Secondo capitolo
– Non è possibile
20 Settembre 2001
“Tieni.”
Bella diede una tazza di tè ad Esme. “Stai attenta.
E’ bollente.” Sussurrò, facendole una lieve carezza sulla
testa.
Esme alzò gli occhi, stanchi e
cerchiati dalle occhiaie. “Grazie, tesoro.”
Bella si
allontanò, mettendo le mani dentro le tasche di quel cardigan nero che
odiava. Le prudeva sotto la pelle nuda, ed aveva la
fronte imperlata di sudore, perché aveva preparato tè bollente
per tutti.
Si guardò intorno,
soffermandosi sulle foto che ritraevano Jasper ed
Alice insieme. Felici. E poi…
quello che era accaduto poco più di una settimana prima.
“Non possiamo avvicinarci troppo.”
“Io voglio andare lì, Edward!”
Erano nella limousine di Edward Cullen,
bloccati nel traffico di New York. Ma sapevano
entrambi che quello non era un traffico normale.
Lui si tirò i capelli con entrambe le mani,
esasperato. “Devi capire che non puoi fare niente,
Isabella. Nemmeno se riusciamo ad arrivare al World Trade
Center.” La voce di Edward era ferma, sicura,
senza esitazione.
Stettero in silenzio per minuti interi, finché la
limousine frenò di botto, facendoli quasi cadere per terra.
Edward premette un pulsante in alto.
“Eric! Eric, che succede!” Parlava con l’autista.
“I-io I-io!”
“Eric!”
“Signore, tiri giù il finestrino.”
Sia Bella che Edward tirarono
giù i rispetti finestrini, mettendo la testa fuori. Fra il fumo che
arrivava nella loro direzione, si resero conto che
erano quasi vicini al World Trade Center.
Accorgendosi che WTC1 stava crollando alla velocità
della luce, e poi, scomparve del tutto.
Come se non fosse mai esistito.
Bella si strofinò
gli occhi, appoggiata alla parete bianca di casa Hale.
“Hai preparato
bevande calde per tutti, senza preoccuparti per te.” Si ritrovò
Jacob davanti, con una tazza fumante.
“Non ce la faccio, Jake.”
Inghiottì il nodo che le si era formato in
gola, scacciando con una mano la tazza che Jake
teneva in mano.
“Bells, non mangi da giorni.”
Non voleva toccare
quell’argomento. Perché era vero. Non mangiava da giorni.
Qualsiasi cosa ingurgitava, era per tenersi in piedi. Erano giorni che non
faceva un pasto sano.
Lei alzò le
sopracciglia, facendogli capire che non voleva.
Non voleva parlare di
quello che mangiava o no, quando era
successo quello che era successo.
“Hey, guarda.” Bella alzò gli occhi, fissando
quelli di Jake.
“Che
c’è?”
“Solo
Alice poteva riuscire a farmi vestire in questo modo.” Fece un
mezzo sorriso, indicando l’abito elegante che indossava, con tanto di
giacca e cravatta.
Edward aveva lasciato la sua giacca in macchina, aveva tirato
le maniche della camicia fino ai gomiti ed allentato
la cravatta.
“Sono il dirigente della Cullen
Media Group, posso sapere qualcosa?”
“Signore.” Un poliziotto gli si avvicinò,
posandogli una mano sulla spalla. “Le conviene allontanarsi da qui, il prima possibile.”
“Voglio sapere!” Il poliziotto gli indicò
un altro suo collega, in lontananza.
“Lì stanno prendendo i nominativi
di tutti. Dei superstiti, delle vittime, di tutte le persone che sono dentro
l’edificio. Ma signore, io le consiglio di nuovo di
allontanarsi!” Edward nemmeno fece caso alle ultime parole che il
poliziotto urlò, perché si precipitò dall’altra
parte della strada.
“Stai bene?”
“Bella, non
preoccuparti per me.” Ricevette un sorriso da Leah,
mentre si abbassava di qualche centimetro per accarezzarle la pancia, ormai ben
visibile.
Si allontanò di
nuovo, entrando nella cucina vuota e sedendosi su uno sgabello. Lì
c’era troppo silenzio. I pensieri non la lasciavano stare, bombardandole
la testa.
“No. No. Non si preoccupi. Sì, la
aspetteremo qui. No, l’avvocato ancora non è arrivato. Signora,
no. Glielo prometto, non parleremo con l’avvocato senza di voi. Va bene. Arrivederci.”
“Qualche
problema?” Non aveva potuto fare a meno di ascoltare la conversazione di
Edward.
Lui sospirò,
allentandosi la cravatta. Era una cosa che faceva sempre, quando era agitato.
“Gli aeroporti sono
ancora bloccati.” Annunciò. “I genitori di Jasper non
riescono ad arrivare dal Texas.”
“Oh.”
Edward faceva scorrere il dito su quella lista di nomi
infinita, senza trovarne uno di sua conoscenza.
A
B
C
D
E
F
G
H
I
…
Tornò su.
H … Hale.
“Jasper!” Non si rese conto di aver pronunciato
il nome ad alta voce, finché Bella non arrivò al suo fianco.
“Cosa? Cos’hai detto? Hai trovato Jasper?”
Il dito di Edward era ancora lì, puntato su quel
cognome.
“Edward!” Bella lo strattonò per un
braccio, facendole girare nella sua direzione.
“Dov’è? Voglio vederlo! Edward,
cazzo!”
“Non ho detto che Jasper è vivo.”
Sussurrò appena.
“Vuoi una tazza di
tè?” Edward rise, scuotendo la testa.
“No, grazie.”
“Okay.”
Si sedette sullo sgabello
vuoto accanto a Bella, posando la schiena sul piano cottura.
“Come stai?”
Questa volta, fu Bella a soffocare una risata amara. “Una domanda di
merda, eh?” Continuò Edward.
“Alice è
riuscita a far indossare uno smoking a Jacob.” Disse, poi, indicò loro due. “E guardaci.
Noi due, in una stanza da soli, a parlare. Pagherebbe oro, per vedere una cosa
del genere.” Sussurrò infine, mentre la
voce si arrochiva.
Edward le passò un
braccio sulle spalle, attirandola a sé.
“Ritornerebbe
qui soltanto per vedere una cosa del genere. Poi, se ne andrebbe di nuovo con un ‘ve l’avevo detto io, che potevate
andare d’accordo’.” Bella
soffocò una mezza risata nel petto di Edward, mentre lui imitava la voce
di sua sorella.
Perché quello gli
era rimasto.
Jasper non c’era
più. E con lui, nemmeno Alice.
22 Settembre 2001
Isabella
bussò lentamente, e senza sentire una risposta, entrò cautamente
nella stanza.
Era piena di fiori,
bigliettini d’augurio per una pronta guarigione ed
una ragazza dai lunghi capelli neri era sdraiata in un letto, proprio al
centro.
Bella posò i fiori
nuovi sul comodino, prendendo quelli vecchi e buttandoli nella spazzatura.
“Mmh.”
“Hey.” Sussurrò appena, avvicinandosi alla
ragazza. “Non volevo svegliarti, scusa.”
“Non
preoccuparti.”
“Come ti
senti?” Bella le accarezzò la fronte, per poi sedersi su una sedia
lì a fianco.
“Meglio.
Il Dottore ha detto che la prossima settimana potrò tornare a casa.”
“E’
fantastico, Angela.”
“Ma
dovrò tornare tutte le settimane, per la fisioterapia.”
Angela era sopravvissuta.
Ed ora era lì, su un lettino
d’ospedale, con una gamba in meno.
“Tesoro, stai
tranquilla.” Le disse Bella, vedendo che i suoi occhi diventavano lucidi.
“Lo
so. So anche di
essere una delle persone più fortunate al mondo, Bella. Eppure…” Non finì la frase, perché il
cellulare di Bella iniziò a squillare.
Lo tirò fuori
dalla tasca, e senza vedere chi fosse, fece per spegnerlo.
“No,
Bella. Rispondi.
Si può trattare di qualsiasi emergenza.” Annuì, riprendendo
il cellulare in mano.
“Pronto.”
“Isabella.”
Edward.
“Hey. Che succede?”
“Potresti venire a
casa di mia madre?” La sua voce era incerta.
“Che
succede?”
“Vieni e
basta.” Edward le attaccò praticamente in
faccia.
“Problemi?”
Le domandò Angela.
“Non
lo so, ma devo andare. Passo domani, promesso.” Le
schioccò un bacio in fronte, uscendo dall’ospedale.
Cosa diamine voleva Edward Cullen
da lei?
“Hey.” Isabella trovò Edward in giardino, con
le maniche della camicia fino ai gomiti, senza giacca e con la cravatta
allentata.
Flashback.
In quel momento,
però, teneva una sigaretta accesa fra le dita.
“Da
quant’è che fumi?”
“Da sempre.”
Disse lui, scoccandole un’occhiata. “Entra. C’è Esme, Carlisle, e i genitori di
Jasper.”
“Perché sono
qui?”
“C’è anche l’avvocato, Isabella. Entra.”
Questa volta era un ordine.
Bella issò la
borsa sulle spalle, sorpassò Edward ed entrò in casa Cullen senza bussare.
Esme, Carlisle,
la signora e il signor Hale erano seduti intorno a
quell’enorme tavolo, mentre l’avvocato, era a capotavola.
“Ciao,
tesoro.” Esme accennò un lieve sorriso,
e Bella le rispose con un cenno della mano.
Si sedette
dall’altra parte del tavolo, posando la borsa a terra.
“Lei deve essere
“Posso sapere
perché sono qui?”
L’avvocato ed Isabella aprirono bocca nello stesso istante.
“Signorina Swan, io sono l’avvocato Denali.” Era un uomo
sulla sessantina, capelli e barba bianca, in una posa austera.
“Sì. Ed io
sono la signorina Swan, questo è chiaro.”
Non le piacevano i giri
di parole. Preferiva arrivare dritta al punto.
“Credo che nessuno
l’abbia informata su quello che è successo, pochi minuti
fa.” Bella guardò prima Esme, poi Carlisle.
No, nessuno le aveva
detto nulla.
“No.”
“I signori Hale, appena sposati si sono
recati da me, per parlare di alcune questioni.”
“Appena
sposati?”
Bella si
immaginò un’Alice di diciotto anni, appena uscita da Las
Vegas con un abito comprato dieci minuti prima, e un Jasper di appena
vent’anni con uno smoking di due taglie più grandi della sua.
Era stato un matrimonio
fatto su due piedi. Jasper aveva avuto la brillante idea di chiederle la mano
dopo la cerimonia del diploma, e lei aveva accettato su due piedi.
Quindi, si erano ritrovati
novelli sposi in meno di una mezza giornata, con Isabella Swan
ed Edward Cullen testimoni
di quel gran giorno.
“Sì,
signorina Swan. Avevano previsto ogni cosa, decidendo
anche a chi sarebbe andata la loro casa e le bambine.”
Isabella non sapeva a chi
sarebbe andata quella villa enorme, frutto di anni di duro lavoro, situata
nella periferia di New York. Eppure, sapeva benissimo a chi sarebbero andate le
sue nipotine: ad Esme e Carlisle.
I genitori di Jasper
vivevano in Texas, ed Alice non le avrebbe mai
lasciate andare così lontano.
“Ad
Esme e Carlisle.”
Disse, indicando le due persone proprio accanto a lei.
Esme aveva quarantacinque anni, e Carlisle ne aveva appena compiuti cinquanta. Avevano avuto
Edward ed Alice da giovani, con appena due anni di
differenza.
Lei era una mamma ed una nonna fantastica, mentre Carlisle,
beh… era Carlisle.
L’avvocato Denali
si rilassò sulla sedia.
“E’ questo il
punto, signorina Swan: i signori Hale
non hanno dato queste indicazioni.”
“Come,
scusi?”
“Proprio
così.” Aggiunse Esme, prendendo la mano
di Isabella e portandola sul tavolo. Stringendola lievemente. “Alice e
Jasper hanno lasciato un testamento, dove le bambine vanno a te e… a Edward.” Disse infine.
Bella passò in
rassegna ogni volto in quella stanza, soffermandosi su quello di Edward,
appoggiato allo stipite della porta a qualche metro da lei.
E l’unica cosa che pensò era che si sarebbe
fumata volentieri quella sigaretta anche lei.