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Autore: Fannie Fiffi    23/03/2014    0 recensioni
[Sherlolly AU]
Sherlock ha avuto un incidente che gli ha cambiato per sempre la vita. Non riesce più a trovare un senso, un motivo per cui debba continuare ad essere lui. La sua visione delle cose cambia irrimediabilmente quando conosce Molly Hooper, nuova patologa del St. Bartholomew's di Londra.
Avvertimento: Presenta tematiche delicate.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note: Salve a tutti! Eccomi con una nuova Sherlolly. Questa volta non si tratta di una OS, quindi sono parecchio nervosa. E' la prima long che scrivo dopo molto tempo, perciò mi scuso se la suddivisione dei capitoli non sarà il massimo o se non riuscirò nel mio intento.
I capitoli totali saranno pochi, potrebbero addirittura fermarsi a tre, quindi spero di produrre una lettura piacevole. 
Era mia preoccupazione parlare del tema di questa storia, ovvero una tematica delicata che non è mia intenzione screditare in alcun modo. Non intendo ferire o urtare la sensibilità di nessuno, perciò vi avviso già da ora. 
Un grazie va a tutte le persone che leggeranno, a quelle che lo faranno in silenzio o a chi preferirà darmi un proprio parere, anche solo per dirmi che è meglio se mi ritiro.
La mia paura più grande è quella di essere uscita fuori dal personaggio, quindi per prevenzione ho aggiunto l'avvertimento OOC.
Insomma, scusate gli sproloqui e buona lettura :)





 
Heal
 
 
Take my mind and take my pain
Like an empty bottle takes the rain
And heal, heal, heal.
Heal, Tom Odell.
 




 
Sherlock Holmes se ne sta in piedi al centro 221B mentre la città comincia pian piano a risvegliarsi. Si liscia pigramente il tessuto morbido della camicia e immagina com'è fuori, vorrebbe fuggire altrove. Ovunque. Dovunque non sia lì.

Devi avere pazienza, Sherlock. Tornerà tutto come prima. Non preoccuparti, Sherlock. Non urlare, Sherlock. Non piangere, Sherlock.”
 
In verità lui sa, nel profondo del suo cuore, che proprio niente tornerà come prima. E si era preoccupato, e aveva urlato, e aveva pianto tutte le sue lacrime in silenzio, al buio, da solo, nudo e indifeso come un verme.

 Ricorda come prima amasse starsene vicino alla finestra a guardare fuori una nuova giornata che prendeva vita a poco a poco. Trovava un effetto estremamente rilassante in questa particolare abitudine che aveva da quando era piccolo
 gli tornano ancora alla mente le proteste di Mycroft mentre entrava nella sua stanza e gli intimava di non fare lo stupido  e una deliziosa pace nell'osservare il silenzio di tutto ciò che lo circondava. Erano quegli attimi semplici e quotidiani che gli permettevano di respirare veramente.
 Ora tale pensiero gli fa risalire la bile in gola. Non sa
– ed è un'amara constatazione che ha tenuto per se stesso  se sarà più in grado di farcela.
 


Quando Sherlock arriva al St. Bartholomew’s Hospital l'alba è passata da un pezzo e il frastuono di Londra sembra entrargli nella gabbia toracica e rimbombare insieme al cuore.
Sarà una giornata lunga e noiosa
 molto noiosa – ma condurre l’ultimo ciclo di controlli medici è forse l’unica nota positiva in tutto quel garbuglio incasinato che è diventata la sua vita. Sente il vento leggero sfiorarlo in leggere carezze e ripensa a quelle infinite giornate passate a letto ad ascoltare John che leggeva per lui, John che gli stringeva la mano ogni volta che le lacrime gli salivano agli occhi, John che si voltava dall'altra parte per non fargli capire che anche lui era sul punto di piangere.
 John, essenzialmente lui, solo lui, grazie a lui era riuscito a sopravvivere.
 Il suo migliore amico non l'aveva abbandonato nemmeno un attimo, nemmeno quando lui aveva urlato a tutti quelli che gli avevano fatto visita di andarsene a fanculo e non rimettere più piede in quella casa, nemmeno quando faceva cadere i suoi vasi preferiti. E nemmeno ora, mentre il Signor Holmes si dirige al Bart’s e lui lo tiene sottobraccio e non lo lascia mai andare, lo guida.
Sherlock l'ha capito dal primo momento in cui si sono visti che John sarebbe stato la sua luce, e non c'è stato momento in cui abbia rimpianto o creduto sbagliata quest'intuizione.


 
Molly Hooper è sempre stata una persona chiusa.
 Alle elementari era la bambina che odiava indossare un grembiule rosa uguale a quello di tutte le altre fanciulline e al liceo era la ragazza che tutti si proponevano di evitare accuratamente, a meno che volessero da lei appunti di chimica e biologia.
 Lei ci aveva fatto l'abitudine fin da subito e aveva stretto con se stessa un tacito accordo, secondo cui non avrebbe cercato di essere qualcosa che non era.
Molly Hooper era sempre stata ed è rimasta una donna invisibile, tale viene considerata e da tale si comporta, e tutto ciò le sta bene.
Ha imparato a farselo andare bene quando ha capito che la sua vita non era per niente simile a un romanzo di Jane Austen e che gli altri non avrebbero mai conosciuto veramente né lei né tutte le cose che non riusciva a dire. Nessuno l'avrebbe mai vista.
 Ed è proprio per questo che, in quella che per gli altri era una spensierata giovinezza, aveva preso la meditata decisione di trascorrere gran parte delle sue giornate in obitorio, lì dove nessuno l'avrebbe mai giudicata.
 


Sherlock sa che ci vorranno pochi minuti prima che John si accorga che lui non è davvero andato a controllare le brochure per i centri di riabilitazioni in cui vogliono tanto mandarlo, perciò il detective tira fuori con tedio il bastone che si è sempre opposto di imparare ad usare e, basandosi sulla percezione sensibile, si dirige verso l'obitorio. È incredibile come quel posto l’attiri come una calamita, come se fosse l’unico luogo in cui lui possa trovarsi bene. Quasi come se gli fosse destinato. Sarebbe cominciato e finito tutto lì, lo sa.
Gli sembra passata un'eternità dall'ultima volta in cui è stato là, tutto è cambiato, eppure riesce ad immaginarselo sempre uguale, sempre le stesse pareti di un bianco sbiadito e opprimente, sempre lo stesso odore di disinfettante e perdita, lacrime, dolore, sempre gli stessi inservienti e dottori arroganti. Non c'è mai niente per cui ne valga la pena.
Sherlock ha saputo che è arrivata una nuova anatomopatologa, perciò quando arriva all'entrata decide di non volerla impressionare troppo.
Infila una mano nella tasca interna del completo Spencer Hart e si appoggia sul naso gli spessi occhiali dalle lenti totalmente nere; lo fa quasi sorridere il fatto che l’oscurità sia ormai parte imprescindibile di lui e che non possa separarsene nemmeno se lo volesse.

« Mi scusi, non può stare qui » quando entra nel laboratorio viene subito bloccato da una voce femminile, fioca, in cui può percepire un certo tipo di timidezza dalla tonalità e dalla quale può dedurre che si tratti di una donna sui trent’anni, dall’accezione e dalla pronuncia tipicamente londinese, perciò quasi sicuramente bianca. Non male come prima analisi.
« In realtà, signorina… »
« Dottoressa Molly Hooper. »
Sherlock fa un sorriso di sufficienza e continua: « Sono un assistente di Scotland Yard, più precisamente dell’Ispettore Lestrade. L’hanno già informata su chi saranno i suoi collaboratori, dottoressa Hooper? Non si agiti, sono sicuro che si troverà bene al Bart’s. Così poche persone con cui parlare. Comunque, dicevo, ho tutte le autorizzazioni che può sprecarsi a non cercare per trovarmi qui.
Sherlock Holmes, piuttosto felice di non dover più cooperare con quell’inetto del suo predecessore, per la cronaca.»
« Allora è davvero lei… » è semplicemente un sussurro quello che Molly si lascia scappare, eppure Sherlock riesce decisamente a percepirlo. In fondo, in mancanza di un senso gli altri si sviluppano maggiormente, no?
« In carne ed ossa. » il suo tono di voce si è raffreddato, il consulente investigativo sa con precisione che la nuova patologa ha sentito parlare di lui, allora decide di abbandonare i convenevoli e si toglie gli occhiali; riesce a percepire un sussulto da parte della donna di fronte a sé e può facilmente immaginare che si sia portata una mano alla bocca. La prevedibilità dell’ordinario.
Lascia vagare le sue iridi nella sua personale oscurità, non percependo altro che buio. Non ci sono più veli né barriere, Molly Hooper può vedere con chiarezza i suoi occhi completamente azzurri, completamente di ghiaccio, completamente inutili. Ed ecco il grande segreto di Sherlock Holmes.
« Prima che tu svenga, sì, Molly – posso chiamarti Molly, vero? Certo. – hai capito bene. La mia cecità è un problema per te? » il moro si appoggia con entrambe le braccia al bastone e si porge in avanti, sfoderando un ghigno deformato dal fastidio e dallo sforzo di non prendere a calci e pugni qualsiasi cosa si trovi davanti.
Percepisce la donna spostare il peso da un piede all’altro, s’illude quasi di sentire il suo battito cardiaco e  vorrebbe osservarla per desumere ogni sua abitudine e ogni sua ispirazione, per leggerle dentro, ma non può. Non ne sarà mai più in grado. Realizzare tale ipotesi gli fa avvertire un fastidio bruciante corrodergli il petto e rodergli le interiora.
Tutta la sua vita si è basata sulla deduzione, sulle proprie capacità, ma queste funzionano solo se accompagnate da un’osservazione attenta e dettagliata della realtà oggettiva dei fatti e delle loro credenziali. E come può un cieco fare tutto ciò?
Sherlock ha sempre saputo che prima o poi la vita gli si sarebbe rivoltata contro e gli avrebbe tolto tutto ciò che si era preso lottando con le unghie e con i denti, che un dono come il suo doveva necessariamente essere compensato da una maledizione altrettanto totalizzante, ma mai s’era aspettato una tale punizione. Il peccato di ubris aveva un sapore terribilmente amaro, dannazione, e l’avrebbe avvertito sulla punta della lingua per il resto della sua esistenza.
C’era così tanta rabbia. Così tanta paura.
« Io lavoro con i cadaveri, Signor Holmes. Non sono proprio la persona più adatta a giudicarla. »
Molly Hooper parla con calma. Scandisce parola per parola, cerca di mantenere una certa concentrazione. Ma ciò che Sherlock non può fare a meno di notare è il suo tono vocale: non c’è traccia di pietà, quella stessa falsa misericordia che avevano avuto i suoi “amici”, tutti improvvisamente affettuosi e terribilmente dispiaciuti per il suo incidente, perché tu sei una così brava persona, Sherlock.
Il fatto è che lui non lo è davvero. Non è una brava persona. Non aiuta le anziane ad attraversare la strada, non si fa scrupoli a distruggere le bolle autoreferenziali in cui amano vivere le persone ordinarie, non è un buon amico, un buon fratello e tantomeno un buon figlio. Ed ora ha trovato qualcuno che non finge che lui sia qualcosa di diverso da se stesso. Gli sta quasi simpatica, quella Molly, perché non gli ha riservato la compassione che lui sa di non meritare. È vera.
« Sherlock! » la voce di John Watson gli arriva chiara e imponente, riesce quasi a sentire il suo sguardo perforargli la schiena. È arrabbiato.
« John! »  il minore degli Holmes si volta nella sua direzione e parla con tono bonario e leggero, come se avesse incontrato un amico che non vede da tanto tempo. In realtà l’altro sa che non c’è alcun tipo di allegria in lui.
« Ti presento la nuova patologa, Molly Hooper. Molly, questo è John Watson, sicuramente lieto di fare la tua conoscenza. »
I due si guardano e si sorridono imbarazzati. John la osserva bene, la scruta –  sente in qualche modo di aver ripreso dal suo migliore amico – e cerca di capire perché Sherlock le abbia anche solo rivolto la parola. Da quando il consulente investigativo non è stato più lo stesso, non ha più parlato con nessuno che non fosse lui.
L’ex soldato immagina che ci sia qualcosa in lei che gli abbia fatto cambiare idea. Ma cosa?
« Possiamo andare. Non preoccuparti, caro mio, rivedremo molto presto la signorina Hooper. » Sherlock si rimette gli occhiali e si avvicina a John, voltandosi solo una volta arrivato alla porta.
« Domani, 17.00, 221B di Baker Street, Molly. Non fare tardi. »



 
  
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