinda e Natasha si scambiarono uno sguardo complice per poi ritornare a fissare il cielo con le mani sui comandi.

- Sì, zitta Tati. - sussurrò la rossa.

- Stavo pensando.. quando arriveremo in Ohio e incontreremo la famiglia, come ci presenteremo? - domandò la ragazza.

- Come i membri di una società segreta di nome S.H.I.E.L.D. che deve fare determinate ricerche per ritrovare la causa della morte della signora Crewberg. -

SBAM. Come non detto. Al diavolo le associazioni segrete.

Emma si ritirò in silenzio verso il retro del jet provocando il sorriso appena accennato sulle labbra di May.

- Dieci minuti all'atterraggio. - annunciò Melinda mentre Natasha aveva girato la testa per controllare la Jheremy sistemare gli ultimi attrezzi per la missione. Voltò di nuovo il capo e strinse i comandi.

- Quanti anni hai, Emma? - urlò la donna per farsi sentire dalla stiva.

- Ventisei. - dichiarò la ragazza con neutralità mentre sistemava i paracadute nel vano portaoggetti.

- Da quanto tempo sei nello S.H.I.E.L.D.? -

- Quindici anni. - ricordò con una nota di rammarico.

- E' molto tempo. -

- E' tempo speso bene. -

- Ci avviciniamo all'arrivo. - la voce di May risuonava nelle cuffie.

- Che livello? - continuò Natasha ignorando la missione, come a voler far sentire a proprio agio la giovane.

- Otto. -

- Bel traguardo, sei in gamba. -

Ma Emma non rispose più.


Dieci minuti più tardi l'aereo stava atterrando.

Quando raggiunsero la casa della famiglia Walker nel vialetto c'era un inumano silenzio, il giardino perfettamente curato era ampio e verde, molto verde. Gli alberi di pino formavano un viale alberato all'inizio del quale un cancello di ferro abilmente decorato con foglie dorate chiudeva l'ingresso alla villa. Ovviamente per loro non fu per niente difficile entrare. La casa si trovava in fondo al viale, sembrava quasi come se fosse incastonata tra le rigogliose fronde che ricoprivano il tetto spiovente, le tegole risaltavano di un rosso grezzo sul bianco perfetto delle mura esterne. Due piani in una casa fantastica, non tanto grande ma immersa nella tranquilla vita della natura. Ma quel silenzio era solamente il linguaggio dell'ambiente o anche la triste conseguenza della perdita di un animo umano?

Il suono del campanello era diverso da quello tradizionale, era strano.

Pochi minuti dopo un rumore di passi si avvicinò alla porta e quest'ultima si spalancò rivelando la fragile figura di una ragazza. Doveva essere Jones: gli occhi incavati e rossi a causa delle lacrime, scuri come le tenebre ma puri di bontà, le guance pallide e i capelli spettinati, le labbra erano screpolate e rosee. La ragazza si presentava di media statura e molto più magra della normalità, anche un po' spazientita da come le tre donne vestite di nero la stavano fissando.

- Si chiama ipertiroidismo se ve lo state chiedendo. - sbuffò con un filo di voce la giovane.

Emma si fece avanti tra le due. - Lei dev'essere la signorina Jones. - disse tenendo la mano verso di lei.

- Di solito le persone mi chiamano Joe. - continuò irritata. - Voi siete..?-

Natasha estrasse il distintivo dalla tasca e glielo mostrò. - Natasha Romanoff, dello S.H.I.E.L.D. -

Joe si portò una mano alla bocca. - Oddio. -


*

La ragazza le aveva invitate dentro senza troppe storie, si era ammorbidita, era diventata più disponibile a rivelare informazioni. Sedute davanti ad una buona tazza di tè fumante sul divano del soggiorno, le quattro donne stavano parlando.

- Quindi è per via di mia madre? -

- Lei è morta in seguito ad un intervento chirurgico, non è così? - chiese May.

- Sì, è stata operata due settimane fa. E' morta lo scorso fine settimana. - la ragazza si coprì le labbra con il dorso della mano spostando lo sguardo oltre le agenti per arginare le lacrime.

- Allora Joe, posso chiamarla Joe? - ad un cenno di sì con la testa della giovane, Emma continuò a parlare. - Ci deve parlare di quest'operazione, è di fondamentale
importanza, ci sono dei processi utilizzati che vanno oltre l'immaginazione umana. -

- Forse perché quello che è successo non è umanamente possibile. -



Gli occhi delle tre donne erano rimasti fissi sull'interlocutrice mentre le loro bocche si spalancarono appena.
- Cosa intende dire con questo, Joe? - chiese Natasha.

- E' cominciato tutto qualche mese fa, - la ragazza congiunse le mani sulle ginocchia e abbassò il capo. - mamma stava bene, è sempre stata bene. E' colpa mia se è
morta. -

- Non è ipertiroidismo questo, non è vero? -

Joe alzò la testa afflitta. - E' qualcosa di molto più grave. -

- Ce ne parli. - il tono di May era impassibile e autoritario.

- E' solo una conseguenza questa mia.. - indicò con dei gesti veloci delle mani il suo corpo. - ...situazione. La conseguenza di quello che è successo. Ma non è che io ne sappia molto, ancora non riesco a capacitarmi di quello che è accaduto. -

- Cosa Jones? Che cosa? - May aveva alzato la voce.

- Non credo che avete mai sentito parlare di "ormoni cattivi". - cominciò a spiegare. - Questi sono intesi come sostanze del corpo che invadono il sangue e, invece di condurre il proprio solito compito, annientano i globuli rossi. E' un processo difficile e complesso, e questo è il modo con cui me l'hanno proposto, un modo che io sicuramente avrei capito di più. -

- Chi l'ha curata? -

- E chi ha detto che c'è una cura? -

Gli sguardi confusi delle tre agenti adesso si erano concentrati tutti sulla ragazza che parlava.

- Non c'è una cura per il mio tipo di sangue. -

- Tipo di sangue? -

- Esatto. E' stato classificato come di tipo X, di tipo sconosciuto. -

- Non riesco a capire. - cominciò Emma. - Si spieghi meglio, la prego. -

- I medici che mi hanno curato non hanno saputo identificare il mio sangue, non potendolo fare allora è stato un bel problema trovare una cura, soprattutto perché questa malattia non è conosciuta. Mi hanno fatto solo qualche iniezione, non ricordo molto di quel periodo, la maggior parte delle volte ero intubata e sedata. - la giovane sospirò. - Ero stata data per spacciata e mi erano rimasti, secondo i medici, circa altri quattro giorni di vita. -

- E riguardo a sua madre? -

- Quando mi sono svegliata lei era nel letto accanto al mio, intubata e debole, mi ha detto che lei ci sarebbe sempre stata per me e che non avrebbe mai lasciato che mi
accadesse una cosa simile. Mi ha detto che le dispiaceva - Joe nascose il viso tra le mani, rimase in silenzio per qualche secondo, poi ricominciò a raccontare. - e che avrei dovuto cercare la verità in qualunque modo. Le ultime parole che ha detto sono state: la risposta è in ciò che siamo, non in cosa gli altri vogliono che diventiamo. Ogni risposta alle tue domande si trova nelle tue origini. -

- Riuscirebbe a spiegarci come mai è qui ora? Come ha fatto? -

- Non saprei dirlo, ma potete chiedere a mio padre, è stato lui uno dei medici che ha contribuito all'intervento. -

- Suo padre? -

- Sì, il signor Walker. -

- Possiamo parlare con lui? -

- Sicuramente, ma posso chiedervi perché fate tutto questo? A che vi servono queste informazioni? -

- La signora Crewberg era una protetta dello S.H.I.E.L.D. - rispose con fermezza Emma.

- Non riesco a capire. -

- La signora stessa ha chiesto, poco dopo la tua nascita, di entrare sotto la nostra protezione per salvaguardare la sua vita. Noi accettammo. - spiegò.

- E perché mai l'avrebbe fatto? -

- Qualcuno voleva attentare alla sua vita, qualcuno sul radar dello S.H.I.E.L.D., e non potemmo non accettare. -

- Mia madre era in pericolo di vita? - esclamò Joe a voce alta.

- Sua madre voleva proteggere le persone che amava, voleva evitare che, attaccando lei, venisse ferito anche chiunque la circondasse. -

- E' stata furba... - sul volto di Joe comparì un sorrisetto nostalgico.



- Ehi! Chi sono queste persone nel mio soggiorno? - una voce proveniente dall'ingresso aveva bloccato bruscamente la conversazione.
Un uomo alto e magrolino stava entrando di tutto punto nel piccolo salotto di casa Walker, l'impermeabile marroncino copriva il suo corpo fino alle caviglie mentre in mano ancora stringeva una valigetta di cuoio dello stesso colore. Gli occhi incandescenti e scuri, e i capelli neri come una montagna su cui è appena caduta la neve, con passi veloci e scattanti quell'omino buffo raggiunse le donne al centro della sala.

- Lei dev'essere Ruper Walker. - disse con fermezza Natasha.

- Sì, non sbaglia. Posso sapere ora chi siete voi? - ripropose la domanda l'uomo con un malcelato nervosismo nella voce.

Questa volta fu Emma a tirare fuori il distintivo. - S.H.I.E.L.D. le basta come risposta? -

Walker spalancò gli occhi. - O merda. -



Con un tonfo la valigetta che stringeva in mano cadde a terra e le sue mani cominciarono a tremare. - Elise vai in camera tua. - disse con un filo di voce senza alzare nemmeno gli occhi sulla figlia.

- Papà sono grande ormai, che cos'è questa storia? Non puoi tenermi all'oscuro di tutto! - Joe alzò sensibilmente la voce.

- Vai in camera tua ho detto! - gridò il padre indirizzandola con il braccio teso. La figlia sussultò e, a testa bassa, si diresse verso una camera sulla destra, lanciò un ultimo
sguardo ai tre visi appena conosciuti e scomparve dietro la porta senza dire niente.

Il signor Walker avanzò verso il divano incespicando nei propri passi e si abbandonò su di esso quasi svuotato.

- Volete uccidermi? Portarmi via dalla mia vita? Volete che abbandoni mia figlia per seguire i vostri subdoli piani? - chiese con gli occhi bassi.

- Non vogliamo nulla di tutto ciò, signor Walker. - iniziò Emma avvicinandosi. - Vogliamo solo sapere com'è andata. Mi dica, era lei il medico che ha operato sua figlia, è vero? -

Rupert alzò appena il capo. - Si sbaglia, non sono stato io a farlo. Io ho trovato la soluzione, altre persone l'hanno messa in atto. -

- La prego di spiegarci com'è andata. -

- Questa storia è troppo lunga per essere raccontata, non posso espormi così tanto. - balbettò velocemente.

- Sua moglie era una protetta dello S.H.I.E.L.D., se non ci dice immediatamente com'è andata la faccio sbattere dentro per intralcio alla giustizia e omicidio. - disse Natasha alzandosi in piedi e avvicinandosi pericolosamente all'uomo.

- Mia moglie era una protetta dello S.H.I.E.L.D., ma lei non ne aveva bisogno, ero io ad avercene. - rivelò sostenendo lo sguardo di ghiaccio con cui l'aveva provocato la
Vedova.

- Questo lo sappiamo, Rupert, quello che non sappiamo è il perché sua moglie sia morta. - continuò Natasha.

- Che differenza fa? Ormai lei non c'è più, di cosa avete bisogno? -

- Uno dei nostri più fidati agenti è un suo stretto parente, è molto importante che ce lo dica. -

- Non vedo perché dovrei farlo. - disse imperterrito l'uomo.

Natasha scattò in avanti rabbiosa, gli strinse il collo tra le dita di una mano e lo spinse nell'imbottitura del divano. - Abbiamo fatto centinaia di chilometri per raggiungere questa fottuta casa, e sicuramente pararti il culo al momento non è una delle mie priorità, siamo state inviate da un'organizzazione di estensione mondiale che per qualche strano motivo si è interessata alla vostra situazione. Io non so niente oltre a quello che mi è stato riferito e se mi è stato ordinato di scoprirne di più io lo faccio. Una ragazza sta soffrendo, e probabilmente l'enorme ego che ti ritrovi non ti permette di accorgertene, ma non credo che ti lascerò ferire ancora una donna la cui madre è appena morta per colpa nientemeno che tua! - sbraitò con gli occhi di una belva inferocita mentre, piegata su di lui, Natasha stringeva la faringe dell'uomo tra le dita adunche.

Dall'altra parte Walker si divincolava inutilmente, urlava qualche monosillabo sconnesso e sputava saliva mentre le iridi eguagliavano quelle del demonio. Oltre le spalle dell'assassina che gli imprigionava il collo, le altre due agenti restavano a guardare imperterrite a braccia conserte.

- O-ok, ok, parlerò. - sussurrò lievemente e Natasha mollò la presa sul suo collo.

Walker si rimise seduto respirando ampiamente e massaggiandosi più volte la base della testa. - E' iniziato tutto trentasei anni fa, eravamo solo bambini quando ci siamo conosciuti. Eravamo in un parco a giocare e lei era bellissima, una bambina incredibile e solare, non mi fu difficile innamorarmi di lei dal primo momento in cui l'ho vista. Ci siamo fidanzati ufficialmente a tredici anni, dopo quasi sette anni di amicizia per lei e amore per me. Eravamo inseparabili e continuammo ad esserlo, ma a sedici anni, quando eravamo al liceo, successe qualcosa da cui non potemmo più, mai più, tornare indietro. -

- Che cosa accadde? -

- Un bullo, c'era un bullo nella nostra classe, aveva quattro anni in più di noi, e cominciò a prendere di mira Melissa: le si avvicinava e la palpeggiava, la bloccava contro un muro e l'annusava, erano questi gli episodi più frequenti. Un giorno mi sono messo in mezzo, l'ho colto in flagrante, gli ho assestato un pugno dritto in faccia e da quel momento non mi ha più lasciato in pace.
L'ha violentata. Due settimane dopo l'ha violentata e io non ero lì. - Rupert si passò una mano tra i capelli corti e li spazzolò velocemente ritornando a raccontare. - A quel tempo ero uno dei migliori a scuola, ero molto bravo in chimica, mi piaceva, ho iniziato a studiare seriamente e ho cominciato a fare degli esperimenti. Non cercavo qualcosa in particolare ma continuavo a giocare col fuoco. Melissa mi aveva avvertito di stare attento poiché le sostanze che utilizzavo erano molto pericolose, lei era sempre lì a sostenermi e a mettermi in guardia, mentre io ero troppo impegnato per vedere quello che le stava accadendo. Alfred era il suo nome, il bullo continuava a molestarla e io non ci facevo caso, ero troppo preso dallo studio. Fu la sua ragazza, Katherine Osvald, ad avvertirmi di quello che stava accadendo, lei era preoccupata per la loro relazione e per loro figlio. Capitò per sbaglio tre anni prima ma loro figlio era lì e cresceva. Andai da lui e lo fronteggiai, ci picchiammo e continuammo fino a quando non fu lui a decidere di aver trovato una soluzione. Voleva sapere a che cosa stavo lavorando e diventare un mio socio, così avrebbe lasciato stare Melissa. -

- A cosa stava lavorando a quel tempo, signor Walker? - intervenne con cautela Emma.

- A quello su cui sto lavorando anche adesso. -



Il telefono squillò improvvisamente nella tasca di May, la donna lo estrasse e guardò il messaggio appena ricevuto.

Coulson: Abbiamo una pista, ci serve il tuo aiuto. Dovunque tu sia, ritorna alla base.


Con un tic nervoso al sopracciglio, May lo ignorò, ma dieci minuti dopo i messaggi in memoria erano già cinque.

- Va' se devi. - suggerì dolcemente la Jheremy. - Qui ci pensiamo noi. -

- Non sarà una questione di vita o di morte. - rispose secca.



Il signor Rupert continuò e il telefono ancora vibrava in tasca.

- E' una formula mineralizzata per curare malattie ancora mortali. Ha un effetto generico perché può annientare qualsiasi tipo di virus. -

- Ma è chimicamente impossibile! -

- Anche allora pensavo che lo fosse, ma Alfred aveva intuito che ci fosse qualche speranza e decise di entrare in affari con me. -

- Aveva solo sedici anni, santo cielo! -

- Era quello che pensavo anche io ma lui insistette. Alfred non era appassionato di scienza, pensava agli affari e ai soldi già a quell'età. Due anni dopo brevettai la formula e
lui ne fu più che felice, l'attesa era stata ripagata. - sospirò l'uomo.

- Ma in quell'anno sua moglie era già incinta di Elise... -

- Esatto. Mi disse che era una magnifica notizia ma che non voleva assolutamente avere a che fare con quel tale. Allora decisi di tirarmi indietro ma lui mi disse che non potevo più farlo perché sarebbe stato molto pericoloso. Gli dissi quindi che la formula non era stabile, che non era stata ancora testata su nessuno, ma neanche questo lo fermò. Iniettò il farmaco su un gatto, la malattia intestinale che gli era stata diagnosticata era sparita. Lui disse che aveva funzionato e che saremmo diventati famosi con quel tipo di terapia. Per la cronaca il gatto era il mio, e dopo due giorni morì. Quindi decisi di distruggere tutti i files e le informazioni riguardanti quella cura e anche il farmaco stesso, ma lui era sempre più invincibile. Elise doveva nascere tra tre mesi e la situazione si stava complicando. -

Dalla sua camera, Joe era incollata con l'orecchio alla porta, cercando disperatamente di ascoltare quella conversazione.

Il signor Walker continuò il suo racconto: - Non mi disse niente Alfred, non commentò il mio gesto né si vendicò. Soltanto sparì. Non avemmo sue notizie per due mesi, poi un giorno accendemmo la televisione ed era lì. Sul notiziario c'era il suo volto avido e crudele, immortalato come "il giovane del futuro", che sarebbe riuscito ad "eliminare l'impossibile e rendere il possibile ormai una stuoia sotto i suoi piedi". Aveva creato una società mondiale, la "Queen Society" di Alfred Quinn, affiancato dalla moglie Katherine Osvald in Quinn, una brillante chimica inglese. Sembravano imbattibili e forse lo erano.
Un giorno ci arrivò una lettera, era sigillata con uno strano marchio e un costoso francobollo, venne spedita alla nostra casa in Nevada, chiunque fosse il mittente sapeva le nostre mosse, e sapeva che ci eravamo trasferiti. La lettera diceva che la Queen Society sarebbe stata lieta di avere me come uno dei loro scienziati per la creazione del "Gastric Hormone", il farmaco che io stesso avevo pensato di aver distrutto. Ovviamente rifiutai ma non rimasi con le mani in mano: chiamai una scienziata, Maggie, una mia vecchia amica, a studiare insieme a me una cura per il "GH". Intanto la televisione trasmetteva le immagini del bambino di Alfred e Katherine, "il bambino del secolo" veniva chiamato, e aveva già cinque anni. Nelle poche settimane rimaste prima della nascita di Elise, io e Maggie cercammo in tutti i modi un antidoto alla formula nel mio laboratorio sotto casa. Dopo aver rifiutato la proposta di Quinn mi arrivarono lettere minatorie ogni giorno. Minacciavano mia figlia e mia moglie, minacciavano il mio lavoro e me stesso.
E' dopo aver scoperto l'antidoto che si scatenò l'inferno: qualcuno lo venne a sapere e ci minacciò di morte immediata se non avessimo consegnato immediatamente il vaccino. Elise era appena nata, era così bella che non potevo credere che fosse reale. Passarono tanti anni, anni in cui la piccola crebbe e anni in cui anche "il bambino del secolo" lo fece. Anni in cui ci nascondemmo dal male ma non ci riuscimmo fino in fondo. Eravamo spiati in continuazione e seguiti, e intanto la cura mortale di Quinn diventava sempre più famosa e uccideva sempre più gente. Mia figlia aveva undici anni quando accadde... -

- Cosa accadde, Walker? - lo incalzò Natasha.

- Maggie fu uccisa da un membro della Queen Society mentre andava a fare la spesa. -

- Chi? - insistette la spia.

- Non posso espormi così tanto. - sussurrò tremando l'uomo.

- Ce lo dica. - il tono dell'agente era fermo e autoritario.

- Dal bambino del secolo... -


Le tre spie si guardarono con uno sguardo preoccupato mentre Walker continuava il suo racconto.

- La minaccia si stava avverando. Chiamai velocemente un mio vecchio amico quel giorno, gli spiegai come stavano le cose e mi disse che mi avrebbe aiutato a nascondere la mia famiglia e il farmaco. Ma quello scienziato morì a sua volta. Harry Yarm si chiamava. - Rupert si interruppe un attimo riprendendo fiato, poggiò i gomiti sulle ginocchia e si passò una mano sul viso stanco.



Intanto il cellulare di May vibrava in tasca.

Coulson: Spero che tu abbia una buona scusa per mancare, abbiamo bisogno di te. SUBITO.

Melinda arricciò il labbro in un sorrisetto e rimise il cellulare in tasca.




Intanto sul Bus...

- May ancora non risponde? - chiese un innervosito Grant Ward alla squadra di fronte a lui.

- No, sembra irraggiungibile. - esclamò Coulson.

- Dovremo cavarcela senza di lei. - aggiunse Fitz piegato ad osservare le informazioni che scorrevano sul tavolo olografico della sala riunioni.

- Skye? Che ci puoi dire? - chiese Ward cambiando argomento.

- Alex Firt. Maschio, trentadue anni, con un organismo geneticamente modificato. Appena scappato dalla cella di contenimento dello S.H.I.E.L.D. in Antartide, poteri simili (ma molto ridotti) a quelli di Captain America e una rabbia simile a quella di Hulk. Si dirige verso la costa ovest, se non fosse impossibile penserei che ci sta seguendo. - ridacchiò l'hacktivist.

- Modi per respingerlo? - chiese Phil.

- Bé, non credo che Mr. pettorali di titanio sia in grado di fronteggiarlo. - sghignazzò Skye rivolgendosi a Ward. - Servirebbe Steve Rogers in persona. -


*


Il signor Walker ricominciò a parlare. - Melissa era spaventata e preoccupata per la mia incolumità e quella di sua figlia. Disse che se sarebbe occupata lei e che avrebbe sistemato tutto. Fece un paio di telefonate e disse che andava tutto bene, che saremo stati protetti e che non dovevamo preoccuparci di nasconderci. Cambiammo i nostri nomi e la nostra casa per essere più sicuri. -

- Qual è il suo vero nome? - domandò May.

- Voi dello S.H.I.E.L.D. dovreste saperlo, è da voi che è venuta mia moglie, non è così? - ringhiò.

- Non siamo noi i responsabili del vostro caso di tredici anni fa. -

- Dottor Christopher Austin. Il nome di mia figlia le venne dato in onore della madre di Melissa, Lisa Jones. -

- Non le credo. - intervenne Emma. - Potevate chiamarla semplicemente "Lisa". C'è qualcosa di più dietro questo nome che lei non vuole dire. -

- Non posso dirlo! - gridò alzandosi in piedi di getto.

Appoggiata alla porta della propria camera, Elise sussultò, ormai le lacrime le avevano gonfiato gli occhi molto più di prima.

- Bene Austin, allora mi dica.. tutti questi segreti dove l'hanno portata? Che è successo a sua figlia? -

- Non posso, scusatemi ma non posso dire altro! - sbraitò l'uomo spingendo le tre verso la porta di casa.

- Almeno ascolti cosa ho da dire per ultimo. - disse Melinda sulla soglia tenendo la porta aperta con una mano per evitare che l'uomo le chiudesse fuori. - Lei sa della somiglianza tra sua moglie e il professor Randolph e scommetto che sa anche che lui c'entra qualcosa con la vita di Melissa. -

Christopher non riuscì a sostenere lo sguardo di ghiaccio della donna e con occhi liquidi mormorò: - Elliot ha più risposte di quante ve ne potrei dare io. - e la porta si richiuse definitivamente.



Sul pavimento della sua piccola stanza Joe piangeva lacrime amare ripensando a tutto ciò da cui è stata tenuta lontana, all'oscuro. A quella storia intricata che viveva a pari passo con la sua vita. Asciugandosi le lacrime raggiunse il computer acceso sul letto e digitò alcune parole.

"Bene." pensò. "Siviglia sto arrivando."

Quando il padre bussò alla sua porta, Joe ne uscì come una furia senza neanche guardarlo, raggiunse l'uscita di casa ed esitò qualche istante sulla maniglia. Il borsone che aveva sulla spalla pesava non poco ma lei era decisa a non tornare indietro.

- Dove vai? - chiese Austin guardandola confuso.

- Da qualcuno disposto a darmi delle risposte. - e la porta venne sbattuta nuovamente.





Siviglia, Spagna

Qualcuno bussò alla porta dell'ufficio e dall'altra parte l'uomo seduto alla scrivania si ritrovò a far entrare l'ospite.

- Chi abbiamo qui? - domandò guardando la ragazza magrissima che stava entrando.

- Professor Randolph? - chiese quest'ultima.

- Sì, sono io. -

- Joe Walker. Speravo potesse rispondere alle mie domande. - disse la ragazza congiungendo le mani sulla pancia.

Di fronte a lei il professore rimase a bocca spalancata. - Porca miseria. -


*

- Diciamo che abbiamo ricavato un sacco di informazioni, l'agente Hill sarà felice di sapere cos'è successo a sua cugina. - gridò Emma dalla stiva del jet.

- La missione non è finita. - cominciò Natasha. - Austin o Walker che sia non ci ha voluto dire che cos'è successo durante l'intervento, quindi dovremo scoprirlo con le maniere cattive. - disse stringendo i comandi dell'aereo. Al suo fianco May aveva lasciato ricadere la maschera di neutralità sul suo volto, e ora stava fissando le nuvole pensierosa.

- Ti lasciamo lungo la strada dalla tua squadra, va bene? - le disse la rossa.

- Sì.. grazie. - mormorò disattenta.

Un cellulare squillò e dalla stiva Emma rispose. - Pronto? Ciao Angelica! Sì, sono a lavoro, sono molto occupata. Non posso rimanere per molto tempo al telefono ma ti assicuro che ci vedremo presto. Saluta i bambini e mamma e papà, devo attaccare, ciao. - l'agente liquidò l'interlocutrice in poche parole mentre le due spie la guardavano confuse.

- Angelica? - domandò Natasha.

- E' mia sorella, è incinta e non ci vediamo da molti mesi. Di solito mi chiama mentre siamo a lavoro nonostante le abbia detto mille volte di non farlo. - sbuffò Emma.

- E' pericoloso usare apparecchi telefonici su un jet, lo sai questo? -

- Se non lo sapessi non avrei chiuso immediatamente. -

- Se lo sapessi allora spegneresti il cellulare. - ribatté Natasha.

Ma Emma non rispose più. Odiava quando si mettevano in dubbio le sue capacità di agente. Aveva raggiunto il livello otto per un motivo, giusto?


- Chiamerò l'agente Sitwell per aggiornarlo sulla missione, ma avremo bisogno di te in futuro. - cambiò argomento la russa rivolgendosi a Melinda.

- E io ci sarò. -


*


Finalmente Melinda ritornò sul Bus dopo un giorno di straziante fatica. Il SUV sgommò appena raggiunto il portellone di carico dell'aereo e appena la rampa si richiuse poté notare Skye e Grant allenarsi. Lui la colpiva direttamente, quasi come se stesse di fronte ad un vero nemico, sferrava ganci destri e sinistri, che però venivano sempre parati. Sferrò un calcio basso sicuro di prenderla alla sprovvista, il piede andò a colpire la coscia ma immediatamente fu Skye a spingerlo per terra. Dopo di che si accasciò anche lei sul freddo pavimento del Bus.

- Scusa, stai bene? - le chiese poi Ward ansimando.

- Non ti preoccupare, non mi hai fatto tanto male. - la cicatrice che aveva sulla coscia poco più su del ginocchio era ancora "giovane", se l'era procurata poche settimane prima, ma la gamba le faceva ancora male.

Fitz scese battendo le mani dalla scala a chiocciola su cui si era acquattato per seguire la scena. May intanto era vicino a loro imbracciando la moltitudine di fascicoli riguardanti la missione. Fitz si prostrò davanti ai due combattenti entrambi esausti per terra, indietreggiò un poco sempre con il sorrisetto strafottente sul volto. "Oh, se Simmons potesse vederlo!" aveva pensato. - La brava ragazza ti ha battuto, Ward! - ridacchiò soddisfatto.

I tre si voltarono verso la figura di May che stava avanzando a grandi passi verso di loro. - Wow, finalmente qualcuno si è degnato di farsi vivo! - esclamò Skye con scherno sempre tenendo sollevata la gamba dolorante.

- Ho avuto qualche problema al Centro. - la donna non voleva dire loro della missione, erano questioni segrete e non riguardavano la squadra. - Novità? - chiese noncurante.

- NOVITA'? - esclamò sbalordito Fitz. - Ti abbiamo inviato dieci messaggi per farti venire qui! -

- Ci sono stati dei problemi? - continuò.

- Un detenuto dello S.H.I.E.L.D. è scappato di prigione: è un soldato HYDRA fisicamente potenziato che si sta facendo un bel giro per gli Stati Uniti. - spiegò lievemente irritato Ward.

- Simmons ha chiamato? - continuò May come se non le importasse della missione.

- Non ancora. - rispose Fitz tranquillizzandosi ma non celando la tristezza nella sua voce.

- Uhm. - fece May abbassando gli occhi e camminando verso la scala a chiocciola davanti alla quale erano ancora seduti Ward e Skye.

Fitz fece qualche passo indietro ma urtò una Melinda May molto affaticata dal peso di tutti quei fogli: le carte rovinarono a terra e i fascicoli si sparpagliarono nella stiva.

- Fitz! - urlò Melinda.

- Scusa, scusami! - urlò alzando le mani. - Ti aiuto a raccogliere ogni cosa. - la assicurò.

Mentre l'agente May stava riordinando i vari files, la sua attenzione venne catturata da uno in particolare, probabilmente sfuggito ai loro occhi.

Megan "Maggie" Jones, scienziata e chimica. Livello otto.

"Jones? E' l'altra scienziata che ha contribuito alla ricerca del farmaco." pensò.

Continuò a leggere oltre sotto gli sguardi confusi degli altri.

Deceduta. Assassinata.

I suoi occhi scorrevano. "Maggie Jones era un'agente dello S.H.I.E.L.D.? Perché mai non l'abbiamo capito prima? Quei tizi fanno sul serio." lesse più giù e più informazioni conosceva più capiva quanto in realtà il mistero fosse fitto.

Il nome dell'agente Jones verrà inserito sul Muro al Valore sotto volere dell'organizzazione e del marito, agente John Garret, facente sempre parte di quest'ultima.

- Oh mio Dio. Garret è suo marito. - esclamò nel nulla.

E l'assassino di sua moglie era nelle sue mani. Ian Quinn.







N.d.a.

Ok, probabilmente ho creato più domande che risposte ma non temete (temete), arriveranno a breve. So che sono molto cattiva ma, essendo già impegnata con una long e mezzo (?) non ho voluto cimentarmi in un'altra. Diciamo che questa serie verrà pubblicata ad "episodi" che spiegheranno tutti gli interrogativi lasciati inediti in questa e nella shot "Manila's lab". [La long su questa storia ce l'ho già in mente e ho iniziato a scriverla ma non verrà pubblicata prima di aver già pronti un numero abbastanza promettente di capitoli. *sorry*]

Spero che non mi odiate e che mi lasciate un commento per esprimere la vostra impressione.
Dichiaro già da adesso che il passato della nuova agente introdotta, l'agente Jheremy, verrà esplorato in più modi più volte, e sarà protagonista delle mie storie nuovamente.

P.S. avete notato il pezzo in cui si spiega la frase di Fitz "Skye è diversa, è riuscita ad atterrare Ward in un combattimento d'esercitazione, la ferita però le fa ancora male delle volte." ?? Non sono carinissimi quei due assieme?? ^^

Ok, mi sto accorgendo che le speculazioni stanno degenerando.. quindi vi lascio o buon popolo di EFP!

Vi lascio con l'immagine della nostra Jones, nonché dell'attrice che ho scelto per impersonare questo personaggio, come dovrebbe essere dopo il famoso intervento.

http://www.gossippando.it/wp-content//2011/03/Rachel+Bilson+senza-trucco-parrucco-marzo2011-1.jpg

Bye belli!

Just words, fantasies and fortune
Erika :*
   
 
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