Serie TV > I Cesaroni
Segui la storia  |      
Autore: ChiaraMad    28/03/2014    4 recensioni
La storia comincia da una terza stagione completamente differente da quella reale. Sono passati cinque anni, ed Eva, dopo essersi laureata alla Columbia University ed aver passato quei cinque anni della sua vita a New York, sola, decide di tornare in Italia accettando - forse - una proposta del padre. Abbandonata la Grande Mela, si ritroverà presto a dover far i conti con quella parte della sua vita che, partendo, s'era lasciata alle spalle, sperando silenziosamente di averla accantonata in un angolo abbastanza remoto e lontano, sfuggendole. Ma per quanto? Se i nostri autori hanno cancellato quattro stagioni, potrò farlo pure io con tre, no? Inutile dire che qui, tutto ciò che abbiamo visto nella terza, quarta e soprattutto quinta serie, NON ESISTERA'.
Detto questo, vi auguro buona lettura - spero -. Come sempre vi chiedo di lasciarmi le vostre recensioni, comprese le vostre critiche, per potermi migliorare e cercare - speriamo - di dare il meglio di me stessa in questa storia che, ricordando lo scempio andato in onda, è uscita così, di getto, un po' per vendetta, un po' per amarezza.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Eva Cudicini, Marco Cesaroni
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
"C'è. C'è sempre. Vorresti convincerti del contrario, vorresti guardarti allo specchio e sorridere come un tempo, vorresti poter ascoltare una canzone triste e strappalacrime senza ritrovarti alla fine a piangere, in un angolo della stanza con la sua foto davanti, stretta tra le dita, bagnata da quelle gocce trasparenti. Ti svegli al mattino, scendi da quel letto, e come ogni mattino il tuo pensiero è: "Ma come diavolo ho fatto ad arrivare a questo punto?". Poi scruti lo specchio, ti stropicci un po' il viso, e poi controlli di non avere qualche rimasuglio dei pianti della sera precedente. Perchè non vuoi far vedere al mondo come stai davvero, e preferisci indossare quella maschera cinica e allegra, che ormai da qualche tempo fa parte di te stessa. Tanto ormai, -ti dici silenziosamente- gli altri ti vedono così. Quindi: perchè deluderli e mostrarti diversamente da come loro credono?"

La tempia appoggiata a quell'oblò, e la mano a sorreggere quel foglio spiegazzato trovato sul sedile accanto al suo. L'aveva riletta più volte, quella che sembrava la pagina del diario di qualche americano che doveva averla dimenticata durante il viaggio. E - per quanto una parte di se stessa non volesse ammetterlo - ci si ritrovava parecchio, in quelle parole. 
Ne aveva scritte tante anche lei, di pagine simili. E racchiudevano ciò che di più intimo e profondo potesse esserci nel più profondo di se stessa. Lei arrabbiata, lei triste, lei allegra, lei preoccupata, lei impaurita, lei confusa, lei pensierosa, ma mai - in quei cinque anni - lei felice. Quello era un traguardo forse ancora troppo lontano, che visto da li dov'era lei, sembrava quasi irraggiungibile. Capita a volte, no? Di aver tutto dalla vita, di sentirsi in un certo senso realizzati, soddisfatti di se stessi da una parte, ma vuoti e incompleti dall'altra. Svuotati. Come se ciò che c'è di più bello ti fosse stato portato via, da un momento all'altro, e t'avesse lasciato invece ciò di cui invece non hai bisogno. 
Guardava fuori dall'oblò, lo sguardo puntato verso un punto invisibile davanti a sè. 
Persa tra quelle nuvole gonfie e bianche, immaginandole morbide e comode, cercando di non pensare a ciò che di li a poco la stava aspettando. Cercava di distrarsi, di non pensare, di mettere la testa in stand-by, - non riuscendoci mai del tutto - e di staccare. Respirava, tesa, e guardava continuamente l'ora che segnavano le lancette di quell'orologio da polso. A quell'atterraggio, mancava poco. 
<< L'aereo si sta prestando ad atterrare. Preghiamo i gentili signori passeggeri di rimanere seduti al loro posto, e di allacciare le cinture di sicurezza. Grazie. >>
Fu in quel momento che - presa dal panico - quasi si sentì mancare. Aprì la borsa rovinstandoci dentro, portandosi poi nervosamente quella bottiglietta d'acqua alle labbra. 
Non si sentiva pronta. Erano mesi che si preparava a quel momento, eppure nemmeno ora che era atterrata li, dall'altra parte del mondo a casa sua, quella forza era arrivata. Notti insonni a pensarci, giorni interi a parlarne con la sua compagna d'università, diventata sua coinquilina, in quell'appartamento della quale dividevano a metà l'affitto, nel centro di Brooklyn, ormai da cinque anni. 
<< E se sto facendo una cazzata? >> 
<< Se rimani qui, non lo saprai mai tesoro. >> 
Ripensava ad una delle loro lunghe conversazioni, e quella ragazza solare e simpatica, dai lunghi capelli scuri e gli occhi color smeraldo, già le mancava. 
Riinfilò quella bottiglietta nella borsa, chiudendo gli occhi, per poi sentire distintamente dentro al petto quel battito aumentare, e la testa volteggiare stordendola. Strinse il sedile morbido di quella poltrona blu, respirando piano. Doveva farcela - si diceva -. Erano cinque anni che non metteva piede in quel paese. Da quel giorno di fine Luglio, quando l'aveva lasciato con quella valigia piena di sogni e speranze - ma anche di paure e mezze verità -. Chiuse gli occhi, e per un attimo l'immagine di quella che era a quel tempo solo una ragazzina appena donna, si materializzò ai suoi occhi. Trascinava dietro quella valigia gialla, e stringeva con poca convinzione quello che era il braccio del suo ragazzo, così uomo e maturo, che le stava regalando quel futuro che lei sempre da piccola, aveva sognato e sulla quale aveva tanto fantasticato. Quel sogno, - dopo aver sacrificato quasi tutta se stessa - l'aveva realizzato. Ce l'aveva fatta. Cinque anni passati a studiare alla Columbia, e a lavorare fino la sera tardi in quel locale dell' Upper East Side, in mezzo a tutti quei figli di papà capricciosi e stronzi, che si comportavano come se tutto gli fosse dovuto e il mondo ruotasse solo attorno a loro e alle loro auto di lusso appena comprate dal paparino, o che pensavano solo all'ultimo completo o vestito uscito dello stilista del momento, e ad apparire, convinti d'esser meglio di tutti gli altri, senza personalità e tutti uguali. 
<< Grazie per aver scelto la nostra compagnia, Alitalia vi ringrazia e vi augura una buona permanenza a Roma. >> 
Fu in quel momento che si risvegliò dai suoi pensieri. Slacciò la cintura, e si alzò piano da quel sedile. La pagina spiegazzata ancora in mano, la infilò nella tasca di quel lungo cappotto scuro, indossandolo assieme alla sciarpa. Le persone che come lei si alzavano e si dirigevano verso quel portone, chi sorridente e chi pensieroso, le davano l'impressione di saper bene cosa fare, a differenza sua. Fidanzati e amici da rivedere, famiglie da riabbracciare.. Li per lei, però, non c'era nessuno. Aveva pensato spesso se telefonare alla madre e dirle che sarebbe presto ritornata, ma volendo fare una sorpresa - a tutti? -, non voleva rovinarla. 
L'unico che sapeva del suo ritorno - era merito suo -, era suo padre. Promettendo di non dire niente a nessuno di quel suo ritorno, l'aveva convinta a lasciare New York proponendole un lavoro da giornalista nella redazione di un giornale a Milano. 
<< Tesoro, sbaglio, o è sempre stato il tuo sogno quello di poter fare la giornalista? Non vorrai rinunciare, spero.. >> 
Suo padre la conosceva, e sapeva bene ogni volta su quale punto calcare per farla cedere. L'orgoglio - maledetto -.
<< Papà, io non lo so. Ormai qui a New York ho la mia vita, e lasciarla sarebbe.. >>
<< ..Da vigliacchi? Ti sei appena laureata alla Columbia con il massimo dei voti, ma non riesci a trovare un lavoro.. Non sarebbe una cosa sbagliata, venire qui a Milano per poter finalmente fare il lavoro che hai sempre desiderato di fare, e smetterla di lavorare come cameriera. >>
<< Papà, a me il mio lavoro da cameriera piace. Ma ho paura. Dovrò ricominciare tutto un'altra volta da capo, li a Milano, e io di certo non voglio che tu trascuri il tuo lavoro per stare dietro a me, e.. >>
<< .. Niente. Eva, tu nemmeno immagini che piacere sarebbe per me riaverti qui e saperti felice. Cosa pensi, che per me saresti solo un disturbo? Una perdita di tempo? Sbagli a pensarlo. Perchè per me, non c'è assolutamente niente più importante della felicità e la stabilità delle mie figlie. E poi, se non vuoi venire qui a Milano, c'è sempre Roma. Tua madre farebbe i salti di gioia, nemmeno immagini quanto le manchi, a lei e a tua sorella. Sarebbero solo contente, di riaverti a casa con loro, credimi. La scelta è tua, tesoro. >> 
<< Io devo andare a Roma, la settimana prossima. Ma non ho detto niente a nessuno per fare una sorpresa. Facciamo che quando arrivo li ci penso, e quando ho deciso ti chiamo. Va bene? >>
E lui aveva accettato. Le aveva dato quel tempo della quale lei aveva bisogno per rifletterci sopra, e prendere la decisione migliore per una scelta così importante. 
L'aveva accarezzata spesso l'idea di poter lavorare nella redazione di un giornale, ma li a New York durante la Columbia, non ne aveva trovato il tempo. 
Scese da quella scalinata, un po' più tranquilla - forse -. 
Riprese le sue due valigie, e camminò mesta uscendo dal check-in. 
Quel grande orologio che segnava le nove in punto di sera, le ricordarono all'istante quelle sedici e stressanti e stancanti ore di volo. E che - di li a poco - avrebbe rincontrato la sua famiglia. Certe volte succede che passi il tempo a chiederti: ma come sarebbe andata se quella volta avessi scelto diversamente? Beh, di certo non sarebbe ora laureata a pieni voti alla Columbia, e magari sarebbe ancora quella ragazzina innamorata e sognatrice, che non viveva d'altro, e d'altro non aveva bisogno per vivere le sue giornate. Forse non si sentirebbe così vuota, così quasi spenta e grigia, così fredda. Forse quel sogno, l'unico sogno che condivideva con quell'altra persona, si sarebbe potuto realizzare. Forse quella persona ora sarebbe potuta esser li con lei, con le labbra piegate in un sorriso dolce e gli occhi stanchi per quelle lunghe ore di volo, fatte però insieme
Ci si chiede spesso come sarebbe andata, eppure mai nessuno riesce a trovare risposta certa a quelle che sono le sue domande. Nessuno riesce a creare una realtà alternativa a quella che lo circonda, immaginando chiaramente quale sarebbe stata la sua vita se in un determinato momento passato avesse scelto diversamente. 
Ed Eva, ora, nel bel mezzo di quell'aeroporto, si chiedeva come sarebbe stata la sua vita e la sua esistenza se, quella volta, avesse scelto col cuore e non con la testa. Se quella volta, invece di far finta di niente ed ignorare i battiti impazziti del suo cuore, avesse deciso di mollare a terra quelle valigie e strappare quei biglietti per corrergli in contro e saltargli al collo, per poi infilare le dita tra quei corti capelli scuri e incontrare le sue labbra in un bacio, li, davanti a tutti - Alex compreso -, urlando con tutta la voce che aveva in corpo "ti amo", e scegliere lui. Lui, che era venuto li cinque anni prima per portarle i biglietti che lei aveva abbandonato sulla scrivania in camera, soprappensiero per la vita che la stava attendendo. 
E per un attimo, le era sembrato di rivedere quel momento. Lui che arrivava con quella camicia bianca leggera, e gli occhiali scuri sugli occhi. Lei che abbozzava un sorriso - o almeno cercava -, ringraziandolo. Lui che invece sorrideva, sicuro e tranquillo, spaccone come forse non era mai stato. 
<< Grazie Marco, Eva si era appena accorta di averli dimenticati. Chissà dove aveva la testa.. >> Alex l'aveva quasi fulminata, guardandola.
<< Figurati, è stato un piacere! >> Lo guardava, Eva, con le mani in tasca e quel sorriso che non gli apparteneva. Voleva farle male, l'aveva capito. 
<< Senti, noi abbiamo ancora un paio d'ore prima del volo. Ti fermi per una birra? >> Alex era stato gentile, gli aveva sorriso ingenuo e sincero, ma lui aveva gentilmente rifiutato, dandole un altro pugno in pieno stomaco.
<< Ti ringrazio, mi piacerebbe molto, ma devo proprio scappare perchè ho un impegno. E comunque, buon viaggio. E trattala bene che è mia sorella, eh! >>
L'aveva guardata di sbieco, dando poi una pacca - amichevole? - sulla spalla ad Alex.
<< Non ti preoccupare, avrò cura di lei, te lo prometto. >> Aveva risposto l'altro, e lei in mezzo, non sapeva che dire. Immobile, in silenzio come non era mai stata, incapace di dire qualcosa per paura di dire qualcosa di sbagliato. Si sentiva una stronza - sapeva di esserlo -, ed il senso di colpa piano piano la stava consumando. Nemmeno dopo anni, quella sensazione era svanita. L'accompagnava costantemente, e come un brutto ricordo saltava fuori da un momento all'altro nelle sue giornate.
E poi Marco, l'aveva guardata. Non seppe dire come, ne perchè, ma in quel momento aveva sentito distintamente le gambe quasi cedere, e la testa girare. Le era capitato altre volte, di sentirsi debole. Capita a tutti di perdere quella forza, di perdere quella sicurezza e di sentirsi quasi nudi, senza alcun scudo o difesa, inerme. Abbozzò un altro sorriso nervoso, guardandolo, e fu in quel momento che lui, tolte le mani dalle tasche, aveva fatto quel passo colmando la distanza fra i loro corpi, avvolgendola in un abbraccio improvviso, stringendola a sè, forte, come se in quell'abbraccio avesse voluto trasmetterle tutta la sua tristezza e delusione per quello che lei stava per fare, come se in quell'abbraccio avesse voluto imprimerle per sempre il suo profumo addosso, per ricordarle di quanto fosse stata stronza ed egoista ed immatura, dicendole - silenziosamente - che quello sarebbe stato l'ultimo abbraccio tra loro, che non ci sarebbe stato altro, dopo. 
L'aveva abbracciato anche lei, forte, come forse non aveva mai fatto prima. Aveva chiuso gli occhi, e inspirato forte quel profumo di dopobarba, e di camicia pulita, affondando il viso nell'incavo tra il collo e la spalla, sentendolo respirare col viso affondato tra i suoi lunghi capelli ancora leggermente bagnati. E l'aveva stretta ancora più forte, quasi alzandola da terra. E lei tremava, cercando di rimanere tranquilla. Lui s'era avvicinato al suo orecchio, e aveva sussurrato con studiata lentezza e voce roca, consapevole del fatto che, se solo l'avesse stretta un po' di più e accarezzata ancora, l'avrebbe uccisa. 
<< Buon viaggio, sorellina. >> 
Sentì la terra sotto ai piedi mancare, poi, nell'esatto momento in cui le sue labbra - lente e dispettose -, andarono a poggiarsi piano sulla sua guancia sinistra, al lato della bocca, indugiando sulla sua pelle già calda, infuocandola, seppe che se solo lui avesse osato di più,  avrebbe probabilmente mandato in barba tutti quei buoni propositi, li, tra le sue braccia, assaporando e divorando le sue labbra, com'era successo la sera prima, su quella che lei definiva " la stramaledetta scrivania". 
Avrebbe voluto che lui osasse di più, e che, invece solo di appoggiarvisi accanto, si impossessasse della sua bocca, travolgendola e ricordandole che lei era sua, e che doveva smetterla di opporsi a ciò. E lei, in attesa, aveva stretto forte la mano ancora appoggiata sulla sua spalla. 
Cercò di apparire tranquilla, ma quel respiro irregolare e caldo la tradì, facendolo sorridere soddisfatto, prima di staccarsi e guardarla un'ultima volta, stringere la mano ad Alex, e voltarsi per andare via. 
Cinque anni. Erano passati cinque anni, e di lui, più niente.

" Come ieri come sempre attendere. Anche adesso come ieri a scegliere. Non posso stare fermo nel tempo che se ne va. Non posso stare per sempre seduto qua. "

Canzone più azzeccata di quella, - almeno in quel momento - per lei non c'era. Avrebbe voluto starsene seduta in quel taxi per sempre, eppure sapeva di non potere per almeno un'infinità di motivi. Uno di questi, era che se fosse scappata un'altra volta, non se lo sarebbe mai perdonata. Perchè lo sapeva, e l'aveva sempre saputo: il tempo continuava a scorrere, e senza nemmeno darle il tempo di rendersene conto, se ne stava andando. Nell'attesa, nella speranza e nella paura, quel tempo, nonostante tutto, continuava a scorrere. E come il più crudele dei registi, ti dava il tempo per poter fare la tua scena al meglio una sola ed unica volta. Forse solo ora, - davanti quel cancello, seduta ancora in quel taxi - si rendeva conto di cosa realmente significasse quella frase: carpe diem
Cogli l'attimo. Ecco perchè non bisogna mai perdere tempo. Mai lasciare che il tempo scorra tra le dita, lasciandogli modo di andarsene e non tornare più. 
E allora prese forza, pagò il tassista, e scese dall'abitacolo, prendendo le valigie. 
Sospirò. E guardò quella grande casa stagliarsi davanti a sè, dopo cinque anni. 
Come diapositive, lentamente ai suoi occhi, quei momenti avevano cominciato a scorrere. Uno dopo l'altro, ora in modo chiaro e nitido, ora leggermente sfocato. 
Si trovava davanti al posto in cui in un certo senso era cresciuta, in cui cinque anni prima, aveva lasciato una parte di se stessa sperando di non incontrarla più. A Roma, - forse - aveva lasciato tutto ciò che riguardava la Eva ragazzina e sognatrice, quella parte di lei che a New York, - ora, non poteva far altro che ammetterlo - le era davvero mancata. 
Un po' come quando quelle volte in cui ci rendiamo conto d'aver bisogno di qualcosa o qualcuno, solo dopo averlo perso - forse - per sempre. 
Era riuscita a perdere se stessa, e ora che la stava per ritrovare, non riusciva comunque a sentirsi completa. Quell'altra cosa le mancava, quell'altra parte di se stessa, aveva scelto di non esserci da ben cinque anni. Quel lungo larco di tempo, in cui ogni santo giorno, ora, minuto, ne aveva sentito l'incessante mancanza. Chissà se mai, avrebbe ritrovato quella parte. 
Trovò il cancello socchiuso, ed entrò trascinandosi dietro quelle due valigie. 
Un turbinio d'emozioni l'avvolse, nell'esatto momento in cui il suo sguardo andò a posarsi su quel dondolo poco più distante, in giardino. 
<< Eva io mi sento solo. Solo. >>
<< Marco non sei solo. Non sei solo, ci sono io. Ci sono io. >> 
E l'aveva carezzato, piano, sentendolo appoggiare la testa sul suo petto. Come un bambino indifeso, l'aveva stretta tirando su col naso, tristemente, aggrappandosi alla sua maglietta. Le sembrava fosse passato solo un giorno, da quella sera in cui l'aveva trovato triste e solo su quel dondolo, che abbracciava la chitarra e pizzicava le corde a caso. 
Si risvegliò, scotendo la testa e chiudendo gli occhi, scacciando quel pensiero tornando in se.
Sapeva di dover smettere di ricordare, eppure erano cinque anni che ci provava - inutilmente, tra l'altro - e non ci riusciva. 
Prese forza, stampandosi addosso un sorriso, sperando poi silenziosamente che, ad aprire quella porta, non ci sarebbe stato lui. Non avrebbe retto il suo sguardo, che sapeva esser pieno di rancore, conoscendolo. Immaginò per un attimo lui che le apriva, le sorrideva incredulo, e poi la stringeva forte appropriandosi delle sue labbra, togliendole il respiro e ridandoglielo a sua volta, sussurrandole mille volte "ti amo, ti amo, ti amo", approfondendo quel bacio intrecciando le dita tra quei corti capelli scuri. 
Smise di fantasticare, e si decise a suonare quel campanello. Sentì solo un "arrivo" detto in fretta da qualcuno, e sorrise emozionata all'idea di poter finalmente riabbracciare la sua famiglia, nonostante il timore di poter trovare tutti, all'interno di quella casa.
Non sapeva chi si sarebbe trovata davanti a quella porta, ma nell'esatto momento in cui si ritrovò difronte la sorella minore, non potè far altro che sorridere di più e abbracciarla forte, come forse non aveva mai fatto prima. I lunghi capelli scuri ad incorniciarle perfettamente il volto, qualche centimetro in più di come l'aveva lasciata, e diciott'anni. Un momento che probabilmente le sarebbe rimasto impresso per sempre

<< Sorpresa! >> 
<< Oddio non ci posso credere! Eva! >> Alice l'aveva urlato spalancando gli occhi e la bocca, incredula d'essersi trovata difronte la sorella "americana" che, ormai, non vedeva da un bel po' di tempo. Ed Eva aveva lasciato a terra quelle valigie, sorridente come forse non lo era più stata da tempo, lasciandosi stringere dalla sorella che le era praticamente saltata al collo, emozionata e felice per la sorpresa. I corpi caldi a sfiorarsi, e quell'atmosfera avvolgente attorno.
<< La mia sorellona preferita sei tu! >> 
<< E meno male che sono l'unica! >> Rise Eva, col viso tuffato tra quei lunghi capelli scuri. 
Impegnate in quell'abbraccio, nemmeno sentirono il rumore di passi proveniente dalle scale.
<< Che è sto casin.. >> Si bloccò, spalancando gli occhi e aprendo le labbra in un sorriso. << Eva! >> 
Scese quei gradini di corsa, rischiando di inciampare, avvolta da quella vestaglia chiara che le arrivava fin sotto al ginocchio e i capelli lunghi e mossi a ricadere sulle spalle, morbidi.
E si gettò su di lei come fosse acqua nel deserto, fuoco nel gelo. Si rese conto di quelle lacrime che stavano rigando il suo volto, solo nel momento in cui quasi singhiozzando affondò il viso nel collo della figlia maggiore, stringendola forte al petto. 
Ed Eva non potè far altro che inspirare forte quel profumo di mamma che tanto le era mancato, lasciandosi trasportare da quelle emozioni che in un attimo avevano avvolto entrambe in quella nube calda e umida, formata dai loro respiri e le loro lacrime. 
In quei anni passati lontana da quella casa e da quei momenti, emozioni del genere le aveva vissute raramente, troppo impegnata con lo studio ed il lavoro. Telefonava regolarmente a casa, ma quelle telefonate col tempo cominciarono a non bastarle più. Sentirsi soli in una città non nostra. Lontani da casa e da tutto ciò che di più essenziale può esserci: la famiglia. 
<< Tesoro.. >> 
<< Mamma.. >> E anche Alice, difronte a quella scena, non potè che commuoversi ed emozionarsi, passandosi il dorso della mano sulle guancie per asciugare quella lacrime che dispettose avevano cominciato la loro corsa.
<< Che bella sorpresa! >> Lucia si staccò piano da quell'incastro, guardando negli occhi la figlia. << Quanto ti fermi? >> Le aveva chiesto poi, speranzosa. 
Ed Eva, in quel momento, - troppo bello per esser rovinato da un'uscita infelice come la probabilità di trasferirsi a Milano - guardo negli occhi della madre, asciugandosi anche lei col dorso della mano quelle lacrime, cercando di ritrovare il ritmo regolare dei respiri, che aveva perso abbracciando la madre e la sorella.
<< Mi fermo qualche giorno. >> Pronunciò solenne. << Vedremo. >> Aggiunse poi con un sorriso, guardando entrambe, alzando le spalle in segno di dubbio. 
<< Ma che bello! Dai, che fai li sulla porta? Entra, su! Giulio non crederà ai suoi occhi quando ti vedrà. >> Le aveva avvolto un braccio attorno alle spalle, maternamente, trascinandola assieme ad Alice in soggiorno, su quel divano arancione che tanto le era mancato. 
<< E Rudi e Mimmo? Aspetta che tornino dagli allenamenti! Daranno di matto! >> Continuò Alice, sedendosi accanto a lei. Le accarezzò i capelli, osservandola. Aveva lasciato una ragazzina, e al suo ritorno aveva trovato una ragazza quasi donna. Si era persa così tanto della vita della sorella. E solo ora, se ne rendeva conto. 

E l'ora successiva, tutti avevano fatto il loro ingresso a casa. Giulio, che vedendola, strabuzzò gli occhi e se li stropicciò, per poi correrle in contro e stringerla forte, anche lui incredulo d'averla ritrovata li al suo ritorno. 
<< Eva! Ma che ci fai qua? >> Stampandole due baci sulle guance calde, l'aveva poi guardata contento. 
<< Non avevo niente da fare, e così.. >> Scherzò lei, con finta aria innocente. 
<< Hai fatto benissimo tesoro. >> Sorrise lui, felice di poter rivedere quella ragazza che, in quei anni, - nonostante la grossa differenza d'età - era davvero riuscita ad insegnargli molto, sulla vita. Era la figlia che aveva sempre desiderato, e in tutto quel tempo che lei aveva passato lontano da quella casa, - lo sapeva - tutti ne avevano sentito l'incolmabile mancanza. Quel sorriso e quei modi dolci e gentili che la caratterizzavano, quello sguardo apprensivo rivolto ai suoi fratelli - e fratelloni -. 
<< Ma che davero? >> Rudi lasciò quel borsone cadere a terra, corrucciando la fronte confuso. 
<< Beh? >> Eva si alzò, allargando le braccia. << Non vieni ad abbracciare la tua sorellona? >> Scherzò lei, vedendolo poi sorridere e precipitarsi a stringerla, alzandola da terra e facendole fare un paio di giri, scoppiando a ridere entrambi. 
E poi l'aveva osservato, quel ragazzo che si trovava davanti. I capelli corti e tirati all'insù, alto come forse non immaginava potesse diventare, notando poi quel fisico più scolpito e definito che si intravedeva dalla stoffa del maglione scuro che indossava. Quando lasci qualcosa, è invevitabile. Al tuo ritorno, - pensava lei, accostandosi a lui sorridente - non potrai mai trovarla come l'hai lasciata. 
<< Si sta male in America? >> Scherzò lui, guadagnandosi una finta occhiataccia da parte della sorella maggiore. 
<< Guarda che se vuoi me ne vado eh! >>
La porta dell'ingresso si spalancò.
<< Non pensarci nemmeno! >> Mimmo fece il suo ingresso, anche lui lasciando cadere quel borsone a terra per correre ad abbracciarla.
E lei, quasi fece fatica a riconoscere quel ragazzo che le stava andando in contro. Anche lui, era solo un bambino, solo cinque anni prima. E ora si ritrovava davanti quel ragazzo quindicenne, più alto di lei, e dagli occhi chiari illuminati da uno strano bagliore che in lui, aveva sempre ricordato avere.
<< Lo vedi? Almeno qualcuno contento di vedermi, qui, c'è.. >> Eva guardò verso Rudi, vincente. 
E poi altri abbracci, sorrisi, baci e lacrime seguirono quel momento.
Era mancata a tutti, e rendersene conto, - notando i loro sorrisi - la fece davvero risentire a casa


Nda:
Direte voi: Ma questa, con tutte le storie che c'ha in sospeso, com'è che continua a pubblicarne altre? - mica posso darvi torto eh.. -
Comincio col dire che, prima o poi, TUTTE le mie storie, avranno una fine - speriamo xD - dignitosa.
E' passato un sacco dall'ultima volta, lo so.. Ma le troppe cose da fare, il lavoro e lo studio e gli impegni vari, m'hanno portato via un sacco di tempo per tornare qui tra voi. -.-" Chiedo umilmente perdono, a tutti.
Detto questo: l'idea di questa storia completamente alternativa a quella esistente, m'è venuta scherzando con un'amica sul fatto che, se avessimo potuto cambiare le ultime tre stagioni, tutto sicuramente sarebbe andato differente. Ecco poi il "lampo di genio": potevo eccome! 
Dopo l'amarezza, la delusione e chissà quanti altri sentimenti interni poco allegri, è uscita questa cosa che a me, almeno per ora - s'intende xD - un po' piace, ma solo per l'idea di cambiare TUTTO. 
Eva, dopo aver passato cinque anni a New York, decide di accettare l'offerta del padre. Ma - direte voi - a Roma o Milano? - Questo ancora non posso dirvelo, sto giusto scrivendo il secondo capitolo xD -. Abbandonata la sua vita, si ritrova di nuovo circondata dalla sua famiglia che in quei anni, le era mancata davvero tanto. 
Ovvio, non ha ancora detto a nessuno - suo padre escluso ovviamente - del vero motivo del suo ritorno, per non rovinare l'atmosfera e l'entusiasmo venutosi a creare dopo il suo ingresso in casa. Tutto ciò che posso dirvi - per ora -, è che nel prossimo capitolo scopriremo - assieme, perchè sto decidendo giusto ora xD - se rimarrà a Roma, o si trasferirà a Milano per inseguire il suo sogno di diventare - finalmente - giornalista. 
Se siete arrivati fino a qui, vi ringrazio di cuore, come sempre. (: Lasciatemi le vostre recensioni, in modo da sapere un po' l'andamento di quest'idea - malsana? xD - uscita di getto. 
Finisco col dire che passare qui, m'è mancato davvero tanto. Non sparirò più, dato che per me scrivere, è una terapia calmante ed indispensabile per superare le giornate ed estraniarmi dal mondo che mi circonda. (:
Grazie a voi che passate di qui. Colgo l'occasione per salutare - se mai leggerà xD - Eliessa. :D - Recupererò tutte le recensioni alle tue storie, promesso ** -.
Un bacio e a presto,

Chiara. <3
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > I Cesaroni / Vai alla pagina dell'autore: ChiaraMad