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Autore: endlesshope    26/03/2014    0 recensioni
La distanza, a volte fa male, a volte si tramuta in qualcosa che non si può superare.
Ma l'amore, l'amore non attraversa solo la distanza degli oceani, a volte attraversa pure la distanza del cielo
Genere: Malinconico, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
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La luce.
Poca cosa, la ritroviamo ogni giorno quando apriamo gli occhi.
Così scontata, così ovvia.
Pensiamo subito al sole, sentendo la parola “luce”. Pensiamo ad una lampadina, ai fari di un' auto, ad una stella, magari anche ad un falò…
Ma tutto quello che esiste, tutto quello che circonda l’universo è luce.
Cosa sarebbero le stelle senza luce? Cosa sarebbe il giorno senza luce?
Cosa sarebbe una vita priva di luce?
Sarebbe nulla, sarebbe l’universo senza stelle, sarebbe l’arcobaleno senza colori.
L’amore è luce, la vita è luce, la felicità è luce, la musica è luce.
Lei, lei era luce.
Così fioca, ma così brillante nella sua incompletezza.
Così nascosta, ma così evidente agli occhi di chi voleva notarla.
Non era una ragazza normale, ma nemmeno strana. Non era triste, ma nemmeno felice. Non era brutta, ma nemmeno carina.
Era luce, era solo luce. Era, era e basta.
Ma guardandola negli occhi si capiva perché era luce.
Era luce perché sognava.
Sognava ad occhi aperti, sognava, e brillava sognando.
Guardava il cielo con lo sguardo di un gabbiano, con le nuvole riflesse nell’iridi smeraldo e le rondini che le navigavano nelle pupille scure.
Viaggiava con il pensiero, scappava, volava come le rondini libere e veloci, migrava dal suo mondo quando tutto diventava freddo.
Partiva per i suoi lunghi viaggi lontani e senza andare da nessuna parte, andava dappertutto.
 
 
“Claire, smettila di stare con la testa fra le nuvole!” ormai quella frase lei l’aveva stampata nei timpani
Ma che ci poteva fare? Non era colpa sua se aveva le ali alla mente, se con l’immaginazione spiccava il volo ogni qualvolta potesse… non riusciva a fare altrimenti…
Raccolse i lunghi capelli ramati con un gesto rapido e svogliato, continuando poi a spolverare le grandi mensole del soggiorno con movimenti leggeri e quasi ritmici.
Finito di eseguire al minimo dell’indispensabile quel compito che tanto la annoiava, Claire si diresse con fare deciso verso la sua stanza, facendo risuonare tutta la casa con i suoi passi non esattamente felpati.
Non era molto magra, né molto bella, né molto alta. Non era molto.
Si lasciò cadere su una sedia affiancata alla scrivania, e con un movimento del braccio poco consono alle raccomandazioni di tenere in ordine, liberò il piano dalle mille carte, facendole cadere sul letto. Prese sorridendo un foglio di carta e una busta dalla mensola poco sopra di lei e se li appoggiò davanti con una delicatezza e una premura quasi eccessiva.
Poi senza smettere di sorridere e qualvolta di sospirare piano, iniziò a riempire l’azzurro foglio liscio con lunghe cascate di parole che sembravano uscirle dalle mani come acqua.
Scriveva a lui, al suo sogno, alla sua estate, alla sua spiaggia di Los Angeles al tramonto, alle sere passate intorno al falò a ridere e ascoltare lui che le suonava la chitarra cantando, scriveva al rumore dell’oceano mentre lui le teneva le braccia attorno alle spalle per ripararla dal vento, alle corse sulla sabbia e al ballare per le strade a notte fonda senza che ci fosse nessuna musica.
Scriveva a Lui. Scriveva al suo Joseph.
Gli occhi le brillavano tanto da sembrare gioielli e la sua espressione aveva tutta la bellezza del volto di una ragazza innamorata.
Era strano che si scrivessero lettere per posta, quando potevano benissimo mandarsi decine di messaggi per cellulare, quando potevano stare ore al telefono a parlare di niente, anche solo ad ascoltare i respiri reciproci, quando a volte si addormentavano con i PC sul cuscino e le webcam lasciate aperte, e chi cadeva nel sonno per ultimo rimaneva a guardare l’altro abbracciato al computer finchè non ce la faceva più.
Ma loro lo facevano, perché sapere che quel singolo pezzo di carta era stato accarezzato dalle loro penne e dalle loro mani li faceva sentire meno distanti, sentire il profumo un po’ dissolto delle carte da lettere li faceva sentire quasi vicini.
La lettera appena scritta stava distesa ad osservare Claire rileggerla mentre il suo viso mutava in buffe smorfie affettuose al ripassare gli occhi su alcune righe.
Quella non era una lettera qualsiasi, non era come le altre.
In quella arrivatale poche ore prima da oltreoceano c’era quello che Claire aveva sempre voluto leggere da Joseph: lui sarebbe venuto a stare lì con lei, dato che aveva finito il college da poco e poteva scegliere una meta per il viaggio del diploma.
Lei, appena lette nella sua scrittura le parole che aspettava dal momento in cui aveva dovuto salire sull’aereo che l’aveva allontanata da lui, quasi aveva dimenticato come si respirava, per la felicità.
E ora aspettava, aspettava di quell’attesa carica di felicità, di progetti, di amore, carica di luce.
I giorni passavano, e alla lettera scritta da Claire non c’era risposta.
Mancava poco al giorno in cui sarebbe dovuta andare a prendere il suo Jo all’aeroporto, ma lei non si preoccupava di non aver più ricevuto sue notizie.
“Sarà occupato a prepararsi per il viaggio” pensava semplicemente.
Poi il giorno arrivò.
Sua madre accompagnò Claire all’entrata dell’aeroporto, e la ragazza corse dentro, i respiri che le si fermavano a metà, il cuore che batteva forte ma saltando battiti.
L’aereo atterrò, le porte si aprirono, tante facce estranee sfilarono davanti a Claire.
Le mancava l’ossigeno, cercava fra i volti di tutti quello per cui tanto aveva aspettato e fino all’ultimo fu convinta di vederlo scendere e di poterlo abbracciare come non fossero passati gli otto mesi e non fossero mai esistiti i migliaia di chilometri di distanza, quella maledetta distanza.
Ma lo sportello si chiuse, e lui non c’era.
Claire lasciò cadere tutta la sua delusione in una delle sedie malandate della sala arrivi.
Non riusciva a piangere, non aveva lacrime.
“forse avrà perso il volo...” e cercò di convincere sé stessa che fosse così.
Ma un addetto dello scarico bagagli si avvicinò alla ragazza che teneva il capo chino fra le ginocchia e chiamò piano con voce dispiaciuta: ”È lei la signorina Claire Warm? Mi hanno detto di consegnarle questo.”
Appoggiò un grosso pacco affianco alla ragazza e si allontanò.
Lei alzò lo sguardo, più confusa che mai, e appena lo vide si sentì avvolgere da un vento di puro terrore.
Era la sua chitarra, la chitarra di Jo .
Cosa ci faceva lì? Perché non c’era lui?
Claire non capiva, non voleva capire.
Aprì tremante la carta da pacchi che avvolgeva lo strumento e ci trovò dentro una lettera ed un lettore mp3.
Si mise le cuffiette e fra le note iniziali dell’unica canzone contenuta nel lettore musicale cominciò a leggere la lettera:
“Cara Claire…”
Chiuse gli occhi. Riconobbe subito il timbro della voce di Jo e il suono della chitarra che la accompagnava. Come non avrebbe potuto?
 
“Cara Claire,
mi dispiace.
Non sono lì con te, non sono sceso dall’aereo e non ti ho salutata un’ultima volta prima di lasciarti per sempre.
Avrei dovuto dirtelo, dirtelo dal momento in cui t’ho vista. Ma come potevo?
Come potevo, guardando i tuoi occhi felici, guardando la luce in te, dirti che ti avrei dovuta lasciare? Come avrei potuto pronunciare le parole di cui io stesso avevo terrore?
Non ci sarei riuscito.
Ora forse è tardi, o forse è ora, ma devi sapere.
Da tempo so che prima o poi avrei dovuto andarmene.
“Tumore al cervello” aveva detto il medico, quando ancora io non avevo idea di cosa fosse, quel “tumore”.
Per anni la mia famiglia cercò cliniche specializzate e cure, ma i risultati rimanevano sempre “inoperabile” e “incurabile”.
Così c’era solo da aspettare. Io mi ero rassegnato, ma quando sei arrivata tu non ho avuto il coraggio di caricarti un tale peso sulle spalle.
Mi dispiace Claire, ma sappi che quando ero al tuo fianco mi sembrava di stare in un sogno, e non volevo rovinarlo.
Mi dispiace Claire, ma sappi che quando mi stavi vicino tutto sembrava giusto e la mia malattia sembrava non esistere. Mi illuminavi la vita e mi hai insegnato a sognare. Stare con te mi ha reso più forte, ma ora chiedo a te di essere forte, e di farlo per me.
Io non posso più essere lì con te, mai ho lasciato una canzone che ti ho scritto, e te ne prego, ascoltala.
Sii forte Claire, non smettere di sognare”
 
 
 
 
La ragazza si accorse di stare piangendo solo alla vista delle lacrime che formavano cerchi sulla liscia carta da lettere. Era paralizzata. Non tenne il conto di quante volte lasciò la canzone ripetersi.
Continuava ad ascoltare quella voce che tanto aveva amato cantare quelle strofe.
 
I am gone,                                                           io non ci sono più
that’s the life                                                       così è la vita
I have been the rain                                            io sono stato la pioggia
Please be still the light                                        ti prego sii sempre la luce
 
So if you try sometimes                                      così se provi qualche volta
To look at the sky                                               a guardare il cielo
You could see                                                     potresti vederci
us in a rainbow                                                  in un arcobaleno
and smile                                                           e potresti sorridere
 
Non riusciva a crederci, era convinta di essere in uno strano incubo.
Ma non era così. E adesso?
Doveva “rimanere la sua luce”?  Doveva “essere il suo arcobaleno” anche se lui non c’era più?
Non sapeva cosa fare. Si sentiva terribilmente sconvolta e persa fra le macerie del niente che le era rimasto.
 
Passarono forse ore, forse minuti, per lei passò una vita intera, prima che si alzasse, ormai svuotata del tutto dalle lacrime, e stringendo la chitarra tornasse fuori e si facesse riportare a casa senza dire una parola.
I giorni scivolavano via lenti e vuoti. Claire continuava a non dare nessuna spiegazione di dove fosse Joseph, di cosa fosse successo. Non parlava più molto, non ne aveva la forza.
Poco a poco quelli che la circondavano se ne abituarono e lasciarono quella storia allontanarsi dalle loro memorie, disinteressandosi al perché lei fosse cambiata così tanto, e così improvvisamente.
Non pareva loro poi così importante, la vita continuava, anche per Claire.
 
Qualche estate dopo, ci fu un terribile temporale. Caddero oceani di pioggia e quasi pareva quel diluvio non potesse avere fine. Claire rimase tutto il tempo seduta alla finestra, sembrava quasi contare ogni goccia di pioggia, quasi bisbigliare un saluto ad ogni lacrima di nuvola.
Le luccicavano gli occhi, ma forse era solo un riflesso dei fulmini che imperversavano nel cielo.
Non si mosse per ore, poi improvvisamente, andò a recuperare una vecchia chitarra un po’ malandata e uscì. Iniziò a suonare, sotto le cascate del cielo, la pioggia a distorcere le note prodotte dallo strumento. Camminò lentamente per poche decine di metri, sorridendo sotto la pioggia.
Poco dopo il cielo iniziò a rischiararsi e le nuvole a lasciar passare i raggi di sole a baciare le gocce di pioggia ancora nell’aria.
La ragazza strana con la chitarra che aveva camminato sotto la pioggia sorrideva, sorrideva sempre di più. Guardava un arcobaleno formarsi all’orizzonte, suonava, piangeva e sorrideva fra le lacrime.
I colori nel cielo diventavano sempre più nitidi e lei quasi riusciva a sentirlo.
Claire quasi brillava, ma forse erano le gocce rimastele fra i capelli e fra le ciglia.
Claire quasi sentiva la risata di Jo, ma forse erano gli ultimi tuoni.
Claire quasi sentiva il rumore dell’oceano e le sue braccia attorno alle spalle, ma forse era il vento che soffiava forte.
Dovunque fosse lui in quel momento, lei guardando quell’arcobaleno lo sentiva vicino.
Dovunque fosse lui in quel momento, lei gli sorrise.
Perché lui era stato la pioggia e lei era sempre la luce. Anche a qualunque distanza, sarebbero stati sempre l’arcobaleno.
  
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