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Autore: lady dreamer    24/03/2014    1 recensioni
Sherlock inscena la sua morte per salvare le persone a cui tiene... soprattutto John.
... e se poi le cose non fossero andate come racconta la terza serie?
dalla storia: "Ti eri ripromesso di sparire dalla sua vita per tenerlo al sicuro.
Ma hai capito troppo presto che non avresti potuto proteggere proprio nessuno se fossi sparito."
attenzione: spoiler finale
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Conan Doyle, BBC e Moffat/Gatiss, questa storia è scritta senza alcuno scopo di lucro.
 
The games is on yet!
 
Prega perché la tua solitudine sia di sprone a trovare qualcosa per cui vivere,
abbastanza grande per cui morire. 
Dag Hammarskjold.

 
Pensavi che non avresti trovato niente che avrebbe potuto dare un senso alla tua vita più dei casi di omicidio che Lestrade ti avrebbe passato, niente più di gustare l’attimo di felice intuizione in cui nel tuo palazzo mentale sono aperte solo le stanze che danno sul medesimo pianerottolo di deduzioni.
E invece hai dannatamente scoperto che tutto quello che ritenevi fosse lo scopo della tua vita, in realtà è solo un modo per riempire il vuoto angoscioso che senti dentro. Una sorta di supporto psicosomatico interno per non impazzire.
Hai sempre pensato che ti sarebbe dispiaciuto morire solo perché probabilmente sarebbe successo per la mancata soluzione di un caso, a causa della pazza e metodica mente di un serial killer. E non avresti potuto sopportare la tua intelligenza beffata…
John.
Per lui non hai esitato neanche a toglierti la vita. La sua era troppo più importante, troppo più vita della tua per non meritare di essere salvaguardata.
Si era fatta strada dentro di te la certezza che John avrebbe capito che non avevi scelta, che l’avrebbe accettato e si sarebbe rifatto una vita tanto meno incasinata e più tranquilla dello scorrere confusionario delle ore al tuo fianco, rischiando la vita ad ogni caso da risolvere.
Ma mai avresti potuto pensare che la vista del dolore di John, tanto più forte di quello che avevi immaginato, ti avrebbe smosso e scombussolato dentro fino a quel punto…
Ti eri ripromesso di sparire dalla sua vita per tenerlo al sicuro.
Ma hai capito troppo presto che non avresti potuto proteggere proprio nessuno se fossi sparito.
 
- Smetti di essere morto!
Studi a fondo il volto di John dal nascondiglio in cui lo osservi, mentre dalla nuova scheda che hai sottratto a Mycroft scrivi un messaggio.
Il cellulare di John gli vibra nella tasca, o almeno così dovrebbe essere perché lui fruga nella tasca dei jeans, chiedendosi, non c’è un forse, stavolta glielo vedi scritto in faccia, perché un messaggio proprio in quel momento.
Sai cosa c’è scritto in quel messaggio.
The games is on yet.
Lui si volta sconvolto: - È vivo… - sussurra, abbracciando un’incredula signora Hudson.
- È vivo - ripete, mentre sorridi prima di scomparire.
 
***
 
- John… Sono a casa… - dici, entrando al numero 221 B di Baker Street, dopo sei mesi.
- Sherlock, ma sei proprio tu? - ma è la signora Hudson a venirti incontro.
- Sì, sono io. Sono a casa.
- O Sherlock caro! Me lo sentivo che John non poteva essere impazzito nel dire che saresti tornato! - dice, mentre allarga le braccia per stringerti forte. In un altro momento l’avresti scansata per evitare qualunque contatto fisico, ma la signora Hudson fa parte di quella vita a cui hai sentito l’impellente ed istantanea necessità di tornare ventiquattro ore dopo averla lasciata.
La tua vita a Baker Street.
Osservi di sfuggita il salotto mentre lasci che la padrona di casa ti abbracci. La tua poltrona nera è ancora lì, insieme a quella rossa di John. Il teschio è ancora sulla mensola. Le tue riviste scientifiche infilate con meticolosa attenzione nel portariviste.
Il quadro è quasi perfetto.
Ogni cosa al suo posto… anzi, forse anche troppo in ordine.
Si vede lo zampino di John in tutto questo metodo impiegato a tenere il salotto presentabile.
 
John.
Sei tornato per lui, non per la signora Hudson.
Ti scosti dal suo abbraccio, durato sicuramente troppo a lungo per i tuoi standard.
- Dov’è John?
- È al lavoro, si è fatto assumere a tempo pieno al Barts adesso.
Sarai stato anche lontano sei mesi, ma questo lo sapevi già. Ti sei informato costantemente per quanto hai potuto tramite quell’indisponente ficcanaso di Mycroft sulla vita che John conduceva.
- Pensavo che oggi fosse il suo giorno libero.
La signora Hudson non si stupisce che tu lo sappia.
- Lo era, ma una collega gli ha chiesto di spostarlo solo per oggi…
- Ah.
Sarah, si tratta sicuramente di lei.
- Ma… - vorresti fare una domanda, ma non ti riesce. Non puoi chiederlo alla signora Hudson.
- Ma non c’è problema. Lo aspetterò.
Lei sorride.
- Sarà tanto contento di vederti, sai… anche se ci hai fatto prendere un bello spavento… Non ci si comporta così, Sherlock!
- Vi ho fatto sapere che ero vivo, non potevo fare altro… Mi creda, signora Hudson.
- Io ti credo, Sherlock… Ma… Sai, il tuo messaggio era un po’ ambiguo… Poteva averlo mandato chiunque… Anche se John si ostinava a credere che fosse tuo, io ho sempre nutrito qualche dubbio… Ma eccoti qua! John aveva ragione a dire che non avresti potuto lasciarlo in quel modo… Ma perché l’hai fatto Sherlock? Perché tutto questo teatrino?
- È una lunga storia di cui preferirei non parlare. È stato necessario per la sicurezza di tutti voi, sua, di Lestrade e di…
- Di John, certo. Sulla mia sicurezza avresti potuto forse soprassedere, su quella di Lestrade te ne saresti fatto una ragione, vista la sua profonda sbadataggine nel risolvere i casi, ma su quella di John… - scuote dolcemente il capo - Sei morto per lui, Sherlock, non per noi.
Guardi la signora Hudson che ti sorride benevola.
Non sai cosa risponderle.
Esiti.
Ma non puoi esitare a lungo.
- Vado in camera mia… - liquidi, dirigendoti nella tua vecchia stanza, mentre vedi con la coda nell’occhio la signora Hudson che sorride, anche se non ti spieghi perché.
 
Entri.
Cerchi l’interruttore della luce a tentoni sul muro e lo trovi esattamente dove l’avevi lasciato.
Ma la stanza non è più la stessa.
Sulla sedia della scrivania ci sono dei vestiti. Non tuoi.
Un paio di jeans appoggiati allo schienale, sulla seduta un cumulo di calzini da appaiare.
Sulle mensole sopra la scrivania non ci sono più solo i tuoi libri, ma anche altri.
Romanzi. Romanzi che non hai mai letto.
Apri le ante dell’armadio.
Non ci sono solo i tuoi vestiti, i tuoi completi scuri e le camicie di seta, ma anche giubbotti, t-shirt e pantaloni sportivi.
Una tv sulla scrivania.
Il letto è rifatto con la meticolosa precisione che tu non hai mai avuto.
John.
Ti è bastato vedere i tuoi jeans sulla sedia per capire che John si è trasferito in camera tua.
Appoggi le chiavi di casa sul comodino e ti siedi sul letto.
 
Tu hai sofferto a lasciarlo, ma per tutto questo tempo non hai potuto fare a meno di interrogarti su come per lui dev’essere stato vederti andare via, precipitare nel vuoto, riconoscere il tuo cadavere, piangere al tuo funerale, urlare contro la tua lapide, ricevere quel messaggio…
Accetterà di buon grado il tuo ritorno?
Perché si è traferito in camera tua?
Pensava che non saresti più tornato?
 
- John, che diamine hai pensato in tutto questo tempo?
Cerchi il cellulare nella tasca dei pantaloni e guardi l’ora.
Non ci vorrebbe molto perché torni.
Ammesso che non abbia un appuntamento dopo il lavoro…
 
Non hai voluto che Mycroft indagasse sulla vita privata di John.
Il Barts, la casa, se zoppica, se va in ferie, dove fa la spesa, come vanno i rapporti con la sorella, ma non la sua vita sentimentale.
Non sarebbe stato giusto intrufolarsi anche lì. Te ne sei andato…
E poi non puoi pretendere che lui sia rimasto fedele al fantasma di un suo amico…
Non c’è mai stato niente tra voi due.
Pensavi che non ci sarebbe mai stato niente.
E invece, mentre cercavi in giro per il mondo gli altri membri dell’organizzazione di Moriarty, hai trascorso sei mesi orribili a tormentarti per non poter essere con lui. Anche solo per prendere il the, per guardare uno stupido e prevedibile film poliziesco in tv, per litigare per i tuoi esperimenti in frigo.
Ma era necessario per la sua incolumità che tu fossi lontano, morto.
 
John.
Non hai mai tenuto tanto ad una persona da inscenare la tua morte.
Non hai mai tenuto tanto ad una persona. E basta.
 
Preferiresti vederlo felice con qualcun altro - anzi, verosimilmente, con qualcun’altra - che non infelice con te.
La tua infelicità è molto più tollerabile della sua.
 
Distogli lo sguardo dal pavimento mentre avverti il rumore della porta d’ingresso che si apre.
- Signora Hudson? - chiede John, evidentemente notando che la porta non è chiusa a chiave.
I tacchetti della padrona di casa tintinnano sul pavimento.
- Ero venuta a portarti la cena… - spiega, avvicinandosi alla porta, presumibilmente.
Poi la voce si riduce ad un sussurro e non senti che un bisbigliato ciarlare.
 
Vagli le possibilità.
- Dovrai ritornare nella tua vecchia camera, temo…
Troppo vago. Troppo poco da lei, non si è mai arresa all’idea che non steste insieme.
Tuttalpiù potrebbe ironizzare: - Ma davvero avete fatto tutta questa messa in scena per dirmi che state insieme?
No. Avrà pietà di John.
- È successo un miracolo, Sherlock è di là che ti aspetta…
No, lo sapevano benissimo tutti e due, o almeno lo speri, che saresti tornato.
- Holmes si è rifatto vivo.
La signora Hudson non parla come Anderson. Per fortuna.
- Sherlock è tornato.
Sì, presumibilmente ha detto questo…
 
Non sai cosa abbia potuto risponderle John, ma senti la porta di casa che si chiude.
Attendi in silenzio, tutti i sensi tesi per captare qualcosa.
La mente svuotata da ogni altro pensiero.
Silenzio per qualche istante.
Poi passi sul pavimento.
 
- Sherlock?
Ti volti verso la porta della stanza.
- John - e sorridi, guardandolo comparire.
Non è cambiato.
Gli occhi dello stesso azzurro, anche se macchiati di inquieta incredulità.
Gli stessi capelli chiari, lavati presumibilmente con lo stesso shampoo, avranno lo stesso profumo, forse.
- Mi devi delle spiegazioni. - dice, con una freddezza di cui non credevi sarebbe stato capace.
Ti aspettavi una reazione diversa. Ma ti alzi, lo guardi negli occhi.
- Sono stato costretto. Moriarty vi avrebbe ammazzato, te, la signora Hudson, Lestrade… Non potevo permetterlo. Così sono morto io.
- Tutto qui?
- Cosa vuoi che ti dica?
- Che ti dispiace. - risponde prontamente.
La tua fronte si corruga automaticamente: - È ovvio che mi dispiace. Per questo ti ho scritto.
Mi hai scritto un messaggio che ho riletto ogni santo giorno della mia vita dal giorno della tua morte per convincermi che non eri morto davvero… - rivela, con esasperato puntiglio.
- Non mi sembri così contento di vedermi.
- Se io avessi fatto una cosa del genere tu non mi avresti di certo buttato le braccia al collo… - guarda il pavimento per poi posare gli occhi di nuovo su di te - Anzi, con te non avrebbe funzionato… - ammette, scuotendo lievemente la testa.
- Mycroft in effetti…
Non ti lascia terminare la frase: - Non parliamo di tuo fratello, per favore… - liquida, nascondendo male l’imbarazzo che probabilmente prova per gli estenuanti e inconcludenti interrogativi che deve ha posto a Mycroft per almeno una settimana dopo la tua morte e il messaggio.
Soffochi un sorriso che ti nasce spontaneo nell’immaginare la scena.
Percepisci nell’assenza di altre affermazioni di John, il silenzio che c’è tra voi due.
La fredda costatazione che forse nulla sarà più come prima…
 
John ha le occhiaie. Probabilmente non ha dormito bene stanotte. Sono troppo profonde perché siano derivate da una sola notte insonne. Non dorme bene da settimane, forse da mesi.
Si è trasferito nella tua stanza. Dorme nel tuo letto. Non ha buttato via le tue cose, né i tuoi vestiti.
Non dorme bene da sei mesi. Lo intuisci.
Non puoi biasimarlo.
 
- Come stai, John? - gli chiedi, per abbattere il muro.
- Sono sconvolto, non si vede?
Sospiri. Lo sai. L’hai visto nel suo sguardo. Continui a vederlo anche se chiudi gli occhi, per un attimo, per trovare nell’oscurità della tua mente brillante il coraggio per dire quello che stai per dire.
Inizi a parlare con gli occhi chiusi: - Mi dispiace di averti abbandonato. - e la tua voce è solo un sussurro, è come se lo stessi ammettendo a te stesso. Ora sei pronto per ammetterlo a lui.
Ti schiarisci la voce, ricominci a parlare, apri gli occhi.
 
- Mi dispiace di averti abbandonato. Mi dispiace di non averti spiegato tutto da subito. Mi dispiace di non essere tornato prima. Mi dispiace di essere morto. Ma l’ho fatto per… - esiti, solo un attimo, perché prendi coscienza che John ti sta fissando, incredulo.
- Per? - incalza.
- L’ho fatto per voi… Perché non potevo vedervi morire al posto mio… Tu mi hai salvato la vita troppe volte, dovevo ricambiarti il favore… volevo ricambiarti il favore… - non sai dire altro, e abbassi lo sguardo.
La grave leggerezza del silenzio, ancora, martellante, nella tua testa.
- Accetto le tue scuse…
Alzi gli occhi. Hai un’espressione interrogativa sul volto.
- Accetto le tue scuse… - ripete, come se fosse la cosa più naturale del mondo - Sono contento che sei tornato…
Ti abbraccia.
Usa lo stesso dopobarba.
Lo stesso shampoo.
È bello tornare e scoprire che non si è stati lontani abbastanza perché le cose cambiassero, sgradevolmente e radicalmente.
Eppure… c’è qualcosa di strano nel suo odore.
È come se fosse…
Fumo.
 
- Mica hai cominciato a fumare? - chiedi, allarmato come solo chi è già dipendente può essere, cogliendo la scusa per non abbandonarti per troppo tempo al calore del suo abbraccio.
John sorride. Evidentemente a causa del tuo sguardo accigliato.
- Certo che no, era il tassista che fumava… - ti rassicura.
Accenni un sorriso anche tu.
- Sono contento di essere tornato. - sussurri, ad una voce così bassa che lui potrebbe non aver sentito.
Ma l’ha sentito, lo leggi nel suo sguardo.
 
***
 
Non è da molto che state insieme tu e John. E, contrariamente a quello che pensavi, non è poi tanto strano.
Fate le stesse cose che facevate prima.
Anche se qualche differenza effettivamente c’è….
Sai che non sei più solo.
E non soltanto perché ogni mattina a fianco a te c’è il corpo addormentato di John - che dalla tua stanza ha traslocato solo per qualche mese - ma perché sai che lui non è solo qualcosa abbastanza grande per cui morire, ma qualcosa di abbastanza grande per cui vivere.
Ma se i tuoi mesi senza di lui sono stati un inferno, ora vivi un momento di beatitudine che temi possa finire da un momento all’altro.
- A che pensi? - sussurra John che, del tutto irrazionalmente, sembra sia stato svegliato dai tuoi pensieri.
- A niente.
- Non avrò il tuo quoziente intellettivo ma non sono scemo.
Smetti di guardare un punto fisso davanti a te e guardi lui, mentre dici: - Pensavo a noi, a quanto durerà…
- Vorresti che finisse? - chiede, tirandosi su e mettendosi a sedere.
- No… - scuoti leggermente la testo - piuttosto ho paura che finisca…
- Il grande detective che aveva paura dei sentimenti… potrei intitolarci il blog. - scherza.
Lo fulmini con lo sguardo.
- Lo sai che non lo farei mai… - ti dice, prendendoti la mano.
Indisponente ti sottrai alla sua stretta e rivolgi nuovamente la tua attenzione al legno scuro dell’armadio.
- Sherlock, dovresti sapere che la probabilità che io possa lasciarti sono equivalenti a quelle che il mondo possa finire domani…
- Il mondo potrebbe finire da un momento all’altro…. - fai notare, con una punta di acida freddezza.
- È altamente improbabile, Sherlock.
- Se si esclude l’impossibile ciò che resta, per quanto improbabile, è pur sempre possibile…
- La scienza della deduzione non funziona in queste cose.
Ti dà fastidio essere contraddetto. Ma se ti contraddice John, in fondo, non è poi tanto grave… specie se ha ragione.
Torni a guardarlo e John ne approfitta per promettere: - Se tu non ti suicidi di nuovo buttandoti dal Barts stai sicuro che non ti lascerò.
E stavolta non puoi fare a meno di sorridere. Probabilmente se non fossi stato costretto ad andartene dal 221 B di Baker Street non avresti mai avuto il coraggio di ammettere che quel sentimento sgangherato e inconfessabile che sentivi - che senti - per John non era - non è - solo la benevolenza del primo attore per il suo pubblico, o la riconoscenza per chi si preoccupa di fare la spesa, l’affetto per l’amico con cui dividi le spese dell’appartamento… Ma è qualcosa di più che ha a che fare non solo con benevolenza, riconoscenza o affetto, ma anche desiderio, tenerezza, amore…
Non avresti mai ammesso a te stesso e a John che tu, l’invincibile e geniale Sherlock Holmes, saresti cascato nella complicazione più banale e scontata del mondo: i sentimenti, anzi… il sentimento.
Ma non ti importa di essere banale.
Non ti importa del futuro.
L’importante è essere qui, adesso, con John.
E cercare di farlo durare il più possibile. E se questo comprende non fingere il suicidio buttandoti dal Barts, beh, resisterai a questa tentazione…
 
Sorridi a John, rassicurandolo: - È probabile quanto che Moriarty torni indietro dall’inferno…
Non fai in tempo a dirlo e a sfiorare le labbra di John che la tv sulla scrivania si accende di scatto, senza che nessuno di voi due abbia toccato il telecomando, e una voce stridula anticipa l’immagine dell’ultima persona che in questo momento e per tutta la vita vorreste rivedere, chiedendo con spasmodica frequenza: - DID YOU MISS ME????????!
Lo sguardo di John incontra di nuovo il tuo, è stavolta è preoccupantemente e dannatamente vero…
The games is on yet!
 

Angolo autrice.
Salve! Ed eccomi alla mia seconda ff su Sherlock… spero che vi sia piaciuta :)
Beh… a mia discolpa posso dire che non avevo in mente un finale così… ma… sapete come funziona, scrivendo si parte da un’idea e non si sa mai come possa andare a finire xD
Aspetto i vostri pareri, se vi andrà di condividerli :)
 
Saluti e alla prossima!
lady dreamer.
 
  
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