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Autore: Soe Mame    26/03/2014    1 recensioni
Sì, ci sarebbe riuscito.
Avrebbe svolto il suo ruolo in modo impeccabile, avrebbe onorato la parola data da Gakupo ai signori e non avrebbe mai più fatto alcun pensiero sulla signorina Len.
Sì, ci sarebbe riuscito, per tutti e sei i mesi.
Era spacciato.
Genere: Angst, Demenziale, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gakupo Kamui, Kaito Shion, Len Kagamine
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Tutti i personaggi appartengono ai rispettivi proprietari; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

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- ... lustrascarpe...? -
Le facce spiazzate e/o sconvolte di Gakupo meritavano sempre: erano un misto di profondo trauma e disperato tentativo di rimanere seri, il cui risultato era un sorriso forzatissimo e gli occhi spalancati in modo quasi innaturale.
- E' un negozio di calzature vero e proprio. - spiegò Kyte, soddisfatto: - Faccio il tuttofare. Quindi anche lustrascarpe, sì. - alzò le spalle: - Mi spiace rubare il lavoro ai ragazzini, ma il denaro serve pure a me. -
- ... lustrascarpe. - sembrava aver assimilato il concetto. Era un passo avanti.
- E tutti i lavori di fatica che servono. - aggiunse Kyte: - Tipo aggiustare cose. O romperle per farle entrare nei sacchi della spazzatura. Soprattutto rompere. Sembra che io sia molto bravo a rompere. -
- Ti vedo molto appagato in questo lavoro di rottura di oggetti. E di lustrare le scarpe. -
- Più che altro, pagano decentemente! - un sospiro: - Certo, non credo di essermi mai fatto tanti lividi e cicatrici come in quel negozio, ma mi danno abbastanza da potermi comprare la cena! Ogni sera! A volte anche la colazione! -.
L'espressione di Gakupo si addolcì, perdendo il suo aspetto scioccato: - Mi fa piacere, allora. -
- Sai... - Kyte si sedette sul bordo della finestra: - ... se non compro troppe cose per cena, potrò anche pagarti l'affitto. -
Stavolta il volto dell'altro si fece stupito. Non era un qualcosa che si vedeva spesso.
- Non subito, ovviamente. Se ne riparlerà almeno tra un paio di mesi. - precisò Kyte, lasciandosi andare contro il muro laterale: - Però potrei. Soprattutto visto il prezzo che
teoricamente mi avresti fatto. -
L'espressione divenne seria: - Sai che non sei obbligato a pagare. -
- Certo che lo so. - alzò gli occhi al cielo: - Però voglio farlo. Se posso, non vedo perché no. -.
Tornò a guardare Gakupo: sembrava terribilmente serio, ma gli occhi lo tradivano. Sembrava quasi felice.
- Allora direi di poterti dare anch'io una notizia. -
- Ti sposi? -
- No, Kaito. - ora il tono era pacato, il suo solito tono tranquillo ai limiti dell'impassibile: - Semplicemente, ho trovato un impiego anch'io. -
- ... tu...? - Kyte alzò un sopracciglio: - Tu ce l'hai già, un impiego. -
- Smetterò per un po'. - rispose l'altro: - Non so per quanto tempo, esattamente. Ryuuto prenderà il mio posto, nel frattempo. -
Kyte sbattè le palpebre: - ... tuo cugino...? -
- Sì. -
- ... che ha sette anni. -
- E' ora che anche lui impari. Mio padre già lo sta istruendo. -
- Capisco... -
In realtà non capiva bene, ma non aveva intenzione di approfondire: - E perché...? -
- Mi hanno ingaggiato come precettore. -
Quasi cadde di sotto per la sorpresa: - Pre-precettore? - ripetè, affrettandosi a poggiare un piede a terra per mantenersi stabile: - Cosa? Quando? Com'è successo? Perché? Chi? -
- Le voci girano. - sospirò Gakupo, come se nulla fosse: - Una famiglia di duchi stava cercando qualcuno abbastanza esperto di lingua e cultura giapponese. Pare sia arrivato alle loro orecchie il fatto che ci fosse un nativo giapponese che viveva in zona e mi hanno contattato. Abbiamo parlato e ho accettato. -.
Kyte era rimasto senza parole: "Ma che diamine...?"
Cercò di dire qualcosa: - Ma... precettore di giapponese, dici? Cioè, dei duchi vogliono imparare il giapponese...? -
"Duchi molto originali, senza dubbio..."
- Cercavano un insegnante di giapponese per la loro figlia, sì. -
"Figli
a? Perché il giapponese ad una donna...?"
- Quindi inizio la prossima settimana. -.
Era sinceramente disorientato: Gakupo andava presso una famiglia di duchi a fare l'insegnante di giapponese.
No.
Gakupo andava a fare l'insegnante.
"...
povera fanciulla.".

Si sistemò in fretta i vestiti e corse fuori dalla stanza, sperando di avere un aspetto presentabile.
Era crollato addormentato. Ed era quasi l'ora del the.
Non sarebbe stato affatto carino non presentarsi al the perché perso nel mondo dei sogni. Non era professionale, ecco.
"Mancano ancora dieci minuti, posso arrivare in tempo senza sembrare che abbia corso per mezza casa!"
Aveva svoltato almeno tre angoli, prima di rendersi conto del fatto che, molto probabilmente, avrebbe impiegato quei dieci minuti cercando la sala.
"Allora..." alzò una mano: "... se metto la mano destra sul muro, dovrei riuscire a trovare l'uscita. Credo."
Un paio di volte aveva funzionato.
Effettivamente, seguendo il muro alla propria destra, riuscì a trovare le scale - era già una conquista.
Era sceso di un piano, quando si ricordò di un particolare: "Al piano di sotto quello in cui si trova la mia camera, mettendosi di spalle alle scale e svoltando due angoli a destra..."
Seguì quelle indicazioni venutegli alla mente, giungendo in un corridoio vagamente più riconoscib- no, non lo era affatto, ma teoricamente era lì che si trovava la stanza di Gakupo, per quel che ricordava.
Quale fosse era un altro discorso.
Camminò davanti alle porte, incerto a quale bussare: "Magari è in ritardo anche lui..." si disse, fermandosi davanti ad una camera a caso, titubante: "... se lo fosse, nessuno potrebbe guardarmi male.". Proseguì, superando due porte, il passo sempre più lento: "Aspetta, stai davvero cercando di rimediare al ritardo accumulando ulteriore ritardo?". Si fermò. Ormai era intorno alla nona o decima stanza.
"... sto cercando Gakupo." cercò di convincersi: "... era in ritardo anche lui! Sono andato a cercarlo, ecco!" riprese a camminare, cercando di fare mente locale: la stanza dell'altro non era troppo distante dall'inizio del corridoio, probabilmente era una di quelle nelle sue vicinanze.
"Se anche fosse nella sala da ore, non l'ho visto." si guardò intorno, valutando la posizione delle finestre - la camera di Gakupo non ne aveva una davanti, quindi poteva escludere quelle con quella caratteristica: "Può capitare. E poi, posso sempre mentire e dire che quegli occhiali hanno un loro senso di esister-"
Un piede scivolò appena in avanti.
Si fermò, abbassò lo sguardo: a lato di una delle soglie, sul pavimento, tra l'entrata e il tappeto, c'erano delle gocce d'acqua grandi come pollici.
"... acqua...?" Kyte s'inginocchiò, perplesso: "Cosa ci fa...?". Alzò appena lo sguardo: delle gocce identiche c'erano anche dall'altro lato della soglia.
"Ma che...?" tornò a scrutare le gocce più vicine: era acqua, decisamente.
O grappa. Ma aveva i suoi dubbi che qualcuno si fosse fatto portare casse e casse di grappa dall'Italia per poi farne cadere così tanta sul pavimento.
"La pulizia è sempre impeccabile..." si rialzò, piano, premurandosi di non scivolare: "... perché c'è dell'acqua...?" fece un passo indietro e guardò la porta: "Cosa c'è qui...?".
Ricordò, di colpo: "Ma questa non è...?". Si voltò: nessuna finestra. Tornò a guardare la porta: "... non è la camera di Gakupo...?".
Guardando meglio, qualcosa sul legno attirò la sua attenzione: quando si avvicinò, notò delle strisce bagnate, attorniate da minuscole goccioline, come se qualcosa di bagnato vi avesse sfregato contro. Erano ad uno dei lati della porta, quello opposto alla maniglia, non eccessivamente lunghe, ma neppure corte.
"Cosa...?"
Gettò uno sguardo fuori da una delle finestre del corridoio: nonostante le nuvole, c'era il sole. Faceva piuttosto freddo, quello sì, ma il sole era comunque visibile.
"... non piove... ma allora da dove...?"
Scosse la testa per riprendersi: "Tanto vale lo chieda a lui.". Alzò il pugno e bussò - sperando che quella fosse davvero la camera di Gakupo, ma era piuttosto sicuro di non aver sbagliato.
Nessuna risposta.
Bussò di nuovo, stavolta con più forza.
Nessuna risposta.
"... forse è già in sala." abbassò il pugno, ancora confuso: "... non credo stia cercando di prendere dei campioni di tenda bagnandola... e gli esperimenti li farebbe in camera, non fuori...".
Alzò lo sguardo, per controllare che non stesse piovendo dentro casa. Ormai non si sarebbe più stupito di niente. Ma il soffitto era asciutto, senza neppure delle sfumature di muffa.
Tornò a guardare fuori dalla finestra - anche se qualcosa gli diceva che i dieci minuti erano abbondantemente trascorsi e che avrebbe fatto meglio a scendere piuttosto che a perdere tempo dietro ad una manciata di gocce d'acqua.
"Non piove... le brocche d'acqua sono dentro le camere... e poi sono gocce... e quelle cose sulla porta..." erano soprattutto quelle ultime a perplimerlo: non aveva idea di cosa potesse averle causate.
Il suo sguardo vagò nel verde intorno alla magione, finché la monotonia del panorama fu spezzata. Sbattè le palpebre: "Il laghetto?" tornò a guardare la porta: "Possibile che quelle gocce vengano dal laghetto? Ma come...?" esitò: "... forse c'è caduto dentro...? Ma perché Gakupo sarebbe dovuto andare al laghetto...?" sentiva la testa iniziare a fargli male: "Ma, se ci fosse caduto dentro, non sarebbe venuto fin qui. Avrebbe chiesto ai domestici di portargli un cambio al piano terra, non sarebbe salito fin qui...".
Scosse di nuovo la testa: "Sto davvero qui a giocare al piccolo investigatore quando posso semplicemente darmi una mossa, andare dove dovrei essere e chiederglielo?".
Era decisamente impazzito, sì.
- Kyte! -
Sentì un brivido lungo la schiena: "Di quanto sono in ritardo...?".
Len gli fu accanto in un istante, lo sguardo a metà tra l'arrabbiato e l'incuriosito: - Sapete che ore sono? Siete terribilmente in ritardo! Mi avete fatta preoccupare! -
- Perdonatemi, non era mia intenzione. - almeno non sembrava propenso ad attuare su di lui chissà quale atroce vendetta: - Stavo- -
- Anche voi cercavate Gakupo-sensei? - lo anticipò Len: - Anche lui è davvero in ritardo! Come lo sapevate, se non siete sceso? -
- Ehm... - Kyte diede un colpo di tosse, cercando di assumere una certa compostezza: - In realtà, sono sceso. Non avendolo visto lì, sono venuto qui a chiamarlo. -
Lo sguardo di Len era colmo di profonda compassione. Tuttavia, finse di credergli - e Kyte gliene fu molto grato.
- Avete già bussato? -
Kyte annuì: - Ma non risponde. Credo sia già sceso. -.
Len lo guardò un istante. Poi fece qualche passo verso la porta, probabilmente per bussare lui stesso.
- Aspettate! - gli afferrò una spalla, bloccandolo.
- C-cosa c'è...? -
- C'è dell'acqua, per terra. - vide Len abbassare lo sguardo, individuando subito le gocce: - Non ho idea a cosa siano dovute, ma- -
- Ah, quindi deve averla portata qui! -
Quell'esclamazione lo spiazzò: - Prego? -
Len si voltò verso di lui, con un sorriso: - Prima ho visto Gakupo-sensei tornare dal laghetto con una tenda bagnata. Quando l'ho incrociato, mi ha detto che stava facendo degli esperimenti, ma che non avrei dovuto dirlo a nes- - si premette una mano sulle labbra, gli occhi di colpo sgranati: - Ops! Ve l'ho appena detto! -
Kyte si gelò sul posto: "Tutta quella preoccupazione per...?". Trasse un profondo respiro per riprendersi e diede una pacca sulla schiena di Len: - State tranquillo. Manterrò il segreto. -
Lo sguardo dell'altro brillò: - Vi ringrazio! - un veloce bacio sulle labbra: - Non voglio essere sgridata da Gakupo-sensei! - piagnucolò, mettendo le mani dietro la schiena.
- Non lo sarete. - cercò di rassicurarlo: - ... a meno che non facciamo ulteriore ritardo. -
- Non può dirci nulla, siamo andati a cercarlo! - protestò Len, mettendo su il suo broncio: - Che sia puntuale in prima persona, la prossima volta! -
- Anche voi avete ragione... -.

Con un sospiro, Kyte aprì la porta, giusto per evitare che Gakupo - sapeva che era lui - la sfondasse a suon di pugni e calci. O che facesse saltare la maniglia sparandole.
Sapeva che ne sarebbe stato capacissimo. E tutto perché ci aveva messo ben cinque secondi per raggiungere la porta.
Forse avrebbe potuto rispondergli, piuttosto che rimanere in silenzio. In effetti, forse aveva appena rischiato la vita.
- Perché non hai risposto? -
"Ah, ora si finge calmo e pacato."
- Vuoi un po' d'acqua? - domandò, con un ampio sorriso: - Scusami se non ti offro alcolici, ne ho solo un quarto di bottiglia e vorrei tenermela per dopo cena. -
- No. -
- Antipatico. -
Lo fece entrare, richiudendogli la porta alle spalle.
- E' vero quello che ho sentito? - chiese Gakupo, la voce ferma, arrivando subito al punto.
Kyte alzò le spalle: - Non ho idea di cosa tu senta ogni giorno. O almeno, ne ho idea, e sono quel tipo di cose che mi conciliano il sonno. -
- Quel negozio dove lavoravi ha chiuso. -
- Ah,
quella cosa! - piegò appena la testa di lato, fingendo di pensarci: - Sì, direi di sì. Ha chiuso e non riaprirà più. Colpa della concorrenza. Sembra che le calzature altrui fossero più belle e nessuno è più venuto da noi. Cose che capitano. -
- Sei senza lavoro. -
- Direi di sì. - sorrise, appoggiando la schiena al muro: - Ho ancora un po' di denaro da parte. Posso pagarti anche questo mese, credo. -
- Quando pensavi di dirmelo? -
Kyte sbattè le palpebre: sembrava quasi che Gakupo stesse cercando di incenerirlo con lo sguardo.
Non molto credibile, visto il velo di preoccupazione sul suo viso.
- Quando ti avrei rivisto! - si allontanò dalla parete e gli diede una pacca su una spalla: - Suvvia. Sembra sia tu ad aver perso il lavoro! Non sarai improvvisamente diventato attaccato all'affitto, eh? -
- Mi dispiace deluderti, ma temo tu non sia la mia principale fonte di guadagno. -
Kyte ridacchiò: - Così va già meglio. Evita di buttare giù la porta della
tua casa, la prossima volta! Non è successo nulla di irreparabile! -.
In quel momento, Gakupo non sembrava più volerlo incenerire: nel suo sguardo c'era solo preoccupazione.
- ... stai bene? - aveva abbassato la voce.
Kyte si era aspettato quella domanda. Era piuttosto sicuro che, qualsiasi cosa avesse detto, non sarebbe bastato, non sarebbe stato preso davvero sul serio. Si era chiesto come rispondere, come poter convincere l'altro che andava tutto bene, che non si sentiva più come un grosso mostro che fa scappare chiunque lo incontri e che perde pezzi ad ogni passo, che l'alcool non era più così attraente, che non si sentiva più pesante, che non aveva pianto neppure una notte, che aveva trascorso le notti dormendo - forse avrebbe potuto dirglielo proprio così, riversandogli addosso quella fiumana di frasi.
- Sì. -
Gakupo lo guardò, per un lungo istante.
Poi ogni traccia di preoccupazione scomparve dal suo volto. Non disse nulla. Soltanto, accennò ad un sorriso, forse di sollievo.
- Quindi... - esordì lui, qualche secondo dopo: - ... cosa hai intenzione di fare, ora? -
- Cercherò un altro lavoro. - rispose Kyte, lasciandosi cadere sulla prima sedia disponibile, le mani dietro la nuca: - E, se andrà male, ne cercherò un altro. Qualcosa si rimedia sempre. - ridacchiò: - Tranquillo, se verrò da te a piagnucolare non sarà certo per questo. -
- Se così fosse, mi sento autorizzato a fingere di non essere in casa. - disse Gakupo, calmo come sempre, accomodandosi su un'altra sedia: - Comunque, voglio il whiskey. So che l'alcolico che hai è whiskey. -
Kyte quasi cadde dalla sedia: - Neanche per idea! Se vuoi qualcosa, c'è solo acqua! -
- La tua incapacità di ricevere gli ospiti è veramente notevole. - sospirò Gakupo, con noncuranza.
- E comunque... - Kyte ridusse gli occhi a fessure: - ... è vino. -
- Dimostramelo. - un sibilo.
- Scordatelo. -
- Stai mentendo per tenermi lontano dal whiskey. -
- Ti direi che è rum. -
- Allora avrei la certezza che stai mentendo. -
Kyte si alzò, pancia in dentro e petto in fuori: - Avrai dell'acqua. E questo è quanto! -
Gakupo intrecciò le dita, i gomiti sul tavolo: - Maleducato. - fece, tranquillissimo.
- Invadente. -
-
Ganbatte. -
Kyte tacque. Lo sguardo dell'altro era calmo come sempre.
Andava tutto bene. Nonostante tutto, sentiva di poterlo dire davvero.
- Acqua. -
- Mh. -.


- Mi state trascurando. -
Kyte sgranò gli occhi, colto alla sprovvista: - ... eh? -.
Quello sguardo azzurro si assottigliò; la candela era stata spenta ore prima, l'unica fonte di luce era quello spiraglio di luna che sfuggiva alla tenda, eppure riusciva a vedere benissimo quegli occhi contrariati.
Sentì un fruscìo, il calore del corpo di Len venne meno. Lo vide sedersi su di lui, le cosce contro i fianchi.
Non riusciva a vedere bene la sua espressione, ma il suo tono lacrimoso era indubbiamente finto: - Non vi piaccio più? -
E certo, glielo chiedeva offrendogli quel panorama.
Il fatto di non riuscire a vederlo distintamente non era un problema. Ormai lo conosceva a memoria.
Portò una mano sul fianco dell'altro: - Temo che... - risalì fino alla vita: - ... sia piuttosto improbabile che voi smettiate di piacermi. -
- "Improbabile?" - era sicuro avesse messo il broncio: - Speravo mi diceste "impossibile". -
- Troppo stereotipato. - ridacchiò.
- Voi non vi fate problemi a parlare per stereotipi, non dovreste iniziare a farvene proprio ora. - un sospiro: - Di sicuro avete un tempismo orribile. -
Sorrise: - Mi dispiace. -
- No che non vi dispiace. - Len intrecciò le dita con quelle della sua mano libera: - Piuttosto... - esordì, il tono si era fatto più serio: - ... eravate poco partecipe. -
- ... ah? -
Un brivido. Non era una cosa carina da dire. Affatto.
- La vostra mente era altrove. - spiegò Len: - Non eravate presente. -
Kyte si rilassò un poco: "Ah... 'poco partecipe' in quel senso...".
In tal caso, l'altro aveva ragione. Doveva riconoscerlo.
Provò una fitta d'irritazione - che certi pensieri fossero in grado di rovinargli i momenti con Len era qualcosa di estremamente fastidioso.
- Perdonatemi. - sospirò, stavolta dispiaciuto sul serio: - Ho dei pensieri per la testa. -
- E' lodevole che nella vostra testa ci siano pensieri. -
- ... eh? -
- Per curiosità... - si chinò appena verso di lui: - ... cos'è che vi coinvolge tanto mentre le vostre mani e le vostre labbra cercano di rimediare alla vostra pessima memoria? -
"Già... cosa?"
Kyte si lasciò andare contro il materasso, chiudendo gli occhi: - Lo sapete. - mormorò, piano: - Le solite cose. -.
Ammetterlo suonava come una sorta di sconfitta.
Ma non riusciva a fare altrimenti. Avrebbe preferito davvero non pensare a tutte quelle cose che lo inquietavano ma, più cercava di scacciare quei pensieri, più quelli tornavano a crivellargli la mente, più dolorosi di prima.
Se avesse potuto materialmente toglierli dalla propria testa, l'avrebbe fatto senza esitazioni.
A quanto sembrava, poi, la cosa stava iniziando a peggiorare.
- Kyte, vi prego! - un sospiro esasperato: - Perché continuate a farvi del male? -
- E' quello che mi chiedo anch'io... - confessò, facendo scivolare la mano sulla schiena di Len.
- Non pensate che io vi consoli. - lo sentì stringere la presa: - Non mi ci vuole niente a rimanermene a dormire nel mio letto piuttosto che venire nel vostro. -
Gelo. Kyte riaprì gli occhi, allarmato: - Cosa? -
Una risata leggera: - Ora va meglio. - la presa sulla sua mano si allentò, la voce di Len si era fatta più pacata: - Per favore, smettetela di riempirvi la testa di pensieri negativi inutili. Fossero almeno preoccupazioni fondate... voi siete in ansia per... delle fantasie. - calcò su quelle parole, sembrava quasi incredulo.
- E' che... - esitò.
Forse non era il caso di essere tanto diretto: - ... voi non avete notato nulla di strano? -
Len sbattè le palpebre: - Strano? In che senso? -
- In generale. - spiegò Kyte: - Non avete notato nulla di strano? -
- Temo di no. - rispose l'altro, cauto: - Perché, voi avete notato qualcosa di "strano"...? -
Esitò di nuovo.
C'era effettivamente qualcosa che l'aveva colpito, che aveva contribuito ad affollare la sua mente ancora di più.
- Temo che qualcuno sospetti qualcosa. - confessò, infine: - Di noi, intendo. -
- Gakupo-sensei? -
Kyte sgranò gli occhi: - C-cosa? -
Len sospirò: - Suvvia, chi altro potrebbe essere? - piegò appena la testa di lato: - Ma cos'è che ve lo fa pensare? -
Tanto valeva dirgli tutto: - Ultimamente è strano. - disse Kyte: - Ha qualcosa di strano nello sguardo, anche se non so cosa sia. Ed è arrivato tardissimo per il the. Mezz'ora di ritardo da parte sua? Sul serio? -
- Il suo ritardo mi ha colta di sorpresa, in effetti. - confessò Len: - Chissà se è vero che si era addormentato... -
Kyte non rispose: gli sembrava semplicemente impossibile che Gakupo potesse fare così tardi. Eppure era successo. Era un qualcosa di straniante.
- Per il resto, io non ho visto niente di strano. - proseguì l'altro, il tono incuriosito: - Ritardo a parte, a me Gakupo-sensei sembra come al solito. -
- Mh. -
"... possibile che siano solo mie paranoie...?" ormai poteva anche pensare ad una possibilità del genere: "... anche perché, se ci fossero problemi, me ne avrebbe parlato." si rese conto.
Nonostante questo, per quanto potesse accettare che Gakupo non sospettasse nulla, non riusciva a capacitarsi del fatto che andasse tutto bene. C'era qualcosa di strano, davvero.
- Comunque... - la voce dell'altro lo distolse dai propri pensieri: - ... voi... - fece Len: - ... vi fate davvero problemi inesistenti. - portò una mano sul suo petto.
La ritrasse, quasi si fosse scottato.
L'altra mano lasciò la sua.
"Ancora..."
La mano si scostò dalla schiena, andando a prendere quella che l'aveva toccato, per poi riportarla sul suo petto: - Potete toccarmi, sapete? - sorrise: - Non vi mangio. -
Metafore scontate a parte.
Lo sentì irrigidirsi, lo sguardo si era fatto esitante.
"No, vero?"
Sembrava che Len non sapesse che sotto le spalle c'erano altre cose. Mai, in quei quattro mesi d'incontri, l'aveva toccato più in basso delle spalle, se non quando era vestito. Gli prendeva le mani, osava toccargli le braccia, un paio di volte aveva sfiorato probabilmente per sbaglio le ginocchia, ma nient'altro.
Forse aveva fatto dello scarnificargli la parte superiore della schiena il suo scopo nella vita - anche considerando che le unghie gli erano cresciute - o forse era troppo pigro per andare al di sotto del collo.
Qualcosa gli diceva di poter escludere la seconda ipotesi.
All'inizio aveva pensato fosse la timidezza delle prime volte o la ritrosia dovuta all'educazione femminile; ma aveva imparato che Len e la pudicizia camminavano sui lati opposti della strada, incontrandosi solo quando si trattava di coprirsi inutilmente il petto, quindi la scusa aveva finito con il reggere poco. Soprattutto dopo quattro mesi.
- Scusatemi. -
Len ritrasse di nuovo la mano, portando entrambe al petto. Lo vide abbassare lo sguardo, sentì le gambe chiudersi appena: - Non è colpa vostra. -.
"... immagino."
Aveva un sospetto circa quel suo comportamento.
Per un istante, quasi si sentì in colpa nel desiderare quel corpo morbido e tanto femminile.
Portò una mano al viso di Len: era fin troppo caldo.
- Va tutto bene. - sorrise: - So che siete timida. -.
Una risata leggera. Lo sentì rilassarsi un po'.
- Davvero pensate che io sia timida? - il suo sguardo era tornato tranquillo.
- No. - confessò Kyte, candido: - Mentivo. -
Len tornò a sdraiarsi su di lui, le labbra vicine alle sue: - Mi avrebbe inquietata il contrario. -.

- A proposito, Kaito. -
Kyte alzò lo sguardo dal bicchiere, incontrando quello di Gakupo, dall'altra parte del tavolino della locanda: - Sì? -
- Ho una
lieta notizia da darti. - aveva calcato parecchio su quel "lieta". Doveva essere davvero lieta.
- Dimmi! - esclamò, incuriosito.
- Megumi si sposa. -
Sbattè le palpebre, assorbendo la notizia.
Quando realizzò del tutto le parole dell'altro, non potè trattenere una risata: - Congratulazioni! - esclamò, dandogli una pacca su una spalla.


- Facciamo una passeggiata! -
Len letteralmente saltò su dalla sedia, il suo bizzarro pupazzo stretto tra le braccia, gli occhi che brillavano.
- Ora? - Kyte gettò uno sguardo fuori dalla finestra, esitante: per quanto si riuscisse ancora ad intravedere il sole, il cielo era quasi del tutto coperto da grandi nuvoloni grigi; se non altro, le fronde degli alberi erano quasi immobili.
- Fra poco più di mezz'ora sarà pronto il pranzo. - ricordò Gakupo, con tono gentile.
- Andiamo ora! - esclamò Len, lasciando il pupazzo sulla sedia e allontanandosi dal tavolo pieno di fogli ricoperti di kanji: - Potrebbe piovere da un momento all'altro! - fece notare, indicando le nuvole oltre il vetro: - Non possiamo aspettare dopo pranzo! Facciamo una passeggiata ora! Ora! -
"In effetti..." ammise Kyte: "... potrebbe piovere anche in questo preciso istante.".
- E sia. - si arrese Gakupo, senza neanche troppo dispiacere: - Ma, se dovesse iniziare a piovere mentre siamo fuori, rientreremo immediatamente. Anche se siamo appena usciti. -
Len gonfiò le guance: - Un po' di pioggia non ha mai fatto male a nessuno! -
- Ma il freddo sì e, con la pioggia, il risultato non è affatto gradevole. - disse l'altro, la voce pacata: - Non vorrete prendere un raffreddore? -
- Se vogliamo uscire, è meglio sbrigarsi. - intervenne Kyte, mentre il più piccolo rimaneva con il broncio: - O faranno prima a chiamarci per il pranzo che iniziare a piovere. -.
Quel giorno, Len era particolarmente in vena di capricci. Non prese l'ombrello e si rifiutò di mettere una giacca pesante - a suo dire, il suo vestito era abbastanza caldo.
Doveva avere svariati strati di indumenti, dato che quello che indossava era l'abito blu con cui Kyte l'aveva visto per la prima volta, in una stagione decisamente meno fredda.
Quando misero piede fuori casa, Kyte si stupì di come non facesse poi così eccessivamente freddo: non era un clima da desiderare di gettarsi nel lago, ma non sembrava neppure dovesse davvero piovere da un momento all'altro.
Pochi istanti dopo, Len era già svariati passi avanti.
Fu nel notarlo che Kyte si rese conto di una cosa: "Ah... siamo solo noi tre...".
Guardò Gakupo, al suo fianco: sembrava tranquillo e rilassato come sempre - anche quando, un minuto prima, gli aveva impedito con le cattive maniere di togliersi gli utilissimi occhiali. Anche quella strana luce nel suo sguardo sembrava in qualche modo essersi attenuata - non scomparsa, quello no: riusciva ad intravederla, seppur nascosta molto meglio delle altre volte.
- Cosa c'è? - era ovvio che Gakupo si sarebbe accorto di essere fissato, visto che non aveva distolto lo sguardo.
Kyte sorrise: - Non è strano? - guardò Len, più avanti: - Stare tutti e tre insieme, dico. -
- Perché dovrebbe esserlo? -
Alzò le spalle: - Forse è strano vedere te e lei insieme. Tu ci sei sempre stato, quando lei non c'era. E lei è stata con me quando tu non c'eri. Vedervi insieme fa uno strano effetto... -
- Sono giorni che ci vedi insieme. - osservò Gakupo.
- Vero. - vide Len fermarsi e voltarsi verso di loro.
Era così che era iniziato tutto?
- Forse... - sospirò: - ... la parola giusta non è "strano". -.
In un secondo, Len li aveva raggiunti, infilandosi tra di loro. Kyte lo sentì prendergli una mano, lo vide prendere quella di Gakupo.
- Non rimanete indietro! - trillò, quasi tirandoli: - Passeggiamo insieme! Tutti e tre insieme! -
"Tutti e tre...?"
- Voi andate più veloce, oujo-sama. - sorrise Gakupo.
- E voi avete le gambe più lunghe! - notò Len, facendo oscillare appena le loro braccia.
- Eh, la signorina ha ragione, Gakupo. - scherzò Kyte - per quanto fosse vero.
- Certo che ho ragione! - esclamò il più piccolo. Stavolta li tirò davvero: - Mi prendete in braccio? - fece, spostando lo sguardo prima su uno poi sull'altro.
- Insieme? - Kyte aggrottò la fronte.
- Sì! -
- Temo sia complicato prendervi in braccio nello stesso momento. - gli fece notare Gakupo.
- A meno che uno non la prenda per le braccia e l'altro per le gambe... - ridacchiò Kyte.
- Non sono un sacco! - protestò Len, Gakupo che alzava gli occhi al cielo, l'accenno di un sorriso.
- Allora facciamo così! - esordì il più piccolo: - Ci prendiamo in braccio a vicenda! Gakupo-sensei prende in braccio il signor Kyte e il signor Kyte prende in braccio me! -
- E voi prendete in braccio Gakupo? -
- Ma, se sto in braccio a voi e voi state in braccio a lui, non è fisicamente possibile! -
- Oujo-sama, per quale motivo dovrei essere io a sobbarcarmi tutto il vostro peso? -
- Perché... - Len parve pensarci un attimo: - ... siete più grande del signor Kyte! - annuì: - Il signor Kyte è molto più piccolo di voi! -
- "Molto"... - ripetè Kyte, punto nel vivo: - C'è solo una spanna di differenza. - gli fece notare: - E poi, con tutto il rispetto, se io sono "molto più piccolo" di Gakupo, voi cosa sareste? -
- Neanch'io sono così bassa! - Len gonfiò di nuovo le guance: - Anche tra me e voi c'è appena una spanna di differenza! -
- Allora voi siete "doppiamente molto più piccola". -
- Non prendetevi gioco di me! -
- Allora... - intervenne Gakupo, serafico: - ... potreste essere voi a prendere in braccio Kyte, mentre lui tiene in braccio me. -
Kyte spalancò gli occhi: - Perché dovrei essere io a tenerti in braccio...? -
- E perché no? -
- Pensate che non ci riuscirei perché sono più piccola? - Len lasciò le loro mani, per poi aggrapparsi alla vita di Gakupo. Rimase immobile per qualche istante, poi si allontanò, lo sguardo contrariato: - Siete pesante! -
- Rispetto a voi... -
"Ma non mi dite, Len."
Kyte fece appena in tempo a pensarlo, che si ritrovò le braccia di Len strette attorno alla vita. A quanto sembrava, non rimaneva fermo, stava seriamente cercando di sollevarlo.
Un istante dopo, Len era a terra.
- Siete più pesante di Gakupo-sensei! - pigolò, lo sguardo sconvolto: - Voi siete un falso magro! -
- Cosa? -
- Dunque siete basso e tozzo, Kaito-san. - uno di quei sorrisi di Gakupo che somigliavano a ghigni.
Lo sguardo di Kyte andò da lui a Len: - Questo è un complotto contro di me! E i cospiratori siete voi! -
- Stai solo cercando scuse. -
- State solo facendo scene! E ciò che dite non corrisponde assolutamente al vero! -
- Quante storie per la verità... -
- La verità è che sei tu quello tozzo e sgraziato. Solo che sei alto e non si nota! -
- Comunque la più carina sono io. -
In mezzo a quelle distese verdi disperse nel nulla, sembrava di essere le uniche tre persone esistenti, isolate dal resto del mondo, un mondo che non poteva in alcun modo venirli a disturbare, a sconvolgerli, a portare loro una qualsiasi preoccupazione.
C'erano soltanto loro, a fare ciò che volevano, senza tener conto di nient'altro e di nessun altro.
Se n'era reso conto solo in quel momento: se fosse rimasto da solo con Len e Gakupo, se anche non avesse avuto nient'altro che loro, gli sarebbe andato bene.
Se fosse rimasto tutto così, sarebbe davvero andato tutto bene.

Non sapeva come interpretare le mutazioni del cielo.
L'unica cosa che sapeva era che tutto quello gli sembrava un dono divino.
- E' molto probabile che stasera piova. - aveva detto la duchessa di Mirror, durante la colazione: - Non sappiamo esattamente quando, ma non reputo sicuro che voi partiate domani mattina. Se sarete così gentile da accettare ancora la nostra ospitalità, vi chiederei di partire dopo la pioggia. Non credo ci vorranno più di due o tre giorni per far passare questo brutto tempo. -
- Onorato dalla vostra gentilezza, mia signora. -
Era troppo incredulo per potersi commuovere. Si sentiva leggero come non lo era da settimane, la nebbia di pensieri che aveva offuscato la sua mente si era in parte diradata; si sentiva come se avesse potuto fare qualsiasi cosa, anche affrontare a viso aperto quella - momentanea - separazione.
Forse, finalmente, il concetto di "momentaneo" stava iniziando ad essere assimilato dalla sua mente.
- Sono così felice che rimaniate un altro paio di giorni! - Len sorrise, prendendogli le mani.
Kyte non riusciva a staccare lo sguardo da lui: quel vestito nero. Lo stava indossando di nuovo.
- E' per questo che avete messo il vostro abito per le grandi occasioni? - si arrischiò a chiedere.
Len annuì, gli occhi che gli brillavano: - E' un bell'evento, non credete? - gli lasciò le mani, per poi fare una piroetta, l'orlo della gonna si alzò appena a mostrare le caviglie, coperte dalle calze nere: - E poi, mi era parso che questo abito vi piacesse particolarmente. - aggiunse, il tono più basso, lo sguardo più eloquente.
"Se mi piace...?" in realtà no. Altrimenti, non si sarebbe spiegato perché l'avrebbe gradito molto di più lontano da quella pelle bianca. Magari sul pavimento.
Prese il volto di Len tra le mani e lo baciò.
Il corridoio era vuoto e non sentiva alcun rumore di passi. Poteva concedersi qualche secondo.
Evidentemente, l'altro aveva pensato lo stesso, data la foga con cui lo ricambiò e gli strinse la veste.
I famigerati passi in avvicinamento giunsero come una mosca fastidiosa vicino all'orecchio, costringendolo a separarsi da Len, non seppe neppure lui dopo quanto.
- Devo preparare le valigie. - disse Kyte, il tono neutro, mentre un paio di cameriere passavano al loro fianco.
- Già da ora? - fece Len, la voce innocente, lo sguardo in completo contrasto.
- Temo di sì. - sospirò, dandosi una veloce sistemata alla giacca: - Non che metta tutto dentro, ma almeno svuotare gli armadi e i cassetti... -
L'altro annuì, l'espressione si fece annoiata: - Sarete aiutato, vero? -
- Sì. Qualora ci fosse qualcosa da lavare o sistemare... -
"Quindi, no, se voi veniste da me non saremmo comunque soli."
Len annuì di nuovo: - Vi lascio ai vostri preparativi, allora. Credo andrò in biblioteca. -
"... poveri libri."
- Potreste approfittarne per studiare. -
- Non ci penso neppure. -
- Mh. -.
Svuotare armadi e cassetti fu meno difficile di quanto aveva pensato - fino all'ossessione - nei giorni precedenti: per quanto sentisse una punta di malinconia, in generale era di buonumore, tranquillo. Forse stava davvero meglio.
"Ed è bastato così poco...?"
Probabilmente, Len aveva ragione circa la stupidità delle sue preoccupazioni.
Dopo circa un'ora, forse poco di più, in camera si presentò anche Gakupo, per aiutarlo.
- Vi ringrazio. - fece Kyte, alla volta dei domestici: - Non credo serva altro, il resto possiamo fare da soli. -
- Come desiderate. - dopo aver chinato la testa, la servitù si congedò.
- Mi auguro non serva davvero altro. - disse Gakupo, gettando uno sguardo all'armadio aperto e vuoto: - Non vorrei mi avessi incastrato per fare i lavori più pesanti. -
- Sei venuto qui di tua spontanea volontà. - gli fece notare Kyte, impilando i vestiti piegati: - Non avrei potuto architettare un complotto ai tuoi danni. -.
Per tutta risposta, l'altro sospirò - ma sembrava più un sospiro divertito -, per poi togliersi la giacca e posarla su una sedia.
- La pistola dov'è? -
- Eh? - Kyte alzò lo sguardo, notando Gakupo intento ad osservare la sua spada, lasciata nel fodero, sul letto.
Diede un colpo di tosse, sentì le guance farsi più calde: - ... temo di non averne ancora una. -.
Silenzio.
Gli occhi di Gakupo si sgranarono, colmi di incredulità: - Stai scherzando. - non era una domanda. Era più una preghiera.
- Ehm... - riportò lo sguardo sui vestiti, ormai sistemati: - ... vuoi che ti dica che sto scherzando? Perché non sarebbe esattamente la verità... -.
Silenzio.
- ... mi stai dicendo che... - la voce di Gakupo era forzatamente controllata: - ... per sei mesi hai protetto la signorina soltanto con la spada...? -
- Suvvia, il paese è tranquillo! - esclamò Kyte, per poi spezzare l'imbarazzo con una risata: - Non stiamo parlando di Londra! In paese, basta che vedano qualcosa di appuntito per diventare remissivi come agnellini! -
- Tu sei pazzo. -
Con la coda dell'occhio, notò Gakupo schiaffarsi una mano in faccia.
Sentì le guance bollenti.
- Dai, non è successo nulla! - rise, una risata forse un po' troppo nervosa, dandogli una pacca su una spalla: - Ho protetto la signorina meglio che ho potuto! -
- Tieni. -
Una pistola apparve sotto i suoi occhi, tra le sue mani.
Alzò lo sguardo, incontrando quello esasperato di Gakupo: - A questo punto, te la regalo. -
- Non ce n'è bisogno, davvero! -
- Non puoi continuare ad andare in giro solo con la spada! - fece l'altro, il tono più alto: - E se qualcuno con una pistola avesse aggredito oujo-sama o te? E se ti avessero immobilizzato? Hai idea di cosa sarebbe successo? - alzò gli occhi al soffitto: - Avrei dovuto controllare che fossi armato per bene! Perché non l'ho fatto? Eppure avrei dovuto sospettare che tu- -
Una risata sfuggì dalle labbra di Kyte, senza che riuscisse a fermarla in tempo.
Cercò di darsi un contegno coprendosi la bocca, ma lo sguardo ancora più scioccato di Gakupo non aiutava.
- Come sei gentile a preoccuparti per me. - ridacchiò: - Vuoi che ti chiami okaasan? -
In realtà, accostare sua madre a Gakupo non era proprio una bellissima immagine, ma la faccia traumatizzata dell'altro lo ripagava completamente. Era piuttosto raro che l'altro mostrasse anche solo appena di perdere il sangue freddo ed era sempre uno spettacolo impagabile.
Per quanto avesse ragione.
- ... credo che otousama potrebbe addirmisi, quando sono con te. Sì. - sospirò Gakupo, sembrò calmarsi.
Gli faceva piacere, in un certo senso, sapere che qualcuno si preoccupasse per lui - e per Len - a tal punto.
Si rigirò la pistola tra le mani: era quella che Gakupo teneva di riserva - l'altra faceva bella mostra di sé nel fodero appeso alla cintura, sul fianco opposto a quello su cui si trovava la katana.
Soltanto...
Un bussare alla porta.
Kyte guardò in direzione dell'entrata, notando il maggiordomo sulla soglia.
- Permettete, signor Kamui? -
- Sì? - Gakupo gli diede la sua attenzione.
- Potreste venire per pochi istanti? Avrei qualcosa da domandarvi circa la strana sparizione di alcune candele nella vostra camera. -
- Certamente. -
Gli rivolse un'occhiata, con sguardo di scuse: - Perdonami un attimo. -
- Sì, fa' pure. -
Gakupo uscì dalla stanza, lasciandolo da solo.
Kyte riportò la sua attenzione alla pistola che l'altro gli aveva dato: "... il problema della sua pistola di riserva è che è perennemente scarica.".
Aprì il tamburo: come aveva immaginato, era vuoto.
"Perché dovrebbe portarsi dietro una pistola scarica?" si chiese, richiudendola e girandola di nuovo: "Forse..." ci pensò: "... magari ha anche dei proiettili di riserva!" annuì da solo alla sua brillante deduzione: "Ma certo che deve averli! Sarebbe un problema se si ritrovasse coinvolto in una sparatoria e si ritrovasse senza munizioni!".
Si guardò intorno, pensieroso: "Se io fossi un proiettile, dove mi nasconderei...?".
Non aveva mai notato rigonfiamenti nelle tasche dei pantaloni di Gakupo, quindi...
"Magari nelle tasche della giacca!" la notò sulla sedia: "Così sarebbero anche facili da prendere in fretta!".
La raggiunse e la controllò, prima dentro - magari c'erano tasche nascoste -, poi fuori.
Una tasca si rivelò vuota.
"Allora nell'altra!"
Mise la mano dentro. Le sue dita sfiorarono qualcosa di liscio, sottile.
"Eh?"
Incuriosito, Kyte prese quel qualcosa e lo tirò fuori dalla tasca.
Sbattè le palpebre, confuso: era un nastrino sottile, blu, ad occhio lungo una sessantina di centimetri.
"... cosa ci fa una cosa del genere nella tasca della giacca di Gakupo...?"
Era veramente troppo sottile per poterlo usare per legare qualcosa di pesante anche solo un chilo e non sembrava affatto una striscia di tenda presa in prestito senza permesso.
Ma, soprattutto, quel nastrino gli dava una strana sensazione di familiarità.
"Mi sembra di averlo già visto da qualche parte..."
Lo stese su un pugno, osservandolo meglio.
Del pizzo nero, attorno a quella striscia blu, quasi gli sembrava di vederlo.
Si sentì come se qualcuno l'avesse colpito allo stomaco all'improvviso, mozzandogli il respiro.
Aveva già compiuto un'azione del genere. Con un lungo e sottile nastrino blu.
Quello della giarrettiera di Len.
Le mani tremarono.
"... questo..." le sue dita si fecero deboli, la pistola quasi gli sfuggì di mano: "... questo è davvero...".
Inspirò a fondo, le gambe tremavano: "No, cerca di ragionare, Kyte. Perché il nastrino della giarrettiera di Len dovrebbe essere nella tasca della giacca di Gakupo? Forse l'ha perso e Gakupo l'ha trovato per terra...? Forse Gakupo non sapeva cosa fosse esattamente e l'ha preso comunque...?"
Sentiva freddo.
Troppo freddo.
"... ma è impossibile che il nastrino cada senza giarrettiera. Dovrebbe esserci anche quella..."
Deglutì.
Qualcosa gli stava premendo sulla gola, soffocandolo.
"... l'unico modo per averlo è... sfilarlo...?"
- Kaito? -
Quella voce rimbombò nella sua mente, come un'eco lontana e, al tempo stesso, un urlo vicino al suo orecchio: "Cosa...?"
- Che stai facendo? -
Sentì due passi.
Poi niente.
- Questo... - la voce uscì bassa, spezzata: - ... cos'è questo...? -
- Un nastro, Kaito. - il tono di Gakupo era tranquillo: - E' evidente. Stai poco bene? -
- Molto sottile... - sussurrò, la gola secca, le mani gelide: - ... davvero molto sottile... -
- Sì, Kaito. - il tono di Gakupo era troppo tranquillo: - Ne fanno anche di così sottili. -
- Sembra quasi... - una morsa violenta allo stomaco: - ... il nastrino di una giarrettiera, non trovi? -
"Non... non può davvero essere... cosa...?"
Trasalì, o forse era stato scosso da un brivido troppo forte.
Gakupo non aveva risposto.
Distolse lo sguardo dal nastrino, portandolo sul suo volto.
Era freddo. Senza alcuna emozione.
Tranne gli occhi.
Quella sensazione sinistra che aveva percepito qualche giorno prima sembrò insinuarsi sotto la sua pelle, congelandone ogni centimetro.
- Cosa intendi dire? -
Il tono era gelido.
"Non useresti questo tono se... se fosse tutto normale... eh?"
Qualcosa premette sulla sua gola, uscì dalle labbra come un accenno di risata. Sentì gli occhi bruciare.
- Questo... - le labbra tiravano, isteriche: - ... questo è il nastrino della giarrettiera di Len. - inspirò, i polmoni sembravano ricoperti di ghiaccio.
Gakupo non rispose.
La sua espressione non mutò.
Il suo sguardo si fece più affilato.
Lo vide chiudere la porta, con un colpo secco.
Trasalì.
- Tu... - Gakupo gli si avvicinò, i passi spaventosamente lenti: - ... come sai che appartiene a oujo-sama? -
"Ah..." spalancò gli occhi, fino a sentirli far male: "... non mi hai detto di no..."
- Io... - voleva tornare a guardare il nastrino.
Ma la sua testa e il suo sguardo non risposero.
Non riuscivano a staccarsi dal volto dell'altro.
- ... una volta, gliene è caduta una e io l'ho aiutato a reindossarla. - inspirò per cercare aria, non ne aveva più.
Sentiva la testa completamente svuotata.
Gli occhi di Gakupo si sgranarono, la bocca si schiuse appena.
- Come sai che Ren è un maschio? -
Una pugnalata nel cuore.
Una lama ghiacciata lo pugnalò fino a trapassargli il cuore, con un solo fendente.
Il sangue gelido gli riempì i polmoni, il petto, fino ad appesantirlo, a congelarlo, strappandogli il respiro.
- Come fai tu a sapere che Len è un maschio...? -
Le proteste di Len. Quando lui gli aveva proposto di rivelare la verità a Gakupo.
Si era arrabbiato.
Aveva rifiutato.
Sarebbero servite prove materiali.
Gakupo non poteva averlo sentito dalla bocca di Len.
Non poteva averlo sentito dalla servitù o dai signori.
Il nastrino della giarrettiera.
Impossibile da trovare per caso.
Qualcosa che si trovava sulla pelle di Len, troppo vicino al suo segreto.
Segreto che l'altro conosceva.
Schiuse le labbra, le sentiva fredde: - Cosa- -
Il cigolìo della porta.
La sua testa si mosse da sola, voltandosi di scatto verso la soglia.
Un abito nero.
La pelle sul volto di Len divenne ancora più bianca, i suoi occhi azzurri si sgranarono, le labbra si schiusero.
Dei passi verso di lui.
Una mano bianca coprì la bocca, tremava.
- Mi... -
Le braccia si strinsero attorno al petto, le mani artigliarono le spalle.
Len cadde a terra, la testa chinata, i capelli biondi coprirono parte del suo viso, la gonna sbuffò.
I denti digrignati.
- Mi ha costretta! -
Immobile.
Tutto si era fatto immobile.
Anche il suo respiro.
"... costrett...?"
Quella parola, quel grido, dilaniò, lacerò ogni cosa.
Altre grida si sovrapposero.
L'una sull'altra, sempre più disperate.
La sua mente lo torturò, gli mostrò su quella pelle bianca degli squarci rossi, vividi, gocce che scivolavano lungo la pelle dei polsi e del collo, che s'insinuavano sotto la stoffa, che si univano al rosso che aveva devastato il petto, le gambe.
I gemiti, i singhiozzi, erano veri.
Li sentiva sfuggire dalla bocca di Len.
Gli scuotevano le spalle, il corpo.
Violato.
Scagliò lo sguardo al proprio fianco, puntò la pistola.
Il braccio scontrò un altro braccio.
La canna di una pistola davanti ai suoi occhi.
Lo sguardo di Gakupo era folle.
Un gemito più violento gli ferì le orecchie, gli lacerò il cuore già torturato.
"Non può essere..."
Strinse il metallo freddo.
"Non può essere... non può davvero..."
Gli occhi di Gakupo erano spalancati, una luce insana nello sguardo, fuori di sé.
"Non può..."
Quelle mani sul corpo di Len.
"Non può..."
Quelle dita strette sulla pelle bianca, che lasciavano segni violacei, le unghie che la trafiggevano, macchiandosi di rosso vivo.
"No..."
Quello sguardo folle.
Irriconoscibile.
Non era lui.
- E' scarica. -
Kyte sgranò gli occhi.
Quella voce velenosa era tagliente e gelida come la lama che l'aveva pugnalato.
Gakupo abbassò la pistola, piano, Kyte fece lo stesso.
- Hai una spada. -
Uno stridìo.
La lama sottile della katana scintillò sotto i suoi occhi: - Prendila. -.
Non era lui.
Non poteva essere lui.
Quell'espressione tanto orribile, quella voce, non potevano appartenere a lui.
Kyte gettò la pistola e il nastro sul letto, prese la propria spada e la sguainò, per poi buttare il fodero sulle coperte.
- Dietro la casa. -
Kyte strinse i denti. Annuì.
Un altro gemito gli ferì le orecchie.
Stavolta si voltò, appena in tempo per vedere Len scappare oltre la porta.
Il rumore dei tacchi, troppo veloce, gli risuonò nella mente, smembrandola ad ogni passo.
Quando svanì, era rimasta solo la sua coscienza offuscata.
E qualcosa che gli stringeva il cuore distrutto, facendone scricchiolare i pezzi, premendoli l'uno contro l'altro, aprendo altri tagli con le punte affilate delle schegge.
"Len..."
- Andiamo. -
Qualcosa di rovente lo bruciò dall'interno.
Serrò la presa sull'elsa.
La sua coscienza si risvegliò, spaventosamente attenta.
- Sì. -
Len doveva aver visto delle lacrime rosse marchiargli la pelle.
Voleva vederle anche lui.
Non proprie.
Non sulla propria pelle.

Il suono dell'erba calpestata dagli stivali aprì uno squarcio nella sua mente.
Non si era curato dell'eventuale presenza di servitori, né della possibile presenza della padrona di casa: se anche qualcuno avesse provato a fermarli - cosa che non era comunque successa -, era sicuro che l'avrebbe spinto da parte, liberando la strada.
Soltanto una volta fuori, con l'aria fredda che gli aveva riempito i polmoni all'improvviso e schiaffeggiato la pelle scoperta, percepì un barlume di lucidità, da qualche parte tra i suoi pensieri roventi.
"Ci deve essere un errore." quel pensiero lo colpì come una freccia, rallentando il suo passo: "... Gakupo non farebbe mai una cosa simile." esitò, ormai fermo.
Strinse la presa sull'elsa, le nocche sbiancarono: "Però... che motivo avrebbe, Len, di mentire? Su una cosa simile, poi...".
Alzò lo sguardo, verso l'altro, diversi passi più avanti.
Di colpo, sentì le forze venirgli meno, i pezzi del cuore che si schiantavano contro il petto, con violenza: "E... perché Gakupo non ha negato...? Perché mi ha attaccato, se non...?".
Si portò una mano alla testa, il palmo premuto contro una tempia, le vene che pulsavano: "E' tutto un equivoco. E' tutto solo un equivoco. Gakupo non ha fatto niente, non farebbe mai niente del genere. E Len... Len..."
Chiuse gli occhi, arrendendosi all'evidenza: se Gakupo fosse stato innocente, si sarebbe difeso. E Len non aveva alcun motivo per mentire.
Quello sguardo che l'aveva inquietato nei giorni precedenti tornò a farsi strada nella sua mente con prepotenza, vivido come se l'avesse davanti.
"Significa che..." riaprì gli occhi, piano: "... sono giorni che Gakupo pianificava di...?". La mano ricadde lungo il fianco.
"Ah..." riprese a camminare, il passo deciso: "... è tutto un incubo, vero?" sfregò la manica contro il viso, prima che le guance potessero bagnarsi: "Chissà se c'è un modo per svegliarsi prima del dovuto...".
Gakupo si fermò. Si voltò verso di lui.
Il retro della casa.
Uno spiazzo di verde che si univa al cielo sulla linea dell'orizzonte.
Come tutti gli altri spiazzi di verde intorno a quella casa.
"Vorrei davvero svegliarmi e scoprire che ogni cosa è rimasta identica a come è sempre stata."
Impugnò la spada, gli occhi fissi sull'altro.
Riusciva a vedere quello sguardo insano anche a quei pochi metri di distanza.
"Vorrei davvero..."
Non c'erano più la rabbia, il dolore o la paura. Non c'era più niente, in verità.
Forse andava bene così. Per il momento.
Un suono raggiunse le sue orecchie, riportando la sua mente alla realtà: sembrava il suono di una frusta che fende l'aria, soltanto meno rapido.
Un tuffo al cuore.
Abbassò lo sguardo.
"... cazzo."
Gli era capitato di vedere quella katana all'opera.
Aveva trovato affascinante e inquietante quella lama sottile che fendeva l'aria, velocissima, insinuandosi tra gli arti e le armi degli avversari fino a raggiungere i punti vitali.
Ora non la trovava più tanto affascinante.
Guardò la propria spada: "Non siamo ad armi pari." se ne rese conto solo in quel momento: "Quella cosa fa male anche se ti sfiora!".
Avrebbe decisamente preferito continuare a sentirsi vuoto.
Quei brividi di orrore li trovava fin troppo fuori luogo.
Se non altro, aveva avuto ragione a pensare che andasse bene non provare nulla.
Strinse i denti, soffocando quei brividi, e si mise in posizione, ben deciso a non attaccare per primo: "Lui è più veloce. Lo è lui e lo è la sua spada. Allora forse posso provare a romperla...?".
Serrò la presa sull'impugnatura, i battiti che rimbombavano nelle orecchie: "La sua è tagliente, ma è sottile. Se la colpissi con forza, dovrei riuscire a romperla. Solo, il debole sarà lo stesso di una spada normale...?".
Gakupo si mosse.
Le braccia non risposero.
Intravide la lama vicino al fianco, si gettò indietro, sentì il taglio dell'aria davanti ai suoi occhi.
Si fermò su un ginocchio, contro l'erba, gli occhi sgranati.
"Un colpo dal basso?"
Si accorse di avere l'arma a terra, la sollevò, appena in tempo per vedere la lama calare su di lui.
Alzò la spada, il palmo premuto contro il debole, facendo scontrare la katana contro il piatto, il contraccolpo gli scosse le braccia.
Era ancora intera.
Kyte rimase immobile, il respiro lento, come se fosse diventato incapace di inspirare ed espirare normalmente.
Neanche si chiese perché non fosse riuscito a muoversi. Lo sapeva.
Strinse i denti: "Devo rompere quella katana!". Forse, così, sarebbe tutto finito.
Li vide.
Oltre le lame incrociate, riuscì a vedere quegli occhi chiari, velati da qualcosa di simile alla rabbia.
All'improvviso, capì: "Non voleva ferirmi al busto... questi colpi..." non poteva permettersi di tremare.
Fece leva sui piedi e spinse indietro Gakupo, rialzandosi.
Prima di dargli il tempo di fare qualsiasi cosa, fece ruotare la spada e la calò con forza contro la katana.
La lama sfuggì da sotto i suoi occhi.
La spada fendette l'aria, la punta andò a sbattere contro il terreno.
Indietreggiò di tre passi, riportando l'arma a difesa.
Per un istante, aveva sentito una leggera resistenza.
Quando guardò il volto di Gakupo, sentì una morsa allo stomaco: una linea rossa era apparsa sul suo viso, su una guancia.
L'espressione dell'altro rimase impassibile, l'unica luce di vita data dallo sguardo.
"Non posso permettergli di attaccare. Neppure un solo colpo." serrò la presa: "Sta cercando di decapitarmi.".
Gakupo teneva la lama verso l'alto.
Forse era l'occasione giusta.
Si scagliò contro di lui, la spada fendette l'aria di lato, in un arco, per poi abbattersi sulla katana.
O dove aveva calcolato esserci.
La spada andò oltre, senza incontrare ostacoli.
"Oh... no..."
Quegli occhi erano troppo vicini.
E aveva intravisto la lama sottile scivolare di nuovo vicino al suo fianco.
Un urlo gli sfuggì dalle labbra, la spada cadde nell'erba.
Le ginocchia sbatterono contro il terreno, qualcosa di caldo e viscido gli bagnò il braccio destro, un odore metallico gli invase i polmoni, gli parve di sentirlo impastargli la bocca, nauseante.
Afferrò il braccio con l'altra mano, sentendola bagnarsi.
Inspirò, cercando di scacciare quell'odore disgustoso che gli stava dando le vertigini.
Sentiva la mano destra tremare, fuori controllo.
Alzò appena la mano sinistra. Si costrinse a guardare.
Uno squarcio rosso vivo si apriva sul suo braccio, vestiti e pelle lacerati, tinti di rosso quasi fino al gomito, in strisce sottili, in un'unica striscia larga.
Faceva male.
Faceva fin troppo male.
Bruciava.
Riportò la mano a coprire la ferita.
Cercò di muovere le dita della mano destra.
Ci riuscì. Almeno non era così grave.
"La spada..." realizzò, notandola mezzo metro più in là.
Una lama apparve nella sua visuale.
"Ah..."
Alzò lo sguardo, i pezzi del cuore che battevano con violenza, facendo uscire ancora più sangue, impedendogli di muoversi. Era colpa loro. Sì, lo era.
Era per quello che aveva così freddo.
La lama si alzò, pronta a calare.
Kyte guardò gli occhi di Gakupo.
Trasalì.
Non c'era più quel qualcosa di simile alla rabbia.
Erano lucidi.
- Tu... - la sua voce era bassa, ma la sentì come se gli stesse sussurrando all'orecchio: - ... sei il secondo a morire. -.
Non pensò a nulla.
C'era solo quella lama con cui Gakupo l'aveva ferito, come aveva ferito Len.
E quella lama fendette l'aria.
- FERMO! -
La lama si bloccò.
Kyte si voltò, incredulo.
- BASTA! - Len cadde a terra, con uno sbuffo della gonna nera.
"Len...?"
Lo vide cercare di rialzarsi, a fatica: - BASTA! YAMETE! YAMETE! - urlò, la voce spezzata. Cadde di nuovo, senza essere riuscito a rialzarsi.
"Len..."
Kyte si alzò, accorgendosi solo in quel momento di quanto le sue gambe fossero instabili, la ferita che pulsava, bruciava.
Quei gemiti lo stavano uccidendo.
Quando vide quella mano bianca tendersi verso di lui, non ebbe bisogno di nessuna scusa: con poche falcate, tremanti, raggiunse Len, lasciandosi cadere davanti a lui. Prese la sua mano nella propria, portandola al viso.
- Len... - mormorò, la voce uscì soffocata: - Len... io non... non... -
"Non ci sono riuscito. Non sono riuscito a vendicare il vostro onore. Ho fallito. Perdonatemi. Perdonatemi. Perdonatemi." non riusciva a dirlo, le parole erano bloccate nella gola. Cercavano di uscire, facevano male, ma non ci riuscivano.
Sentiva gli occhi bruciare. Sentiva il braccio bagnato, viscido.
Non avrebbe voluto che Len lo vedesse, che sentisse quell'odore metallico.
Ma non poteva farci niente.
Se solo fosse riuscito...
- Voi... - la voce di Len, bassa: - ... siete così... - un respiro: - ... divertenti. -.
"... cosa...?"
Qualcosa al proprio fianco.
Spostò lo sguardo.
Gakupo.
Inginocchiato davanti a Len, come lui.
Una mano bianca nella sua, sul viso, sulla guancia non ferita, come lui.
E i suoi occhi chiari, sgranati.
Come i suoi.
Un brivido.
Tornò a guardare Len.
Svariate ciocche bionde erano sfuggite al nastro, accarezzandogli il viso, nascondendolo assieme ai ciuffi sulla fronte.
Le labbra erano curvate.
In un sorriso.
- Ma, del resto... - Len alzò il volto, negli occhi azzurri una luce divertita: - ... non potevo aspettarmi di meglio, dalle mie bambole preferite. -.
- Cosa...? - Kyte faticò ad articolare le parole, paralizzato.
Una risata leggera.
Lo sguardo di Len si spostò su Gakupo: - Il vincitore siete voi. E avete riportato solo un graffio! Davvero notevole. -
Kyte lo vide accostarsi all'altro, lo vide baciargli le labbra, la bocca schiusa.
Sentì le forze svanire.
Gakupo non reagì. Aveva gli occhi spalancati.
Len si scostò, passandosi la lingua sulle labbra: - Meritavate un premio, Gakupo. - sorrise.
- Ren... -
Quando sentì quella parola, quel nome, una morsa rovente strinse i pezzi del suo cuore.
Sembrava una supplica.
Lo era nel tono, lo era quello sguardo chiaro.
Quegli occhi azzurri si piantarono nei suoi.
Non riuscì a muoversi.
- Avete perso, ma vi siete battuto con onore. - Len gli si accostò: - Stavolta la Fortuna non era dalla vostra parte. - un sorriso: - Sarà per un'altra volta. - Quelle labbra morbide sulle sue, schiuse, una carezza, prima che si scostasse anche da lui, la lingua assaporò di nuovo quelle labbra: - Meritavate almeno un premio di consolazione, Kyte. - un altro sorriso.
Voleva parlare.
Voleva chiedergli cosa stesse succedendo.
Voleva svegliarsi.
Voleva che quell'incubo avesse fine.
Non riusciva a fare nessuna delle due cose.
Len si alzò, sistemandosi la gonna nera: - Direi che è meglio rientrare. - disse, tirando indietro una ciocca bionda: - Quella ferita va decisamente curata. Eh, Kyte? -
Voleva...
- Cosa sta succedendo? -
Len sorrise, candido.
Poi il suo sguardo si fece divertito, sinistro: - Seguitemi. -.
Il sorriso non aveva più nulla di sano.
La voce sembrava una derisione.
Kyte si alzò, piano, tremando.
Aveva freddo.
"Cosa sta succedendo, Len...?".






Note:
Nessuna. U.U




Vi avevo detto di fare attenzione ad ogni punto dello specchietto. Tipo a quel "Triangolo".
E poi, su, è una storia su quei tre.
Certo, avrei potuto evitare il Cliché Imitation Black, immancabile quando si parla di VanaN'Ice. Avrei potuto. E invece non l'ho fatto. Del resto, l'ho sempre detto di non essere troppo originale.

Avevo anche detto che era una storia su Lovelessxxx (o qualcosa di simile) e qualcos'altro. Imitation Black è uno di questi qualcos'altro. (Di certo non potevo dire al primo capitolo: - Sì, è una storia in cui Imitation Black è molto presente! *O* -, avrei fatto prima a dirvi pure il finale... U.U")
Comunque, immagino che già alla terza citazione consecutiva dell'Imitazione Nera si fosse intuito come sarebbe andato a finire. Per questo, nel capitolo precedente, ho preferito non schiaffare subito in faccia a Chiunque che si trattava proprio della dolcissima e sincerissima strofa cantata da Len nella suddetta canzone. U__U
(Per la cronaca, il pezzo in questione era: "Vi penserò ogni giorno / La sensazione delle vostre spalle nel mio abbraccio / prima che svanisca, vi reincontrerò".)
*Sì, voleva illudersi che non fosse poi così ovvissimo.*

Comunque, ci sono anche un paio di citazioni più velate ad Haitoku no kioku - The lost memory. U.U
Una è la frase sul raffreddore, leggermente modificata - sì, mi ero da poco rivista il video. *...*
La seconda è la scena di quei due che si puntano le pistole contro.
Sì, anche il fatto che Kaito e Gakupo si scannino per Len è un altro dei Cliché - con la maiuscola - dei VanaN'Ice. Ma credo si sia intuito che certi cliché non mi dispiacciono affatto.
E... spero che la zuffa sia almeno decente/comprensibile/passabile. °A°" *Sembra che Soe e i rating più alti, di qualsiasi tipo, non vadano proprio a braccetto...*

Poi.
Vi sembra che Len sia un pelino instabile di mente?
Del resto, nella stessa Lovelessxxx non sembra proprio sanissimo.
Avete intuito l'atmosfera dei prossimi capitoli.
(E per quanto possa sembrare, no, non è una cosa spuntata fuori all'improvviso. C'erano degli indizi, nei capitoli precedenti. Davvero.
Ricordatevi dell'epoca in cui siamo. E della mentalità.
In ogni caso, tutto sarà spiegato.)

Detto ciò, spero che questo capitolo vi sia stato di gradimento. ^^
Per qualsiasi consiglio o critica, dite pure. ^^
  
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