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Autore: Enthusiasmos    27/03/2014    5 recensioni
"Shhh. Ti amo"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Kai, Kai, Sorpresa
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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TACENDA

[n.] things better left unsaid; matter to be passed over in silence

 


Raccolse la fotografia accartocciata gettata a terra con rabbia solo poche ore prima. Le lunghe dita, guidate da una sorta di masochismo puro e semplice, si erano spinte sin dove la mente non aveva nemmeno osato pensare. I polpastrelli accarezzarono quella carta plastificata come avevano fatto con le guance morbide di pesca della persona che più aveva amato e che più amava sulla faccia della Terra.
La stessa persona ritratta nel misero pezzo di carta ormai stropicciato, gli angoli divorati dal tempo, la pellicola ormai corrotta. 
E la stessa persona a cui non era bastato il suo amore, a cui non era bastato.
Nemmeno lui, che gli aveva offerto un rifugio fatto di tacita accettazione, era riuscito a fermare la sua fuga, la sua caduta, il suo precipitare.
Appianò le pieghe che deformavano i lineamenti delicati e decisi, rughe bianche che fratturavano la sottile istantanea di uno spontaneo momento di tenerezza. Voltò il foglio, come era solito fare, ormai schiavo di quella cattiva abitudine. Gli occhi caddero ancora una volta su quelle poche lettere tremolanti, scritte di fretta, come tutto quello che lui faceva. La calligrafia ordinata che cercava inutilmente di creare un cosmo nel suo caos personale. E consapevole.
Tuttavia Jongin se ne accorse solo dopo, solo quando non aveva più la possibilità di corrergli dietro, di supplicarlo, di distrarlo. Solo quando era al sicuro dal suo amore, dalla sua condanna a morte. 
Lo sguardo tracciò per l'ennesima volta quelle linee, bruciando di rabbia e d'amore. Come aveva potuto scrivergli le uniche parole per cui sarebbe morto allo scopo unico di sentire? Come aveva potuto fargli questo?

 
TI AMO

Seguito da una data senza importanza, una data che campeggiava minacciosa sotto quelle parole agognate, data del decesso della loro vita assieme, data di nascita della loro decadenza.
L'aveva scattata Jongin quella foto. E pensare che amava così tanto la fotografia. Ora in essa ci vedeva solo infiniti tentativi di trattenerlo al suo fianco, di incatenarlo alla sua vita semplice. Ci vedeva solo una diarrea di frasi non dette, di verità taciute.
L'espressione di genuina felicità bidimensionale ora gli sembrava una grottesca maschera di carnevale, indossata per l'occasione per poi essere buttata e distrutta in mille frammenti. E lui, genuino, idioticamente innamorato, aveva preso parte al ballo senza un travestimento. Gli occhi pugnalarono ancora una volta quel sorriso, bellissimo e immortale, di cui non poteva fare a meno. La rabbia lo divorava, ma non poteva farne a meno. Quella sottile linea incurvata era ormai l'unico ossigeno in quella sopravvivenza fredda. 
Lo amava.
Lo amava e non poteva farci nulla. 
Aveva imparato ad amarlo in modo così incondizionato che non gli erano importate le incongruenze, i silenzi, le improvvise fughe e gli altrettanti ritrovamenti.
Lo amava così totalmente da aver dovuto accettare la sua decisione di abbandonarlo, di lasciarlo lì, in quella stanza che racchiudeva le loro notti, a fare i conti col resto della sua vita. 
Ribolliva d'ira mentre bombardava la fotografia di rimpianti inespressi, di urla ingoiate, di bugie. Rigirava il frammento di vita tra le mani, pugnalandosi ogni volta che leggeva quelle poche lettere, accoltellandosi mentre rivangava quella memoria che pareva aver avuto luogo su un pianeta lontano anni luce, ormai irraggiungibile. Ormai fuggito, impazzito, dall'orbita delle sue mani, delle sue braccia, del suo amore.

Perchè?
Perchè me l'hai scritto?
Potevi dirmelo. Ne avevo il diritto, no?
Potevi non scrivermelo. Ne avevo il diritto, no?


Sentiva gli occhi due pozze d'acqua in procinto di straripare sulla sua pelle di bronzo. Non di nuovo. Però ormai pareva non riuscire ad avere il pieno controllo del proprio corpo, con lacrime salate che gli tagliavano la pelle e il palmo della mano che rigirava l'istantanea -il coltello nella piaga- senza stancarsi. La fotografia ritraeva l'amore che gli sorrideva, baciato dal pallore della luna, lenzuola di seta che risplendevano della sua bellezza senza fiato. Rideva, soddisfatto dell'amore che avevano appena consumato sullo stesso letto che ora era divenuto la bara del suo essere. Gli occhi due mezzelune brillanti mentre cercava con una mano, fuori fuoco, di allontanare l'obiettivo della macchina fotografica dal suo corpo nudo luccicante di sudore. Non ricordava pudori tra loro, una volta scoperto l'amoroso incastro, l'amoroso cappio all'anima.
Lui lo aveva sempre invidiato per la sua pelle scura, così decisa, così identificativa, così concreta. Solo allora capì cosa gli aveva detto, tra le righe.

 
Jongin io scompaio tra queste lenzuola bianche con la mia pelle pallida.
Io mi confondo nello sfondo, nella realtà sono solo un'ombra trasparente, un fantasma.
Sono solo un ladro nello spazio e nel tempo.

Solo ora capiva quell'invidia assolutamente inaccettabile. Adorava la pelle pallida dell'altro, così lattea da accecarlo. E forse avrebbe dovuto capire all'epoca che non poteva davvero guardarlo per come era, per chi era. Non riusciva. Era accecato dal suo sole, e allo stesso modo in cui non si può osservare direttamente l'astro luminoso, lui non aveva accesso alla sua stella. Ne poteva vedere solo gli effetti collaterali, tra cui spiccava l'aver dato senso alla sua vita. Solo allora si accorse di non essere stato in grado di vederlo davvero. E questa sua incapacità gli si era ritorta contro.
Non riusciva. 
Era troppo poco per lui.
Ma lui, cieco masochista, aveva tentato, l'amore a fargli da Caronte verso le Bolgie Infernali. 

L'amore l'aveva nutrito di silenzi che aveva letto nel modo sbagliato.
Il tacere era stato sin dall'inizio il terzo compagno del loro rapporto, ma Jongin non lo aveva mai ritenuto scomodo. Non finchè il triangolo si ridusse ad un duetto di cui solo un componente cantava la disperazione al proprio mondo di sommersi usando il pianto come cacofonia. Non finchè quel silenzio si fece opprimente e oppressivo, fiatando il respiro freddo e arido. E nella sua testa quel TI AMO aveva la sua voce, ma nelle orechie risuonava di vacuità, di amaro sentimento malinconico.

 

Novantaquattro giorni, tredici ore e nove secondi

Fissava vuoto l'orologio infantile alla parete scrostata. Un suo regalo. Un altro suo relitto in quella casa incapace di trattenere calore. La lancetta dei secondi torturava il suo compagno silenzioso e invisibile col suo martellare. E il martellare che lo torturava, in carne ed ossa, col pensiero scomodo e concreto di non aver la capacità di bloccare il tempo. Di ghiacciarlo quando più lo desiderava. Di annichilire il movimento e incatenare lui, lì, per sempre. 
E capì che anche quello era un altro segnale che lui gli aveva lanciato, un'altro discorso non detto.

 
Jongin, il tempo scorre.
Il nostro tempo scorre.
Il tempo che ci è stato concesso sta per giungere al termine.
Il "per sempre" non esiste.
Tutto finisce.

Sentì il cuore stringersi in un petto ormai freddo che a mala pena riconosceva come suo. Si portò una mano dalle dita mangiucchiate al cuore, che gli batteva a ritmo regolare ma accellerato. Il fallimento gli riempiva il corpo di rimpianti, modellandolo sotto spasmi sempre più evidenti. Nelle orecchie il suono della sua voce che rideva e cantava quel ritornello divenuto nel tempo familiare, che dava un senso alla sua vita. Percepiva le sue dita perennemente gelide sulle sue palpebre ora chiuse, sulle occhiaie scure e profonde, lungo le labbra piene. Oh, quelle mani, quelle mani che lo avevano fatto innamorare a prima vista. Le dita protese nella pioggia accompagnate da quel sorriso ammiccante, lo stesso ritratto nella foto ora abbandonata sul materasso, lo stesso per cui avrebbe dato la vita.
E ora quelle stesse dita si intrecciavano alle sue, le afferravano causandogli brividi sul corpo nudo. Le spostavano dal petto, dal cuore.
Spalancò gli occhi il ragazzo nutrito d'immaginazione, aprì lo sguardo per fissare il vuoto, ma le sue pupille furono ingoiate da quelle che aveva agognato. 
Lui.
Incredulità.


"BaekHyun"
"Shhh. Ti amo"


Un bacio traditore sulle labbra.
Un'arma puntata al cuore.


Silenzio.


 

TADAH! IT'S ENTHUSIASMOS!
Non so cosa ci faccio qui a quest'ora a pubblicare, ma, come dire, l'ispirazione mi ha colta e ho buttato di getto questo altro piccolo trip mentale. No, non sono in grado di scrivere storie tranquille e semplici, ma sono comunque contenta di questo bel rating... GIALLO! *stappa champagne* La storia è dedicata ad una delle mie OTP preferite, una di quelle che nessuno si calcola... la KaiBaek! Sì, crack pairing, e, sì, ovvio, sorpresa: chi mi ha già letto sa bene che non sono proprio una fan del "ti faccio capire tutto e subito"! Uh, se non si fosse capito: sì, Baekhyun è tornato e sì, ha ucciso Jongin. 
Coooomunque, chi aspetta l'aggiornamento di "Four Seasons"... beh, l'Autunno mi sta dando mille magagne, ci sto lavorando sopra quindi non demordete, però dovete attendere un pochino! 
Spero intanto che questa OS scritta di getto vi sia piaciuta... se vi va commenti/impressioni/insulti/consigli/etc sono ben accetti!!!
Vi lascio il link della mia pagina su FB, nel caso vogliate contattarmi! ;D Non siate timidi! ;D ZUD
Alla prossimaaaa
XOXO
ZUD

  
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