Disclaimer: Connor Kenway, Haytham Kenway, Kaniethì:io e tutti gli altri personaggi appartengono alla Ubisoft e a
chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta
per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo.
Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto
rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è
ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla
stessa tramite permesso scritto.
"La gente ha bisogno di un mostro in cui credere, altrimenti siamo soltanto noi contro noi stessi."
- Chuck Palahniuk -
La tua croce, la tua catena
Fissi il silenzio del fallimento, nessun rumore in cielo, nessun sorriso tra le tende abbandonate.
Brucia l'amuleto sotto la tua pelle d'Assassino e sembra piangere la collana di Ziio, slabbrata e sfilacciata dalle troppe battaglie che hai combattuto.
"Ti sentirai solo."
E maledici il giorno in cui sei nato, perché i Kenway portano la morte sulle labbra e il tradimento nei lombi, lupi di mare e lupi per necessità - per inganno.
"Ma io sarò sempre al tuo fianco."
Annusi l'aria e cominci a scavare, una fossa per il tuo cuore e una per il tuo rimpianto più grande.
"Ti voglio bene, Ratonhnhaké:ton."
Umida, una carne debole e molliccia, la terra si apre sotto le tue unghie e scopre un alveo pronta ad accogliere ciò che rimane di te, un amore disgraziato e un destino già scritto.
"Non credere che abbia intenzione di farti una carezza."
Cade l'amuleto - la prima catena, l'inizio di tutto e la sua fine - e qualcosa produce un suono secco, aspro.
"Non piangerò e non mi perderò in rimpianti."
Cade anche l'ultimo frammento della tua infanzia, piume e pietre e il calore d'una donna come Kaniehti:io - e poi un altro crack, nella gola e nel petto.
"E tu mi capirai."
Da tua madre hai imparato il valore di una mano tesa, la sicurezza di un grembo in cui raccogliersi e il sapore della comprensione - dell'amore.
Figlio mio.
Da Haytham - padre. Chiamalo con il suo nome, vigliacco - la violenza che corre tra le parole e la tragicità - l'assoluta disperazione - della rinuncia.
"Mi dispiace..." mormori a un cielo senza stelle "vi ho deluso."
Quando chiudi quella tomba di sogni e speranze, non ti accorgi di averci lasciato anche ciò che restava del tuo cuore - misero, patetico, combusto; vuoto.
Tra le fronde di alberi che hanno visto tutto, lupi dagli occhi troppo umani e aquile coraggiose come leoni, sono solo pallidi fantasmi quelli che salutano un figlio mai posseduto davvero.
Un figlio nato - finalmente - libero.
"Ce la farà?"
"È determinato; una virtù nobile."
"Ma è solo."
"Anche io lo ero."
"Ma poi hai avuto me; hai avuto lui."
"Vuoi sempre avere l'ultima parola, uhm?"
"Sempre."
E Connor non capisce se siano solo illusioni quelle che gli sfiorano gli zigomi - dita leggere come nebbia - oppure le ombre del suo stesso dolore.