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Autore: _Lith_    28/03/2014    4 recensioni
L’Inferno è sotto ai fiori.
L’Inferno è una bambina dai capelli rossi nel giardino sul retro.
“Sai cosa c’è sotto ai fiori?” Mi chiese, ed io impigrito riuscii soltanto a bofonchiare qualcosa simile a “Terreno…”
Ma lei scosse la testa “No…” no, no…e ancora No.
(...)
“Dimmi tu allora cosa c’è sotto ai fiori!”
“C’è l’Inferno sotto ai fiori…”
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sotto ai fiori


 
In questo mondo
contempliamo i fiori;
sotto, l'inferno

(Kobayashi Issa)
 
Avevo solo dieci anni quando nel giardino sul retro ho visto il mio primo amore.
In quel primo giorno di Maggio.
Nel giardino di quella casa nuova, quel giorno, ho visto il mio futuro.
 
Come fosse riuscita a scavalcare le mura o l’alto cancello di ferro battuto della villa non riuscii mai a capirlo.
Ma lei era lì.
Aveva capelli del colore delle carote, sciolti sulle spalle, ed un vestito giallo fatto di pizzo.
Era scalza e strappava fili d’erba dal prato con aria annoiata come se nulla fosse.
“Ehi! Come sei entrata qui?”
Le domandai un po’ arrabbiato per quella intrusione e un po’ abbagliato dai capelli colore del sole al tramonto.
Per tutta risposta lei si alzò in piedi, e fattasi vicina mi spintonò sull'erba facendomi cadere per poi correre via.
Quel giorno mi sono innamorato cadendo sull'erba.
È così. L’amore è così: ti umilia, ti abbatte e corre via.
Questo accadde la prima volta che la vidi.
 
La seconda volta che la vidi era notte.
Dormivo nel mio letto, caldo e al sicuro, quando qualcosa picchiò contro la mia finestra, come il beccare di un passerotto sul davanzale.
Poi il rumore sì fece più forte.
Qualcuno lanciava sassi contro il vetro.
Mi alzai dal letto e corsi ad aprire le imposte per controllare.
La vidi. Era lì a piedi nudi sull’erba del giardino umida nella notte.
La luna illuminava i suoi capelli rossi facendoli apparire quasi viola.
Io mi arrabbiai ed imbronciai, e lei rise e corse via.
L’amore è così: ride di te e corre via.
Quella notte mi innamorai ancora di lei.
 
La mattina dopo la rividi a cavalcioni sul muretto del giardino. Fra le foglie d’edera bianca.
“Scendi di lì vigliacca!” Oppure va via!” le urlai.
Lei mi ignorò e poi si alzò in piedi cominciando a camminare sul muro.
Equilibrio da gatta.
Poi cadde con un salto oltre esso, scomparendo alla mia vista.
Ero prigioniero fra le mura del giardino e desiderai ardentemente cadere dall’altro lato del muro insieme a lei.
Quella mattina mi innamorai di lei.
Sciocco fanciullo dai sogni infiammati.
Ma lei mi aveva ignorato.
L’amore è così: ti ignora e poi erige un muro fra te e lui.
 
Iniziò a parlarmi solo dopo una settimana.
Mi riposavo in giardino dopo la lezione del precettore.
“Sei un gatto…Un grosso gatto viziato e pigro…”
Le sentii dire. Era appollaiata sul ramo dell’acero giapponese che qualcuno prima di noi aveva fatto piantare nel giardino.
“Cosa? Sei nuovamente qui?!” ribattei offeso. Troppo orgoglioso per ammettere che ero incantato dalla sua agilità.
“Un grosso gatto senza artigli che non sa più come arrampicarsi. Resta pure al sicuro piccolo Lord!
Rispose prima di scomparire fra le foglie rosse più alte.
Quel pomeriggio mi innamorai ancora di lei.
L’amore è così: ti insulta e si beffa di te.
 
Il giorno dopo provai ad arrampicarmi sull’albero.
Volevo dimostrare qualcosa a me stesso, o forse solo a lei.
Mi sbucciai entrambe le ginocchia, strappai i miei pantaloncini e scorticai i polpastrelli, ma alla fine riuscii a raggiungere il primo ramo carico di foglie scarlatte.
“Bravo gatto!”
Le sentii dire all’improvviso.
Lei era lì. Mi guardava dal basso e mi sorrideva.
Poi scappò via lasciandomi lì.
Mi innamorai ancora di lei, perché finalmente mi aveva sorriso.
L’amore è così: ogni tanto ti sorride e scappa via.
 
Mi disse il suo nome solo dieci giorni dopo il nostro primo incontro.
“Lacie. È anche l’anagramma di Alice. Ho letto un libro su una bambina chiamata così. Ma non la sopportavo…”
Era seduta sulla grata sigillata del pozzo in disuso che c’era nel giardino.
Le rose avevano ricoperto quasi del tutto la pietra grigia e il metallo ormai ossidato.
“Il mio nome è…”
Mi interruppe prima che potessi rivelarglielo.
“Non te l’ho chiesto”
Mi innamorai di lei perché mi aveva zittito.
L’amore è così: non ti dà modo di protestare.
 
Iniziò a trascorrere più tempo con me.
Mi riprendeva quando mi comportavo da stolto ed infantile.
Restava muta ed incanta quando le leggevo ad alta voce le storie dei miei libri: continuavo a leggere e non osavo muovermi.
Sapevo che se mi fossi mosso lei sarebbe scappata via come un animale spaventato.
O come ne ero innamorato…
L’amore è così: ti immobilizza con catene di silenzi da non riempire.
 
Ci arrampicavamo tutti i giorni sul cedro.
Correvamo in equilibrio sul muro.
Inventavamo storie di mondi oltre la grata del pozzo.
Giunse l’estate nel nostro giardino e nel mio cuore.
Ma l’estate non è eterna, altrimenti non la si apprezzerebbe così tanto.
Quel giorno eravamo sdraiati sull’erba, il caldo ne liberava il profumo, insieme a quello delle rose e della corteccia d’albero.
Un asfodelo giallo e solitario ondeggiava nel vento gentile fra di noi.
La vidi sollevarsi a sedere e osservare l’asfodelo con aria cupa.
Quella fu la prima volta che la vidi triste.
“Sai cosa c’è sotto ai fiori?” Mi chiese, ed io impigrito riuscii soltanto a bofonchiare qualcosa simile a “Terreno…”
Ma lei scosse la testa “No…” no, no…e ancora No.
Mi sforzai e mi tirai su a sedere a mia volta.
“Radici.” Risposi questa volta un po’ più sicuro.
No. No…ed ancora No.
“Dimmi tu allora cosa c’è sotto ai fiori!”
“C’è l’Inferno sotto ai fiori…” rispose lei, inclinò la testa di lato e contemplò l’asfodelo, la bocca le tremava leggermente.
“Non esiste l’Inferno Lacie!” le dissi con convinzione. Non sopportavo di vederla in quello stato.
Avrei fatto qualsiasi cosa per vederla sorridere ancora.
“L’inferno esiste. Si nasconde sotto le cose belle in modo da non farsi trovare. Lo disse un giorno la mia mamma. Ma è lì, pronto ad inghiottire tutto”
Non le avevo mai chiesto da dove venisse, o chi fosse sua madre.
Non mi era mai importato. L’unica cosa importante per me era il suo starmi vicino.
Strinse l’asfodelo fra le dita e poi lo strappò via dal terreno.
“Perché l’hai fatto?!” le chiesi allarmato. Ma lei avvicinò il fiore al mio viso.
Allora potei vedere fra le sue radici qualcosa che penzolava inerme.
Lacie l’afferrò prima di gettare via il fiore. Poi aprì il palmo lasciandomi guardare meglio.
C’era una catenina d’ora sporca di fango, alla quale era appeso un ciondolo a forma di cuore.
Sul ciondolo lessi l’incisione “Lacie”
Perché aveva seppellito il suo ciondolo nel mio giardino?
“E qui sotto.” Mi disse.
“Cosa?”
“L’Inferno!”
“NO!” ribattei io con forza.
Mi alzai e corsi a recuperare la pala da giardinaggio nel capanno degli attrezzi.
Poi tornai da lei.
“È per questo che sei triste Lacie?” le chiesi, e lei annuì.
Iniziai a scavare “Ti dimostrerò che l’Inferno non esiste e che non dovrai continuare ad aver paura. L’Inferno non ti inghiottirà!”
Provò a fermarmi ma non glie lo permisi, continuando a scavare finché non rinunciò limitandosi ad osservare in silenzio.
Scavai e scavai ancora.
Ma l’Inferno non si mostrò.
La guardai soddisfatto ma lei era ancora triste.
“L’hai quasi trovato invece…” mi sussurrò.
Mi rivoltai verso la buca e sollevai un’altra zolla di terreno per darle torto. Poi però all’improvviso il metallo sbatté contro qualcosa di più duro.
Pietra forse.
Mi chinai e con le mani provai a rimuovere un po’ di terra per toglierla, ma non ci riuscii e allora scavai ancora con le dita.
Sfiorai qualcosa di morbido.
Un pezzo di stoffa gialla. L’avevo già vista prima.
Mi voltai per cercare lo sguardo di Lacie ma lei non c’era più.
Scavai ancora con il cuore pesante e il respiro affannato.
Poi…Trovai l’Inferno.
 
L’Inferno è sotto ai fiori.
L’Inferno è una bambina dai capelli rossi seppellita nel giardino sul retro.
 
 
Rividi il mio primo amore per l’ultima volta in un cimitero.
Ma il mio amore non era quel mucchio di ossa in una bara bianca che venivano calate lentamente in una fossa nel terreno.
Una donna vestita di nero piangeva in silenzio e non permetteva a nessuno di avvicinarsi a lei.
Aveva i capelli rossi.
“Quella è la mia mamma”
Mi voltai di scatto e la rividi alla mia destra.
Lacie…
 
“In questo mondo
Contempliamo i fiori,
sotto, l’Inferno.”
 
Bisbigliò sotto voce.
“Sei tornata” le chiesi io. Non avevo paura. Dell’amore non si può aver paura.
“Non me ne sono mai andata…Non me l’aveva permesso”
“Chi?”
“L’uomo che mi ha seppellita in giardino”
“Dov’è adesso? Dobbiamo dirlo a qualcuno.”
“È scappato ormai. Molto lontano da qui. So che nessuno riuscirà a trovarlo in questo mondo. Ma so anche che il giudice dell’Inferno sa già dove trovarlo. Quando sarà tempo, lascerà che i fiori si scostino e lui cadrà…”
“Te ne andrai ancora?”
“Aspetterò lei…” disse indicando la donna dai capelli rossi. “Fra pochi giorni farà qualcosa di stupido perché la solitudine la spaventerà troppo…Dovrò prendermi cura di lei.”
“Come lo sai?”
“Ora so molte cose. Riesco a vedere cosa accadrà a coloro che mi hanno amata…Anche tu mi hai amata.”
“Sai cosa mi capiterà?”
Annuì.
“Tu diventerai un poeta. Scriverai di me, di come mi hai amata e del giorno in cui hai trovato l’Inferno nascosto sotto ai fiori. 
   
 
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