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Autore: aleweerint    23/03/2014    2 recensioni
''Era appena uscita dalla doccia, prese i vestiti e li poggiò disordinatamente sul letto.
Iniziò a vestirsi.
O meglio, a raccontarsi.
Ci sono storie che solo delle mani possono raccontare, strade che solo dei piedi hanno percorso. Storie che solo degli occhi possono ricordare.''
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uno dopo l'altro.
I petali di quelle rose bianche stavano cadendo uno dopo l'altro mentre dalla finestra filtrava la luce più calda che quell'aprile avesse donato.
Erano ancora le quattro, ma Caroline doveva andare ad un appuntamento e non poteva arrivare in ritardo, non quel giorno.
Era appena uscita dalla doccia, prese i vestiti e li poggiò disordinatamente sul letto.
Iniziò a vestirsi.
O meglio, a raccontarsi.

Ci sono storie che solo delle mani possono raccontare, strade che solo dei piedi hanno percorso. Storie che solo degli occhi possono ricordare. 

Caroline prese le calzette e incominciò ad infilarsele.
Era l'estate del '98.
Lei e Jim correvano per la radura, ridevano come due matti, lei davanti e lui a inseguirla. La madre di lei non ne sapeva nulla, il padre di lui guardava tutto da lassù.
Caroline aveva diciassette anni e due quaderni pieni zeppi di storie.
Jim ne aveva diciannove e le sue mani erano grandi e piene di calli.
Lui, un giorno, si era presentato davanti casa sua con un mazzo di tulipani, ma lei non era uscita, la madre gliel'aveva impedito. Fu così che nacque il loro amore.
Sarà che a Caroline piacevano i tulipani, o che quella relazione avrebbe comportato una certa dose di trasgressione. Sarà, invece, che lui le aveva promesso quello che nessun altro le aveva mai promesso. Niente.
L'aveva presa, una mattina, e le aveva detto: «Io ti prometto che non ti prometterò niente». Aveva detto proprio così. 
Stavano correndo, spensierati, e lei stava bene.
Non quel 'bene' detto tanto per dire quando gli altri ti chiedono come stai.
Lei era proprio felice.
O meglio, era la felicità che la divorava. Se la mangiava lentamente e con foga crescente.
Poi un giorno lui era arrivato con uno strano cappello in testa, una valigia alla mano, e le aveva detto «Caroline, io ti amo, ma parto per l'America».
E lei aveva capito solo: «tu sei meno importante».
E si sarebbe sentita per sempre così: meno importante.

Ormai aveva deciso: avrebbe azzardato.
Era aprile ma fuori c'era caldo.
E comunque avrebbe messo delle calzette.
Ormai aveva deciso.
Caroline si alzò la gonna con un colpo secco, prese la camicetta ed iniziò ad abbottonarsela. Prese la giacca, a parte le scarpe era quasi pronta, ma mancava il suo portafortuna.
Si calmò, per un istante non doveva essere di fretta, c'era una cosa da fare che avrebbe portato ordine a quella giornata, a quel momento. Come aveva sempre fatto.
Prese la spilla con la rondine e se la fissò sul petto, gli occhi piantati sul nulla.

«Nonna, perché piangi?»
«Sono lacrime di gioia, tesoro. Lo sai dov'è andato il nonno?»
«No, la mamma non me lo vuole dire, piange anche lei»
«Anche lei è contenta! Il nonno è andato in giardino»
Caroline fece per voltarsi ma la nonna la fermò.
«Non il nostro giardino, ma il giardino. Tu non lo puoi conoscere e non lo puoi vedere, sei ancora piccola»
«Dite sempre così, voi: sei piccola per fare questo, per andare qui, per vedere quest'altro e bla bla bla»
«Vedrai che il tempo ripagherà l'attesa, ne varrà la pena»
«E va bene, ti credo... ma, dimmi, com'è questo giardino? Tu lo sai?»
«Si, lo so, ma non l'ho ancora visto. Tuo nonno mi ha raccontato qualcosa, ma dice che mi aspetta, che poi vedrò tutto con i miei occhi e sarà ancora più bello. Mi ha raccontato che lì c'è sempre il sole, che non deve curarsi del tempo e può andare a dormire quando vuole. Che ha scoperto, passeggiando, che c'è il suo albero»
«Il nonno ha un albero?»
«No, no... anch'io gli ho fatto la stessa domanda, e lui si è messo a ridere. Mi ha spiegato che è come se quell'albero gli somigliasse. Se poggia l'orecchio al tronco può sentire i suoi pensieri. E quindi, ti dicevo, lui passeggiava e ad un certo punto si è sentito. Lo so che è difficile da capire, ma tu sta' attenta. Si è sentito e ha deciso di sedersi sotto quell'albero. Dice che quando è triste e gli manco più degli altri giorni va lì e siede, da solo, sotto il suo albero. E inizia a parlarmi. In questo giardino crescono piante che qui non esistono, o almeno, che non abbiamo mai visto. I fiori sono tinti di qualsiasi colore esistente sulla faccia della terra, e ogni giorno è come se si reinventassero»
«Ti ha detto se ci sono i tulipani?»
«Si, mi ha detto che ci sono dei tulipani meravigliosi, che ogni volta che li guarda pensa a te, e per questo ti ha mandato qualcosa»
«Che bello, un regalo! Cos'è?»
«Tieni, stacci attenta!»
Una piccola rondine si mostrò in tutta la sua bellezza.
Prese il volo e s'infilò nei pensieri di Caroline; lei aveva capito.
Ci sono cose che ad un certo punto s'incontrano
si vedono per strada e si salutano da vecchi amici
si danno la mano e camminano insieme
bussano alla porta e tu pensi
ho capito.

La borsa, le parole che forse un giorno si sarebbero chiamate libro, gli occhiali, le chiavi di casa. Era quasi tutto pronto. Infilò le scarpe, allacciò i lacci.
«Ma dove pensi di andare?»
«Mamma devo scappare!»
«Scalza. Devi scappare scalza»
Caroline salì di corsa le scale, dimenticava sempre qualcosa.
Ma non dimenticava mai nessuno.
Viviamo in un continuo ricordare, non è terribile?
Questo era uno dei pensieri che le dava più tormento: il ricordare incessantemente.
Lei invidiava - si, invidiava - i pesciolini rossi.
Loro hanno la memoria che dura tre secondi, per questo fanno dei continui scatti. 
Ma la loro è una vita felice, ogni volta che vedono qualcosa la stanno scoprendo e tutto sembra bellissimo, meraviglioso.
E lei voleva vivere così, osservando tutto con occhi sempre nuovi.
E voleva che gli altri facessero lo stesso e la guardassero con occhi sempre nuovi, per accorgersi di cose che lei stessa sconosceva.
C'era un altro mondo dentro di lei,
loro non lo sapevano
non lo vedevano
lo ignoravano
solo per ignoranza.

Ridiscese le scale, aveva il fiatone, era - come sempre - in ritardo.
«Mamma, sono pronta!»
«Andiamo allora»
La mamma piangeva, il padre sorrideva, lei tremava d'ansia.
Ansia per la vita che l'aspettava, per la pioggia che l'avrebbe bagnata, per i caffé che avrebbe preparato. Si sistemò per il viaggio. Pose lo sguardo su ciò che stava oltre il finestrino, attenta alle cose che si sarebbero per sempre incastonate nella sua memoria.

Lei si sentiva meno
si sentiva bianco, che è meno bello del rosso, del giallo, del blu
si sentiva inverno, che è meno caldo dell'estate
si sentiva albero, che parla meno degli uccelli (così sembrerebbe)
si sentiva mare, meno tranquillo del cielo
lei si sentiva meno
perché il meno sottrae
e lei si era sempre sottratta alla vita.
L'aveva vissuta ma la vita non aveva vissuto lei.
Le era passata accanto, l'aveva sfiorata, ma era passata oltre.

Almeno fino a quel momento.
  
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