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Autore: KeyLimner    28/03/2014    0 recensioni
"Ricordo un ragazzo dal volto chiaro, gli occhi di madreperla che sembravano sondare le profondità di universi sconosciuti, profondità in cui io stessa navigavo o affogavo… non lo so neanch’io con precisione.
Ricordo fiori bianchi sparsi come stelle su un prato di smeraldo, come una gigantesca Via Lattea in cui ogni stella faceva a gara per illuminarci e abbracciarci. E ricordo un cielo di polistirolo verniciato far da sfondo al quadro delle nostre vite in blackout"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fascino di un ricordo è qualcosa di cui nessuno di noi si rende veramente conto.
Ricordo di aver ricordato di ricordare, e in un secondo tutto è già dimenticato, perso nelle sabbie di un tempo troppo denso perché possa affondarci i miei remi e navigare verso acque sconosciute.
Ricordo la casa in montagna di mia nonna, dove sapevo che con tutta probabilità non avrei messo più piede assieme a lei, perché il suo giaceva sull’orlo di un abisso, dietro la porta bianca di una stanza d’ospedale dove non si era mai soffermato niente di più pesante della mia anima.
Ricordo un ragazzo dal volto chiaro, gli occhi di madreperla che sembravano sondare le profondità di universi sconosciuti, profondità in cui io stessa navigavo o affogavo… non lo so neanch’io con precisione.
Ricordo fiori bianchi sparsi come stelle su un prato di smeraldo, come una gigantesca Via Lattea in cui ogni stella faceva a gara per illuminarci e abbracciarci. E ricordo un cielo di polistirolo verniciato far da sfondo al quadro delle nostre vite in blackout.
Eravamo come eremiti sulla via del pellegrinaggio verso una sconosciuta Mecca. Entrambi bramavamo di arrivare in qualche modo alla meta, ed entrambi speravamo nell’aiuto dell’altro per giungere a destinazione.
Ma la verità è che nessuno di noi due conosceva la strada. E così abbiamo continuato a perderci in solitudine, e l'incrociarsi delle nostre vite non è stato che un incidente di percorso.
Ah, Lorenzo!
Ricordo ancora quel giorno, un milione di anni fa, quando ci incontrammo ai confini del mondo, sul vagone di un treno affollato in cui respiravamo tutto il sudore e la stanchezza di un’umanità stremata, logorata dal troppo tempo speso in affari inutili. Anche noi eravamo esausti. I tuoi occhi chiari, vagando smarriti alla ricerca di un appiglio, hanno trovato i miei… e non li hanno più lasciati andare. Tanto che ancora adesso continuano a tenerli imbrigliati, sia pure nell’ombra del ricordo.
È stato un amore difficile, ma noi lo abbiamo curato e accudito, abbiamo saputo farlo crescere come un germoglio di palma, come i suoi timidi fiori.
Mi hai sorretta quando credevo di non farcela, mi hai tenuto la mano quando mia nonna è morta, ed io piangevo al pensiero che da bambina aveva cercato senza successo di insegnarmi a lavorare a maglia, e adesso non avrebbe più potuto insegnarmelo… non avrebbe più potuto parlarmi e rassicurarmi come aveva saputo fare con quella bambina irrequieta e distratta… non mi avrebbe più presa sulle ginocchia per cantarmi le sue canzoni, recitarmi le sue filastrocche. Hai detto che se l’avessi voluto, saresti stato tu a prendermi sulle ginocchia e recitarmi le filastrocche. A lavorare a maglia non avresti potuto insegnarmelo perché tu stesso non ne eri capace, ma hai detto che avresti potuto imparare.
Anch’io ho fatto del mio meglio. Ho cercato di mantenerti in piedi, ti ho offerto tutta me stessa perché potessi usarmi come un bastone.
Ma alla fine siamo caduti entrambi.
Il germe che fin dal principio si era annidato nel nostro amore è esploso, non siamo più riusciti ad arginarlo, e lui ha cominciato ad espandersi in modo incontrollato, infettando tutti i tessuti finché la struttura marcita è crollata sotto il suo stesso peso.
Adesso guardo la tua mano protesa in lontananza e faccio quasi fatica a ricordare quando e perché le tue dita sono diventate così lontane, e come mai pur volendolo non posso fare quel passo che servirebbe a colmare la distanza che ci separa, e a toccarci di nuovo. Neanche tu puoi, del resto. E mi guardi impotente.
Vengono a raccontarci che il catechismo serve ad imparare ad avere fede in Dio, ad amarlo. Ma la verità è che vogliono che impari ad aver bisogno di lui, del suo amore, del suo aiuto, dei suoi castighi e delle sue ricompense. “Dio ti protegge, Dio ti sorveglia, Dio ti vuole bene!”, gridano con le loro voci gracchianti. E ovviamente, visto che sono loro gli intermediari… loro soltanto conoscono il volere di Dio e sono investiti della facoltà amministrarlo in terra in virtù di questa sacra scienza, distribuendo premi e castighi come fossero caramelle… e anche amore, perché no… ciò che cercano realmente di inculcarti è che in fin dei conti è da loro che dipendi, dunque devi loro obbedienza.
Crediamo di esserci ormai evoluti, trascinati dalla marea del progresso scientifico e tecnologico, e di aver superato queste sciocche superstizioni, almeno in parte. Guardiamo dall’alto in basso i nostri fratelli creduloni, ancora piegati innanzi alle predicazioni di chi si proclama Vicario di Cristo, mentre dall’alto del nostro personale ambone esclamiamo con fierezza: io sono ateo. E intanto declamiamo obbedienti le parole del sacro libro della scienza, dell’ideologia, della morale e della buona creanza. E seguitiamo a percorrere, più o meno ligi, il cammino di iniziazione per entrare nella società. Per intraprendere il quale, tutti ci convertiamo segretamente - e quasi inavvertitamente - alla nuova religione collettivamente accettata.
Su quel cammino, non era previsto un incontro fra noi due. Le rette su cui giacevano i segmenti delle nostre esistenze erano state disegnate lungo direzioni parallele, tutti i punti equidistanti dai loro corrispondenti, nessun punto di incontro in cui fosse possibile costruirci uno spazio nostro.
Entrambi a lungo abbiamo provato a opporci al destino che ci avevano assegnato, a violare i rituali consolidati che tentavano di imporci… ma abbiamo fallito. Non siamo stati abbastanza forti.
Ma io mi ricorderò di te, ragazzo dal volto chiaro, e saprò cercarti nei miei ricordi. Anche se presto la tua figura sarà solo un’ombra, sempre più vicina all’architettura dei miei pensieri e sempre più lontana da te, che te ne vai nella nebbia con le mani nelle tasche… nei miei occhi solo una schiena e delle spalle conosciute dietro alle quali non posso che indovinare la presenza di un volto, disegnarne i tratti.
Addio, ragazzo dagli occhi chiari.
Ricordati di questa sciocca ragazza, e portala con te, dovunque andrai su questa terra, dovunque ti porteranno i tuoi passi. Porta con te una radice del nostro amore ormai avvizzito, e annaffiala tutti i giorni. Un giorno potrebbe sbocciarne qualcosa di nuovo. Allora la primavera tornerebbe a colorare di vermiglio i nostri giardini ingrigiti dal gelo.
  
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