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Autore: Stephanie86    24/03/2014    19 recensioni
È davvero molto difficile. Scrivere è difficile. Scrivere, lasciare che venga fuori tutto, lasciare che le parole scarabocchiate su una pagina coprano il dolore... È quasi impossibile.
[Tematica molto delicata - Prestate attenzione agli avvertimenti]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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In un diario

 

 

 

 

 

Io mi chiamo

Vorrei cominciare dicendo

È la prima volta che tengo un diario

Di me stessa e della mia vita attuale non ho molto da dire: sono una ragazza intelligente (dicono), di indole contemplativa (questo me l’ha detto uno psichiatra), un’indole che mi ha permesso di riflettere sul mio passato e che ora mi permette di scrivere questo diario. Continuo a tenerlo aggiornato anche se è difficile. È davvero molto difficile. Scrivere è difficile. Scrivere, lasciare che venga fuori tutto, lasciare che le parole scarabocchiate su una pagina coprano il dolore... È quasi impossibile. All’ultimo momento forse strapperò le pagine e le getterò nel cestino o le userò per accendere il fuoco.

Un sentimento al quale non so dare un nome preciso si impossessa ogni tanto del mio spirito: è uno stato d’animo che non può essere compreso o analizzato. È un sentimento inesprimibile.

È qualcosa di

Quando ero bambina non c’era. C’erano molti sentimenti, ma questo no.

Sarebbe stato troppo bello sentire solo questo, sconosciuto sentimento.
Quando ero bambina, dico, ma in realtà non sono mai stata veramente bambina. I pochi ricordi della mia infanzia sono legati ad una casa arredata con mobili antichi, ad un gatto, il gatto della mia famiglia, un gatto bianco con la testa grigia che sonnecchiava in salotto e alla figura di mio padre. Per un osservatore superficiale o per un passante che avesse, per caso, incrociato il suo sguardo e la sua persona per strada, il suo aspetto non avrebbe avuto niente di apparentemente anormale. In quanto a statura, era alto, molto più alto di me, spalle larghe, robusto, ma non grasso. Singolare era l’espressione del suo viso, indefinibile direi oggi. Come quel sentimento. I capelli grigi erano la testimonianza degli anni addietro, gli occhi altrettanto grigi parevano a volte minacciosi, a volte gelidi, altre volte solo distanti, annebbiati; a volte attenti, curiosi, audaci.

Per un osservatore superficiale, ho detto. Perché l’osservatore superficiale si ferma alle apparenze. Non vede lo spirito, se no salvarmi sarebbe stato facile per chiunque.
Intendere l’orrore che provavo è impossibile. Voi potete solo immaginare, ma intendere no. Le persone tremano perché hanno paura di perdere una persona cara, si sentono morire alla sola idea di essere abbandonate da chi amano. Si sentono sole se il loro amore, il loro amico se ne va.

Io no. Io avrei preferito essere abbandonata, ho desiderato morire perché avevo una famiglia. Ho desiderato uccidere.
Ho tremato anch’io. Ho tremato tutte le sere da quando avevo circa dieci anni, tutte le sere.

Tutte le notti.

Anche nei giorni in cui nulla accadeva, nei giorni in cui il mostro mi lasciava in pace, ho tremato e gli unici sogni che mi tenevano compagnia erano lande desolate dove non cresceva un filo d’erba né scorreva un rivolo d’acqua, belve che mi strappavano gli arti, ombre che si allungavano per acciuffarmi, per trascinarmi nell’abisso, più giù, più giù di quanto già non fossi scivolata, perché “ toccare il fondo”  per me era un’espressione senza senso.. Il fondo non esisteva. Non esiste. Si cade e cade e cade e cade... E bisogna cercare un appiglio, qualcosa a cui aggrapparsi, altrimenti la caduta continua, inesorabile. Io volevo

Mio padre entrava nella mia stanza, silenzioso, chiudeva la porta dietro di sé, bofonchiava sommessamente. I passi erano inquieti, incerti, sembrava strascicasse i piedi sul pavimento. Mi toccava un po’ mentre io fingevo di dormire, si toglieva la camicia e poi entrava nel mio letto. Da quel momento in avanti, la stanza e le immediate vicinanze erano preda delle tenebre di una notte nera, confusione di cigolii, gemiti provocati da un corpo pesante che mi schiacciava. Avevo gli occhi chiusi, ma sentivo il suo respiro sul mio collo, le sue mani che mi facevano male. Qualche volta mi sussurrava parole in tono di comando, ma per quanto fosse vicino, la sua voce mi giungeva da un miglio di distanza. Ricordo l’alito pesante. Puzzava di tabacco, perché fumava molto. Almeno venti sigarette al giorno.
Mia madre lo sapeva. Mi sono trovata faccia a faccia con lei e le ho parlato. Ha visto con i suoi occhi i miei disegni, ma li ha strappati. Diceva di non raccontarlo in giro, di non preoccuparmi perché non era colpa di papà. Lui era malato. Era colpa della malattia, non sua. C’era qualcosa nel suo cervello che gli impediva di ragionare. C’era qualcosa... Lei non sapeva spiegare cosa fosse, ma c’era.

La rabbia che si impadroniva del mio animo in quegli istanti quasi non mi permetteva di reggermi in piedi.
Barcollando sulle gambe, andavo a scuola come se niente fosse, ascoltavo impassibile le chiacchiere di una maestra che si domandava perché non parlassi mai con gli altri compagni. Ascoltavo le prese per i fondelli di bambini che giocavano nel cortile e ridevano del mio mutismo, della mia incapacità di comunicare in una lingua a loro comprensibile. Guardavo le mamme e i padri degli altri scolari e un sacco di interrogativi popolavano la mia mente: succede anche a loro? Sono io che sto sbagliando e in realtà è una cosa normale? L’amore si dimostra così?

Ma più passava il tempo e più capivo che l’amore è ben altro. E la paura aumentava, cresceva a dismisura. Mi sentivo sporca.

Sporca, sola e inutile. Dentro e fuori.

Stomacata... Nauseata... Frustrata... Avvilita...

Volevo sparire. Volevo urlare.

E volevo anche trovare un luogo sicuro in cui nascondermi, braccia che mi avrebbero stretto senza farmi male, braccia che mi avrebbero stretto per amarmi, per consolarmi, per aiutarmi.

Sapevo che esisteva, quel luogo.

Sapevo che esistevano quelle braccia. Ma non sapevo dove cercare.

Non sapete quante volte avrei voluto parlare con qualcuno, confidarmi, ma più provavo a farlo e più le parole non uscivano, nella mente si apriva un vuoto incredibile.

E più non parlavo, più sprofondavo... e più sprofondavo, più piangevo. Ma sempre da sola, di nascosto.
Poi è finito tutto.
É finito in un attimo, così com’era cominciato. Non so se siano state le mie preghiere, le suppliche che rivolgevo a Dio o un fatto naturale (in fondo, Dio non mi aveva aiutata fino a quel momento, perché iniziare? E così tardi per giunta! Se ne andasse).

Un giorno mio padre iniziò a sentirsi male, ad avere dolori fortissimi e un sacco di altri sintomi che non ricordo. Lo portarono in ospedale d’urgenza e per settimane restò in osservazione. Non gli davano molte speranze e le uniche persone che potevano vederlo eravamo io e mia madre.
Ed ero sola con lui quando accadde.
I macchinari cominciarono a suonare. Stavo per chiamare l’infermeria ma alla fine mi alzai e spensi l’allarme. Non venne nessuno. Nessuno lo aiutò. Forse sapevano cos’era successo ma non dissero niente.

Avevo diciassette anni.
Ho ucciso?
Sta di fatto che non ho mai provato un sollievo così grande come quando mi dissero che mio padre non c’era più.
Lo so. Alcuni sentenzierebbero che io non devo odiare.

È giusto che provi rabbia, risentimento. È giusto il disgusto e anche la vergogna.

Altri consiglierebbero di dimenticare, di far finta che nulla sia successo, di non pensare a mio padre. C’è chi mi ha persino detto di perdonare e di guardare avanti.

Può essere che abbiano ragione quando spiegano che l’odio ti rovina, ti corrompe l’animo fino a distruggerti la vita, ti schiaccia sotto il suo peso fino a impedirti di ragionare con lucidità, ti porta a fare del male a persone che non c’entrano.

Ma io non posso fare a meno di odiare.

Mi è capitato di andare sulla tomba del mostro, ma non sono uscite lacrime, quelle le ho finite molto tempo fa. L’unica cosa che è traboccata è l’odio.

Ci sono momenti in cui non penso affatto ed è allora che sopraggiunge quel sentimento indefinibile. Però ci sono pure giorni in cui l’odio è più forte di qualsiasi altro sentimento umano.
Ti odio, mi senti?
I O  T I  O D I O

   
 
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