Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Bocca Dorata    23/03/2014    2 recensioni
Ok premetto che questa One-Shot è venuta semplicemente lunghissima (più di 5000 parole), ma purtroppo non avevo abbastanza idee per crearne una raccolta D:
Vabbè, ho fatto del mio meglio per trattare personaggi di cui non mi sono mai appassionata, ma che mi hanno donato l'illuminazione per questa storia romantica. Un piccolo spaccato ipotetico di come si possano essere incontrati e innamorati Draco ed Astoria. Spero che vi piaccia e, beh, buona lettura a voi che vorrete leggere :D
Dalla Storia: [...]
“Umh, Pozioni, Difesa, Trasfigurazione, Incantesimi…” elencò incomprensibilmente Astoria “Che vuoi fare dopo la scuola, l’Auror?” scherzò mentre un sorriso furbo le si dipingeva sulle labbra.
“Ah. Ah. Ah. Molto divertente, Greengrass” sbuffò lui, alzandosi ormai del tutto infastidito da quella presenza assolutamente non richiesta.
[...]
Draco alzò il sopracciglio destro e domandò, con il tono più scettico che riuscì a trovare un: “Ma cos’è, hai una cotta per me, per caso?”
Si aspettava che lei negasse. O che lo prendesse per il culo allo stesso modo.
E invece lei lo guardò fissamente negli occhi, sempre più rossa: “E se anche fosse?”
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy | Coppie: Draco/Astoria
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Allora non so se vi potrà mai piacere il carattere che ho deciso di dare ad Astoria, ho pensato di poter fantasticare quanto volevo visto quanto poco si sa su di lei e quindi.... vogliate perdonarmi nel caso la troviate terribile *si inchina in segno di scuse.
Ah e scusatemi ancora per la lunghezza infinita di questa storia, spero possiate avere la pazienza di leggerla tutta *sigh
E, infine, spero di aver reso bene il carattere di Draco Malfoy dopo la Guerra. Beh, non ho più nulla da dire e quindi emh, Buona lettura! :D



Ma a me piaci tu



“Ehi, che fai, studi?”
Draco Malfoy, sentendo quella domanda, alzò lo sguardo dal libro che stava sfogliando distrattamente e lo spostò stupito in direzione della voce.
Era da quando era stato costretto a ricominciare a frequentare Hogwarts, qualche mese prima, che nessuno gli rivolgeva seriamente la parola e non poteva affatto credere che quel tono femminile e affabile si riferisse proprio a lui.
Non che quella sera ci fosse poi tanta gente in biblioteca. Ma per chiunque sarebbe stato più probabile sentirsi porre una domanda simile piuttosto che per lui.
Richiuse il libro con fare distratto e incontrò gli scuri occhi profondi di una ragazza del sesto anno sempre di Serpeverde.
Draco ripescò dalla sua mente tutte le cose che sapeva su di lei, in una frettolosa escalation.
Il suo nome era Astoria Greengrass, famiglia ricca, ottimo stato di sangue, ma pessimo carattere petulante e solare. La squadrò velocemente, soppesandola alla stregua di un sacco di patate qualsiasi.
Sottile, bionda grano, occhi castani e, apoteosi del peggio, qualche orrenda lentiggine che le fioriva sulle guance e sul naso insolitamente affilato rispetto ai suoi lineamenti morbidi e rotondeggianti.
Non le aveva mai rivolto la parola in vita sua. E tanto meno l’aveva mai frequentata.
“No, in realtà pensavo di ordinare una zuppa al barista, ma non l’ho ancora visto passare…Credi che io sia qui a sonnecchiare, per caso?”
Questa sì che era la risposta educata e pacata che si aspettava di dare alla prima persona che gli parlava dopo mesi di silenzio assoluto. Forse era stato addirittura più sgarbato del solito.
Non che lui volesse davvero una qualche compagnia, anzi, era meglio solo. Voleva essere lasciato solo.
Si era già vergognato abbastanza davanti a tutto il Mondo Magico quando Harry-salvatore-di-tutti-noi-Potter era corso a difenderlo al suo processo trattandolo alla stregue di un povero bambino spaventato e vittima di un potere più grande di lui, davanti al più grande raduno di giornalisti che si fosse mai visto negli ultimi vent’anni.
Era così che Draco Malfoy era stato orribilmente costretto a ritornare in quella scuola in cui sperava di non dover mettere più piede. In quella scuola che aveva visto troppe vittime per i suoi gusti per non essersi ancora trasformata in un cupo cimitero. In quella scuola dove avrebbe dovuto assassinare Silente, ma aveva fallito. In quella scuola dove era morto Tiger. Dov’era morta molta più gente di quanta ne avesse mai conosciuta. E dove non poteva che continuare a fare un orribile incubo dopo l’altro.
E ora eccolo lì, stupidamente seduto in biblioteca, a studiare per potersi trovare un qualsivoglia lavoro rispettabile che il giudice e tutto il Winzengamot gli avevano tanto caldamente “consigliato” di fare.
Ma chi lo avrebbe mai assunto? Chi sarebbe mai stato tanto pazzo da fare una cosa simile?
Lui, che era un Malfoy. Un cognome che un tempo non avrebbe che indicato potere e grandezza, ma che ora non era altro che una condanna. Che era un Mangiamorte. Che aveva ancora il Marchio nero vivo e pulsante sull’avanbraccio sinistro. E che sarebbe dovuto essere un assassino, se solo avesse avuto il coraggio di farlo, mentre invece non aveva mai ucciso nessuno.
Era stato tanto codardo da restare a guardare in silenzio le persone, amici o nemici che fossero, cadere una dopo l’altra davanti a lui, come orribili ed enormi marionette a cui avessero tagliato i fili.
Scosse la testa, continuando a squadrare con fierezza (un sentimento che non sentiva affatto da non sapeva nemmeno più quanto tempo) la Greengrass e ripromettendosi che nessuno l’avrebbe più visto debole e vigliacco come l’avevano visto l’inseparabile-super-trio-della-salvezza o lo stesso Silente.
Nessuno.
Nemmeno quella ragazzina avrebbe mai potuto vedere quanto invece lui in quel momento si sentisse spaventato e maledettamente indifeso davanti all’idea di dover ricominciare una vita tutta nuova, da capo.
Una vita senza raccomandazioni, senza alcuna ricchezza, senza sicurezza e senza una famiglia perché entrambi i suoi genitori erano rinchiusi a marcire ad Azkaban, senza alcuna possibilità di uscire.
Quando il giudice l’aveva decretato, Draco oltre a dover trattenere qualsiasi smorfia del volto che mostrasse quanto sentisse l’infantile bisogno di piangere fino a rimanere senza più lacrime, si era dovuto anche sorbire le ipocrite scuse di Potter che gli chiedeva di perdonarlo per non essere riuscito a fare di più.
Ci avrebbe volentieri sputato sopra, alle scuse di quel pezzente di Potter, invece aveva dovuto ringraziarlo, scodinzolargli dietro e sentirsi in debito con lui per tutto quello che sarebbe rimasto della sua ormai miserevole vita.
Doveva solo inchinarsi e stare zitto, genuflettersi davanti al Ragazzo-che-salvò-nuovamente-il-mondo-dopo-non-si-sa-più-quante-volte.
“Ahahah, no non credo che tu sia qui per questo!” ridacchiò la ragazza riferendosi alla sua pessima battuta acida di prima “Posso…?” domandò mentre si sedeva nel posto vicino al suo.
“Tanto ormai mi pare di vedere che tu ti sia accomodata.” sibilò Draco appoggiando il libro del tutto sul tavolo.
“A quanto pare. Che leggi di bello, Malfoy?” Minimizzò la ragazza sporgendosi verso la copertina del libro.
“Pozioni avanzate. Sai per me questo è l’anno dei M.A.G.O.”
“Umh, Pozioni, Difesa, Trasfigurazione, Incantesimi…” elencò incomprensibilmente Astoria “Che vuoi fare dopo la scuola, l’Auror?” scherzò mentre un sorriso furbo le si dipingeva sulle labbra.
“Ah. Ah. Ah. Molto divertente, Greengrass” sbuffò lui alzandosi, ormai del tutto infastidito da quella presenza assolutamente non richiesta.
Non che il problema fosse solo quello. La realtà era che, con quella stupida domanda, si era di nuovo ritrovato davanti a quel dubbio che lo assillava ormai da mesi. Cosa avrebbe potuto mai fare una volta uscito da quella “placenta” che per lui era diventata Hogwarts?
Che lavoro avrebbe mai potuto fare?
Sentiva solo che avrebbe voluto che quel lavoro, qualunque esso fosse, lo aiutasse a sentirsi meno sporco di quanto non fosse, qualcosa che gli desse uno scopo, un’utilità e che magari facesse del bene anche agli altri…
Ah, gli veniva quasi da ridere. Chi mai avrebbe creduto che ora lui sentisse quello spasmodico, stupido, infantile bisogno di aiutare persone che non fossero lui stesso?
Ogni volta che Draco si ritrovava a pensare al futuro si ritrovava quasi a sperare di esserci morto in quella guerra o di star schiattando in quel momento chiuso nella stessa lurida e claustrofobica cella di suo padre.
Ricordava ancora quando il weekend prima aveva chiesto un permesso alla preside per poterli andare a trovare, lui e sua madre, ricevendo un’occhiata compassionevole.
Vederli lì, dietro quelle gelide sbarre gli aveva rivoltato lo stomaco lasciandolo con la nauseabonda sensazione di star per vomitare anche quel poco di anima che gli doveva essere rimasta. O di star per piangere quelle lacrime che non aveva più.
Era stato solo per un improvviso moto di inspiegabile orgoglio che lo aveva convinto a resistito ad entrambe le tentazioni ed era rimasto lì, con i suoi genitori, a fare la cosa più difficile che potesse mai ritrovarsi a fare. Era rimasto a parlare. A snocciolare una dopo l’altra quelle parole che avrebbe voluto che rimanessero solo per lui.
“Oh, dai non andartene! Non volevo offenderti!” esclamò la ragazza alle sue spalle mentre Draco raccoglieva le sue cose per potersene tornare in santa pace nel suo dormitorio, dove nessun suo compagno di stanza avrebbe mai avuto il coraggio di parlargli.
“Non mi hai affatto offeso, Greengrass. Mi hai annoiato” la corresse atono senza che nessuna espressione decifrabile emergesse dai suoi lineamenti asciutti e appuntiti.
“…Astoria”
“Che?” Draco non era affatto sicuro di aver capito.
“Chiamami Astoria, ok? Trovo veramente inutile chiamarsi per cognome e poi, ad essere sincera, così mi pare che tu stia parlando a mia sorella invece che a me.”
Draco aggiunse mentalmente un’altra informazione sotto il nome e il viso di Astoria Greengrass: tizia strana.
“Me lo segnerò” replicò piattamente il ragazzo.
E, detto questo, se ne andò.
E Astoria si dovette limitare a guardare le sue spalle che attraversavano la porta della biblioteca con passo frettoloso.
Sospirò distrattamente, nonostante avesse finalmente preso il coraggio in mano e fosse andata lì a parlargli apertamente non era affatto riuscita ad avvicinarsi a Draco Malfoy. Quel ragazzo che sembrava sfuggire da tutto e tutti come fosse sabbia tra le dita e che vagava silenzioso e invisibile per i muri, ancora in costruzione, di Hogwarts.
Tutti le avevano detto di lasciarlo perdere. Sua sorella Daphne, i suoi amici, anche il suo più lontano conoscente le aveva detto di lasciar perdere Draco Malfoy.
Perché Draco Malfoy non era nient’altro che una causa già persa in partenza. Punto e basta.
Ma ad Astoria le cause perse erano sempre piaciute. Le era piaciuto tentare invano di fare amicizia con un qualche Grifondoro, le era piaciuto tentare di salvare, altrettanto invano, un qualche animaletto ferito e, infine, le piaceva continuare a provare e a studiare le materie in cui non era affatto portata.
E ora, se doveva essere sincera, le piaceva Draco Malfoy.
Anche se, in verità, le piaceva da molto più tempo di quanto volesse mai ammettere. Non sapeva con precisione quando fosse accaduto, e soprattutto perché, ma una mattina del suo quarto anno aveva alzato gli occhi verso la voce boriosa che le chiedeva di lasciargli il posto libero e, incrociando lo sguardo nuvoloso e indecifrabile di Draco, si era accorta di come la mano che lui aveva appena poggiato distrattamente sulla sua spalla per passare fosse meravigliosamente calda. E che lui fosse molto più bello di quanto mai credesse.
La sua migliore amica non aveva smesso per tutto l’anno di deriderla quando lei gliel’aveva detto e Astoria ne avrebbe riso lei stessa se non si fosse accorta di quanto quel sentimento si stesse facendo sempre più potente e sincero dentro di lei.
Soprattutto ora che lui aveva abbassato la cresta e scivolava tra i corridoi silenzioso e con dignità, invece che con quel suo fare che era stato tanto arrogante e sprezzante.
Ma si poteva essere più stupida?
Probabilmente no. Ma con il tempo Astoria aveva deciso che la cosa non la tangeva affatto.
 


“Ehi, Draco!”
Quella sera a cena Draco Malfoy si ritrovò inspiegabilmente di nuovo faccia a faccia con il lentigginoso naso appuntito di Astoria Greengrass.
“Greengrass” esalò piattamente sollevando con fare scettico il sopracciglio destro. Era piuttosto infastidito dalla strana intimità che quella ragazza aveva deciso di prendersi con lui.
Nessuno lo chiamava più Draco. Non c’era più Pansy a farlo, fuggita chissà dove insieme alla sua famiglia. Non c’erano più i suoi genitori rinchiusi in prigione. E nessuno dei suoi amici.
Soprattutto nessuno lo chiamava così ora che si ritrovava incastrato in quel castello che odiava, con gente che non poteva far altro che disprezzarlo.
Chi per un motivo, chi per l’altro. Chi perché nella guerra lui era stato dalla parte sbagliata. E chi perché aveva contribuito alla caduta di quella parte.
E così in quella Hogwarts non era rimasta che gente che gli dedicasse sorrisi di circostanza. O che lo detestasse apertamente, facendogli trovare i quaderni imbrattati come se fossero bambinetti. O riempiendolo di insulti, ingiurie e a volte si era ritrovato addirittura catapultato in risse che non era stato affatto lui ad iniziare e da cui non aveva più intenzione di difendersi.
Rimaneva impassibile, senza dire nulla, il più inespressivo possibile. A squadrarli con lo sguardo più affilato che riusciva a fare.
Senza difendersi da banali incantesimi che avrebbe saputo benissimo parare. Non aveva più intenzione di fuggire. Non voleva più combattere.
Tanto che senso aveva se ogni santo giorno era costretto a vedersi davanti la Granger che sembrava uscita da quella guerra fresca come una rosa, uguale a com’era prima che iniziasse?
Con quella mano che si alzava ancora sistematicamente ad ogni domanda che un insegnante le rivolgeva. Sempre circondata da orde di stupidi fan adoranti.
Lei era il simbolo della vittoria. Hermione-amica-di-Potter-Granger. La ragazza che aveva salvato il mondo magico. L’eroina.
Ogni volta che Draco l’adocchiava o era costretto a seguire una lezione con lei sentiva che avrebbe voluto farsi arrestare in quello stesso momento.
Per lei sembrava che tutto fosse stato così facile, così naturale. Mentre per lui era difficile anche solo immaginarsi di doversi alzare ogni mattina sapendo che sarebbe stato un altro giorno di silenzio straziante, in un posto che odiava e dove tutti lo detestavano.
Tutti tranne Astoria Greengrass e il suo odioso sorriso fresco, naturale e troppo spontaneo. Draco avrebbe voluto strapparglielo dalla faccia. Mostrarle quello che aveva vissuto lui. Anche solo per un momento. Sarebbe bastato.
“Ero rimasta alla promessa di chiamarci per nome, Draco” disse lei, incrociando le braccia al petto e sottolineando fastidiosamente le sillabe del suo nome mentre si sedeva al suo fianco, in quel posto strategicamente lontano da tutti.
“Devo essermi scordato la penna con cui segnarmi questo particolare ieri, Greengrass” replicò lui beffardo e usando lo stesso tono della ragazza.
Draco, ad essere sincero, si era aspettato che lei se ne andasse via offesa, gli rispondesse acidamente o che, per lo meno, decidesse di ignorarlo.
Invece Astoria a quella risposta non poté che esplodere in una risata cristallina e sincera, che la scuoteva quasi timidamente.
Draco quasi si stupì a vederla ridere a quel modo, da lei si era aspettata una risata un po’ rumorosa, sfacciata e magari addirittura un po’ grugnante. E invece aveva un riso femminile e infantile che la rendeva molto più carina di quanto mai non fosse quando ostentava quel suo carattere sfrontato.
“Sempre simpatico come una maledizione Orcovolante, eh?” domandò lei sistemandosi ancora più vicino a lui e, di conseguenza, ancora più lontano dal resto degli studenti di Serpeverde.
A Draco sembrava quasi di poter sentire tutto il peso degli sguardi che si spostava su loro due. Beh, più che altro su di lui. Come sempre.
“Ma, senti un po’, devi proprio sederti vicino a me? C’è un sacco di spazio qua attorno.”  E allargò le braccia come a poter abbracciare l’intera, lunga tavolata.
“Sì, devo.” Replicò lei, Draco si accorse che era leggermente arrossita nel dirlo, mente le sue guance si coprivano ancora di più di lentiggini e lei si mostrava ancora più spavalda di prima, nonostante quell’evidente timidezza.
“Mi piace darti fastidio. E occupare quello che evidentemente sarebbe lo spazio a malapena sufficiente al tuo ego.” Continuò con quella sua sfacciataggine quasi pungente, rispondendogli come sempre a tono.
A Draco quasi iniziava a piacere qualcuno che rispondesse a quel modo alle sue provocazioni. Qualcuno che non decidesse di evitarlo, di picchiarlo o semplicemente di minacciarlo.
“Contenta tu.” Sibilò abbassando lo sguardo verso il piatto e riprendendo a mangiare. Questa volta non si alzò, non se andò e decise di non evitarla.
La guardò parlare e straparlare degli argomenti più assurdi e disparati mentre lui, per la maggior parte del tempo, la guardava impassibile o rispondeva con brevi frasi acide a quei suoi deboli tentativi di farlo parlare.
“…Oh Merlino! Hai sorriso!” esclamò improvvisamente la ragazza congelandogli in faccia quell’espressione che non credeva di aver mai fatto “Ma allora la tua bocca sa piegarsi anche verso l’alto!”
Draco fu attraversato da uno strano brivido mentre lei gli avvicinava le mani al volto per vederlo meglio. Lui non voleva che lo toccasse. Non avrebbe saputo dire perché. Non voleva e basta.
Si alzò in piedi, evitando le mani di Astoria e la squadrò dall’alto nel modo più sprezzante che era riuscito a trovare “Non credo proprio, Greengrass” sibilò sentendo però ancora gli angoli delle sue labbra un po’ troppo alti.
“Non te ne andrai di nuovo!” esclamò lei alzando un po’ troppo la voce per i gusti di Draco. Adesso sì che li stavano guardando proprio tutti.
Alzò le spalle più che poté, ergendosi dritto e impassibile davanti ad Astoria e sillabò un: “Sì invece, non ho più fame. La tua presenza me l’ha fatta proprio passare.”
E lasciò il tavolo.
Ed eccolo che se ne andava. Di nuovo. In fondo era il solito codardo ipocrita di sempre.
 


Da quella serata i due non si videro per giorni, Draco cercava in tutti i modi di evitarla e, a quanto pareva, ci stava pure riuscendo. Erano giorni che passava senza la sua presenza. Giorni di silenzio e tranquillità. Le sue solite, pallide e noiose giornate ad Hogwarts. Intento a studiare per prepararsi a quegli esami che, tanto, non lo avrebbero portato da nessunissima parte.
Eppure una parte di lui, una stupida, infantile parte, voleva che Astoria tornasse a sfidarlo, gli si piantasse davanti, con le mani sui fianchi e l’espressione imbarazzata e stizzita al tempo stesso con quel rossore che mostrava tutte le sue efelidi chiare.
Draco scosse la testa. Non doveva pensarci, era una cosa stupida. Lui era stupido. Avrebbe dovuto pensare solo a sé stesso come aveva sempre fatto.
Però anche lui vedeva bene dove quel suo “come sempre” lo avesse condotto. E la cosa non gli piaceva affatto.
Alzò gli occhi da terra e notò la Granger che passava nel corridoio di fianco a lui con il naso infilato dentro un libro inseguita da un gruppetto di leccapiedi, che cosa insolita.
Forse si accorse che lui la stava guardando. Forse fu semplicemente sfiga. Comunque la ragazza alzò gli occhi dal libro e gli porse quel compassionevole sorriso di convenzione che ormai si vedeva sbattere in faccia da chiunque. Era la stessa smorfia che gli aveva fatto la McGranitt, la stessa che ad ogni lezione di Pozioni si vedeva fare da quel vecchio tricheco di Lumacorno.
La odiò.
Non che non l’avesse sempre odiata allo stesso modo. Ma ora che anche lei, invece di ignorarlo e detestarlo come aveva sempre fatto gli dedicava quell’orribile sorriso che non faceva altro che ricordargli quanto miserevole e pusillanime fosse diventata la sua vita dopo quella guerra, non poteva che detestarla di più.
Da quando non vedeva qualcuno che lo guardasse normalmente?
Nella sua mente, senza che lui lo volesse affatto si affacciò l’immagine del sorriso troppo aperto e sincero di Astoria Greengrass.
Come se la conoscesse. Ridicolo, si disse, ridicolo pensare a quella ragazzetta a quel modo.
In che modo, poi…?
Alzò lo sguardo che non si era accorto di aver mai abbassato e si ritrovò davanti gli occhi castani della Greengrass.
Anche lei lo fissava stupita e leggermente rossa sulle guance come se nemmeno si fosse accorta che lui le fosse proprio davanti.
“Oh.”
Nessuno dei due riuscì ad impedirsi una piccola esclamazione di sorpresa.
Draco fu il primo a riscuotersi, nulla poteva più stupirlo dopo che aveva visto Potter chiedergli scusa al suo processo. Dopo che aveva visto la McGranitt riaccettarlo a scuola senza battere ciglio e dopo aver visto quanto si dovesse orribilmente sentire in debito per essere vivo.
Odiava sentirsi in debito con quelli che aveva sempre considerato tanto quanto una pezza da piedi.
Odiava essere lui quella pezza.
Odiava e basta.
“Ti sposteresti dalla mia traiettoria o hai intenzione di occupare tutto il corridoio, Astoria?”
A quel punto anche la Greengrass si era riscossa quasi del tutto dalla sorpresa iniziale: “Oh, certo, sempre gen…” si fermò piazzandoglisi proprio davanti, le mani sfrontatamente sui fianchi “Cosa hai detto?”
Draco inclinò la testa, ergendosi più alto e dritto che poté e squadrandola sprezzantemente dall’alto “Ora sei anche sorda oltre che impicciona?” sbottò “Ti ho chiesto, gentilmente, di sportarti dalla mia traiettoria”.
“Mi hai chiamato Astoria” sogghignò lei.
Draco si ricordò immediatamente di quel suo errore. Avrebbe voluto mordersi la lingua. E invece si limitò a sogghignare di rimando alla ragazza: “Beh, deve essermi sfuggito. Cercherò di stare più attento la prossima volta.”
La ragazza abbassò improvvisamente la guardia “Cos…no! Perché? A me fa piacere…” nel dirlo era nuovamente arrossita.
Il ragazzo non ne poteva più di quella stralunata. Alzò il sopracciglio destro e domandò, con il tono più scettico che riuscì a trovare un: “Ma cos’è, hai una cotta per me, per caso?”
Si aspettava che lei negasse. O che lo prendesse per il culo allo stesso modo.
E invece lei lo guardò fissamente negli occhi, sempre più rossa: “E se anche fosse?”
A questo punto davvero Draco non sapeva che cosa controbattere se non un debole e offensivo “Beh, tu non mi piaci.”
La sua voce era il suo solito tono di voce annoiato e noncurante. Perfetto.
La ragazza si strinse le spalle e alzò gli occhi al soffitto: “Non che mi sorprenda.” Decretò sorridendogli poi in modo decisamente furbo “Ma questo non mi impedisce affatto di darti fastidio.”
Draco si ritrovò inspiegabilmente a sorridere a sua volta “Se è questo il tuo intento, Astoria, ci stai riuscendo egregiamente.”
“Davvero? Non è che mi potresti regalare un distintivo per ricordare il momento? Una medaglia celebrativa, sai? Qualcosa del tipo Astoria Greengrass riesce ad infastidire e a farsi chiamare per nome dal rampollo dei Malfoy in un colpo solo. Già me la vedo addosso, mi donerebbe, no?”
Astoria poteva ammettere senza paura di essere leggermente euforica e quando lo era tendeva un po’ a straparlare. Un po’ tanto in realtà.
Draco quasi non si era accorto di averla appena chiamata di nuovo per nome. Forse avrebbe potuto anche farci l’abitudine. Forse.
“La vuoi anche animata la medaglia? Dovevi vedere che bel lavoro avevo fatto con le spille del Torneo Tremaghi” non credeva che avrebbe più scherzato con qualcuno a quel modo. Che avrebbe parlato del suo passato riuscendo anche a sorriderne.
Ma lo stava facendo. E con una sconosciuta come solo Astoria Greengrass avrebbe potuto esserlo.
Doveva essere ammattito. Alla fine anche per lui era arrivata la pazzia. Anche perché quella sarebbe stata l’unica spiegazione possibile che avrebbe potuto dare al suo comportamento sempre più inspiegabilmente gentile nei confronti della Greengrass.
“Il torneo Tremaghi” mormorò lei con fare pensieroso “…è quell’anno che è iniziato tutto.”
Quasi si tappò la bocca con le mani per impedirsi di poter dire quello che aveva detto.
Draco dimenticò quel breve, fugace attimo in cui gli era sembrato di poter anche solo riuscire vagamente a sorridere. Avvicinò la mano destra all’avambraccio in un riflesso ormai incondizionato, bloccandola a mezz’aria sotto lo sguardo colpevole di Astoria.
Non lo stava compatendo, non lo stava giudicando e non gli stava nemmeno dedicando quei patetici sorrisi di circostanza. Il suo era lo sguardo colpevole e sciocco di chi aveva detto la cosa sbagliata al momento sbagliato, come di qualcuno che avesse dato la risposta sbagliata ad una interrogazione o come quello di un tifoso che avesse sbagliato spalto e fosse finito fra i giocatori della squadra avversaria.
“Sc-scusa” balbettò Astoria scostando pudicamente lo sguardo dal suo braccio destro “Non volevo”.
In realtà il ragazzo non era per nulla arrabbiato con lei, anzi, forse avrebbe anche potuto ignorare la cosa, avrebbe potuto anche sorridere e cambiare argomento. Non seppe mai perché invece le ringhiò un: “Vorresti vederlo, vero?” la ragazza sembrava semplicemente spaesata “Vorresti sapere se c’è davvero il Marchio Nero, vero?”
All’inchiesta non glielo avevano chiesto. Non lo aveva dovuto mostrare, non ne era stato costretto, l’ultima cosa che aveva potuto tenere soltanto per sè.
Astoria stava spalancando la bocca per poter controbattere in qualche modo, ma Draco non le lasciò il tempo di dire nulla. Girò i tacchi e se ne allontanò. Così tutto sarebbe tornato esattamente come prima che quell’odiosa e petulante ragazzetta decidesse di disturbarlo in biblioteca quel malaugurato giorno.
Quel dannato, dannatissimo giorno.
“Bravo!” gli gridò lei da dietro le spalle “Da pure la colpa agli altri delle tue stupide paranoie!”
Draco non si voltò, sarebbe voluto sembrare imperscrutabile, superiore a quelle stupide grida, ma non riuscì ad impedire alle sue gambe di accelerare sempre di più il passo, di allargare sempre di più la falcata fino a correre. Stava scappando. E lo sapeva anche lui, eccome se lo sapeva anche lui.
Non voleva ritrovarsela davanti, quella Astoria Greengrass, quella ragazza che non faceva altro che confonderlo, metterlo in discussione, illuderlo.
Illuderlo di cosa, poi?
Perché non riusciva a smettere di disprezzarsi? Dov’era finita tutta la sua arroganza? Perché non poteva sentirsi superiore agli altri così come si sentiva prima? Perché?
Punti di domanda. Punti di domanda e basta. Nessuna certezza.
Doveva morirci in quella guerra, morirci punto e basta. Almeno così non sarebbe stato costretto a vedere il suo mondo che si sgretolava molto più di quanto già non fosse, non avrebbe visto i suoi genitori venir rinchiusi ad Azkaban mentre lui doveva tornare a scuola con le scuse di Harry-grande-eroe-misericordioso-Potter. Non avrebbe dovuto vedere com’era rimasto solo, solo, tremendamente solo, in un mondo costruito da false convenzioni superficiali, sorrisi patetici o stupidi bulli che non meritavano nemmeno di essere chiamati tali.
Perché non smettevano di mentirgli? Perché ignoravano la cosa? Perché non venivano lì a urlargli in faccia una qualche accusa?
“Hai sbagliato Malfoy, hai fatto fin troppe stronzate, vai a farti una bella lavata di capo in cella!” nessuno gli avrebbe mai gridato una cosa simile, lo avevano costretto a dover accettare quella lancinante accondiscendenza, quell’indulgenza che rendeva il Marchio Nero nient'altro che il frutto di un errore, della paura e dell’ignoranza di uno stupido bambinetto minorenne.
Ma non era così, non era così, non era così.
Lui l’aveva voluto, l’aveva desiderato, ammirato e invidiato, pure. Quando era arrivato il momento lo aveva temuto, certo, ma che importava se il fine era il riscatto della proprio famiglia? Che importava se gli avrebbe portato gloria e potere?
Almeno finché non aveva provato la paura. Quella vera. Il terrore di morire. Di veder morire sua madre, suo padre. Quella paura che rendeva le sue gambe gelatina e gli faceva pizzicare gli occhi mentre stringeva la bacchetta con mano tremante davanti all’unico mago che l’Oscuro Signore temesse: Albus Silente.
Gli veniva da vomitare. Come aveva potuto anche solo pensare di uccidere qualcuno? Come aveva anche solo potuto credere di poter accettare una cosa simile? Come poteva…?
Respirò lentamente mentre saliva una delle scale che portava alla torre ancora parzialmente in disuso di Divinazione, le aule erano deserte e in giro c’erano ancora crepe che sarebbero dovute essere aggiustate da un qualche colpo di bacchetta.
Era senso di colpa, quello?
O solo paura?
Si abbandonò su una sedia che dava su un polveroso vetro di una finestra dal corridoio, chissà chi aveva lasciato lì quelle due sedie, forse una coppia. Forse Lumacorno che aveva continuamente bisogno di sedersi.
Lasciò che lo sguardo vagasse nella foschia del parco di Hogwarts, lungo il limitare della foresta proibita vide alcuni Thesral che si trascinavano lentamente. Ormai probabilmente non c’era più alcun studente che non riuscisse a vedere quegli ossuti scheletri serpentini di cavalli.
Draco avrebbe voluto urlare, andarsene, fuggire o farsi arrestare giusto per dare una soddisfazione a chi, come Ron-amico-di-Potter-il-salvatore-Weasley, non lo aveva perdonato e non lo avrebbe fatto mai.
E invece, mentre induceva infastidito su quei pensieri, nella stanza entrò Astoria.
“Non si può dire che siano carini, eh?” borbottò con un timido sorriso triste mentre il suo sguardo vagava fuori dalla finestra al di sopra della testa chiara di Draco.
“Già” mugugnò lui, nonostante pensasse che non avrebbe mai risposto “Sono proprio brutti” continuò lanciando uno sguardo in tralice al rotondeggiante viso lentigginoso della ragazza.
Lei si sedette nella sedia di fianco di alla sua, con gentilezza, lentamente e aspettandosi di essere cacciata da un momento all’altro.
Sospirò silenziosamente mentre abbozzava un: “Sai, lo so che te l’ho già detto e non so nemmeno io il perché ma, ecco, tu mi piaci davvero Draco.”
Il ragazzo pensò che il solito sé stesso avrebbe risposto con un laconico e ghignante “Lo so” a quella timida affermazione, ma in quel momento, ormai, lui non era più il solito sé stesso.
“Sei proprio strana lo sai, vero?” le rispose continuando a guardare i Thesral che ora stavano spolpando un orrendo brandello di carne.
“Me lo dicono spesso…” sorrise lei, torturandosi tra l’indice il pollice destro una ciocca bionda.
“…Faresti meglio a lasciarmi perdere” perché glielo stava dicendo? Perché non stava semplicemente zitto? O non si buttava direttamente giù dalla finestra?
“Non ho futuro, il mio nome è una condanna a morte per chiunque e poi sono sicuro che una Greengrass abbia sotto mano dei partiti migliori rispetto ad un ex-Mangiamorte discolpato da tutte le accuse perché Angelo Potter è venuto a vegliare inspiegabilmente su di lui.”
Non avrebbe saputo dire perché non l’aveva semplicemente scacciata, insultata o denigrata come solo lui avrebbe saputo fare, invece che dirle tutte quelle cose che pensava che non avrebbe ammesso mai nemmeno a sé stesso. Figuriamoci proprio davanti ad Astoria Greengrass.
“Ma…ma a me piaci tu.”
La ragazza gli si era avvicinata, rossa come un peperone, e lo guardava fissamente negli occhi senza mai smettere di rigirarsi tra le dita quella stessa ciocca. Il suo naso sottile era ormai vicinissimo a quello di Draco, lungo e affilato.
L’attimo di silenzio che seguì quella frase fu lunghissimo, semplicemente interminabile. Infinito.
Astoria sentiva che avrebbe iniziato presto a tremare da capo a piedi tanto era nervosa, sentiva lo stomaco che gli si rivoltava e che iniziava a ballarle in giro per il corpo, mentre tutti gli altri organi sembravano aver deciso di cambiare continuamente posto.
Draco invece decise di non pensare e di fare la prima, sciocca azione spontanea che gli capitasse di fare da quando era tornato ad Hogwarts.
La baciò.
Fu un bacio frettoloso, timido e impacciato come forse non ne aveva mai fatti.
Quando le loro labbra si staccarono dopo quello che, purtroppo, non potevano che definire un bacio ridicolo Astoria non riusciva a fare a meno di ridacchiare semplicemente euforica.
Era stupita, felice, sollevata ed estasiata insieme. Un turbine che non poteva che essere sciolto che da delle sciocche risate.
Le guance di Draco, invece, si erano leggermente imporporate e, nonostante l’espressione impassibile e gelida che si ostentava a mantenere, facevano sembrare sia i suoi capelli che i suoi occhi ancora più innaturalmente chiari.
“Che cosa ridi a fare?” la voce gli tremava, ma non sembrava affatto che fremesse di rabbia, anzi, ad Astoria sembrava quasi un goffo tentativo di non ridere.
“Sono felice” esclamò lei, raggiante, e lo baciò di nuovo senza alcuna remora e lasciando che anche lui rispondesse a quel bacio, decisamente meno impacciato del primo.
E rimasero lì, per un tempo che non avrebbero mai saputo misurare, in mezzo a quel castello ancora squarciato da quella guerra così vivida e bruciante sulla loro pelle, sulla pelle di chiunque.
Per uno stupido, lungo, attimo entrambi si sentirono veramente felici.



 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Bocca Dorata