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Autore: Drama Queen    23/03/2014    2 recensioni
"Sono seduta nello scompartimento di un treno, ma non ricordo come ci sono salita. Anche riflettendoci bene, non riesco a trovare nella mia memoria delle informazioni che mi dicano che cosa mi ha portata qui. Mi ci sono semplicemente… ritrovata.
Mi rendo improvvisamente conto che non so dove mi stia portando questo treno."
Questa storia è ispirata ad "Alice nel paese delle meraviglie" di Lewis Carroll solo per il nome della protagonista ed il genere "nonsense", non ha altre caratteristiche o personaggi in comune con il libro o i film che ne sono stati tratti.
Genere: Introspettivo, Mistero, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Act II – Alice into the darkness
 
“Follow me, follow me,
 As I trip the darkness
One more time.
Follow me, follow me,
I awake from madness
Just in time.”
                             Lacuna Coil, “Trip the darkness”
 
All’improvviso, sento che una mano mi si appoggia sulla spalla.
Mi volto di scatto, cercando di asciugarmi in fretta le lacrime e, probabilmente, anche sbavando quel poco di trucco che non era ancora colato dai miei occhi.
È solo una bambina. Strano, penso, dal tocco sembrava una mano molto più grande e forte. Invece, mi ritrovo davanti questa ragazzina che avrà circa nove o dieci anni, vestita come una bambolina di porcellana, con un grembiulino bianco ed un vestitino di epoca vittoriana.
Non dice niente, sta semplicemente in piedi davanti a me e mi fissa.
Non sapendo che cosa fare, accenno un sorriso e la saluto.
“Ciao…”
Si sarà persa? Non credo: non ha lo sguardo smarrito di una bambina che non trova più i genitori. L’unica che si è persa, qui, sono io.
“Perché sei qui? Non dovresti stare qui” mi dice, severamente, la ragazzina, senza nemmeno rispondere al mio saluto. Nonostante abbia l’aspetto di una bambolina, il suo tono di voce è decisamente da adulta.
“Come?” chiedo, disorientata.
“Non dovresti essere qui. Dovresti essere fuori” ripete lei.
Mi guardo intorno. Sono in un parco, all’aria aperta… non sono già fuori? O forse intende fuori da questa città?
“D-dove?” balbetto, sempre più confusa.
A questo punto, la bambina scoppia a piangere senza preavviso.
“Voi grandi non capite mai niente” si mette a frignare. “È ovvio che dovresti stare fuori, non è il tuo posto qui. Ci sono tante cose che devi fare fuori. Perché non capite mai e volete restare qui?”
Ha ragione, non capisco una parola di quello che ha appena detto, ma mi dispiace molto vederla piangere, quindi allungo un braccio per accarezzarla.
La bambina, però, non sembra apprezzare per nulla il mio gesto e si scosta bruscamente.
“Non mi toccare. Sei solo una stupida adulta!”
Mortificata, ritiro la mano e penso a che cosa potrei dirle per farla calmare. Nel frattempo, però, lei è già corsa via e la sua immagine si sta perdendo tra le stradine della città sconosciuta.
Se prima mi sentivo disorientata, ora non saprei come definirmi. Ho incontrato una sola persona, da quando sono arrivata, e la sua reazione è stata urlarmi contro delle frasi incomprensibili.
Da sola non capisco niente di quest’assurda situazione: devo andare a cercare aiuto. Ci dovrà pur essere qualcuno disposto ad aiutarmi, in questo posto. Soprattutto, spero che ci sia qualcuno capace di parlarmi in modo comprensibile.
Invece, per strada, continuo a non vedere nessuno. Cerco instancabilmente, tra il dedalo di vie grandi e piccole, a volte così strette da togliere il respiro. Nessuna anima viva.
Finalmente, dopo quelle che mi sono sembrate ore di camminata, sbuco in una piazza gremita di gente.
Non faccio nemmeno in tempo a rallegrarmi, perché subito mi accorgo che la folla mi ignora. Non solo sembra che non mi vedano, pare che non sentano nemmeno la mia presenza fisica. Infatti, tutti proseguono dritti per la loro traiettoria e mi urtano da tutte le parti, senza fare il minimo caso a me.
Sono ormai circondata dalla gente e non posso più muovermi, solo farmi trascinare in una direzione e poi in un’altra, indipendentemente dalla mia volontà.
Quando non so davvero più come fare per uscirne, qualcosa – potrebbe essere un tentacolo, ma non riesco a capirlo – mi afferra per una gamba e mi trascina in basso.
Senza nessun punto d’appoggio, mi sento volare verso il basso per alcuni secondi. Poi, il mio sedere subisce un impatto abbastanza violento con un pavimento di pietra. Stordita e dolorante, mi massaggio la parte bassa della schiena, in attesa di riprendermi dalla botta.
Nel frattempo, guardando in alto, riesco a capire che sono passata attraverso un tombino e adesso sono nelle fognature della città.
Ho anche capito, purtroppo, che cosa mi aveva afferrato: la coda di un serpente. Il resto del corpo del rettile, infatti, sta iniziando ad avvolgermi. È accaduto tutto così all’improvviso che non mi ero nemmeno accorta di vederlo arrivare ed ora non posso fare altro che aspettare, paralizzata. Spero davvero che non abbia intenzione di stritolarmi, perché in quel caso non potrei oppormi in alcun modo.
La morsa, invece, si allenta di colpo ed il serpente ricompare davanti a me, avvolto attorno ad un tubo di scarico per l’acqua.
“Signorina, ti hanno già detto che non dovresti essere qui, vero?”.
Stranamente, più che del fatto che il serpente mi abbia appena parlato, sono sorpresa dalla sua voce così umana. Non sibila come ho sempre sentito nei cartoni animati.
D’altronde, se l’unico con cui posso avere un discorso sensato in questa città assurda è un rettile, allora sono felicissima di discutere con lui.
“Ascolta, io non ho capito nulla di quello che mi è successo da quando sono arrivata qui, anzi è da prima ancora che non ci capisco un accidenti di niente!” sbotto.
“Infatti, se tu avessi capito sapresti già che cosa fare” risponde, guardandomi come un professore fissa l’alunno che non ha fatto i compiti per casa. “Ti devo spiegare tutto io?”.
“Sì, per favore spiegami! Dove sono? Mi sembra di essere in un sogno assurdo… come Alice nel Paese delle Meraviglie!” esclamo.
Il serpente sbuffa. “Al massimo potresti essere Alice dentro la sua testa.”
Dentro la mia testa? Cosa significa? Vuol dire che è veramente un sogno allora?
“Non riesci ad immaginare perché quella bambina fosse arrabbiata con te? Neanche un’idea?”
Scuoto energicamente la testa.
“Sei più ottusa di quanto immaginassi.”
Il serpente sbuffa di nuovo e io rimango ancora una volta colpita dalle sue espressioni così umane. Poi, si fa improvvisamente serissimo, tanto che ho quasi l’impressione di trovarmi davanti a mia madre quando mi rimprovera. D’istinto, mi ritraggo intimorita. “Alice, tu hai avuto un incidente con la bici” mi annuncia. “Ti sei buttata in mezzo ad un incrocio senza guardare.”
La notizia mi colpisce a tal punto che comincio a ricordare. Non so che cosa fosse successo prima di quell’episodio, ma mi rivedo distintamente nel momento in cui sono passata senza prestare attenzione alle automobili. Anzi, pensando che non me ne sarebbe importato niente se qualcuno mi avesse investito.
Quindi, sono stata davvero investita.
“Sono viva?” domando.
Il serpente mi lancia un altro sguardo perplesso. “Questo dovresti saperlo tu, non io.”
Perfetto, non sappiamo nemmeno se sono viva o morta. Se fossi morta e questo fosse una specie di aldilà, potrebbe essere una spiegazione. Se sono viva… allora la spiegazione qual è? Sono in coma, forse?
Dopo averci riflettuto un po’, decido di lasciare in secondo piano la questione. Non c’è modo di saperlo, quindi non ha senso aggiungere un’altra preoccupazione a quelle che ho già. È davvero comico da dire, ma… Se sono morta, ormai non posso farci più niente. Mi stupisco io stessa del fatalismo con cui la mia mente ha accettato questa terribile possibilità.
Al contrario, se sono viva posso cercare di uscire da qui.
“Finalmente lo spirito giusto!” esclama il serpente, come se avesse sentito i miei pensieri.
O forse li ha davvero sentiti. O forse, se veramente siamo dentro la mia testa…
“… Tutti sappiamo che cosa pensi, perché è di questo che siamo fatti” completa lui.
Resto a bocca aperta di fronte alla rivelazione.
“Hai capito, ora, perché qui dentro tutti ti odiano?”
“Perché sono morta?” chiedo.
“Perché ti sei sconsideratamente gettata in mezzo alla strada, senza nessun riguardo per te stessa e neppure per gli altri!” grida, con un sibilo minaccioso. “Sai qual è il modo per uscire da qui? Ma sei veramente sicura di volerlo sapere? O continuerai a farti investire dalle automobili disprezzando la tua vita? O troverai un altro modo, la prossima volta, per far del male a te e agli altri?”
Ora il serpente è vicinissimo, con gli occhi gialli ed i denti avvelenati a pochi centimetri dalla mia faccia. Arretro intimidita.
Poi, un barlume di determinazione si fa strada nel mio animo.
“Voglio sapere qual è il modo per uscire” sussurro.
“Devi studiare!” urla il rettile, con la lingua biforcuta che quasi tocca il mio naso.
Che cosa? Studiare? Questa proprio non me la sarei aspettata. Che cosa devo studiare?
“Senza discutere, ora vai in biblioteca. È proprio qui, ci si arriva da questa botola” mi spiega, alzando con la punta della coda il coperchio di un altro tombino. “Devi imparare il contenuto di tutti i libri che ti darà il bibliotecario. Tutti. Solo quando avrai studiato possiederai le risposte. E ora salta!”
Terrorizzata da quell’ordine imperioso, senza perdere tempo, salto.
  
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