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Autore: ALEXIANDRAisMe    27/03/2014    0 recensioni
Damian e Keira stanno insieme da un po’. Lei è una studentessa d’arte in un’Accademia in Inghilterra. Lui un’affascinante psicologo. Entrambi hanno modi di ragionare controversi e questo in molti casi li porterà a ferirsi. Paura, Orgoglio, Libertà, Solitudine.. sono tante i motivi che porteranno questa coppia a scoppiare. Ma se anche solo uno dei due non si arrende, allora la Speranza e l’Amore saranno gli ultimi a morire!
Ps: È una song-fic quindi gli eventi sono separati da un sostanzioso intervallo di tempo, delle volte. Ho seguito una continuità cronologica in modo da rendere maggiormente chiara la sequenza degli eventi.
Genere: Romantico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Non promettermi storie uniche, non funziona più così.
- Perché mi hai portata qui? – chiesi guardandomi intorno.
Ci trovavamo in un appartamento al quarto piano, senza ascensore. Avevo il fiatone per essergli corsa dietro durante la ripida salita.
- Ti piace? – domandò lui, girandosi ad osservarla. Il suo tono di voce era ancora pacato, come se non gli importasse davvero, ma la posa rigida rivelava i suoi pensieri. Decisi di guardarmi bene intorno prima di dargli una risposta.
L’arredamento era semplice, un po’ vintage e un po’ moderno, ma senza stonare.
Nell’unica camera iniziale si apriva il soggiorno e la sala da pranzo. Andando verso destra scorsi la cucina, piccola, ma non mancava niente.
Tornai sui miei passi e presi la strada a sinistra, era un bagno. La vasca da bagno era la cosa migliore, aveva le zampe di leone che mi piacevano tanto e non era volgarmente incassata al muro. Niente doccia, arricciai il naso.
Sentì la sua voce alle mie spalle, vicinissima – Volevo che fosse un bagno in cui rilassarsi, non “da docce veloci” –
- Questo in assenza di una camera da letto? – Risi.
Si bloccò guardandosi intorno – Quella porta alla camera da letto! –
- Nel senso che ci si arriva solo dal bagno? – inorridì per un secondo a quel pensiero, cercai di non darlo a vedere storcendo le labbra come avevo intenzione di fare.
- No. Vieni ti faccio vedere! –
Ci lasciammo il bagno alle spalle e poco distante dalla porta c’era un piccolo pomello che arrivava più o meno all’altezza del mio collo. Corrugai la fronte. Sembrava una specie di appendi abiti a primo impatto. Lui lo girò leggermente e spinse, il muro si aprì in un’ampia camera: il letto matrimoniale era posto esattamente al centro della stanza, alla destra una finestra che si affacciava al parco sotto casa e a sinistra un alto armadio, il tema di semplicità non c’era affatto nella spalliera in ferro battuto nera, modellata come fossero rami rampicanti con boccioli e fiori aperti.
- Wow. Cosa dovrebbe significare tutto questo? – chiesi ingenuamente.
Mi abbracciò da dietro, sorrisi mormorando – Capisco. –
Cosa vuoi che sia, non è colpa tua. Sai che spesso capita!
Mi svegliai all’improvviso, era quasi un’impresa riuscire a liberarsi da quelle coperte. Sollevandole tutte insieme e liberando le braccia notai che anche il mio busto era bloccato dalla prigione naturale che erano le braccia di Damian. Sbuffai e cercai di sgusciare via.
Attraversai la casa per arrivare alla cucina per prendere un bicchiere d’acqua e lo scolai in pochi sorsi. Tornando in camera con passo pesante ripensai all’incubo che mi aveva quasi portata ad urlare nel sonno. Prima di rimettermi a letto dovevo calmarmi, assolutamente.
Mi ritrovai a guardare fuori dalla finestra, il parco di notte sembrava quasi un altro mondo.
Agì d’impulso.
Scesi di corsa le scale e solo quando i piedi furono a contatto con il freddo glaciale dell’asfalto mi accorsi di essere a piedi nudi. Corsi verso il prato sperando di trovare un po’ di sollievo ma la brina dell’umidità della notte non faceva che solleticare e mandarmi brividi lungo tutto il corpo attraverso la pianta dei piedi. Non importava più. Nel cielo una bellissima luna piena risplendeva in tutta quell’oscurità.
Alle mie spalle sentì dei passi. Uscire di notte e da sola probabilmente non era stata una grande idea.
Mi voltai e mi trovai di fronte a Damian. – Fai lo stalker nei parchi ora? – chiesi, nascondendo il nervosismo della paura da una manciata di sarcasmo acido.
- Non ho bisogno di fare lo stalker, nessuna mi resisterebbe. – rispose accennando un sorriso malizioso. Con il pigiama scuro che nascondeva la sua figura magra e i capelli disordinati dall’aver dormito fino ad ora, aveva quell’aspetto sbarazzino così in contrasto con il cipiglio scocciato e serio che aveva di solito. Davvero irresistibile.
- Kei, posso chiederti cosa fai qui al parco, in pigiama e senza pantofole, al freddo e al gelo? – chiese infine, vedendo che da sola non mi sarei mai spiegata.
- Guardavo la luna, è così piena e magnifica. Ma sembra sola. – risposi con lo sguardo nuovamente puntato verso l’alto.
- Anche tu ti senti sola? – domandò Damian ad un certo punto. Rimasi a pensare alle due parole, ma era ovvio quale sarebbe stata la mia risposta. – Si, ma ho te. –
Lui sorrise e insieme tornammo all’appartamento e sotto le coperte ci abbracciammo forte fino a che la luna lasciò posto al sole.
E adesso prendo il treno per scappare con in testa solo il mare, voglio divertirmi e andare via!
Sono qui da un paio di settimane ormai, alla vecchia casa sul lago che i miei hanno da prima della mia nascita. Ma l’università presto ricomincerà e sarò costretta a tornare in città.
Due settimane, ormai, che non sento Damian.
Una pausa è quello che gli ho chiesto, era implicito nei miei gesti e lui l’avrà sicuramente capito quando l’indomani non ha trovato gran parte delle mie cose e neanche me, in effetti.
Tornerò a stare al campus, con la mia vecchia compagna di stanza, i miei vecchi compagni di dormitorio..
Sarà un po’ come tornare alle origini.
E chiedo solo un modo per staccare da una vita sempre uguale, buia e piena di ipocrisia!
- Sul serio vi siete lasciati? – chiese Mia sorridendo, era felice ovviamente. Odiava in modo smisurato Damian, anche se non capivo bene il perché.
- No.. si.. bhè volevo una pausa da tutto. Volevo sentirmi a casa e smettere di vivere nel mondo delle fiabe. – risposi.
- Più che “fiabe” direi che vivevi nel libro di Bram Stoker.. Damian sembra la versione moderna di Dracula e anche l’appartamento che aveva trovato per voi lo era: in cima ad un palazzo, con la camera da letto introvabile ad occhio umano e un tetro parco che s’intravede dalla finestra. Anche le zampe di leone della vasca danno quello strano senso d’inquietudine! – l’avevo lasciata parlare a briglia sciolte, sorridendo ogni tanto per via di quello che diceva.
- È così che la pensi, eh? – mormorai, lei annuì convinta.
- Stavo pensando.. – accennai ad un certo punto – ..che dici di fare un salto a quella festa del dormitorio dell’ala nord di cui abbiamo sentito tanto parlare prima? – le chiesi.
- Non ti sei mai interessata più di tanto a quelle feste, anche prima ci andavamo solo in casi eccezionali o se le altre insistevano! – i fece notare di rimando.
- Bè, forse ci siamo perse troppo, fin’ora, facendo vita individuale! – sbottai prima di spalancare l’armadio e cercare qualcosa da mettere per quella sera.
Se tu ci sarai quando io sarò bruciato dalle notti brave in giro..
Mia si reggeva al mio braccio, incrociando tra loro i piedi mentre camminava. Rideva per ogni cosa che vedeva: un palo della luce, una macchina strana, la gente che guardava attonita la scena di due ragazze con tacchi e vestito da sera reduci da un festino collegiale.
Avevo il cappotto sporco di vomito non mio, né di Mia per sua fortuna. L’imbecille aveva cercato di rimediare iniziando a flirtare con noi come se nulla fosse. Patetico, non trovate?
Per poco, a ripensarci, non veniva da rimettere anche a me e ne avevo tutte le ragioni probabilmente visto il miscuglio che si confondeva nel mio stomaco.
Arrivammo per miracolo in camera, dopo l’ardua impresa di far ragionare Mia per salire le cinque o sei rampe –quelle dell’ingresso e le due paia per piano- che ci condussero alla camerata.
La lasciai cadere sul letto e lei si accoccolò supina all’angolo.
Sospirai prima di sentire il suono del cellulare. Risposi di malavoglia dopo aver letto chi era il mittente. Erano passati mesi dalla nostra “pausa di riflessione”, mia più che altro. - Keira? –
- Cosa vuoi? – chiesi.
- Volevo solo accertarmi che stessi bene. – lo sentì a stento mormorare.
- Perché proprio ora? – chiesi ancora, ricacciando indietro quel fastidioso senso di amarezza.
- Perché oggi ho avuto l’impressione che avessi bisogno di me. – rispose lui, così sicuro di sé come al solito,
- Invece no, grazie comunque.. ci sentiamo, ok? – quella conversazione mi aveva rovinato ancor di più l’umore. Che ne sapeva lui poi?
- Ti aspetto sempre, lo sai. –
Come faceva ad essere sicuro che non sarei cambiata ancora? Che non avrei perso interesse? Come sapeva che sarei tornata?
Se tu ci sarai quando io sarò stanco di avventure ormai finite..
Gli occhi erano gonfi per via della sera prima, era dal tempo del liceo che non ero costretta a dover mettere degli occhiali da sole per nascondere i postumi della sbornia e per una ragazza non era proprio una cosa di cui essere orgogliosi, soprattutto in Inghilterra.
Entrai in classe cercando posto anche tra gli spalti più nascosti, solo la flebile luce del proiettore mi feriva gli occhi.
Quasi mi addormentai tra una diapositiva e l’altra, solo Mia lo notò.
Uscimmo e ci dirigemmo nel solito angolo del cortile, sedendoci sotto un albero. Presi una sigaretta dal pacchetto quasi consumato e l’accesi ispirando forte il sapore schifoso di nicotina.
Mia mi squadrò – Tranquilla ho questo. – le dissi, mostrandole una scatolina che doveva essere un posacenere portatile con lo stemma della protezione ambiente comprato in un tabacchino a 99cent.
- Sai bene che non ti guardavo male per quello.. – borbottò prima di mettere il broncio.
Sbuffai, decidendo d’ignorarla.
- Avevi smesso, no? Non capisco che bisogno c’era di ricominciare. – continuò.
Sorrisi amaramente – IL fumo non ti abbandona mai del tutto una volta che ti è entrato nel sangue. – risposi semplicemente.
I giorni passano, le ore crescono, ma alla fine tornerò.
- Dov’è? – chiesi appena la porta mi venne aperta dalla compagna di camera di Keira, Mia per l’appunto.
- Di là a vomitare.. – borbottò. Feci per entrare e le lanciai un’occhiataccia quando mi si piazzò davanti impedendomi l’accesso.
- Cosa credi di fare? – mormorai tra i denti.
- Voglio solo mettere in chiaro alcune cose: primo, non pensare neanche per un secondo che il mio odio per te sia magicamente svanito –anche se ti ho chiamato solo venti minuti fa e tu sei già qui- e secondo, se qualunque cosa farai e dirai o hai intenzione di fare e dire dovesse in qualche modo nuocerle io.. – frenai quel treno in corso prima che andasse a sbattere contro un muro.
- Cosa farai? Mi chiamerai “cattivo” e mi proibirai di venire ancora qui a bere il thé e i pasticcini con te? Lasciale alla lingua biforcuta di Key. – mi ero decisamente guadagnato uno sguardo truce e carico di odio, prima che pensasse anche solo di ribadire la scansai dirigendomi verso la porta del bagno. Chiusa a chiave. – Keira. Apri. –
- Vattene! – rispose una voce roca dall’interno.
- Sono Damian, apri. – dissi, cercando di convincerla.
- Avevo capito chi eri, cretino! Per questo ti ho detto di andartene! – urlò in risposta.
Stupida Ragazzina Viziata, come osava.. cercai di ritrovare un po’ di calma – Key, piccola, apri su. Voglio solo vedere come stai! – alle mie spalle sentì Mia cercare di trattenere una risatina davvero mal celata.
– Cazzata! Vuoi solo vedermi mentre ci rimetto l’anima e l’orgoglio per poi farmi la paternale! – urlò inflessibile.
- Cosa cazzo devo fare per farti aprire questa merda di porta? – urlai alla fine.
- Sempre fini e delicati vero?! – mormorò Mia, portandomi a guardarla per l’ennesima volta con aria omicida – Ho detto zitta! O vuoi che usi te per sfondare la porta? – domandai. Lei deglutì, ma senza abbassare lo sguardo. – Ok, sto zitta. – cedette infine.
Mi riconcentrai su di lei che era rimasta in silenzio. – Allora? – ritentai.
- Non devi fare niente, solo andartene. – disse con voce sommessa.
- Va bene, me ne vado. – dissi scocciato.
Mi diressi verso la porta e nel richiuderla me la sbattei con rabbia alle spalle.
Si mi mancherai, so che male stai. Non riuscivo a dirtelo.
Tornai solo dopo essermi calmato.
Entrai nella camera con la mia copia delle chiavi sotto lo sguardo attonito e furibondo di Mia.
- Tu che ci fai qui? – mormorò, trattenendosi dall’urlare, come invece voleva fare, trattenuta da mio indice sulla bocca.
- Avevi dubbi che sarei tornato? – chiesi, fingendomi quasi offeso.
- Certo che ne avevo. Ma ero certa che non saresti riuscito ad entrare se non ti aprivo! – sbuffò tra i denti.
- Capita di sbagliarsi.. – la rassicurai andando a posare le buste della spesa che avevo fatto sulla scrivania. – Qui ci sono dei panini e qualcosa da bere. – dissi ancora, prima che iniziasse a lamentarsi.
Mangiammo e passammo il tempo ad aspettare, Mia cercò di aprire un paio di volte discorso – Quindi.. tu come hai fatto ad avere quelle chiavi? – chiese.
- Secondo te come entravo ed uscivo prima? –
Rimase in silenzio, poi disse – Per un attimo ho pensato davvero che la stalkerizzassi! – mi voltai a guardarla male, ma prima che potessi rispondere la porta del bagno di aprì, esitante. La prima cosa a sbucare di lei furono e sue mani, poi la testa e alla fine il corpo curvo.
Alzò lo sguardo e si posò subito su di me. Sorrisi mentre lei non accennava neanche a muoversi. – Mia, lasciaci soli. – mormorò, dopo quel lungo silenzio, la voce roca. Sembrava le costasse fatica parlare.
- Ma come, cacci me e non lui? – chiese, ma dopo il suo sguardo a metà tra lo sfinito e lo scocciato sembrò decidere che era meglio lasciar perdere. Se ne andò sbuffando e la stanza cadde nel silenzio, di nuovo.
- Mi sei mancato. – disse infine.
Sorrisi, mi avvicinai e mi chinai fino ad arrivare alla sua altezza. Con il viso a pochi centimetri dal suo mi fermai, lei aspettò un po’ prima di alzarlo a sua volta per darmi un bacio.
Fu lungo, passionale. Le mie mani finirono nei suoi capelli e le sue si aggrapparono al mio giubbotto di pelle. Si staccò da me con la stessa rapidità con cui ci sentimmo coinvolti.
- Vattene. – disse, quasi supplichevole.
Ancora non capiva quanto fosse inutile scappare. Le accarezzai un’ultima volta la guancia, mentre con l’altra mano le presi la sua e le lasciai sul palmo le chiavi della stanza.
Le avrei lasciato ancora il tempo, doveva pensare che fossi uscito veramente dalla sua vita per sentire la mia mancanza come io avevo sentito la sua.
Ma quante notti ad aspettare, bravo solo a non cadere in tentazioni senza logica.
Arrivarono di mattina, io non ero andato in ufficio quel giorno. Che ironia.
Risposi al citofono dicendo che avrei lasciato una lauta mancia se mi avessero portato su la posta. Il postino non se lo fece ripetere due volte e fece tutti quei piani per 20 sterline in più.
Aprì la scatolina nera che stava insieme ai conti da pagare e a qualche volantino pubblicitario.
Dentro c’era del velluto viola scuro, al centro un paio di chiavi argentate appese ad un ciondolo dorato che si apriva su un paio di fotografie. Eravamo io e Keira, in una guardavamo sei l’obbiettivo, nell’altra lei mi stava baciando e io avevo lo sguardo stupito perché il fotografo era riuscito a immortalarmi proprio mentre lei mi aveva colto di sorpresa.
Le chiavi erano quelle del mio appartamento.
Scossi la testa. Davvero, era solo una stupida ragazzina viziata e capricciosa.
Strinsi forte le chiavi nel pugno. Forse dovevo metter fine a quel giochetto, forse dovevo semplicemente aprirle gli occhi e farle accettare le cose per come stavano visto che da sola ci metteva così tanto tempo a capire, a capacitarsene. Con questa convinzione feci uno scatto verso la porta, uscì e me la richiusi alle spalle.
Fu il rumore secco dello sbattere a farmi riprendere la giusta lucidità.
Dovevo aspettare, glielo dovevo, altrimenti questa storia non si sarebbe mai davvero concluso e i suoi dubbi l’avrebbero allontanata di nuovo da me.
Doveva essere sicura di aver bisogno di me e che le sarei bastato solo io.
E scappo e non ti lascio sola dove il mio pensiero vola in un’estate calda di città.
Alla fine l’estate era ritornata come il mio desiderio di tornare alla casa sul lago. Così mi ero armata di libri, provviste dolci e film ed ero partita. In poche ore di macchina ero arrivata.
Mi sistemai e la prima cosa che feci fu fare il bagno, sebbene l’acqua fosse gelida e il tempo nuvoloso per via del solito clima che offriva la Gran Bretagna non riuscì a resistere alla tentazione.
Mia non sarebbe venuta, troppo impegnata con la sua famiglia in Scozia. Io d’altro canto dovevo preparare ancora un esame prima di riposarmi totalmente.
Intanto che i giorni passavano però, da tutta la solitudine che mi circondava emerse qualcosa. Un’esigenza, un fabbisogno primario all’interno del mio petto che non riuscivo a colmare.
Durante quell’anno passato dall’allontanamento di Damian pensavo che il problema fosse la solitudine, perciò avevo ricercato la compagnia degli altri un po’ come se fosse l’ossigeno di cui avevo bisogno.
Contraddittorio visto che volevo una pausa dalla mia relazione con Dam proprio per bisogno di solitudine.
E ora eccomi qui. Ero stata con gli amici e stavo bene, ma era stato anche come eccedere in qualcosa che prima o poi ti da un’indigestione.
Ero stata e stavo anche ora sola e mi fa sentire libera e senza freni ma.. una luce nuova iniziò a rischiarare la mia figura, ero seduta su un asciugamano in riva al lago e il chiaro di luna ora m’illuminava. Doveva esser sbucata dalle fitte nuvole che volevano coprirla, invano.
Alzai lo sguardo, notai che lo splendore era più fievole del solito perché la luna era piena solo per metà.
I miei pensieri andarono automaticamente all’ultimo ricordo che avevo della luna piena; mi trovavo nel parco, da sola, e poi era arrivato Damian.
Ricordo le tue parole “anche tu ti senti sola?” e io gli risposi di si, ma che avevo lui.
In quell’occasione quelle parole mi sembrarono una menzogna, una frase detta più che altro per convincere lui e me stessa che le cose stessero andando bene, che sarebbero funzionate anche senza tutti quegli avvenimenti romantici che caratterizzano una fiaba.
Ma solo ora mi rendevo conto di quanto fossero vere quelle parole. Non avevo bisogno di una fiaba né di un racconto romantico alla “Romeo e Giulietta” o come “Jack e Rose”in Titanic.
A me andava bene la mia vita o anche il fascino del mistero del “Conte Dracula” che portava con sé Damian. Sorridendo recuperai il cellulare dalla testa della felpa e scrissi un messaggio: “La Luna se non è piena e ancora più triste. Non trovi anche tu?”
Se tu mi darai quello che io non ho avuto mai da te, cambierei, tu lo sai. Questo è un passo che farei!
Guardavo la luna dallo stesso punto in cui quasi un anno fa l’avevo ammirata in tutta la sua completezza proprio con Keira.
Un sms arrivò improvviso, era insolito per me ricevere messaggi, al massimo erano l’e-mail ad intasarmi la casella delle notifiche.
Era Keira? Lo aprì leggendolo veloce. Non perché pensassi al peggio, in quel caso non avrebbe mai contattato me per primo, ma perché era da così tanto che non la sentivo. Sorrisi amaramente. Avrei dovuto avvertire l’ufficio che mi sarei preso qualche giorno e di annullare eventuali appuntamenti con i pazienti.
Ma era ancora presto, sarei partito per raggiungerla quando anche la luna si sarebbe sentita piena.
Piena di noi.

Angolo Autrice:
Spero che questa piccola song piaccia.
Commentate pure per farmi sapere che ne pensate e se questa coppia ha dei "fans".
Personalmente non li sopporto, forse perchè in lei mi rivedo molto e l'idea di avere Lui per quanto possa essere figa mi lascia l'amaro in bocca.
Saluti, Alex!

questa è la canzone https://www.youtube.com/watch?v=2gDVKS5Lz2Q
  
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