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Autore: Lea_z_98    25/03/2014    3 recensioni
[Tratto dal testo]
“E’ scientificamente provato che un semplice abbraccio è in grado di rilassare e donare sicurezza a chi si trova in uno stato di momentaneo stress psicofisico.”
Fennel l’aveva sentito dire in un telefilm e, pensandoci, considerava veritiera quella frase: quando ci si sente soli, tristi e pieni di uno straziante senso di vuoto, un abbraccio riesce sempre a risollevare l’umore e a far tornare un timido ottimismo sulle labbra.
Era anche vero, tuttavia, che un abbraccio dato da un determinato e speciale tipo di persona è ben diverso da un comune abbraccio.
Il più era riuscire a trovare quella persona.
***
Un’idea un po’ usurata, forse, ma spero comunque possa piacere.
Fennel, una diciassettenne con il gene impiantato della Sfiga, si trasferisce, in via di forze di causa maggiore, in Transilvania. Poi, dopo aver passato i confacenti test, entra suo malgrado in una stravagante e anomala Accademia.
Tanta ironia, bizzarre entrate in scena, confusione a non finire, e risa e lacrime.
-
“Perché devi gettare una volta per tutte quella fottuta maschera.”
-
[AU][Coppie varie ‒ Het, Yaoi, eccetera eccetera][Avvertimento: Triangoli][Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Kidd; Trafalgar Law; Mugiwara; Un po’ tutti]
Genere: Azione, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eustass Kidd, Mugiwara, Nuovo personaggio, Trafalgar Law, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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“E’ scientificamente provato che un semplice abbraccio è in grado di rilassare e donare sicurezza a chi si trova in uno stato di momentaneo stress psicofisico.”

Fennel l’aveva sentito dire in un telefilm e, pensandoci, considerava veritiera quella frase: quando ci si sente soli, tristi e pieni di uno straziante senso di vuoto, un abbraccio riesce sempre a risollevare l’umore e a far tornare un timido ottimismo sulle labbra.

Era anche vero, tuttavia, che un abbraccio dato da un determinato e speciale tipo di persona è ben diverso da un comune abbraccio.

Il più era riuscire a trovare quella persona.

 

°°°

 

 

 

 

Lea_z_98 presenta

 

 

Masquerade

 

 

 

Capitolo uno: Transilvania

 

 

 

°°°

 

 

 

Seduta alla scrivania del padre, Fennel era immersa in profonde meditazioni su domande e concetti di portata universale.

Rifletteva sulla Vita, sulla Morte, sul Tempo, sull’Amore e sul vero senso del Bene e del Male.

Sfortunatamente, nessuna di queste considerazioni l’avrebbe aiutata a finire i compiti di matematica.

E allora, si può sapere qual è la radice di due x alla seconda?- sbraitò infine la ragazzina, armeggiando furiosamente con la calcolatrice.

Fece sprofondare la testa fra le pagine di carta lucida del manuale.

Non sapeva come avrebbe fatto a comunicare al padre della disastrosa interrogazione di scienze ( che era avvenuta, per sua sfortuna, gli ultimi cinque minuti dell’ultima ora del martedì, proprio il giorno del suo diciassettesimo compleanno ).

Non sapeva nemmeno come avrebbe fatto a sopravvivere all’ormai vicino compito di aritmetica: l’ultima volta che era riuscita ad ottenere un voto discreto in tale disciplina faceva la prima elementare e non sapeva ancora fare le addizioni.

Ora, invece, andava alle superiori.

E non sapeva ancora fare le addizioni.

Si rialzò, sfinita, ed immediatamente si lasciò cadere sul caldo divano.

Avrebbe tanto desiderato sprofondare nel torpore del sonno e non pensare.

Spesso poteva anche sembrare una ragazzina ridicola, ma in realtà aveva l’abitudine di riflettere su cose un po’ meno ridicole.

Cercando di distrarsi ( cosa che, tutto sommato, le riusciva bene durante lo studio ) iniziò a meditare una possibile soluzione a un probabile rimprovero per lo scarso voto in scienze.

Iniziò a riflettere sulla situazione.

“Beh, non c’è molto da fare.”, si disse, picchiettandosi un paio di dita sul mento “Posso solo sperare che papino caro non mi chieda com’è andata a scuola … Cosa che, del resto, non fa quasi mai.”

Si risollevò e iniziò a girare in tondo.

Pensò prima ad una giustificazione, poi credette che fosse meglio una seconda; pensò di intortare il tutto con qualche peripezia inconfutabile e…

Non le venne in mente nulla.

Scosse la testa.

“Non sono molto brava a mentire.”

Fu lì che lo sguardo le cadde per puro caso sullo specchio dell’ingresso.

Osservò taciturna il proprio riflesso: una ragazza mediamente alta, con grandi occhi neri e scarmigliati capelli bianchi, simili ad opali.

Non aveva molto di particolare, se non quell’insopportabile tonalità di chioma. Stress, diceva il dottore.

Alzò gli occhi al cielo e ignorò la sua tediosa immagine, ritornando a congetturare una possibile scusante.

Sentì giusto in quel momento un ciangolare di chiavi e uno scricchiolio di legno.

La porta che si apriva.

- Fen! Sono tornato, sei in casa?-

Suo padre.

“Bene. Incrociamo le dita…”

- Sì, sono in camera, arrivo subito!- rispose, affrettandosi a dirigersi nell’ingresso.

Camminò pesantemente, già immaginandosi quali splendide punizioni le avrebbe inflitto il “capitano”.

Era il soprannome che spesso gli veniva affibbiato dagli amici di famiglia. Una volta si era azzardata a chiederne il motivo, ma, essendo quelli ubriachi, riuscirono solo a riderle in faccia.

Arrivò in soggiorno, ritrovandolo con un enorme sorriso stampato in faccia.

Era un uomo solare, papà, ma troppo invadente e dedito alla gozzoviglia.

Schietto e schifosamente sarcastico, aggiungerei.

Si divertiva spesso a prenderla per i fondelli, soprattutto quando le cose andavano particolarmente male.

Ma anche lui, come tutti, aveva i suoi pregi.

Shanks il Rosso, padre adottivo di Fennel, era per prima cosa un bell’uomo: alto, né troppo magro né troppo grosso, con due atterrenti iride neri e i capelli rosso carminio; il viso marcato e allegro era, purtroppo, sfregiato da tre cicatrici, una dietro l’altra, all’altezza dell’orbita sinistra dell’occhio.

Non seppe mai il perché di quei segni.

- Fen, carissima!- esclamò, allargando le braccia in maniera molto teatrale - Buon compleanno!-

La giovane balbettò un paio di ringraziamenti.

- Ti ho comprato una cosuccia.- ammiccò il Rosso, per poi estrarre dalla tasca un pacchetto di dimensioni medie e bellamente incartato.

Fennel lo afferrò un po’ stupita e lo scartò.

La sua meraviglia fu imparagonabile all’espressione altamente compiaciuta del padre.

Era un’edizione ricamata in oro di vari racconti. C’erano Poe, Tolstoi, Dovstojeski, qualcosa persino di Stendhal.

Lo fissò a dir poco incredula, con la mascella esageratamente abbassata al suolo.

Tra parentesi: Fen amava leggere. Shanks riteneva che per lei stesse diventando una perdita di tempo.

Silenzio.

- … Okay, dov’è la fregatura?- domandò, non appena si fu ripresa dallo shock.

Il sorriso sul volto del Rosso si spense improvvisamente.

- Beh… vedi, Fen… Purtroppo…-

Tirò un profondo sospiro, poi si accasciò su una poltrona con indicibile stanchezza.

- Dobbiamo trasferirci. Domani.-

Ancora silenzio.

- T… Trasferirci!?- sussurrò l’albina, incredula.

L’uomo annuì tristemente.

L’altra mugugnò, troppo basita per poter formulare una frase di senso compiuto.

- Mi spiace, Fen… lo so che a scuola ti sei fatta degli amici. Non te l’avevo detto perché non volevo che stessi male…-

- Ma quali amici!?- sbottò la figlia, rivolgendogli uno sguardo infuriato - Piuttosto, adesso me lo dici!? Mi spieghi come faccio a prepararmi!?!?-

- Beh, ti consiglio di prendere solo il minimo indispensabile. Pochi effetti personali.-

Un sogghigno gli affiorò sulle labbra - Ti piacerà la nuova casa.-

In tutta risposta, Fennel sbuffò e si diresse a passo di marcia verso la camera.

“Proprio un bel compleanno, non c’è che dire!”

 

***

 

Avevano appena ultimato un bel viaggetto di circa quindici ore, seduti su un pullman di sbandati.

Avevano superato mari, monti, bufere, pianure e vecchiette che non sapevano rispettare i semafori.

“Un vero schifo.”

E credetemi, Fennel non lo diceva solo per la schiena indolenzita, per le chiappe in fiamme, per il ciccione che puzzava d’aglio sedutole affianco, per il casino di una scolaresca, per le steccate durante le canzoni di molti personaggi, per l’autista isterico e per il navigatore mezzo rotto. Oh, no.

Dovete anche aggiungerci la bella mandria di capre che li aveva bloccati per due ore su una maledetta tangenziale, i poliziotti che li fermavano ogni sette minuti, Shanks che russava peggio di un rinoceronte a due teste, due cafoni dietro di lei che si divertivano a spruzzare coca-cola e altre bevande dal sapore stomachevole, un bel temporale scoppiato a metà tragitto e il delizioso profumino dello sterco suino.

Per non dimenticarsi del fatto che Fennel soffriva di mal d’auto, di mal di mare, di mal d’aereo e di qualsiasi male su ogni qualsivoglia di mezzo di trasporto che non fosse una bicicletta.

In ogni caso, non si aspettava proprio questo quando il padre le aveva promesso un viaggio tranquillo.

Una volta scesa da quel pullman degli orrori, trascinò di peso l’enorme valigia – aveva capito perché sir Rosso le aveva consigliato di portare poca roba – e si accasciò sul ciglio della strada dove eravano stati bellamente mollati.

- Tranquilla, Fen, il taxi arriverà presto.- la rassicurò Shanks.

Aspettarono un quarto d’ora.

 

Mezz’ora.

 

Quarantacinque minuti.

 

Quando fu passata un’ora, Fennel si decise a guardarlo di traverso.

Lui si grattò nervosamente la nuca:

- Non capisco… mi avevano garantito che…-

- Sarebbero arrivati puntuali, eccetera eccetera.-, concluse per lui, - Solo una domanda: dov’è che siamo finiti?-

- Ah, non te l’ho detto? In Transilvania. La nostra nuova città si chiama Anubias. Carino, non è vero?-

“Anubias. Mh. Mi ricorda qualcosa. Tipo il dio egizio dei defunti.

Uellà, una meraviglia. Per nulla macabro e inquietante, no no.”

- … Basta, adesso chiamo l’agenzia.- sbottò Rosso-senior, estraendo dalla tasca il suo telefono dell’età della pietra.

L’albina lo osservò comporre il numero, schiacciare il pulsante verde e aspettare una risposta.

Tuuu, tuuu, tuuu.

Tick.

Al momento il cliente chiamato non è raggiungibile. La preghiamo di richiamare più tardi.

“E ti pareva.”

Shanks sospirò pesantemente, poggiandole una mano sulla nuca.

- Scusa… non sono il massimo per preparare un viaggio.-

- Me ne sono accorta.-

- Sei arrabbiata?-

- No. Sono furiosa.-

- Consolati… le capre potevano pur sempre caricarci, no?-

“…‘Fanculo.”

- Shanks…- lo chiamava sempre per nome quando era di malumore - Almeno ci sono dei mobili nel nostro bilocale? O dobbiamo andare a fare shopping?-

Le rivolse uno sguardo sconcertato.

- Bilocale? Guarda che io ho comprato una villa!-

“Aspett… cosa!?”

- Dici sul serio!?- chiese lei.

- No.-

“… Comincia davvero a stufarmi.”

- Scherzo, scema. Certo che sì! Credevi che ti avrei fatto abitare in un tugurio?-

“… Chi? Io? Ma figurati! Ho sempre creduto in te. Anche quando credevamo di essere finiti in Alaska!”

- E la mia scuola?- disse, cercando di cambiare argomento.

- Oh, è un posticino tranquillo. È bella grande e mi hanno detto che gli insegnanti sono davvero bravi. Un mio collega ha detto che sarai in classe con suo figlio, pensa un po’!-

“Oh, no. In classe con il figlio di un collega di papà…

No, non questo, ti prego.”

- Ah… che bello…- mormorò invece, cercando di sorridere.

- … Tu guarda! È arrivato il taxi!-

“Finalmente!”, pensò la ragazza, alzando gli occhi al cielo.

 

Non riusciva a credere ai suoi occhi.

Suo padre mentiva spesso e solo raramente ( e, quando dico “raramente”, vuol dire che, prima di sentirlo parlare in maniera davvero seria, avreste dovuto aspettare che una tartaruga raggiungesse Marte a piedi ) manteneva la parola data.

Perciò Fennel non si capacitava di essere davvero davanti ad una villa marmorea, dall’aria antica ma raffinata, circondata da chilometri di verde e ricolma di statue e fontane.

Sembrava una residenza greca.

“Meravigliosa.”

La maestosità della vegetazione e lo scorrere dell’acqua regalavano una sensazione di libertà indescrivibile.

Il prato sembrava un puro simbolo d’estate, sebbene fossero in tutt’altra stagione.

Il vento era freddo, pungente, elettrizzante.

- Ti piace?- domandò ridacchiando il padre, scorgendo la sua espressione estasiata.

- Mi prendi in giro!? È… è bellissima!- rispose semplicemente la giovane.

- Bene, sono proprio contento. Ma non perderti troppo in gloria, domani devi andare a scuola. E questo pomeriggio devi svolgere i test d’ammissione.-

- … Dannazione.-

 

 

 

°°°

 

 

 

- Ehi. Ehi, dico a te.-

Si limitò a sospirare infastidito, continuando a camminare senza voltarsi. Non aveva intenzione di perdere tempo con quei ragazzini del primo anno che si credevano forti solo perché facenti parti di un gruppo di yankee.

Credevano forse di acquisire prestigio agli occhi dei loro superiori facendo a botte con il primo malcapitato più grande di loro, attaccandolo per di più in gruppo?

Stupidi ed ingenui, come la loro età richiedeva.

- Ehi! Fermati! Dobbiamo chiudere i conti dell’altra volta!-

Riconoscendo la nuova voce che aveva parlato, decise di fermarsi; probabilmente, si disse quando si vide circondato da una mandria ragazzini, la settimana precedente non era stato abbastanza convincente nell’imporre le proprie idee a quel gruppo di quindicenni che si ostinava a pedinarlo ovunque andasse.

Era stato persino delicato con loro, quasi intenerito dalla loro giovane stupidità, che li rendeva incapaci di annusare il pericolo laddove questo si annidava. Evidentemente, avrebbe dovuto marchiare a fuoco le sue intenzioni sulle pelli di ciascuno di loro, al fine che il loro stesso capo capisse quanto fosse deleterio intralciare il cammino di Eustass Kidd.

- Non ne avete già avuto abbastanza? Andatevene a casa, mocciosi.-, sibilò feroce, facendo guizzare repentinamente gli occhi sui volti dei suoi probabili avversari. Vide, alla luce soffusa dei lampioni che illuminavano la strada buia, il luccichio metallico delle lame di due coltelli.

Quasi rise.

- A quanto pare vi siete attrezzati… Che codardi. Avete così paura?-, li beffò apertamente, ghignando in direzione del gruppo che si stringeva sempre più attorno a lui.

Il più alto arrivava pressappoco alla sua spalla: l’avrebbe fatto volar via con un calcio ben assestato, senza indugio alcuno.

Quella sera non si sarebbe risparmiato…

In fondo, se l’erano cercata.

E quando i piccoli yankee gridarono “Addosso!”…

 

 

Furono solo l’adrenalina e la sua risata cattiva a far da sfondo alla notte.

 

 

***

 

 

- Kidd! Buongior… Ma che diavolo hai fatto?!-

Killer strabuzzò gli occhi ( anche se in verità non potrei affermarvelo con certezza ) nel vedere, la mattina seguente, il vistoso cerotto che copriva lo zigomo destro del rosso e la fasciatura della mano sinistra che svaniva sotto la giacca in pelle.

- Niente, degli inutili marmocchi che giocano a fare i grandi.-, replicò Eustass con tono di voce incolore, continuando a camminare.

Killer si affrettò ad affiancarlo con la sua gigantesca figura, causando lo spavento generale di alcuni scolari intenti a prendere l’autobus.

- Non dirmi che quei bimbetti sono venuti ancora a cercarti!-, esclamò stupito, continuando a fissare con apprensione ( forse ) il profilo del compagno, come a volersi sincerare delle sue condizioni fisiche.

- Già. Ma credo che dopo ieri sera non romperanno più…-, replicò l’altro, sorridendo compiaciuto.

A giudicare da come li aveva lasciati malconci e sanguinanti su quel marciapiede desolato, a chiedere pietà per la loro ingenuità, non avrebbe probabilmente più dovuto curarsi di loro.

- Però questa volta sembra che abbiano fatto un discreto lavoro… Erano in tanti?-

- Ventiquattro. Avevano dei coltelli con loro e qualche colpo è andato a segno. Ma sono solo graffi. Smettila di guardarmi in quel modo.», scoccò un’occhiata seccata al compagno ( non chiedetemi come facesse a sapere in che maniera lo stesse scrutando ), il quale si limitò ad annuire e a far convergere rapidamente la conversazione su altri argomenti.

- Oggi dovrebbe arrivare quella nuova studentessa che tanto è stata enunciata da Mihawk. Pare che abbia superato tutti i test d’ingresso con il massimo dei voti. Chissà che tipo è…-

- Probabilmente una noiosa secchiona.-, risolse Kidd, oltrepassando la volta dell’antico edificio.

Killer annuì.

- Fogoniamo anche oggi? Forse dopo tre mesi di assenza inizieranno ad insospettirsi.-

- Nah. Che vuoi che sia!- buttò lì il rosso - E poi abbiamo le prove ricordi? Dunque piantala di fare la mammina apprensiva e prendi gli strumenti.-

- Agli ordini, capitano.-

 

 

°°°

 

 

 

Fennel’s Point of View

 

 

 

Il primo giorno di scuola.

… Diciamo che non era iniziato proprio nel migliore dei modi.

Davanti all’enorme – ma che dico, mastodontico! – cancello della scuola, rividi le in sequenza le immagini della mia scioccante alzata: la sveglia che veniva scagliata contro il muro, vista la sua mancanza di rispetto nei confronti dei dormienti ( e sappiate che quella era la sessantatreesima sveglia che distruggevo ), la realizzazione di essere in un ritardo catastrofico, mio padre che – da grande cuoco che si rispetti – aveva spiaccicato tutte le frittelle al soffitto.

Infine, le capriole accidentalmente compiute nell’andare a scuola.

Il mio stomaco brontolò e ringraziai il cielo di essermi ricordata la merenda.

“Sì, andrà tutto bene. Conoscerò degli insegnanti normali, dei compagni di classe ancora più normali… farò persino uno spuntino.

Andrà tuuutto bene. Non succederà nulla di anomalo e strambo. Tu sei una ragazza sì e no normale e tutto quello che hai intorno è perfettamente, puramente, drasticamente normale.”

Fu proprio in quel momento che un sandwich ripieno di burro d’arachidi sorvolò la mia testa.

Mi impietrii, basita.

Quando si dice sventura…

- Ehi! Dico a te! Non è che mi potresti raccogliere il panino?-

A chiamarmi era stato un ragazzo con un bizzarro cappello di paglia in testa: era alto, incredibilmente magro, con due grandi ed espressivi occhi e i capelli corvini.

Notai una cicatrice lineare ricucita sotto l’orbita sinistra.

Non risposi, tale era lo stupore che mi suscitava la sua domanda.

Guardai sconcertata prima lui, poi il sandwich a terra già assalito dalle formiche, poi ancora lui, poi di nuovo il sandwich.

- … Ma nemmeno per sogno!- ribattei, schifata, scuotendo la testa ed allontanandomi.

Il ragazzo mi scrutò senza capire, alzò le spalle, raccolse il panino e se lo mangiò.

Camminai quasi furiosamente verso la scalinata d’ingresso, tentando di ignorare quell’individuo anomalo quanto preoccupante.

“Fantastico. Il primo pazzo.

Ma insomma, si può sapere che ho fatto di male!? EH!?”

- PISTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!-

Non feci nemmeno in tempo a girarmi che qualcosa mi finì addosso.

Caddi a terra e venni schiacciata da un peso enorme, così greve che mi si mozzò il fiato.

Non gridai e non protestai in alcun modo, pensando che ogni minimo movimento avrebbe potuto rompermi le costole.

- Oh mmmmmamma! Ti chiedo SUPER Scusa! Ti sono finito addosso senza nemmeno pensare…-

“Oh, figurati… tanto sei così leggero che a momenti non mi spacchi le ossa.”

- Scusa! Mi spiace SUPER tantissimo! Ti prego perdonami!-

- Sì, ti perdono… BASTA CHE TI LEVI!- sbraitai, per quanto mi riuscisse doloroso.

- Oh, Cielo! Che sbadato…- e si alzò.

Ringraziai vivamente la mia spina dorsale per aver retto il colpo e mi sedetti, respirando affannosamente.

Osservai colui che era stato causa di tale caduta e sgranai le orbite.

Dal suo abbigliamento riuscii a dedurre che fosse un bidello; un bizzarro gigante dai capelli blu sbarazzini e dalle braccia abnormi, sovra le quali erano tatuate delle stelle.

La cosa che più mi colpì fu il naso fatto di metallo.

Boccheggiai, esterrefatta.

Il ragazzo del sandwich al burro d’arachidi giunse presso di noi.

- Ciao, Franky!- salutò, gaio - Che fai?-

- Ciao, Rufy! Vedi, sono finito addosso a questa simpatica ragazza, che si chiama… come hai detto che ti chiami?-

Scossi la testa, riprendendomi dallo shock, e aggrottai le sopracciglia - Non l’ho detto.-

- Ah, già… quindi saresti…?-

- Fennel. Ma chiamatemi Fen.-

- Ecco, Fen.-

- … Ah, giusto! Lei è quella di prima… ciao, Fin! Molto piacere!-

- Ho detto di chiamarmi Fen.- soffiai, leggermente seccata.

- Basta, Rufy, piantala di fare lo stupido.-

Questa voce, seppur pervasa da una punta di rimprovero, mi parve molto femminile.

Girandomi scoprii, difatti, che veniva da una bellissima ragazza.

Alta, magra, slanciata, provocante, elegante, dai profondi e furbi occhi scuri e i capelli insolitamente arancioni.

Dopo aver rivolto una bieca occhiata al corvino e al gigante, mi sorrise.

- Ciao, io sono Nami.- mi salutò, tendendomi una mano - E tu?-

Anche se un po’ riluttante, gliela strinsi:

- Fen. Piacere.-

Nami annuì, come compiaciuta.

- Sei quella nuova, giusto?-, fece, aiutandomi ad alzarmi, - Ci hanno parlato di te.-

La scrutai vagamente perplessa:

- Ah, sì?-

- E anche molto, aggiungerei. Non preoccuparti se l’accoglienza non è delle migliori,- e qui gettò una sinistra occhiata a Rufy e Franky, se ben ricordavo i nomi - credo che ti troverai bene.-

- Anche io ne sono convinta.-

A parlare questa volta era stata una giovane donna col sorriso a fior di labbra. Aveva i capelli scuri e un naso pronunciato.

Il fascino che emanava era ermetico, enigmatico.

Ma ancor di più lo erano quei suoi occhi.

Azzurri come il mare e il cielo assieme, luminosi e oscuri al tempo stesso.

- Ciao, Robin!- esclamò Rufy con un moto di allegria.

- Fen, lei è Nico Robin, la nostra insegnante di Storia e Filosofia.- me la presentò - È entrata di ruolo l’anno scorso e ha anche trovato lavoro come archeologa presso uno scavo. Robin, lei è Fennel, la nuova arrivata.-

- Lo immaginavo.- sorrise la mora, tendendomi una mano - Molto piacere.-

Rimasi quasi ammaliata dal suo contegno pacato. Ricambiai, scrutandola meglio.

“Certo che è molto giovane.”

- Yo-ho-ho! Cos’abbiamo qui?-

“Ancora. Ma sono circondata!?”

Non sapevo ancora che quello, dopo tutte le stranezze della giornata, sarebbe stato per me il colpo di grazia.

Ad interpellarmi, invero, era stato uno scheletro.

Poco importava che vestisse in maniera elegante e avesse una folta chioma; il terrore che mi pervase in un tutt’uno fu così devastante e dilaniante che il cuore per poco non mi esplose nel petto.

Caddi all’indietro.

E poi il nulla…

 

***

 

Quando mi risvegliai, l’accecante raggio di una lampada al neon mi abbagliò la vista.

Una volta ripresami e messo a fuoco, mi accorsi di essere in una stanza con le pareti in cartongesso, ammobiliata solo di alcuni armadietti e lettini.

L’intenso odore di medicinali che imperava mi fece intuire di essere finita in infermeria.

- Ben svegliata.-

Era una voce calda, pacata, pervasa tuttavia da un pizzico di malizia.

Mi misi a sedere e saggiai con attenzione quasi spasmodica il mio interlocutore.

Rimaneva lì, affianco allo sgabello, reggendo con sicurezza una cartella e con acquerellato a fior di labbra un serafico sorriso.

Magro, affascinante, piacevole e accattivante; un moro dagli occhi come coltri di nebbia, i lineamenti sopraffini e un poco di pizzetto sul mento.

Il singolare e strampalato berretto leopardato era in terso contrasto col camice bianco di medico.

Quando il suo sguardo brumoso incontrò il mio, iniziammo ad esaminarci a vicenda, l’una con riluttanza e l’altro con indiscrezione.

Ghignò:

- Fennel, è giusto?-, fece, avvicinandosi d’un passo, - Nuova arrivata all’accademia, ammessa col massimo dei punteggi per il terzo anno, figlia adottiva del celebre Rosso e affetta da una peculiare chinetosi. Sbaglio?-

Divenni sempre più circospetta:

- Corretto.-

Posò la cartella sul tavolo e sbottonò per il caldo i primi due bottoni del camice.

- Devo dire che hai preso un bello spavento.-, continuò, armeggiando con un paio di strambi infusi, - Non sapevo cosa scegliere. Sembri portata per mettere in difficoltà!-

E qui diede una flebile risata.

Quella considerazione fece ridere un po’ meno la sottoscritta, tanto che aggrottai le sopracciglia.

- E potrei essere erudita, di grazia, sul nome del mio interlocutore?- ribattei, lasciando trapelare una nota guardinga nella mia voce.

Il medico si fermò e si volse a guardarmi; poi, con un sorriso che mi sapeva tanto di irrisione, rispose:

- Oh, giusto… che maleducato.-

Iniziò a scribacchiare sulla cartella.

- Il mio nome è Law. Trafalgar Law.-

Non ancora convinta, ripresi:

- Il signor Law lavora qui, a quanto deduco.-

- Precisamente. Sono il medico generale, nonché capo della truppa di dottori. Mi sono laureato un paio di anni fa e sono entrato immediatamente di ruolo.-

- Mi sembra molto giovane.-

- Non a caso ho ventiquattro anni.-

Sorpresa, lo esaminai ancora.

- … Avrà delle incredibili capacità intellettive, allora. Non mi spiego in altro modo come lei sia riuscito a terminare così in fretta la facoltà di Medicina.-

Quello terminò di scrivere e mi rivolse un ghigno pressoché sinistro.

- Può darsi. E lei, invece, signorina Fennel?-

Sostenni il suo sguardo alla provocazione, poi sorrisi con ironia:

- Non posso esprimermi in merito a tale questione.-

Il silenzio che digradò un istante dopo fu per me di una tensione attanagliante.

In testa mi frullavano ancora le più disparate domande ed avevo interpretato quel gelo come una sorta di minaccia da parte del dottore.

Quasi mi si paralizzarono gli altri, almeno sinché non ghignò.

- Noto che alla paziente piace scherzare.-, fece, ricominciando a trafficare con le medicine, - Se continua così le si risolleverà lo spirito e  le passerà più in fretta il mal di testa. Il mio consiglio è, dunque, quello di non smettere.-

Perplessa da quella replica, lo fissai con un’espressione vagamente rimbambita.

Mi riscossi un istante dopo e mi decisi a porre una domanda che da tanto mi premeva:

- … Ma… emh… quello che ho visto prima…-

- Era un vero scheletro, sì.-, concluse lui al mio posto, chiudendo col tappo una boccetta dall’aria ambigua, - Vorrei dire vivo e vegeto, ma non so quanto possa risultare contraddittoria questa frase.-

Il mio sbigottimento crebbe quando, invece che burlarmi e dire che stava solamente scherzando, intraprese una breve delucidazione.

- Vede, signorina Fennel,- iniziò, deponendo i farmaci - lei è entrata in una scuola un po’ particolare. Da quel che posso vedere, sembra che suo padre non le abbia spiegato nulla… ergo, ritengo di doverle dire qualcosa io.-

E qui si accomodò il colletto del camice.

- In primis,- riprese - deve sapere che questa è l’unica città della Transilvania dove si riuniscono i cosiddetti “mostri”. E no, non sono ironico. L’Accademia A. J. Teras, dal nome del suo fondatore, è una scuola di grande prestigio, ove tuttavia vengono ammessi unicamente i mostri, i diversi. Questi “diversi”, come vengono chiamati dalla gente comune, sono o persone che hanno mangiato i Frutti del Diavolo, o persone che posseggono una Dote, ovvero un’abilità al di fuori del normale che li rende diversi.-

Sorrise:

- Ma immagino che nulla di tutto ciò ti paia verosimile.-

Ponderai bene la situazione.

- … Frutti del Diavolo… o Doti…?-

- I Frutti del Diavolo sono particolari tipi di frutti che, al primo morso, conferiscono capacità soprannaturali. Le Doti sono tali e possono essere di vario genere. L’apprendista capo-cuoco che da qualche mese sostituisce lo chef, per esempio, ha la capacità di distruggere qualsiasi cosa semplicemente usando le proprie gambe.-

Meditai a lungo; certo, ogni cosa quadrava. Forse poteva sembrare una spiegazione piuttosto fantascientifica, ma, dopo aver visto uno scheletro parlante, questo era il meno.

Unicamente un tassello non andava al suo posto.

- Va bene. Ma, fatte queste premesse…-

Mi rabbuiai.

- Che diavolo ci faccio io qui, allora?-

Il medico sorrise placidamente.

- Sarà una delle solite trovate del Rosso.-

“… Al solito.

Che cretino di merda.”

Al veder la mia espressione scocciata, il moro sogghignò; poi, raccolta la cartella, si diresse verso l’uscita.

- Fra una mezz’ora starai meglio e potrai ritornare in classe.-, mi disse, aprendo la porta.

Ed infine, voltandosi con un sorriso dalla parvenza alquanto levogira:

- Ah, Fennel… la prossima volta dammi pure del tu. So che vuoi farmi sembrare vecchio, ma non credo sia necessario.-

Cancellai nell’immediato l’irritazione sul mio viso, per poi osservarlo e far largo a un sincero sorriso.

- Me lo ricorderò.-, lo rassicurai, prima che richiudesse l’uscio.

Mi distesi sul letto e controllai l’ora.

Mugugnai con disperazione.

“Dea Bendata, ti scongiuro: smettila di trucidarmi con le tue maledizioni!”

 

 

 

 

 

 ̴ To be continued ̴

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolino dell’autrice

 

 

Ohayo! :D

*Il gelo*

… emh… vi ho spaventati con questa storia? °-°

*Ancora silenzio*

… In ogni caso…

Probabilmente (anzi, quasi sicuramente) molti di voi non mi conosceranno.

Dunque piacere, io sono Lea! *inchino*

Per chi mi conosce (sfortuna sua ç_ç), invece, porgo le mie scuse.

So bene di avere tantissima roba da portare avanti, ma questa long mi frullava in testa già da un po’ e ho dovuto scriverla.

Ora spiego.

Prima di eclissarmi e liberare le vostre povere anime dalla mia presenza malefica, ci terrei a specificare un paio di cose.

Primo: questa storia è un’AU. So che molti di voi non le gradiscono (io in primis non ne vado pazza, quindi…), ma cercherò in ogni modo di rendere i personaggi IC. Ergo, se vedete qualcosa che non vi convince, nei personaggi o nella trama, avvisatemi pure :D

Secondo: Fennel è un personaggio di mia invenzione.

Perché ho inserito un OC? Per il semplice fatto che ho dovuto mantenere una scommessa, ovvero quella di scrivere di un nuovo personaggio – ecco, ora che ho rispettato il patto siete contenti, sbarbatelli?

Spero di non combinare un disastro nella caratterizzazione e… beh, se succedono dei casini sappiate che è colpa della situazione nefasta e enigmatica in cui mi ritrovo ^___^

Ci terrei a portare avanti questa storia; tuttavia, nel qual caso vedessi che non vi è gradita – o, peggio ancora, non vada più a genio alla sottoscritta –, non la proseguirò.

È la vita ç__ç

Ma tentare non costa nulla, no? *^*

Ora, per vostra gioia, svanisco :3

Un grazie SUPER enorme a quegli angeli caduti dal cielo che siano arrivati sino in fondo alla pagina! Grazie T^T

 

See-ya!

 

- Lea

 

 

 

 

  
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