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Autore: JennyWren    24/03/2014    7 recensioni
- Ti ho mentito. – Esclamò guardando la punta delle proprie scarpe.
Paul si avvicinò ancora, stringendo le braccia al petto.
- Quando, John? – Chiese in modo amaro.
- Sempre. – Sollevò il capo e guardò il bassista disarmato, sconfitto. – Sempre, ogni volta che ti ho detto di non provare niente per te. Ho sempre mentito.
Paul sentì il sangue ribollirgli dentro e cercò in tutti i modi di non stringere le mani al collo di John fino a farlo soffocare.
- Cristo santo, e me lo vieni a dire così?! – Il bassista lanciò un pugno dritto nella scrivania.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Open the door, John!
 
 
 
La pioggia batteva prepotente, produceva ticchettii fastidiosi all’udito delle persone che cercavano di ripararsi sotto le insegne dei negozi per non rovinare gli abiti della domenica.
John guidava con qualche decina di km orari sopra il limite consentito, strizzava gli occhi per riuscire a vedere oltre quel muro d’acqua ma non avrebbe rallentato; doveva tornare a casa.
Era furioso. 
Sbatté la porta dell’auto in modo così violento, che la stessa barcollò leggermente e si diresse verso l’entrata, calpestando le aiuole che Cynthia curava con tanto amore e dedizione.
Non appena fu dentro casa si precipitò su per le scale, salendo i gradini a due a due per la fretta e sbatté la porta del suo studio, prima di scivolare con la schiena sulla parete in legno e stringere le ginocchia al petto.
Guardò fuori la finestra che proponeva uno scenario totalmente diverso da quello dello stesso pomeriggio, mentre avvertiva una lacrima amara graffiargli la guancia destra che si affrettò ad asciugare in un gesto nervoso.

Non voleva piangere, non lo avrebbe fatto, non per quello stupido Paul McCartney.
 
 
 
°oOoOo°
 
 
 
Il giardino di casa di George era una sorta di Eden. Vasi in terracotta traboccanti di gerani e fiori dai colori psichedelici incantavano chiunque si soffermasse a guardarli. Il prato era tagliato di fresco e il profumo, mischiato a quello dei fiori, era afrodisiaco; sembrava infondere una tranquillità ed una serenità a dir poco surreale e, per coronare il tutto, la più bella delle giornate primaverili risplendeva su Londra.
 
Ringo e John ridevano al teatrino che avevano inscenato i restanti membri del gruppo.
Paul e George avevano cominciato a ricordare vecchi episodi dei loro anni scolastici, anni che sembravano tanto lontani e diversi dalla loro realtà attuale; in cui erano poco più che ragazzini che provenivano dal quartiere popolare di Liverpool.
 
 
- E poi suo padre entrò in classe e gli rifilò un pugno dritto sul naso! La mia classe era in delirio. Suo padre era appena diventato il nostro eroe! – Raccontava Paul con enfasi, ripetendo il gesto del pugno più volte.(1)
- Avrei voluto vedere la faccia del professore – Esclamò George sorridente, sdraiandosi sul prato.
 
John sorrise, non tanto per l’aneddoto appena raccontato, ma per l’espressione dipinta sul volto di Paul, un’espressione delicata e rilassata, in totale armonia con l’atmosfera che li circondava.
Gli altri continuavano a chiacchierare tra di loro ma John non riusciva a prestare attenzione a nulla, se non al ragazzo di fronte a lui.
 
Paul sospirò serenamente, socchiuse gli occhi e gettò la testa all’indietro, permettendo ai pigri raggi del sole primaverile di accarezzargli il volto sul quale si trovava il più dolce dei sorrisi.
 
John non poteva fare a meno di osservarlo. Così a suo agio, così in sintonia con le persone, così bello, così carismatico, così… Paul.
E mentre la sua immaginazione si laciava andare, mostrandogli ipotetiche immagini in cui poteva vedere se stesso accarezzare le proprie labbra con quelle del bassista, egli si avvicinò sporgendo il busto in avanti.
 
John sentì il cuore partire all’impazzata, Paul gli si stava avvicinando e lui era certo che se avesse parlato, avrebbe sicuramente detto qualcosa di insensato. 
- Che fai? – Riuscì a dire mentre Paul invadeva il suo spazio personale con movimenti sinuosi.
Paul sorrise beffardo e gli sfilò gli occhiali da sole che John era solito portare per poi sistemarli su se stesso.
- Prendo i tuoi occhiali da sole. Sai che mi piacciono – Rispose innocentemente.
Li inforcò soddisfatto e si sdraiò accanto al compagno che lo guardava ancora con le labbra socchiuse. Si sentiva scosso come un adolescente che è stato appena notato dalla ragazza più carina della scuola.
 

I quattro ragazzi di Liverpool mantennero un pacifico silenzio, interrotto solo dal cinguettio degli uccelli e dal frusciare delle foglie.
Non avevano programmato nulla di particolare per quel pomeriggio, avevano trovato tutti un po’ di tempo libero da trascorrere in compagnia degli altri per disintossicarsi dalla pressione della sala di registrazione e dell’imminente tour che comprendeva posti di cui ignoravano l’esistenza.
 
Tutto quel parlare di Liverpool aveva messo a John una tale nostalgia e aveva fatto riaffiorare ricordi di un’adolescenza trascorsa in compagnia del ragazzo che sonnecchiava pacificamente di fianco a lui.
Gli sembrava di ritornare a casa sua, a Mendiphs, quando condividevano quel letto fin troppo piccolo per entrambi e finivano per scontrarsi ad ogni movimento.
Gli sembrava di tornare ad Amburgo, quando Paul tremava dal freddo poiché la sua coperta non bastava a proteggerlo, e John lo faceva stringere a sé, strofinando sulla schiena scossa dal freddo.

Per loro fortuna adesso avevano letti e coperte a sufficienza, avevano soldi con i quali potersi permettere anche il più insensato dei capricci, ma per John questo significava aver perso una gran fetta di intimità con Paul.
 
John ingoiò il groppo in gola e sospirò pesantemente.
Sì, provava qualcosa per Paul, qualcosa che, per qualche stupido scherzo del destino era riuscito a riconoscere, e successivamente ad accettare, proprio durante l’ultimo periodo, nonostante fosse sempre esistito.
Adesso dava un senso al senso di protezione che provava nei suoi confronti, al peso che dava alle sue parole e ai suoi consigli, ma anche alla strana sensazione che provava ogni volta che il bassista entrava nel suo – seppur ristretto e sfocato - campo visivo.
 
 
Era talmente immerso nei suoi pensieri che non si accorse che Paul si era alzato e stava pulendosi i pantaloni stretti dalle piccole foglie.
- Posso tenerli? – Chiese a John che sobbalzò.
- Dove vai? – Domandò John confuso.
 
Paul controllò il proprio orologio e si sistemò i capelli.
- Ho un appuntamento con Jane, la ragazza che abbiamo conosciuto qualche giorno fa. – Rispose ammiccando in direzione di Ringo che aveva esclamato: “Sei il solito, McCartney!”
 

John strinse i denti.
Altro che Eden, quel giardino era appena diventato un inferno.
Paul non poteva permettersi di alzarsi ed andarsene. Quel pomeriggio dovevano passarlo insieme e non poteva andar via per starsene con la ragazza che lo avrebbe sollazzato nella prossima settimana!
 
Paul aveva ormai salutato George e Ringo e stava per andarsene quando il tono di John lo fece trasalire.
- Non puoi! – Infatti aveva ringhiato tra i denti il chitarrista.
 
Paul credeva fosse uno dei soliti scherzi e ridacchiò, seppur in modo nervoso.
- E perché?
- Perché oggi era deciso che tu fossi qui. – Cercò di mantenere un tono calmo e trasferire la sua rabbia nelle mani che si erano artigliate nel prato fresco.
- Non credo che George o Ritchie piangeranno se non sono qui. – Indicò i due che guardavano John alquanto perplessi.
 
- Non è questo il punto! – Scattò in piedi, parandosi di fronte al minore che lo superava in altezza di qualche centimetro.
 
Paul si accigliò, non capiva perché John ci tenesse tanto a stare quello stupido pomeriggio insieme. Infondo, si vedevano praticamente tutti i giorni.
 
- E quale sarebbe il punto?
- Che non voglio che tu vada da lei. Devi stare con me!
 
John spalancò gli occhi per la vergogna, dopo aver realizzato ciò che aveva appena detto di fronte a tutti.
- Vaffanculo – Spintonò con esasperazione il bassista, prima di correre verso la sua auto, lasciando i propri compagni attoniti.
 
 
Paul era immobile, come se il suo corpo fosse diventato improvvisamente pesantissimo. Aveva gli occhi vuoti, non riusciva a capire cosa fosse successo.
John era geloso? Geloso  di lui?!
 
 
Dopo il suono di qualche tuono che sembrava squarciare il cielo, Ringo si avvicinò verso Paul, cercando di aiutare il suo amico che sembrava smarrito.
- Paul, andiamo, forse è solo arrabbiato – Provò a dire, anche se ci credeva ben poco.
 
Paul si scusò, utilizzando quel filo di voce che gli era rimasto e camminò a testa bassa mentre alcune gocce di pioggia cominciavano a bagnargli i capelli.
 
Dimmi che è solo un tuo stupido scherzo, Lennon.



 
°oOoOo°

  
- John, apri questa porta!
Cynthia tentava inutilmente di ruotare il pomello della porta, battendo le mani sulla superficie della stessa.
Aveva visto John entrare in casa come una furia ed ora, suo marito sembrava non dare alcun cenno di vita.
- John! Ti prego!
 
John non ce l’aveva fatta, si sentiva umiliato dai suoi stessi sentimenti, debole e inspiegabilmente solo.
Era stato stupido urlargli quelle cose, avrebbe dovuto lasciarlo andare, ma la gelosia aveva preso il sopravvento, e si era mosso a briglie sciolte, preda dei suoi stupidi sentimenti.
 
Stava strappando tutto: fogli, foto, canzoni, lettere, biglietti, tutto.
Non riusciva a fare altro se non distruggere. Era questo ciò in cui si sentiva davvero bravo; nel distruggere oggetti, rapporti, legami.
Aveva sempre avuto Paul dalla sua parte, che si curava di raccogliere tutto ed aggiustarlo.
 
Ma adesso aveva distrutto anche quello.
 
 - Cazzo! – Imprecò scaraventando a terra il posacenere pieno, riversando nella camera l’odore acre delle sigarette.
Strinse le mani nei propri capelli e si accasciò sotto la propria scrivania, osservando con il cuore a pezzi tutto ciò che aveva fatto.
 
 
- Apri la porta, John.
 
 
 
°oOoOo°
 
 
 
Paul trovò la porta aperta e non esitò ad entrare.
In salotto c’era il piccolo Julian, intento a giocare con le macchinine. Non appena lo vide, il piccolo squittì di gioia e corse, un po’ gattonando, un po’ camminando, verso il suo “Uncle Paul”.
Paul lo accolse con affettto tra le sue braccia ed accarezzò la testolina bionda del piccolo Lennon per qualche secondo, prima di interrompersi al suono di qualcosa che veniva scaraventato a terra al piano di sopra.
 
- Boom! – Mimò Julian ridacchiando.
Paul sorrise al piccolo nonostante fosse visibilmente preoccupato e salì le scale lentamente, pronto ad andarsene se qualcosa potesse turbare il bambino.
 
 
Trovò Cynthia fuori la porta di John che, appena si accorse del bassista gli corse incontro scuotendo la testa.
- Non so cosa gli sia successo, Paul ti prego, perché fa così?! – La donna si coprì il volto con le mani per non mostrare le sue lacrime di preoccupazione.
- Tieni Julian, va di sotto e preparati qualcosa di caldo. – Le accarezzò una spalla in modo rassicurante, passandole il piccolo – Me la vedo io.
 
Cynthia lo ringraziò stringendosi al ragazzo, bagnandogli la guancia con le lacrime.
- Grazie Paul.
 
Il bassista aspettò che Cynthia fosse andata via, sospirò, mosse qualche passo in avanti e bussò lentamente, ma con decisione.
 
 
- Apri la porta, John.
 
 
 
°oOoOo°
 
 
 
John si voltò all’istante verso la voce che aveva udito.
No, non era davvero lui, lo aveva solo immaginato. Come era possibile che...
 
- John, apri. – Ripeté Paul in piedi, di fronte a quella porta che cominciava ad odiare. – So che sei lì dentro, ti sento.
 
John si sollevò da terra, non voleva aprirgli ma era più forte di lui, si sentiva come Ulisse al richiamo delle sirene, come l’ape attratta dal polline, come…
 
- Ce l’hai fatta. – Sorrise Paul amaro, nel momento in cui si vide John di fronte a sé.
 
John osservò la propria mano, non si era nemmeno reso conto di aver sbloccato la serratura e ruotato il pomello.
 
- Posso? – Chiese Paul indicando l’interno della stanza.
- Puoi – Rispose John apaticamente, scostandosi quel tanto che bastava per farlo entrare, e richiuse la porta.
Paul si guardò intorno. C’erano fogli sparsi ovunque, la cenere si era appiccicata al pavimento insieme alle piccole schegge di vetro che appartenevano al posacenere.
 

John era teso, aveva tutti i muscoli in tensione e sarebbe morto se quel silenzio si fosse prolungato ancora. Vedeva Paul osservare la sua disperazione, la sua anima tormentata rappresentata in quella camera. 
Era scoperto ed estremamente vulnerabile.
 

- Ti ho mentito. – Esclamò il chitarrista senza distogliere lo sguardo dalla punta delle proprie scarpe.
 
Paul si avvicinò ancora, stringendo le braccia al petto.
- Quando, John? – Chiese in modo spazientito.
- Sempre. – Sollevò il capo e guardò il bassista disarmato, sconfitto. – Sempre, ogni volta che ti ho detto di non provare niente per te. Ho sempre mentito.
 
 
Paul sentì il sangue ribollirgli dentro e cercò in tutti i modi di non stringere le mani al collo di John fino a farlo soffocare. Una marea di immagini si riversarono nella sua mente, immagini di se stesso, ancora adolescente che implorava John di non giudicarlo.
- Cristo santo, e me lo vieni a dire così?! – Il bassista lanciò un pugno dritto nella scrivania.
- Paul – Provò ad avvicinarlo ottenendo l’effetto contrario.
- Paul un cazzo, Lennon! Sapevi che io ti amavo più di quanto amassi me stesso. Lo sapevi! E mi hai sempre preso in giro, mi hai sempre umiliato. – Batté un piede a terra frantumando ancora di più il posacenere - Ricordi, John? Ricordi quando a Liverpool mi hai scopato e poi mi hai lasciato da solo a piangere? Ricordi quando ad Amburgo mi hai urlato di prostituirmi per soldi, riivelando a tutti ciò che avevamo fatto?
 
John si nascose il viso con le mani, lo sapeva benissimo. Sapeva quanto male gli avesse fatto con il suo atteggiamento ambiguo e, sì, talvolta cattivo nei confronti di quello che allora, era poco più che un ragazzino.
 
- Mi hai mandato al manicomio, Lennon! Avevo diciassette anni e tu mi hai reso un pupazzetto, il tuo pupazzetto personale perché non riuscivi ad accettare di amarmi. – Paul si passò le mani nei capelli per la frustrazione.
- Ho fatto di tutto per rendermi speciale ai tuoi occhi. Sono diventato il bassista perché così potevo essere come Stuart. Ho passato notti insonni per imparare uno strumento che nemmeno mi piaceva, solo per te! Mi hai distrutto John, come fai con tutto, sempre!
 
John aveva cominciato a singhiozzare, stava incassando tutti i colpi, uno dopo l’altro.
 
- Ora riesco ad andare avanti, ad accantonare i miei sentimenti per te, e tu mi sputi in faccia la tua gelosia. Perché mi fai questo, John?! – Mormorò con le lacrime agli occhi, con le mani che tremavano, con lo stomaco sottosopra e la mente totalmente vuota per aver finalmente detto tutto ciò che si portava dentro da anni.
Era esausto, stanco, con il cuore a pezzi ma una cosa la sapeva per certo: lo amava ancora, nonostante gli anni, nonostante tutto.
 
Attese una risposta da parte di John, ma questa sembrava non arrivare mai. Si scaraventò sul ragazzo e lo spinse contro il muro. Afferrò il collo della camicia del chitarrista e lo scosse più volte, cercando di farlo reagire.
 
- Dimmelo John! – Pianse Paul - Perché?
 
- Lo sai perché, Paul! – Si lamentò John, senza riuscire a guardarlo negli occhi.
 
Paul gli afferrò la mascella con le dita e lo costrinse a guardarlo. - Dimmelo, ti prego! – Sussurrò.
 
John non era così coraggioso di affrontare i suoi sentimenti, ma era in un vicolo cieco, non poteva fare altrimenti.
- Perché ti amo così tanto che sto male solo a pensare di allontanarmi da te, e ho così paura che tu possa farlo che preferisco distruggermi piuttosto che vederti andar via. E mi sento così in colpa per tutto ciò che ho fatto che mi vergogno di me stesso. - Confessò a bassa voce, guardando il bassista con le lacrime agli occhi. 
 
 Paul chiuse gli occhi e lo baciò.
Aveva baciato John, ma non come quella volta, non con la certezza che il ragazzo con cui stava condividendo quel momento lo volesse davvero.
 John sospirò e si strinse contro Paul come un bambino impaurito si stringe a sua madre, spaventato, disarmato, eppure con la consapevolezza di essere al sicuro da ogni pericolo, di essere amato.
Avevano fame delle labbra dell’altro, del corpo dell’altro, come mai prima d’ora.
Avrebbero chiarito tutto il loro passato in un altro momento, per ora avevano ritrovato il loro Eden: tra le braccia dell’altro.
 
 
 
*fugge*
   
 
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