Per
iniziare
Bentrovati c:
Finalmente, dopo sedicimila anni di scrittura, correzioni, pare
mentali, smatto selvaggio, assilazione alla beta (ChemicalLady ftw
<3) ... finalmente siamo giunti al giorno gioiglorioso della
pubblicazione su EFP.
E lo so, lo so, lo so che è appena cominciata la seconda stagione e che adesso che sono in voga gli Incas probabilmente vorrete sentir parlare solo di loro ... ma a noi non ce ne frega nulla e quindi la congiura dei Pazzi e pota per tutti u.u
Per chi è nuovo sembrerà tutto molto vago e polveroso, per chi invece c'era anche nella vecchia "All'ombra del giglio rosso", bé ... saprà già cosa aspettarsi :)
Non prometto nulla, se non che tenterò in ogni modo di essere il più precisa possibile nelle note circa riferimenti storici e/o traduzioni, spiegazioni eccetera.
Spero che come me possiate affezionarvi a questi insoliti personaggi e che, caratteracci a parte, potrete apprezzarne le (poche) qualità.
Per ora mando a tutti quanti un grande abbraccio.
Buona lettura,
Lechatvert
Saremi morte già dolce paruta
degli eroi non si conosce la fine
http://www.youtube.com/watch?v=4N3N1MlvVc4
I sogni in cui muoio
sono i più
belli che io abbia mai fatto.
Tears for Fears – Mad World
Gennaio
1478, quattro mesi prima la Congiura dei Pazzi.
Un soffio di vento mosse appena le tende della stanza, facendo
svolazzare il velo immacolato dell’abito nuziale appeso al
muro.
Con una candela stretta in mano, Porpora si avvicinò,
illuminando quel mucchio di stoffe candide che il sarto era stato
così bravo a confezionarle. Mai, in tutta la sua vita, si
sarebbe immaginata di maritarsi lontana da Roma. Non aveva mai nemmeno
pensato di sposarsi, in realtà, mai all’interno di
un castello, coperta di riguardi e parole gentili, al caldo, promessa a
un nobile.
Tutto questo andava oltre ciò che sua madre avesse mai
potuto sperare per lei. Doveva sentirsi felice.
Invece, più guardava quell’abito, più
sentiva le lacrime spingere per uscire a rigarle il volto.
Debolmente, portò le mani alle tempie, cercando di
ricostruire quella che una volta era la sua figura.
Capelli scuri raccolti a treccia, camicia sporca di fango, occhi
cattivi, come diceva sempre la gente. Dov’era finita? Avvolta
in una vestaglia di lino, profumata e ripulita a dovere, era incapace
di ritrovare se stessa.
Udì la porta dietro di sé aprirsi, segno che era
ora di ricacciare indietro i singhiozzi e darsi un minimo di contegno.
Stava per diventare una contessa, dopotutto.
«Non si usava bussare?», chiese, voltandosi per
rimettere la candela nel doppiere.
Sulla soglia, coperto dall’oscurità della notte,
c’era il suo futuro marito. Diciotto anni e un viso da
bambino, un cappello di piume a coprirgli i capelli castani e un
vassoio tra le mani su cui erano state preparate due tazzine di
porcellana e una teiera.
«Ti sentivo camminare senza pace, così mi sono
chiesto se non fosse il caso di portarti del tè»,
le rispose, accomodandosi sul divano davanti al caminetto spento.
«Domani è un grande giorno.»
Porpora si avvicinò lentamente, rannicchiandosi sulla
poltrona di fronte.
«Credevo portasse male, vedere la sposa prima delle
nozze.»
Lui le sorrise.
«Mia cara, non penso che il Signore ne avrà a
male», rispose, mite, servendo il tè.
«Non dopo tutto quello che hai combinato,
perlomeno.»
Porpora prese una tazza tra le mani, rimirandone la fattura.
Incredibile come anche in quell’angolo di terra dimenticato
dal mondo vi fosse la più fine porcellana.
«Vogliono uccidermi?», chiese, sottovoce.
Più che una domanda sembrava una constatazione.
Il suo futuro marito strinse le spalle, spaparanzandosi sul divanetto.
«Hai fatto arrabbiare Roma, questo è
certo», considerò, mostrandosi pensieroso.
«Non credo lasceranno correre un simile oltraggio. Fingerti
morta, rubare al nipote del Papa … decisamente non sono
state le tue idee più brillanti. Hai ancora la chiave,
almeno?»
Porpora dondolò il capo.
Da quando aveva messo le mani su quello stramaledettissimo oggetto, non
se n’era più voluta allontanare. La portava sempre
legata al collo, con lo stesso cordoncino che aveva strappato al Conte.
«Non è che ci dia un grande vantaggio»,
rispose, con un sospiro afflitto. «Abbiamo perso
l’altra, il che ci riporta daccapo.»
«Mi permetto di dissentire: questa volta, una chiave ce
l’hai tu, mentre l’altra è scomparsa.
Riario, invece, non ha niente.»
«Scommetto che sa già dove siamo.»
Il suo futuro marito sorrise appena.
«E io scommetto che sta già pregustando la morte
di entrambi. Ma non temere; ho predisposto una chiesa lontano da qui.
Un amico fidato ci aspetterà domani mattina per ufficiare il
rito. Entro mezzogiorno, sarai la Contessa di Fonterossa. Magra
consolazione, lo so, ma è il meglio che io abbia da
offrirti.»
Porpora arricciò il naso.
Lo era davvero, una magra consolazione. Rispetto a tutto quello che
aveva perso per arrivare fino a lì, duecento soldati e una
cittadina circondata da vigne non le parevano affatto un giusto
compenso.
«Li voglio uccidere tutti, Conte»,
mormorò, posando la tazzina sul vassoio. «Formiamo
alleanze, prendiamoci Roma. Firenze è già in
subbuglio, potremmo convincere anche Milano.»
Il Conte scosse il capo, ridacchiando.
«E firmare un atto di matrimonio col sangue? Belle teste, voi
Lysimachus! Siete uno più impulsivo
dell’altro.»
Porpora sbuffò.
«Prima o dopo il matrimonio, poco importa»,
dichiarò. «Voglio che Riario passi lo stesso che
ha fatto passare a mio fratello.»
«Se devo essere franco, pagare il sangue del fratello minore
con quello del maggiore non mi pare una buona soluzione.»
Porpora si accigliò.
«Il mio unico fratello maggiore morì la notte
dell’elezione di Papa Sisto», dichiarò.
Il Conte ridacchiò di nuovo, massaggiandosi le tempie con
fare divertito.
«Naturalmente. Ma non siamo forse tutti figli di Dio? Poco
importa da chi discendiamo», commentò, trattenendo
un’ulteriore risatina. «Ti vedo stanca, mia cara.
Sarà meglio che ti lasci dormire, avremo tempo per parlare
una volta rientrati, domattina.»
Si alzò in piedi e la raggiunse sulla poltrona, lasciandole
un piccolo bacio sulla fronte coperta da un ciuffo di capelli castani.
«Cerca di risposare, d’accordo?», chiese,
facendole l’occhiolino.
Lei sospirò, sprofondando nel velluto della federa.
Al suo posto, cosa avrebbe fatto suo fratello?
Prese un respiro profondo, convincendosi che un minimo di gratitudine
era il minimo che potesse mostrare.
«Grazie», disse, sottovoce, mentre il Conte si
allontanava. «Mi dispiace avervi dato del codardo,
l’altra volta. Non lo penso davvero.»
Lui rimase sulla soglia a guardarla per qualche istante, la mano
appoggiata alla porta, lo sguardo buono perso in qualche punto
imprecisato della stanza.
«Non c’è di che», rispose,
senza togliere gli occhi da quel nulla. «Ti devo molto, in
realtà. Consideralo come un riscatto. Buonanotte.»
La lasciò così, senza dare ulteriori spiegazioni,
sparendo nel buio del corridoio da cui era arrivato.
Porpora rimase rannicchiata sulla poltrona per tutta la notte, sola,
stretta alle sue stesse ginocchia, in balia dei pensieri.
Non chiuse occhio, non ci provò nemmeno.
Senza suo fratello a cingerle le spalle e a sussurrarle che sarebbe
andato tutto bene, non sarebbe mai riuscita a prendere sonno.