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Autore: LawrenceTwosomeTime    24/03/2014    1 recensioni
Un sequel spirituale di Enemies of the Unknown. Per godere appieno di questa storia, il mio consiglio - se non l'avete fatto - è di leggere il prequel. Immaginate una fusione catartica tra Neon Genesis Evangelion e Il signore delle mosche. Immaginate dei soldati, poco più che bambini, alle prese con pericolose creature inviate da un altro pianeta. Immaginate gli amori, i complotti, le rivelazioni. Immaginate, e vi si aprirà un mondo.
Genere: Guerra, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mattino del giorno ventordici nottembre settecentoseimila Avanti Zarzillo, Rogers e Carlyle erano stati assegnati alla Scarpata.
A Carlyle non sembrava vero. Finalmente poteva starsene un po’ da solo con lei.

Il contesto non era esattamente idillico (lavavano i panni sporchi della truppa), ma se non altro la vista poteva dirsi soddisfacente. Guardare l’alba da quel costone di roccia frastagliata era una delle esperienze più affascinanti, lì al campo; soprattutto se condivisa.
Quello, e il grog.

“Sei silenziosa, Esploratrice”
Rogers sorrise.
“Adoro la calma delle prime ore. Niente piani di battaglia, niente liti… Solo il sole e il mare”
“Anche a me piace il mare…”, iniziò Carlyle.
“Ma?”, lo incitò Rogers strizzando dei giganteschi mutandoni.
“È che mi da fastidio non poterlo attraversare”
“Intendi…”
Carlyle scosse la testa.
“Dimentica l’ultima frase. Non mi piace il nostro rapporto col mare, punto: tutte le volte che c’immergiamo lo facciamo per pescare le ostriche, o per lavare la biancheria”
Rogers ammiccò.
“Niente sapone, ricordi?”
“Mh”

Pallide striature di rosso e d’azzurro si allargarono all’orizzonte. Un vento tiepido accarezzava le polle sparse lassù, sulla cima del dirupo.

La ragazzina gli appoggiò una mano sulla spalla, facendolo sobbalzare.
“Carlyle, io sarò anche silenziosa ma tu sei insolitamente serio. C’è qualcosa che ti preoccupa?”
Maledizione, si disse lui. Perché riesce sempre a leggermi dentro? Come mai divento così insicuro quando sono con lei?

“Ehi, piccioncini!”, li chiamò una vocetta sgraziata.
“Carter, che cazzo ci fai sulla Scarpata alle sei del mattino?”, lo apostrofò Rogers.
Il ciccione finse di essere stato colto alla sprovvista.
“Io? Do da mangiare ai gabbiani! Che c’è?, un Progettista non ha diritto di svagarsi, ogni tanto?”
“Queste sono le tue mutande? Vista la taglia, forse fai bene a regalare il tuo pane a qualche uccello!”
Carter aggrottò le folte sopracciglia.
Esploratrice Rogers, ti ricordo che stai parlando con un superiore, e che in quanto tale mi devi rispetto”
La ragazzina ridacchiò.
“Solo perché abbiamo due anni di differenza? Sulla carta ne avrai sedici, ma a livello mentale sei ancora un bambino”

Carter sospirò.
“Ti perdono perché sei giovane, e i giovani commettono molti errori”
“Come ti pare, comunque avevo finito. Carlyle, vieni con me?”
Il ragazzino sollevò la testa.
“Tu vai pure, io rimango ancora un po’”
Gli sarebbe piaciuto seguirla, ma non intendeva dare al Progettista l’impressione di volerla tutta per sé.
Lei annuì, forse delusa.
“Come vuoi”

Carlyle si sforzò di imprimere nella mente i suoi tratti raffinati, le lentiggini, i capelli rossi raccolti in una treccia. La schiena lucida di sudore che ammiccava sopra la canottierina…

“Allora campione, come ti va?”, disse Carter con noncuranza.
L’implicita allusione di quella domanda lo infastidì. Carter non gli piaceva: era brillante, certo, ma anche subdolo. Un pavido che cercava di sembrare spavaldo.
Il ragazzino uscì dallo specchio d’acqua trascinandosi dietro un completo da ricognizione ancora grondante. Si sedette vicino a Carter per guardare il mare. Il grassone spargeva briciole con aria svogliata.
Mentre si srotolava l’orlo dei calzoni, Carter gli fece un’altra domanda.
“Di che parlavate?”
“Di niente”, si schernì lui.
L’altro sorrise.
“Ci vuole una profonda intesa per parlare di niente”
Silenzio.
“Tu che sei ancora piccolo forse non lo sai, ma… aspetta, quanti anni hai?”
“Ne compirò quattordici tra cinque mesi”, dichiarò Carlyle con fermezza.
Carter annuì.
“Tredici anni. Sei decisamente troppo giovane”
“Meglio andarsene”, azzardò Carlyle, “Tra poco questo posto sarà pieno di…”
“Cacca di gabbiano”, concluse per lui Carter.
“Si, meglio filare. Il Capo si starà chiedendo che fine abbiamo fatto”

La quiete del Campo tradiva l’atmosfera operosa che si respirava al Quartier Generale sull’Albero. La moria di personale non aveva impedito al Capitano Blake – meglio conosciuto come l’Anziano – di allestire un’efficace, per non dire impenetrabile, linea di difesa.
Blake insisteva a dire che il sistema reggeva: aveva adottato una mentalità pessimista come forma di prevenzione contro le carenze strutturali, e chi poteva saperlo meglio del suo parente più prossimo, l’efficiente Tuttofare Carlyle?

Lo trovò che tracciava delle righe perpendicolari sul precedente piano d’azione già fitto d’annotazioni, il debole tepore di una lanterna di carta come unica fonte di luce. Blake non sopportava i raggi del sole, tanto che era pressoché impossibile vederlo aggirarsi all’esterno senza uno spesso paio di occhiali schermanti.
Come sempre, Nobbs sostava immobile a pochi passi dal suo signore, un’ombra nascosta tra le ombre. Carlyle si chiedeva come facesse quel quindicenne alto quanto un colosso a passare sempre inosservato; forse contribuiva il fatto che rimanesse sempre muto, o che l’economia di gesti con cui si muoveva lo rendessero più vicino a un oggetto che a una persona. Un oggetto fedele e certamente buono come il pane, ma anche capace di spezzare un osso o due agli Adulti, l’unico in grado di farlo a mani nude.

“Ciao, Fratellone”, salutò Carlyle.
Blake distolse l’attenzione dalla mappatura. Aveva gli occhi cerchiati.
“Quante volte devo dirti…”
“Lo so, lo so. Devo chiamarti Capo o Signore”, lo prevenne Carlyle.
“Non capirò mai questa ossessione per le formalità”

Blake si sedette e invitò il fratello a fare altrettanto.
Giunse le mani nel gesto che stava a significare il tentativo di venirgli incontro.
“So che può sembrare sciocco, ma l’ordine è tutto ciò che abbiamo. Il nostro tesoro più prezioso. Senza una gerarchia, ci smembreremmo come carogne lasciate a marcire sotto il sole, capisci?”
Carlyle sbuffò.
“Certo, anche se a dirlo suona pazzesco. Voglio dire, guardaci: siamo bambini. L’ordine è l’ultima cosa con cui dovremmo avere a che fare. Forse tu, che sei quasi un Adulto, lo trovi naturale…”
Quasi”, sputò fuori Blake con amarezza.
E poi: “Carlyle, sai perché mi ritrovo sulle spalle questa carica?”
“Perché sei il più vecchio?”, lo punzecchiò Carlyle.
Blake sporse il labbro inferiore, condiscendente.
“Si, perché ho diciassette anni. Ma non solo. Stando a quel che dice Mobius, io sono quello che vi ha condotti qui”
“Allora dovresti stare a pulire le cucine”, scherzò Carlyle.
Nobbs assisteva allo scambio impassibile, quasi non ci fosse.

“Vi ho fatti arrivare in questo luogo quando ancora eravamo troppo piccoli per ricordare”, continuò Blake, “vi… ci ho dato un motivo per combattere. È mia precisa responsabilità tener fede al ruolo che mi sono imposto”
“L’ultima volta è stata dura”, disse Carlyle.
“Rogers ci ha quasi rimesso le penne, scalando quell’Adulto”
“Stava solo facendo il suo lavoro”, minimizzò Blake.
“È un’esploratrice: redige mappe. Delle aree colonizzabili, come pure delle creature viventi. Nemici compresi”
“Si è rotta due costole. Le armi di Carter non sono abbastanza potenti”
“Sono gli Adulti a essere aumentati di stazza”
“Per poco la rete non finiva a brandelli. No, sul serio. Devi dire a Carter di progettare degli Storditori più maneggevoli, il tempo di ricarica è troppo lungo”
“Ti preoccupi per Rogers?”
Carlyle si morse le labbra.
“Non dovresti. Rifletti: in tutto il Campo, lei è l’unica femmina. Ti risulta che sia mai stata con qualcuno?”
Il ragazzino si sporse dalla sedia.
“Che vorresti dire?”
Blake fece un sorriso amaro.
“È evidente che non le piacciono i ragazzi. Una relazione con lei non è possibile. Lasciala perdere”
“Questo non cambia assolutamente niente!”, balbettò Carlyle. Ma dentro di lui, qualcosa si era rotto.
Allora quell’emozione nel suo sguardo… era compassione.
“Parliamo piuttosto di te”, disse il Tuttofare per darsi un tono, “Non manca molto alla tua…”, e s’interruppe. Guardò Nobbs.
“È proprio necessario che rimanga?”
Blake ammiccò.
“Mi fido di lui più che di me stesso”
Carlyle si mordicchiò l’unghia del pollice.
“D’accordo. Non manca molto alla tua trasformazione in Adulto. Hai già pensato…”
“Stai parlando dell’unica cosa su cui non posso avere il controllo, Carlyle”, lo interruppe l’altro.
“Non ho idea se conserverò il mio intelletto o se… perderò la testa. Non abbiamo mai assistito a questo fenomeno di persona. Per quel che ne sappiamo, l’Empireo potrebbe fabbricarli direttamente così come sono. Ma una cosa è certa: quando uccidiamo un Adulto, i suoi resti si trasformano in batteri della sabbia. E questo significa… “
“Blake…”
“… E questo significa che non vi dovrete porre il problema di catturarmi. Morto io, il comando passerà a Carter. È la mia ultima parola”

Carlyle esitò, incerto se insistere o fare come diceva il fratello.
Infine si alzò e si mise sull’attenti.
“Molto bene, Signore”
“Ricordati di redigere l’inventario delle scorte alimentari”
“Sissignore”
“Eccellente. Sei congedato”
Carlyle fece il saluto.
Poi uscì dalla cavità nell’Albero.

Non aveva nessuna voglia di redigere inventari e compilare documenti. Si diresse, invece, al Rifugio Sotto la Collina. Quel luogo era la casa di Mobius, il Saggio.
L’ingresso ricordava parecchio una tana di coniglio, con un largo foro interrato a cui si poteva accedere scostando un tendaggio d’erba. Seguiva un breve tunnel scavato nella roccia.
Carlyle sbucò nello studiolo di Mobius: un loculo ristretto ma accogliente, zeppo di candele; i colori caldi dei libri rilegati spiccavano come gigantesche farfalle. L’ambiente odorava di spezie.
“Carlyle! Qual buon vento”, lo accolse il bambino occhialuto.
Gli riusciva sempre difficile pensare a lui come a un saggio, visto e considerato che aveva a malapena dodici anni; ma la sua indole spensierata e paziente rivelava in lui una non comune profondità d’intelletto.
“Ti va una tisana di ortiche?”, disse porgendogli una tazza.
Carlyle l’accettò con un cenno di ringraziamento.
Mentre aspettava che il vapore smettesse di sprigionarsi dall’intruglio, il ragazzino pensò a cosa dire.
“Ho buone ragioni per credere che uscirai da qui con più domande di quante ne avevi quando sei entrato”, disse Mobius guardandolo con interesse.
“Il fatto è… Mobius, tu sai tutto”
“La tua prima domanda è un’affermazione, e malgrado denoti sicurezza è anche priva di ostentazione; indica presunzione senza rivendicazione. Sei più saggio di quanto pensi”
“Ehm…”
“La conoscenza mi può essere tolta così come mi è stata donata. Sono il più sciocco degli sciocchi, amico mio”
“Ma sei anche l’unico che conosca la verità! Come siamo arrivati qui, perché dobbiamo restare…”
“Tu vuoi andartene”
Carlyle mandò giù un sorso.
“Ti capisco. I Cinque Portenti m’inviano le loro verità servendosi del sogno, ed esiste forse strumento più ineffabile? Pensi che sia frutto del caso, questa situazione?”
“Se fosse frutto del caso”, disse Carlyle, “allora mi verrebbe da pensare di vivere in un romanzo”
Mobius ridacchiò, sorseggiando.
“Sembra quasi una favola”
E prese a salmodiare:
“Un bel giorno di qualche tempo fa, l’Empireo – questa misteriosa organizzazione di cui nessuno ha mai sentito parlare – costruisce una base sulla Luna e comincia a produrre gli Adulti, creature mostruose che si credevano estinte da quando la cittadinanza di Città Oltre il Mare ha perfezionato una forma di coercizione organica detta Controllo della crescita, impedendo di fatto il raggiungimento della maggiore età”
Carlyle deglutì, in apprensione.
“Per qualche ragione a me ignota, l’unico posto in cui l’Empireo può scaricare i suoi Adulti è la nostra isola. Una volta che quelli intraprendono il processo di ancoraggio della Luna, provocando l’Alta Marea, un Adulto discende dal cielo e si prepara per raggiungere a nuoto Città Oltre il Mare. E ogni volta noi lo fermiamo. Tutto secondo i piani. Ma i piani di chi?”
Il giovane Tuttofare sentiva uno strano formicolio sotto la pelle, come se quel momento fosse destinato a imprimersi in maniera indelebile nei suoi ricordi.
“Ora ti dirò una cosa che non ho mai confidato a nessuno”, continuò Mobius levandosi gli occhiali; le iridi azzurre scintillavano. Carlyle si sporse verso di lui, quasi avesse paura di non sentire.
Io so perché gli Adulti mirano a Città Oltre il Mare. Vogliono contaminare la popolazione femminile col loro secreto, inabilitare gli effetti della coercizione organica. Nel giro di due generazioni, le ragazze comincerebbero a concepire embrioni a crescita rapida. I bambini diventerebbero Adulti nel giro di pochi mesi. Sarebbe la fine dell’innocenza, delle paure, dei sogni. La fine di tutto
Carlyle si sentiva girare la testa, e non per l’odore delle candele.
Mobius gli prese una mano.
Perciò siamo qui. Questa è la nostra punizione e anche la nostra redenzione
“Non capisco”
Eravamo Adulti, tanto tempo fa. Adulti assegnati a una postazione di battaglia. Ma poi siamo venuti meno ai nostri doveri. Blake ci ha convinti ad abbandonare le postazioni. Dobbiamo espiare per l’antico crimine
“Mobius, tutto questo non ha senso!”
Il bambino si riscosse come se la voce del compagno l’avesse risvegliato da una trance.
“Che cosa stavo dicendo?”
“Non ricordi? Parlavi del…”
“È proprio questo il punto, amico mio”, lo interruppe Mobius rilassandosi nella sua alcova.
“Io non ricordo quasi mai. Perciò annoto i pensieri nei libri”
Carlyle si alzò.
“Ti ho importunato abbastanza. È meglio che me ne vada”
Prima che imboccasse l’uscita, il Saggio lo chiamò un’ultima volta.
“Carlyle?”
“Si?”
“Io e te siamo simili, entrambi corteggiati dal dono della Vista. Non commettere il mio stesso errore. Vivi la tua vita; non cercare di capirla”

Carlyle abbandonò il Rifugio Sotto la Collina con le parole di Mobius che gli risuonavano nella mente.

Si accorse di Carter poco prima di finirgli addosso.
“Hai fatto visita al nostro Saggio, eh, bisboccione?”
“Avevo bisogno di riflettere”
Carter scoppiò in una sonora risata.
“Quel moccioso prende troppo sul serio il suo ruolo. A volte mi chiedo perché lo stiamo a sentire”

Quindici giorni dopo, Mobius predisse la venuta di un Adulto. Le forze dell’Isola si mobilitarono per contrastare la calamità.

“I segnali parlano chiaro, l’Alta Marea è prossima”, annunciò Rogers evidenziando dei moti concentrici su di un cartiglio.
“Inoltre il diametro della Luna è aumentato sensibilmente”
“Com’è possibile?”, chiese Carter, “Di solito si ingrandisce all’improvviso!”
“È chiaro che non si tratta di un trasferimento normale”, concluse il Comandante accarezzandosi la barba incolta.
Rogers attese il permesso per continuare e poi disse: “Probabilmente parliamo di un Adulto più grande del solito. Molto più grande. Il processo richiederà parecchia energia: vogliono assicurarsi di non perderne un pezzo per strada”
“Allora…”, disse Carlyle.
“Si”, assentì Blake, “questa volta l’Alta Marea potrebbe coprire l’intera Isola”
Carter strabuzzò gli occhi, un perfetto contrappunto alla sagoma di Nobbs – che invece aveva seguito l’intero scambio senza batter ciglio.
“Che diavolo significa, tutta l’Isola?”
“Che l’acqua ci arriverà fino al culo, e anche più su”, rispose Rogers, “Col galleggiante che ti ritrovi, non dovresti avere problemi”
“Ti pare il momento di scherzare? Ti rendi conto che rischiamo di lasciarci la pelle se non… se non…”
“Se tu non costruisci una barca”, interloquì Carlyle.
“Una barca?”, disse Carter, “Certo, come no. Basterà un po’ di colla e un’asticella di legno!”
“Tu definirai il progetto, Carlyle e gli altri penseranno alla manodopera”, dichiarò il Comandante.

Carlyle notò che sotto il tono deciso di sempre si avvertiva una nota di riluttanza.
È disposto ad ammettere che non c’è altra soluzione, ma preferirebbe poterne fare a meno. Che abbia intuito le mie vere intenzioni?

“Rogers, illustra”, stava dicendo il Comandante.
L’Esploratrice srotolò sul tavolo la sezione anatomica di un Adulto.
“Finora abbiamo avuto a che fare solo con Adulti maschi, perciò è lecito presumere che le cose rimarranno invariate. Come sempre, il loro punto debole è situato all’altezza dei genitali; pur ponderando l’estensione verticale del prossimo avversario, dobbiamo tener conto che lo scontro avverrà in acqua: questa volta saremo costretti a mirare agli occhi”
“Immagino che non potremo contare sulle qualità offensive di Nobbs”, disse il Comandante.
Nobbs si concesse il lusso di sbuffare, deluso di non poter rischiare la vita combattendo a mani nude contro un avversario molto più grosso di lui.
“Avremo però un vantaggio”, aggiunse Rogers.
“Durante l’ultima… sessione di ricerca”, disse la ragazzina, “ho appurato che il nemico manifesta un visibile interesse per i colori caldi. Se raccogliessimo dei Funghi Luminosi e li compattassimo in dei dispenser potremmo distrarre l’avversario”
Carlyle la guardò ammirato. Le doleva ancora la cassa toracica, e talvolta la notte si rigirava senza riuscire a trovare una posizione comoda, ma ne era valsa la pena.

“E se usassimo gli Storditori per elettrificare l’acqua?”, propose il Tuttofare.
Carter lo guardò con aria stanca.
“Te l’ho già detto, campione, la controcarica finirebbe per friggere anche l’utilizzatore. È troppo pericoloso”
“E se fabbricassi dei guanti con del materiale isolante, della gomma o…”
“Non c’è abbastanza gomma per costruire guanti del genere, scordatelo”
“Faremo affidamento sugli arpioni”, disse Blake, “Prima lo accechiamo, poi attiviamo gli spruzzatori. Qualche dardo incandescente scoccato a dovere, e il petrolio dovrebbe fare il resto”

Tutti assentirono.
“Certo, più saremo numerosi e più probabilità avremo di riuscire nell’impresa”, fece notare Carlyle.
“Se solo qualcuno non si ostinasse a lasciare agli altri il lavoro sporco… ”, buttò lì Rogers.
“Siete matti? Mobius è ancora piccolo!”, esclamò Carter scandalizzato.
“Penso che parlasse di te”, arrischiò Carlyle.

Il progettista assunse una tonalità rubizza.
“Perfetto per attirare gli Adulti”, commentò Blake, e ognuno – Nobbs compreso – si fece una bella risata.

Poco prima che il Comandante si ritirasse nelle sue stanze, Carlyle lo prese da parte.
“Fratello…”
“So cos’hai in mente, e la mia risposta è no”
“Potremmo chiedere supporto…”
“Sei libero di rivolgerti a me se qualcosa ti turba, ma non parlarmi di abbandonare quest’isola. E ora vai a riposarti”
Carlyle annuì, consapevole che presto anche quel conforto sarebbe venuto a mancare.

I lavori di costruzione della Youngster procedevano spediti – grazie soprattutto all’infaticabile prestanza di Nobbs, che lavorava per tre – ma non abbastanza da poter dormire tranquilli.
Nel giro di pochi giorni smontarono l’artiglieria e la issarono sullo scafo. L’ossatura del timone richiese un legname particolarmente resistente, dato che avrebbe dovuto sopportare brusche virate.
Contro ogni previsione, il tempo abbondava e questo contribuì non poco ad aumentare la tensione. Era come ricevere un colpo violentissimo e aspettare che il dolore sbocciasse, secondo dopo secondo, giorno dopo giorno. L’Adulto si fece attendere a tal punto che alla fine decisero di espandere il progetto originale e aggiungere una scialuppa di salvataggio.

Carter imprecava di continuo, sebbene non gli spettassero delle mansioni davvero problematiche; Mobius scriveva e sognava, avventurandosi fuori dalla sua tana per diffondere un po’ di buonumore tra quelli che avevano il coraggio di accoglierlo; Blake era sempre più chiuso in sé stesso, malgrado non mancasse mai di ascoltare chi gli rivolgeva la parola; Nobbs sudava e grugniva, e ogni tanto rideva alle barzellette di Mobius; Rogers e Carlyle avevano preso l’abitudine di lavare insieme i panni sporchi, la mattina presto. Ora che Carter era troppo occupato per pensare ai gabbiani, potevano starsene in santa pace per quasi trenta minuti al giorno.

“Una volta ti ho detto che mi piacciono i silenzi”, dichiarò lei un mattino.
“Ricordo”
“Non è vero, mi piace la confusione. Il rumore della gente. Il rumore che farebbe la gente se fossimo…”
“Tra la gente”, terminò Carlyle.
Lei lo guardò.
“Ho paura che non lo sentirò mai”
Lui le carezzò la guancia umida.
“Anch’io ne ero convinto. Non riuscivo a togliermi quell’idea dalla testa. Ma ora…”
Lei socchiuse le labbra.
Carlyle guardò le sue labbra socchiuse, i denti candidi.
“Non credevo che aspettare un compleanno potesse deprimermi a tal punto”
Lei chiuse gli occhi e tirò su col naso. Avvicinò la bocca alla sua.
“Non pensare di essere l’unico a volergli bene, solo perché sei… suo fratello”
Quando si baciarono, lo fecero perché sentivano che era la cosa giusta da fare. Anche se lui non era dell’umore per farlo e lei non provava attrazione fisica per lui.
Sarebbe stata la prima e l’ultima volta.

L’Adulto giunse il giorno del compleanno di Blake.
Il livello del mare aveva cominciato ad alzarsi già il giorno prima, e per prudenza il Comandante aveva fatto evacuare l’intera truppa sulla Youngster. Carlyle aveva bistrattato il suo sistema nervoso per non addormentarsi, ma infine era crollato.
Venne destato da un urlo.
Si tirò in piedi gridando a sua volta: “L’Adulto?”, ma del mostro non c’era traccia. L’acqua aveva coperto quasi del tutto l’Isola.
“Dov’è Mobius?”, stava dicendo Rogers. Continuava a ripeterlo come se lui fosse lì nei dintorni.
Per qualche motivo nessuno si era accorto della sua assenza.
Nello stordimento del risveglio, a Carlyle parve di vedere il suo volto sornione che galleggiava nell’aria, sillabando qualcosa come Io non faccio parte di questa storia: mi limito a raccontarla e svanendo subito dopo.
“Qualcuno deve andare a cercarlo”, disse Rogers piena di apprensione. Il suo posto era al timone, ma se avesse potuto si sarebbe tuffata in acqua.
“Calmati, soldato”, la rimbeccò Blake, “ora abbiamo cose più importanti a cui pensare”
Carlyle guardò la Luna. Era gigantesca, al punto da illuminare l’orizzonte. In corrispondenza del cratere più ampio, una lucina viola si accendeva a intervalli.
Gettando alle ortiche la logica, il ragazzo si buttò in mare. Sentì lo schiaffo freddo dell’acqua contro la pelle, la voce del Comandante che lo chiamava; uno sciaguattare rassicurante nelle orecchie. Calma.
Nuotò in direzione del Rifugio Sotto la Collina. Mobius doveva essere lì.
L’entrata era completamente sommersa. Carlyle prese un bel respiro e si immerse.
Infilandosi nel cunicolo allagato gli parve di stare facendo qualcosa di profondamente osceno, come poteva essere tornare nell’utero materno.
Mobius era là. Galleggiava senza peso, quasi una pantomima dell’allucinazione che aveva avuto sul ponte. Era chiaramente morto.
Carlyle ebbe un attimo di smarrimento a cui non seppe rispondere. Poi voltò le spalle al cadavere e ripercorse il tunnel a ritroso.
Riemergere fu come svegliarsi da un brutto sogno. Nuotò verso la barca in un’atmosfera di imminente disastro, innaturalmente calma.
Blake lo sollevò di peso e lo sbatté sul ponte.
Prima che potesse alzarsi gli tirò un ceffone. Fece per tirargliene un altro, ma Nobbs lo bloccò. Scosse la testa.
Il Comandante disse: “Molto bene”
“Che ne è stato di Mobius?”, chiese Carter.
Prima che Carlyle potesse rispondere, un raggio violaceo si staccò dalla Luna e bucò il mare. Subito dopo cominciò ad allargarsi. La violenza dell’impatto provocò una serie di ondate che sballottarono la nave, senza tuttavia rovesciarla.

In men che non si dica l’Adulto era lì.
Gigantesco era un aggettivo decisamente eufemistico. Superava di parecchie grandezze tutti suoi predecessori, e al confronto, l’ultimo inviato sembrava un pesciolino intrappolato in una rete. Divenne subito chiaro che quella creatura non apparteneva alla categoria delle cose che si possono pescare.

La bestia li guardò con curiosità.

“Nobbs, le esche!”, gridò il Comandante.
Il robusto Campione scagliò una manciata di boiler fosforescenti in direzione dell’Isola. Fu un tiro eseguito mirabilmente, tanto che la distanza avrebbe fatto impallidire qualsiasi lanciatore professionista.

Lo sguardo dell’Adulto slittò per un momento sul riverbero rossastro in lontananza. Poi la sua attenzione si concentrò nuovamente su di loro. Avanzò nell’acqua che gli arrivava appena alla cintola.
“Così non va!”, esclamò Carter.
“Tirate!”, ordinò Blake.
Nobbs, Carlyle e il terrorizzato progettista fecero scattare l’innesco degli arpioni. Quello di Carter finì in acqua, mentre i restanti, che puntavano chiaramente agli occhi del gigante, vennero intercettati dal suo avambraccio e s’infissero nella carne. L’Adulto sembrò non essersene accorto.
“Estrazione!”, ingiunse il Comandante.
Nobbs e Carlyle attivarono le carrucole, e con qualche sforzo i cavi cominciarono a riavvolgersi. Gli arpioni sgusciarono fuori dal braccio del gigante, seguiti da sporadici spruzzi di sangue. L’Adulto grugnì.
Blake si rivolse a Rogers.
“Soldato, ripiegare! Voialtri…”, disse all’indirizzo della fanteria, “aspettate che sia abbastanza vicino e poi spruzzatelo col petrolio”
“Ma non aveva detto di ripiegare?”, balbettò Carter.
Gli artiglieri non dovettero attendere molto per eseguire l’ordine. L’Adulto fu a portata prima ancora che avessero concluso l’ispezione dei serbatoi, e nel giro di pochi secondi il suo addome fu ricoperto di una densa poltiglia scura. L’acqua schiumava e si sollevava in voraci cavalloni.
“Accensione!”, tuonò Blake.
Nobbs e Carlyle arroventarono la punta dei dardi, mentre Carter si rigirava in mano l’acciarino.
“Signore, i-io non ho mai tirato…”
“Da qua”, disse Blake strappandogli di mano la freccia.
E qualche attimo dopo…
“Scoccare!”
Tre minuscole saette presero il volo dalla nave e si conficcarono nella pancia dell’Adulto. Per un attimo il suo ventre brillò. Poi il gigante si diede una pacca sull’addome, e il fuoco morì.

Blake sospirò, chiamando a raccolta la ragione.
“Rogers, mi senti?”
“Forte e chiaro, Capitano!”
“Ti devo ricordare che stai parlando con un Comandante?”
“Niente affatto, Capitano!”
“Al diavolo. Porta al largo questa carretta, dobbiamo distanziare il mostro!"

Rogers attivò gli spinterogeni d’emergenza e puntò alla Città Oltre il Mare… o dove immaginava che quel luogo si trovasse.

“Soldati, trascinate fuori dalla stiva tutti i generi alimentari e i beni di prima necessità, liberateci della zavorra! Viaggiamo leggeri!”

Mentre Carlyle si fiondava verso il deposito, non gli passò neppure per la testa che quell’ordine non sarebbe servito a niente. Carter borbottava gettando all’aria canne da pesca e sacchi di carbone, mentre Nobbs – momentaneamente fuori dal suo campo visivo – stava sicuramente sbarazzandosi dei barili di pesce.
Il giovane Tuttofare era talmente impegnato a prodigarsi nel suo compito che quasi non sentì il richiamo di Rogers.
“Carlyle!”, gridava la ragazza sporgendosi dal castello di poppa, “Il Capitano!”

Colto da un infausto presentimento, il giovane lasciò perdere la stiva e corse all’estremità della paratia di destra. Suo fratello era montato sulla scialuppa di salvataggio in compagnia di Nobbs e si allontanava rapidamente dalla Youngster.
“Ma che diav…”, disse Carter.
La barchetta era stata riempita in fretta e furia con tutte le esche luminescenti che il suo peso fosse in grado di sopportare. Carlyle non voleva crederci, ma le cose stavano proprio come temeva.
“Fratello!”, gridò, “No!”
“È giusto così”, mormorò Blake.
“Non potevo trovare fine migliore, fratellino”
Si girò verso Nobbs e disse: “Amico mio, cerchiamo di attirare la sua attenzione”
Il Campione annuì e raccolse una bracciata di esche, gettandole subito dopo in mare. Fu come se una meteora rossa si fosse inabissata a poche decine di metri dal mostro.
Gli occhi dell’Adulto brillarono di genuina meraviglia, puntando la scialuppa, e Blake, e tutti i contenitori carichi di funghi scarlatti.
Il Comandante raccolse lo Storditore che aveva preparato per l’occasione, lo accese.
Sulla Youngster, Carlyle e Carter e Rogers assistettero impietriti alla scena.

“Addio, truppa”
E stava per immergerlo nell’acqua, quando Nobbs gli inflisse un secco colpo alla nuca. Il Comandante ricadde all’indietro, stordito.
Il robusto assistente sollevò l’arma che era atterrata ronzando a pochi passi da Blake.
“Mi dispiace”, disse con un filo di voce. E tuffò la punta dello Storditore acceso nel mare.

A Carlyle sembrò che qualcuno avesse cosparso l’oceano di piccole Lune. L’acqua ribollì come animata di vita propria, e nello stesso momento una trama di fitte venature baluginanti si fece strada lungo il ventre del gigante. Quello urlò e si contorse, ma le spire di luce lo incalzavano implacabili, brillando attraverso gli occhi spiritati, zigzagando tra le sue dita.
L’Adulto tremò e digrignò forte i denti, e poi s’irrigidì.
L’innaturale lucore ebbe fine repentinamente com’era iniziato, nel momento in cui il corpo senza vita di Nobbs lasciava cadere in acqua lo Storditore e si abbandonava disteso vicino a quello del suo Comandante. Blake fece appena in tempo ad accorgersi di quanto era accaduto.

L’Adulto, privato anch’egli della vita, collassò su un fianco. Quando la sua mole si scontrò con l’acqua, generò una violenta onda che sommerse la scialuppa, e con essa Blake.

Il Comandante Blake ricordava confusamente di aver detto addio a qualcuno. Poi un dolore sordo, e il rumore dell’acqua. Tanta acqua.
“Fatelo respirare… È sveglio. Guardate, si sta riprendendo”
“Cosa…”
“Fratello, sei ancora qui. Sei qui con noi”
“Carlyle”, mormorò il Capitano socchiudendo le palpebre.
“Il nostro Tuttofare si è gettato tra i flutti per ripescarti”, disse Rogers contenendo a stento l’emozione, “Si vede che ha una passione per l’acqua”
Carter si teneva in disparte, apparentemente troppo scioccato per spiccicare parola.
Carlyle tese una mano al fratello.
“Coraggio. Ce l’abbiamo fatta”
Blake lo spinse via con rabbia.
“Non ce l’abbiamo fatta per niente, sciocco! Tra poche ore io…”
La voce gli s’incrinò.
“Non dovevate salvarmi”
Carlyle strinse i pugni, impotente.
“Nobbs si è sacrificato per te, che dovevamo fare?”, s’intromise Rogers.
“Lasciarmi affogare. Potrei trasformarmi anche adesso, maledizione”
Il viso di Carter fece capolino, la voce ridotta a un sussurro.
“Ha ragione. Il Comandante ormai è una minaccia, va neutralizzato”
Carlyle si voltò per tirargli un montante in volto, poi tornò a occuparsi di Blake.
“Raggiungeremo la Città Oltre il Mare, lì avranno sicuramente una cura per bloccare la trasformazione!”
Blake ridacchiò.
“È sempre stato il tuo sogno. In fondo sono contento perché… potrai… realizzarlo…”
La pelle del suo volto cominciò a pendere come se stesse per squagliarsi, mentre un braccio prese a dibattersi, scosso dalle convulsioni.
“Si trasforma!”, gridò Carter.
“Rogers, il timone!”, disse Carlyle.
La ragazza lo guardò con apprensione.
“Carlyle…”
“Vai al timone!”
Le gambe di Blake crebbero di volume, i pantaloni si lacerarono. Carlyle vide le ossa spezzarsi in più punti, poi ricomporsi. Il Comandante urlava, il collo che si strappava insieme alla giubba crescendo come un bubbone purulento, trasudando sangue e bile.
“No…”
“Tenetelo fermo!”, urlò Rogers.
Carter si abbrancò a un braccio del Comandante, strillando: “Carlyle, maledizione, fa come dice!”
Come riscuotendosi da una fantasticheria, Carlyle agguantò saldamente Blake per l’altra spalla.
Il Comandante si dimenava spasmodicamente, il tronco sempre più gonfio; aveva perso ogni sembiante del ragazzo che era un tempo. Presto non sarebbero più riusciti a trattenerlo.
Rogers comparve reggendo una siringa colma di un liquido aranciato.
“Che cos’è?”, gridò Carlyle.
La ragazza piantò l’ago nel collo di Blake e premette lo stantuffo. Il Comandante smise di dimenarsi.

Carlyle rimase fermo finché non sentì più il respiro rintronargli nelle orecchie.
Voltò il capo con estrema cautela, spaventato all’idea di ciò che avrebbe visto.

Il fratello era tornato normale. Di nuovo lì con lui. Non si muoveva.
“Rogers, che cosa gli hai iniettato?”
“Carlyle…”
“Che cosa gli hai iniettato?”
Carter ansimava.
La ragazza abbassò la siringa, guardando senza espressione la mano che la reggeva.
“Durante il penultimo scontro... ho… prelevato un campione organico dal corpo dell’Adulto. Speravo di sviluppare un siero che contrastasse la trasformazione di Blake, ciononostante… la soluzione era ancora incompleta. Allo stato attuale, il siero inverte gli effetti della mutazione, ma solo dopo aver…”
Carlyle si sforzò di non gridare.
“Cosa? Dopo cosa?”
“Dopo aver ucciso il paziente”
Scese il silenzio.
“Carlyle, cerca di capire”, disse Carter, “Non c’era più niente da fare. Rogers ci ha salvato la vita. Non fosse stato per lei…”
“Ti prego, Carter, non dire un’altra parola”, lo zittì Carlyle.
Rogers gli mise una mano sulla spalla.
Lui la scostò.
“Lasciatemi solo”
“Sei sicuro?”, disse lei, “Il mare è inquieto. L’ultima trasmissione potrebbe generare una tempesta…”
“Non m’importa. So come si governa una nave. Ho… bisogno di pensare a qualcosa. Qualunque cosa”
Carter disse: “E dunque?”
“Andrò al posto di comando. Voi… per favore, non voglio dover… parlare con voi. Sparite”
Rogers annuì.
“Vieni, Carter. Facciamo come ha detto”
“Sei sicura che possiamo affidargli la nave?”
“È disperato, ma di certo non è un incompetente. A differenza di te. Lasciamolo in pace”

Carlyle impugnò il timone, vagamente consapevole del cadavere disteso sul ponte di prua. L’avevano accontentato. Magari erano dietro l’angolo, o forse erano scesi nella stiva. Non gl’importava.
Magari la tempesta li avrebbe cancellati dalla faccia della Terra. Non era un problema.
La sua mente riviveva ancora e ancora il momento in cui suo fratello aveva pronunciato quelle ultime parole. Il suo sguardo…
Come vivendo un déjà-vu, si vide strappare al suo dolore dall’urlo di Rogers. Il suo corpo scattò a comando.
Mentre correva in direzione della stiva fu di nuovo conscio della fisicità del suo organismo, della regolarità del respiro. Tutto ciò che amava gli veniva sottratto un brandello alla volta, senza che lui potesse opporvisi; ma questo non significava che non avrebbe tentato.

Spalancò la porta del piccolo magazzino e, nella luce incerta delle lampade al fosforo, vide Rogers a terra, la canottiera strappata, il volto costellato di lividi. Un’ombra incombeva su di lei.
“Carter?”
Il progettista si girò, per niente turbato.
“Ah, bisboccione. Vuoi partecipare?”
I suoi occhi brillavano di una luce ferina.
“Ma ti avverto… I più piccoli si sfamano solo dopo che i più grandi si sono già saziati”
Carlyle sbatté le palpebre.
“Sei impazzito?”
“Carlyle!”, lo chiamò Rogers. Carter le diede un calcio in faccia.
“Tutto normale, qui, camerata”, lo incalzò Carter.
“Anzi, a dirtela tutta non poteva andar meglio, col Comandante finalmente fuori dalle scatole e quel bruto senza cervello… morto per la causa”
Un’improvvisa illuminazione si fece strada nel cervello di Carlyle.
“Ma allora…”
“Si, ho ucciso Mobius. E ci ho provato anche gusto, mentre lo strangolavo”
“Perché?”
“Meritava di morire. Lui ci ha scaricati in questo inferno!”
“Ma era Blake a darci gli ordini…”
“Lui interpretava solo il ruolo che Mobius gli aveva dato. Aveva affibbiato dei ruoli a tutti noi. Bè, io mi sono stancato di fare la parte del ciccione pavido e sacrificabile. A dirtela tutta, progettavo di torcere il collo anche a te e poi divertirmi con la signorina, qui, ma sai… la tentazione… io e lei, da soli, a lume di candela… Come dire di no?”
Carter sghignazzò.
“Non azzardarti a toccarla”, disse Carlyle.
“Perché, devo chiederti il permesso?”
Carlyle si slanciò su di lui, ma l’altro lo anticipò afferrandogli la testa e sollevandolo da terra. Aveva una forza inaudita.
“Sei diventato pesante, campione”, ansimò Carter.
“Vedrai che tra poco peserai… meno… di niente”
Carlyle non riusciva a respirare, sentiva che stava per perdere conoscenza.
Uno rollio violentissimo ribaltò sia lui che Carter. Carlyle sbatté la bocca contro la maniglia della porta.
Il sapore del ferro si sparse sulla sua lingua, insieme alla consapevolezza che forse aveva ancora una possibilità.
Si tirò in piedi, stordito, preparandosi ad affrontare Carter. E lo vide. Steso a terra, un alone di sangue che si allargava sotto la nuca. Aveva un’espressione beata.
“Ha sbattuto la testa contro lo stipetto dei medicinali”, disse Rogers cercando di puntellarsi sulle gambe.
“Ironico”, disse Carlyle, ma non aveva nessuna voglia di ridere.
Guardò Rogers. Provò un impulso fortissimo di abbracciarla.
La tempesta lo prevenne, e così lui e lei furono solo due corpi sballottati nel vuoto, e poi contro il legno, e poi ci fu l’acqua.
La furia dell’oceano li inghiottì.



Si svegliò con la bocca piena di sabbia.
Riusciva a percepire un vociare confuso, da qualche parte intorno alle orecchie.
Le voci degli angeli?
“Carlyle”
La voce di Rogers…
“Carlyle, sono qui”
Il ragazzo aprì gli occhi. Una folla variopinta di bambini circondava lui e… Rogers, Rogers era lì accanto!
“Come abbiamo fatto a…”
“Vi abbiamo trovati abbracciati a un’asse di legno, qui sulla spiaggia”, disse un ragazzino in tono divertito.
“Stavate giocando ai pirati?”

“No…”, disse Carlyle, “Noi eravamo…”
“… Sulla nave”, finì Rogers.
“Carlyle, siamo vivi. Ce l’abbiamo fatta”
Carlyle non aveva la forza di crederci.
“Siamo nella Città Oltre il Mare”, disse, saggiando le parole nella bocca.
“Si, è così che si chiama la nostra città”, disse una bambina.
Carlyle si voltò per guardare bene la sua amica. Era proprio lei. Non stava sognando.
E allora, contro ogni logica, ritrovando perfino l’energia di alzarsi, si tirò in piedi, e sollevò anche lei. La prese e la fece girare, e lei lo fissò come basita, e poi rise.
E danzarono e risero insieme sulla sabbia, e tutti gli altri bambini con loro…

Carlo! Carlo, è ora di andare!
Carlyle si voltò e il suo sangue gelò per il terrore.
Un’Adulta gigantesca lo sovrastava. Cosa ancor più bizzarra, era vestita.
Il mondo intorno a lui era improvvisamente cambiato. Lui era cambiato. Gli sembrava di essere più piccolo, e molto più basso di com’era prima.
La spiaggia era svanita. Ora c’era un minuscolo castello di legno, e un boschetto con degli alberi. Del mare nessuna traccia.
“Hai sentito tua mamma? Devi andare a casa”, disse Rogers, scuotendolo dalla sua fissità.
“M… mamma?”
L’Adulta incrociò le braccia con aria minacciosa.
Dai, Carlo. Sai che se arriviamo tardi papà si arrabbia. Ci sono i compiti da fare, e domani hai l’interrogazione di storia. Guarda, anche la mamma di Christian dice che è ora di andare a casa.
Carlyle fece un salto per la sorpresa. Carter sostava a pochi passi da lui, schernendolo allegramente con una smorfia. Anche lui si era rimpicciolito.
E a pochi passi da lui… Blake.
E Nobbs, e persino Mobius… vivi.
“Come può essere?”
“Fai come dice la mamma, Carlo, altrimenti stasera niente dolce”, lo rimbeccò Blake.
Tutti loro… Gli sembrò che ogni cosa si fondesse e vorticasse.
Tesoro, ti senti bene?
“Io… Io non…”
“Mi sa che ha preso il gioco un po’ troppo sul serio!”, lo sbeffeggiò Carter.

Carlyle si sforzava di capire, e tuttavia non capiva.

Rogers lo stava ancora salutando con la mano mentre l’Adulta lo trascinava via a tutta forza.

Allora è vero, pensò Carlyle.
Siamo morti durante la traversata, e questo è l’inferno.
  
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