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Autore: Francine    24/03/2014    10 recensioni
Il motivo di questa mia, oltre che porgerle le mie condoglianze, è presto detto. Ho appreso da fonti sicure che lei, signor Søren – mi permette di chiamarla così, vero? –, ha ereditato da suo padre il famoso baule appartenuto al suo più illustre antenato, lo scrittore e favolista Hans Christian Andersen. Io sono interessata al contenuto di quel baule. Più precisamente, sono interessata ad un diario con la copertina di pelle di capra color verde mare appartenuto al suo prozio. Il perché è molto semplice: quel diario contiene gli appunti che Andersen scrisse e raccolse per comporre la sua fiaba più celebre, la Sirenetta.
Perché la Sirenetta, signor Søren, sono io.

Prima pubblicazione: 15. 01. 2007
Genere: Drammatico, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Messaggio in Bottiglia

 


Nettuno, 28 Febbraio 2004

Egregio signor Søren Andersen,

le porgo le mie più sentite condoglianze per l’improvvisa scomparsa di suo padre Gustav della quale sono venuta a conoscenza leggendo i giornali. Lei non mi conoscerà di certo, mentre io sono una grande amica della sua famiglia da diverso tempo.

Può chiamarmi Raluka, se le fa piacere. Non credo avremo mai l’opportunità di parlarci occhi negli occhi, così com’è stato con suo padre e con suo nonno prima ancora.

Il motivo di questa mia, oltre che porgerle le mie condoglianze, è presto detto. Ho appreso da fonti sicure che lei, signor Søren – mi permette di chiamarla così, vero? –, ha ereditato da suo padre il famoso baule appartenuto al suo più illustre antenato, lo scrittore e favolista Hans Christian Andersen. Io sono interessata al contenuto di quel baule. Più precisamente, sono interessata ad un diario con la copertina di pelle di capra color verde mare appartenuto al suo prozio. Il perché è molto semplice: quel diario contiene gli appunti che Andersen scrisse e raccolse per comporre la sua fiaba più celebre, la Sirenetta.

Perché la Sirenetta, signor Søren, sono io.

E quel diario mi appartiene; stipulai un patto con suo padre, anni fa, secondo il quale, alla sua morte, io sarei entrata in possesso del diario.

Capisco benissimo le sue perplessità, e il tono melodrammatico della mia prosa – peculiarità, questa, che non sono riuscita a mitigare nel corso degli anni – non giova certo a rendere la notizia più digeribile. Me ne rendo conto.

Se ha del tempo da concedermi, signor Søren, gradirei raccontarle una storia, così da spiegarle meglio tutta la faccenda. Sono sicura che suo padre non abbia fatto in tempo a dirle tutto, così vi penserò io. Iniziando dal principio. L’unico mio cruccio, oltre a quello di non poterle spiegare la mia storia faccia a faccia, è che il mio danese è ormai viziato dai falsi amici dell’italiano e dal troppo tempo passato senza poterlo parlare o scrivere. Perdoni alcune forme arcaiche di cui sarà infarcita questa prosa, dunque.

Le ho promesso, poche righe fa, che avrei iniziato tutto dal principio. Impresa non molto facile, mi creda. Se da un lato potessi agilmente iniziare a narrare questi avvenimenti dall’attimo in cui io stessa decisi del mio futuro e di quello della mia gente, creda a me, lo farei.

Ma purtroppo, la mia è una storia così incredibile e, per certi versi, fantastica che correrei il rischio di essere scambiata per una pazza mitomane.

Provi ad aprire il diario del suo più illustre avo. Vi troverà scritti degli appunti sulla fiaba, delle canzoni che parlano di un palazzo sottomarino dalle lucenti torri aguzze, tempestate di perle e coralli verdi. E, verso la fine, dovrebbe trovarsi anche un rametto di quel corallo verde muschio che io stessa donai al suo prozio più di duecento anni fa.

Mi crede, adesso? 




All’inizio dei tempi, la dea Retalla creò il mio popolo modellando la rena del mare mista all’acqua e alle scaglie dei pesci.

Nacqui secoli or sono nella Reggia del re Anfri III, sedicesimo regnante della Quinta Dinastia del Trono di Corallo. Io sono la sesta di sette figlie femmine. Mio padre e mia madre, la regina Thalatta, generarono un solo figlio maschio, il Principe Arluo, mio fratello, futuro sposo e legittimo erede al trono.

La nostra civiltà viveva un’esistenza pacifica e tranquilla, al riparo dalle guerre e dalle malattie che sconvolgevano il vostro mondo con una cadenza impressionante; avevamo stipulato un patto con voi, gli Abitanti del Mondo Emerso, come vi chiamavamo colloquialmente, per vivere in pace. 

Il nostro popolo era in perenne lotta con voi e le navi che solcavano il mare; questo perché passavate sopra la nostra testa, comportamento inaccettabile presso la nostra cultura, e il ferro che teneva unite le vostre imbarcazioni generava frequenti carestie delle alghe che utilizzavamo come nutrimento. Così, la Regina Nocetta sposò un principe, Tyrrenys, che portò con sé nel nostro Regno: dalla loro unione, benedetta dalla Dea, nacquero gli esemplari maschili.

Voi creature emerse credete che i maschi delle sirene, quelle che i popoli anglosassoni chiamano ‘Mermaid’, siano i tritoni. Nulla di più falso. I tritoni sono l’oscena progenie del dio delle procelle, Nepto, e della spuma del mare. Egli sparse il suo seme in mare e nacquero quegli esseri deformi dalla testa di pesce e il corpo umano, con mani e piedi palmati, ed un’oscena fila di denti aguzzi con cui dilaniano le loro prede. Sono loro che, in combutta con le Sirene d’Aria – quegli esseri con il corpo d’uccello e la testa di donna che incantavano i marinai con il loro canto – mietevano morte e distruzione durante le tempeste e i fortunali ai poveri malcapitati che osavano solcare il mare.

Il mio popolo, in ottemperanza agli accordi presi, si rifugiò nelle profondità marine, lontano dalle rotte stipulate con il popolo dei Punii. E quelle barche che osavano rompere il divieto imposto dal tacito accordo tra le nostre genti finivano a sfracellarsi contro gli scogli aguzzi, spinte dalle nostre pattuglie di ricognizione.

Il tempo passò veloce e in pace, fino a quando non si diffuse una perniciosa ed invisibile epidemia tra le alghe rosse che costituivano, allora, una fetta importante della nostra alimentazione. Iniziò tutto per caso, in sordina. Ogni tanto nasceva qualche piccolo cieco. Oppure, i nostri figli faticavano a raggiungere il ventesimo anno d’età, che per la mia gente corrisponde al periodo dello svezzamento. 

La colpa, se colpa vi fu, è da attribuire ai savi di corte, che non si accorsero prontamente di come le nostre scorte fossero intaccate dalla peste dell’alga. E di come questa fosse stata causata dall’eccesso di ferro caduto nel nostro mondo.

Vede, signor Søren, noi creature temiamo ciò che non si adatta con il nostro ambiente. Abbiamo anche noi la terra, su cui costruimmo il meraviglioso palazzo di Burimial, dalle mille torri lucenti, o la spettacolare città di Misotu, dal mirabolante marmo rosato. L’aria è presente nel nostro mondo, così come la luce che permette alle nostre alghe di crescere e alla vita di moltiplicarsi.

Ma laggiù non esistono né i prodotti oleosi, né il fuoco, né metallo che non sia l’oricalco. O il Pharullir, con cui i nostri fabbri forgiavano le impareggiabili lance che difendevano il nostro mondo.

Quando ci accorgemmo di quale fosse la causa dell’epidemia che stava decimando il nostro popolo, era già troppo tardi: mia sorella Ariel, quella che i vostri figli riconoscono come l’unica Sirenetta, nacque con la coda unita. La pinna caudale di mia sorella non era divisa in due, ma era formata da un’unica membrana verde marcio. Le sue squame, poi, erano invertite, cosicché per lei era quasi impossibile muoversi dalla sua culla. Mia sorella, dai lunghi capelli rossi come il corallo che conoscete voi e la voce argentina, morì a soli trentatré anni. 

La Regina mia madre, allora, supplicò il Re mio padre d’inviare un’ambasceria nel Regno Emerso che ponesse fine al massacro a cui ci stavano sottoponendo. Mio fratello, il Principe Arluo, fu messo a capo della spedizione. Non fecero in tempo a risalire sulla rena che il vostro popolo li uccise barbaramente, mozzò loro il capo e portò i cadaveri in corteo lungo la spiaggia, lasciandoli sotto il sole per giorni e giorni. 

Una pattuglia di prodi salì in superficie per recuperare almeno le spoglie dei nostri caduti. Non potrò mai dimenticare la testa di mio fratello infilzata su una rozza lancia di legno, il grido d’orrore e rabbia che permeava i suoi occhi rossi e la sua bocca spalancata in un urlo gelato, i suoi capelli zecchini che fluttuavano nell’ acqua.




I miei genitori sprofondarono in un muto dolore e nell’impossibilità di porre rimedio ad una situazione logorante. Ben presto, i Tritoni ne avrebbero approfittato per rovesciare il regno e distruggere millenni di prosperosa civiltà. Il palazzo reale, dal tetto lucente ricoperto di perle e pagliuzze d’oricalco, sarebbe divenuto ben presto il loro mattatoio o il loro postribolo. 

Guardavo mio padre incanutirsi e le sue spalle ingobbirsi sotto un peso troppo grave per la sua età. Era anch’egli malato, i suoi capelli d’alba ricadevano a ciocche sul suo grembo, dove le sue mani, un tempo forti, riposavano inerti. Mia madre, gli occhi di calcedonio rovinati dal pianto, osservava i suoi figli morire uno ad uno senza poter muovere un solo dito. Le preghiere alla nostra dea si erano rivelate un mero palliativo. Da quando l’Unigenito Dio aveva preso il posto delle vecchie divinità, nessuno più pregava ed onorava la Dea, così ci aveva abbandonato, morta anch’ella nella sua Torre di marmo in fondo all’Oceano.

La morte dell’unico erede al trono fece precipitare la situazione.

“Occhio per occhio, dente per dente” recitano le nostre leggi. Così, mentre le mie sorelle morivano falcidiate dalla peste, decisi di adempiere i miei doveri di Principessa Reale e provai a vendicare almeno il mio popolo.

Presi da parte mia sorella Ondina e le confidai il mio progetto.

“Non avrai intenzione di…”

Non riuscì a terminare la frase: la ricordo ancora mentre mi fissava e le sue bianche mani salivano a coprire la bocca spalancata.

“Sono l’unica che può farcela, Ondina. E tu lo sai.” le risposi carezzandole le orecchie.

“Vengo con te!” rispose stringendo il mio polso, ma riuscii a farla desistere. 

Per quel che ne sapevo, sarei anche potuta morire nel tentativo, lusso che non mi era concesso dalle Stelle di Mare, ma che era un’eventualità da non sottovalutare. Mio fratello, il più prode guerriero del regno, era stato spazzato via assieme ad un corpo scelto di soldati e lancieri reali. Quante probabilità avrei avuto io, piccola Principessa, di farcela?

Poche, è vero. Tuttavia, tentai lo stesso. Con la complicità di mia sorella, scappai dal palazzo in una notte oscura, spazzata dai marosi. Staccai un rametto di corallo verde dalla corona di mio padre e baciai il suo viso canuto; tagliai una ciocca dei capelli di mia madre e la legai al polso. Presi solo una sacca e partii alla volta dell’antro della Strega del Mare. Non li vidi mai più.



Ora, signor Søren, lasci che le spieghi un punto, su cui non intendo soprassedere. La versione che il suo avo diede della Strega del Mare la ritengo oscena ed offensiva, lesiva della nostra dignità. Voi creature del Regno Emerso siete soliti ragionare livellando le altre realtà secondo il vostro metro. Voi siete soliti credere che nessuno dia niente per niente; le vostre storie e i vostri racconti sono pieni di personaggi che forniscono aiuto solo previa ricompensa. I nani che premiano Fiore perché ha pulito la loro lurida casa. Il pesciolino che ringrazia il pescatore per non averlo mangiato donandogli dei regali. La strega del bosco che ricompensa l’eroe che ha attinto l’acqua da un pozzo di pietra. 

Mi lasci dire che nel mio regno non c’erano questi costumi. La Strega del Mare era la voce dei nostri Morti che permeava il suo Antro. E che aiutava il nostro popolo nei momenti più bui della sua esistenza. Scesi nell’Antro – se le può interessare, è il crepaccio che voi chiamate “Fossa delle Marianne” – e sottoposi il mio problema al giudizio della Strega. La sua voce mi ordinò di cogliere l’alga azzurra e di mangiarla sulla rena sotto la Luna Rossa. Ubbidii.

Ma la trasformazione, tuttavia, non andò come sperato: un fuoco ardente s’impossessò del mio corpo non appena terminai di mangiare l’alga. La mia coda dalle scaglie verde lucente si seccò e divenne un paio di gambe umane in un processo di lenta e straziante agonia. La gola bruciava per la mancanza d’acqua, così come i miei nuovi polmoni, che invece, richiedevano un quantitativo sempre maggiore di ossigeno in forma gassosa. Persi la mia voce argentina, come narrato nella fiaba del suo antenato; ma ciò accadde non perché la Strega la pretese, quanto perché l’alga, contaminata anch’essa dalla peste, rallentò il processo di trasformazione delle mie corde vocali.

Come immagino saprà dai suoi studi liceali, le corde vocali non sono che membrane forate la cui vibrazione al contatto con l’aria produce i suoni, articolati poi in parole. Anche la mia gente possiede le corde vocali, tuttavia, esse sono fatte per vibrare a contatto con l’acqua. Quindi, la trasformazione incompleta rese di me una muta, incapace di articolare, se non dopo molto, molto tempo, dei suoni di senso compiuto.



Non c’era nessun principe ad attendermi sulla spiaggia.

Ricordo che mi accolse una donna che esercitava la professione di meretrice lungo la costa. Jerlia, così si chiamava, mi trattò come fossi la sua figliola ed in capo ad un anno avevo imparato ad esprimermi con suoni gutturali scomposti. 

Mia sorella Ondina saliva ogni Luna Nuova ed al buio parlavamo per lunghe ore: lei mi raccontavae come procedesse la vita sott’acqua e io intervenivo con suoni mano a mano più composti. Ripartiva ogni volta con una luce compassionevole negli occhi: era come se volesse dirmi “Come sei diventata brutta!” pur non trovando la forza di dare corpo a quelle parole. 

Un giorno si presentò un uomo dallo sguardo segnato da una vistosa cicatrice sotto l’occhio destro. Chiese a Jerlia se qualcuno avesse mai violato la mia vergogna e, alla risposta negativa della donna, mi portò con sé al palazzo reale, dove divenni una servetta adibita alla cura del Principe Axel. Io, la Principessa Raluka Ferliata Anfri III, legittima erede al trono di Corallo Verde, dal Sangue purissimo, ridotta a rassettare il letto dove il principe Axel, figlio di seconde nozze del Re di un minuscolo stato che si affacciava sul mar Baltico, si univa carnalmente con donne di malaffare!




Una notte di Luna Nuova, mentre il vento soffiava sopra la mia testa – evento che tutt’oggi rende impossibile il mio riposo – corsi alla spiaggia ed incontrai mia sorella.

“Raluka” mi disse, usando per la prima volta in vita sua il mio nome “ tra un ciclo esatto a partire da oggi il Principe chiederà che tu sia accompagnata nelle sue stanze. Sorella mia, è arrivato il momento propizio: devi uccidere il Principe al più presto. Convincilo a venire sulla spiaggia e unisciti a lui carnalmente. Io uscirò dalle acque assieme a nostra sorella Marina, e lo terremo fermo mentre tu gli taglierai la gola ed il suo sangue arrosserà il nostro mare, così come il sangue di nostro fratello bagnò la loro terra.”

Annuii e ritornai a palazzo.

La profezia della Strega del Mare s’avverò. La successiva Luna Nuova nacque mentre le mie sorelle tenevano la testa del Principe sotto l’acqua ed io, munita del Sacro Pugnale di Pharullir appartenuto a nostro padre, recidevo la sua gola ed il suo sangue colava fin nel nostro regno. Questo, tuttavia, non aiutò il mio popolo.

Le mie sorelle, che avevano perso i capelli e molte scaglie a causa della peste, morirono in capo a tre giorni, seguendo i nostri genitori lungo il sentiero delle sabbie del tempo, prendendo posto accanto a loro nell’Antro della Strega del Mare. Risalirono in superficie ed io tenni le loro mani mentre il sole nasceva. Si mutarono in spuma del mare e rimasi da sola sugli scogli a piangere il nostro fato disgraziato.




Come vede, signor Søren, la storia che le ho or ora raccontato è profondamente difforme da quella narrata da suo prozio. Se non mi crede, rompa pure il sigillo che troverà sul diario e legga la mia storia scritta dalla mano del suo antenato. Trovi le canzoni del palazzo del mare e il rametto essiccato di corallo, e poi mi risponda: mi sono inventata tutto?

Se così fosse, come potrei sapere che suo prozio usò quel prezioso diario solo ed esclusivamente in quell’occasione? Che scrivesse su quaderni, e viaggiasse con un pezzo di sapone, una corda ed una scala – per scappare dagli incendi – è fatto noto. Ma che Hans Christian Andersen abbia ascoltato dalla viva voce dell’autentica sirenetta questo racconto è un fatto sconcertante, non trova anche lei?



Immagino si stia chiedendo cosa voglia da lei.

Le sarei immensamente grata se volesse adempiere le ultime volontà del suo antenato. Quando, due secoli dopo aver ucciso il Principe Axel, narrai la mia storia all’Andersen favolista, suo zio mi avvisò che il mondo non era ancora pronto per conoscere questa storia.

“Se rivelassi che sul fondo del mare è esistita una civiltà più progredita della nostra, come reagirebbe il mondo? Mi prenderebbe per pazzo, nella migliore delle ipotesi.” mi disse mentre, sdraiati sul letto, contemplavamo il cielo estivo. Sì. Sono stata l’amante di suo zio. Ho esercitato il meretricio per anni; come pensa che potesse campare una donna sola, a quel tempo? Consideri inoltre che la mia gente invecchia molto, molto più lentamente rispetto alla sua, e che la nostra vita è ben più longeva delle vostre, che si esauriscono in un arco di ottant’anni circa. Ho cambiato città e paese molte, molte volte nel corse dei quattro secoli che ho passato sul Regno Emerso. La mia vita, tuttavia, sta volgendo al termine: oramai, non posso più sperare di vedere la fine di questo secolo appena iniziato. Sarà un miracolo se l’ultima sirena vivrà sino alla fine di quest’anno.

Vorrei, perciò, che lei pubblicasse la prima stesura de “ La Sirenetta” così come la narrai a suo zio. 

I tempi sono maturi. 

Ora più che mai, ora che la vostra gente distrugge le proprie risorse vantandosene e gareggiando a chi, per primo, creerà l’arma di distruzione più potente ed invasiva. Grazie alla Dea, morirò prima di vedere questo scempio e prima che il Regno che avrei dovuto ereditare evapori per il surriscaldarsi del pianeta.

Mi creda, signor Søren, non siamo le creature dagli occhi dolci descritte dal suo antenato; se vogliamo, noi sirene sappiamo essere crudeli, spietate quasi. Ma non siamo così stupide da ucciderci con le nostre stesse mani. 

Mi creda, signor Søren. So che lei ha delle doti di scrittore. E se ha ereditato anche solo un decimo del talento del suo illustre avo, sono convinta che lei sarà in grado di portare alla luce questa storia.

Dica quello che riterrà più opportuno. Che ha ritrovato il manoscritto originale e che suo zio è stato un ambientalista – nonché un visionario –
 ante litteram. Che ha pensato lei stesso ad una versione alternativa della fiaba dopo aver letto gli appunti di suo zio. O anche che l’ultima sirena le ha inviato un accorato messaggio in bottiglia affinché il mondo conoscesse tutta la verità sulla piccola Ariel. Usi pure il nome di mia sorella minore, se lo riterrà opportuno, non ne avrò a male. Non le ho scritto questa lettera perché il mondo conoscesse il vero nome della Sirenetta, ma la sua vera storia. Potrà obbiettarmi che, vista l’avidità umana, non è improbabile che si organizzeranno delle spedizioni per setacciare i fondali oceanici alla ricerca della mia civiltà e dei suoi incommensurabili tesori. E che qualora si trovino ancora degli esemplari in vita delle sirene, sarebbero catturati e mostrati al pubblico ludibrio.

È vero; conosco la sua razza da tempo sufficiente per credere che simili eventualità ricadano nel campo delle certezze.

Tuttavia, mi lasci spiegarle un paio di cose.



Primo: la mia razza si è estinta. Morirà con me. Non esistono più sirene, signor Søren. Il figlio che ebbi dall’unione con il Principe Axel mi fu portato via mentre si trovava a gettare le reti in mare, due anni dopo aver raccontato a suo zio la mia triste vicenda. Non ebbi altri figli. Non trovai il coraggio sufficiente. Come vede, anche ammesso che si organizzino spedizioni per scandagliare i sette mari, non troverebbero nessuno dei miei, lì sotto.


Secondo: come seppi dalle mie sorelle prima di morire, il lussuoso palazzo reale e le sette meraviglie dell’acqua furono rasi al suolo dall’armata dei Tritoni che invase Acquafonda, la capitale del regno, mentre mio padre esalava il suo ultimo respiro.

Le ho spiegato più sopra il
 modus operandi dei Tritoni, nevvero? Lasci che le racconti un altro aneddoto: come ricorderà, il transatlantico Titanic colò a picco perché un iceberg lo speronò ed aprì una gigantesca falla nella stiva della nave.

Errore.

Il Titanic si spezzò in due e affondò perché aveva una falla enorme, ma non fu aperta da un iceberg. Il Titanic subì un attacco in grande stile da una banda di Tritoni affamati, che mirava a riempirsi la pancia di prelibata carne umana. Io ero a bordo. Volevo vedere questo famoso Nuovo Mondo che prometteva grandi opportunità, mentre nella Vecchia Europa si moriva come mosche. Controlli pure. M’imbarcai come Lucy Kinkale, una dei sopravvissuti alla tragedia. Se non mi crede, scandagli pure internet alla ricerca della foto di Lucy. Non nota anche lei un’inquietante somiglianza tra la fotografia di Lucy e il ritratto che suo zio mi fece, nelle ultime pagine del diario?


Alla luce di questi fatti, lei crede ancora che i Tritoni non vi attaccherebbero?

Ha due strade davanti a sé, signor Søren; adesso sta a lei solo decidere.

Può esaudire il desiderio di una vecchia sirena, che a breve renderà l’anima e occuperà il posto che le compete accanto ai suoi familiari nell’Antro della Strega del Mare, e pubblicare il manoscritto autografo di suo zio.

Oppure, semmai dovesse decidere che il mondo non merita di essere informato, o che sia già troppo tardi per avvisare la sua razza del pericolo che corre, può spedire il diario autografo all’indirizzo che troverà in fondo a questa lettera. Mi scuso per il metodo poco ortodosso che ho scelto per spedirle questa mia missiva, ma ho temuto che non sarei mai risalita al suo indirizzo. Il mare, almeno, ancora obbedisce alla sua ultima Principessa.

La mia morte dovrebbe avvenire all’incirca verso il 6 Gennaio 2007. Noi sirene conosciamo il giorno della nostra dipartita; lo percepiamo quand’è il tempo. 

A mio fratello Arluo predissero una morte in battaglia, e così fu. Le mie sorelle, Ondina e Marina, sarebbero morte insieme, mentre Ariel, la più piccola, sarebbe spirata nel suo letto.

Anche io morirò nel sonno. E se lei dovesse decidere che non è il caso che il mondo conosca questa storia, gradirei stringere il diario di suo zio tra le braccia. E farmi cremare con lui. Le mie ceneri saranno poi sparse sul mar Tirreno, a completare un ciclo, a chiudere il cerchio, come si dice da queste parti.



Decida lei, signor Søren, secondo la sua coscienza.

La ringrazio per il tempo che mi ha concesso e per la benevolenza con cui ha letto queste mie righe. Purtroppo, non ho mai elaborato uno stile che mi permettesse di chiudere le lettere con facilità. Cominciare è sempre facile, vero? “Pinna a destra, pinna a sinistra”, si diceva dalle mie parti, motto che equivale al vostro “un passo dietro l’altro”. È terminare dolcemente qualcosa che riesce difficile, nevvero?



Addio, signor Søren. Prendo commiato da lei. Non mi cerchi, né tenti di mettersi in contatto con me. Mi basterà sapere che entro il prossimo Natale il manoscritto di suo zio sarà in tutte le librerie. Oppure, ricevere il diario originale tra le mie braccia. Che il mare culli sempre le sue notti e renda ricca la sua mensa.

Addio, signor Søren.

Addio.

   
 
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