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Autore: Genevieve De Cendres    28/03/2014    2 recensioni
Quando la vidi per la prima volta, la prima cosa che pensai fu che brillava di luce propria. Era luminosa in quel vestitino bianco, al tramonto sulla terrazza di Castel San Pietro, su quella terrazza dalla quale sembrava di poter inghiottire Verona anche solo respirando, mentre lo sguardo vagava sul profilo frastagliato del Teatro Romano per poi tuffarsi nell’Adige, carezzando Ponte Pietra e Santa Anastasia, tornando poi indietro fino al Duomo, pallido e maestoso alla calda luce di quel pomeriggio estivo, nel momento in cui pochi minuti precedono una fresca notte.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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*Storia parecchio zuccherosa scritta in un momento di noia e follia, persone e fatti inventati meno i luoghi, quelli sono reali e sono anche parecchio belli! Detto questo, io vi ho avvisati! Buona lettura!*
 

Eleonora

 
Quando la vidi per la prima volta, la prima cosa che pensai fu che brillava di luce propria. Era luminosa in quel vestitino bianco, al tramonto sulla terrazza di Castel San Pietro, su quella terrazza dalla quale sembrava di poter inghiottire Verona anche solo respirando, mentre lo sguardo vagava sul profilo frastagliato del Teatro Romano per poi tuffarsi nell’Adige, carezzando Ponte Pietra e Santa Anastasia, tornando poi indietro fino al Duomo, pallido e maestoso alla calda luce di quel pomeriggio estivo, nel momento in cui pochi minuti precedono una fresca notte.
 
Girai la chiave nella toppa  un paio di volte prima che la serratura scattasse, facendomi entrare nell’appartamento in penombra; c’era un insolito silenzio ma non ci feci molto caso, appoggiai le chiavi sul mobile all’entrata e una volta chiusa la porta alle mie spalle lanciai un’occhiata al salotto: stesa sul divano, assopita e coperta dal plaid chiaro, Eleonora respirava profondamente. Paradisi Artificiali di Baudelaire sul comodino, I Racconti del terrore di Poe sul pavimento. Raccolsi tutto ciò che aveva lasciato in disordine e lo portai in camera nostra. Ormai era diventato un rito: ogni volta che lei si addormentava, io prendevo tutto ciò che aveva lasciato tra i piedi e lo riportavo al suo giusto posto. Ogni cosa con il suo ordine. I libri nella libreria, il gatto che avevamo adottato l’anno precedente assopito sulla sedia della cucina ed Eleonora rannicchiata sul divano.
Guardavo i capelli  ambrati di quella che pochi anni  prima era soltanto una sconosciuta, tracciare lunghi e mossi raggi sul cuscino, la mano posta sotto la guancia paffuta,le ciglia poggiate delicatamente sugli zigomi, le labbra schiuse dello stesso colore dei melograni. Era bella Eleonora, la cosa più bella che potesse capitarmi tra le braccia, era come una brezza estiva, la carezza del vento che delicatamente ti scompiglia i capelli. Ogni tanto mi piaceva ricordare il nostro incontro, su quella terrazza al finire di maggio, io in compagnia di un paio di amiche, lei in compagnia di un gruppo di ragazzi, uno di loro con in braccio una chitarra, un altro con una lattina tra le mani, e lei al centro di quel cerchio che danzava, quasi come se fosse una fata. Le andai incontro senza pensarci due volte, volevo conoscerla e volevo fosse mia. E così fu. Divenne mia quando un mercoledì sera, una volta percorso il Lungadige e arrivati davanti ad un locale in zona universitaria, la baciai, per poi sentire le sue labbra aderire con più decisione alle mie. Sentendo le sue mani fredde scivolare lungo la mia schiena cingendomi i fianchi.
 
Rimasi in attesa del suo risveglio seduta accanto a lei. Ormai era calata la notte e la casa era avvolta da spesse ombre, fissai il minuscolo anello rosso della sigaretta che bruciava lasciando cadere la cenere, non avevo voglia di fumare, l’accesi solo per abitudine. Nonostante fossi decisamente nervosa nemmeno la sfiorai, sapevo quanto le dava fastidio ricevere baci al  “gusto nicotina”, come era solita definirli, così mi limitai a vedere la sigaretta bruciare e consumarsi  lentamente, in attesa e nient’altro. Perché Eleonora, che aveva finito l’Università e che piena di sogni e speranze il giorno dopo sarebbe partita con me per la Francia, non sapeva che al suo risveglio, una volta messa la mano nella tasca della sua giacca, dove generalmente metteva il cellulare, avrebbe trovato un anello. Simbolo di una nuova vita insieme.


 
  
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