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Autore: Neverland98    28/03/2014    5 recensioni
-Chi sei, come ti chiami?- vorrei avere un tono sicuro, ma la voce mi muore in gola; così ne esce solo un verso strozzato.
Lui non sembra scomporsi, continua ad osservarmi con i suoi occhi glaciali. Non dev'essere molto più grande di me, eppure lo sembra. E' bellissimo, i suoi lineamenti delicati e la sua carnagione lattea lo fanno assomigliare ad un essere sovrannaturale. Ne sono subito attratta. -Mi chiamo Arden, ma non vedo come questo possa aiutarti a risolvere il tuo problema.-
Deglutisco a vuoto, i battiti del mio cuore mi rimbombano nelle orecchie. -Che problema?-
Arden sfodera un sorrisetto cattivo. - Come farai ad uscire da qui-
-Da qui dove? E' soltanto un sogno- mi sorzo di sembrare tranquilla.
-Dici davvero, ragazzina? E allora perchè non ti svegli- mi prende in giro.
-Lo faccio subito-
Serro le palpebre, smetto di respirare, stringo i pugni.
Ma non succede niente, lui è ancora davanti a me.
Questo non è un sogno.
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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E' tanto, troppo, calda. L'aria, intendo. Quasi soffocante, direi. Eppure non sudo, o almeno non me ne rendo conto. Mi passo il dorso della mano sulla fronte, ma è liscia e perfettamente asciutta. E allora perchè sto respirando a fatica? Perchè sento il bisogno di farmi vento con le mani? Avanzo cauta, tutto intorno a me si estende una nebbia grigiastra, densissima. Talmente tanto che alcune parti del paesaggio mi sono completamente oscurate. Da quel che riesco a vedere, però, mi accorgo che è notte e la luna piena è alta nel cielo. L'erba sulla quale cammino è grigia e bagnata, lo capisco perchè mi fa il solletico alle piante dei piedi. Già, a proposito, perchè sono scalza? Io, che non mi alzo dal letto se non ho le pantofole, perchè dovrei camminare a pieni nudi in un prato? A quanto pare non è importante. Avanzo ancora, finchè all'orizzonte non distinguo il profilo di un castello. Un castello molto grande, come quello delle principesse. Però in genere quelli sono tutti rosa e scintillanti, questo invece è nero come la pece. Tipo quello della Bella e la Bestia dopo l'incantesimo della fata cattiva. Mi ha sempre fatto paura, quel cartone animato. Vorrei scappare, ma il mio corpo non risponde ai miei comandi, va avanti per conto suo e si ferma davanti al grande portone di ferro battuto. E' molto arrugginito e vi sono scolpite teste di leoni che ruggiscono, le temibili zanne bene in mostra. E ad un tratto non ho più caldo, anzi: ho freddo. E' arrivato un vento fortissimo, gelido. Mi scompiglia i capelli e mi penetra nelle ossa, devo aggrapparmi alle maniglie del portone per non essere spazzata via. E nel momento stesso in cui le mie dita si stringono intorno al metallo, la maniglia fa un “clack” inquietantissimo e la porta si spalanca con uno scricchiolio talmente acuto da far venire la pelle d'oca. Insomma, senza che nemmeno me ne accorga, sono dentro al castello, e il portone si richiude pesantemente alle mie spalle.

Quale sarebbe la cosa più logica da fare? Ah, sì: chiedere se c'è qualcuno, visto che gli sono entrata in casa. E' violazione di domicilio, non importa quanto strane possano essere le circostanze, rischio comunque una denuncia. O magari, peggio, questa è la casa (riduttivo dire “casa”, visto il mausoleo in cui mi trovo!) di un maniaco sessuale, e io non ho via di fuga.

Oh, accidenti!

Sì, senza dubbio la cosa più logica sarebbe chiedere se c'è qualcuno.

Ma non lo faccio. O meglio, il mio corpo non lo fa.

Mi accorgo a stento di stare correndo, verso non so quale destinazione. Salgo una vasta rampa di scale a chiocciola, l'eco dei miei passi rimbomba nell'ambiente semivuoto. E' quasi buio, ma non inciampo, né sento i polpacci indolenziti per le troppe scale. Semplicemente, continuo.

E' difficile però ignorare l'inquietudine che mi sta crescendo addosso, quasi un terrore irrazionale. Il cuore mi pulsa nelle orecchie, tappandole. Ho l'affanno; ma, come ho detto, non per la fatica. Tremo, anche. E non per il freddo.

Vorrei andarmene. All'improvviso mi accorgo che l'unica cosa che voglio è fare retro-front e tornarmene a casa da... ovunque io sia adesso. Le gambe non mi ubbidiscono. Decido di chiudere gli occhi, come facevo da bambina per combattere la paura del buio. Quando mamma mi dava il bacio della buona notte e spegneva la luce nella mia cameretta, io abbassavo le palpebre, così – pensavo – se io non potevo vedere i mostri, loro non potevano vedere me. La tecnica del “chiudere gli occhi” ha funzionato anche con molte altre fobie. Quindi, mi dico, potrà funzionare anche adesso.

E infatti lo fa: funziona. Non riesco a vedere dove sto andando, ma percepisco chiaramente di essere in movimento. Sto ancora salendo la scala a chiocciola, che sembra non finire mai. Forse porta al cielo. Qual era quella favola che parlava di un bambino che faceva crescere una pianta di fagioli talmente alta da raggiungere il cielo, là dove abitava un gigante con la sua gallina dalle uova d'oro? “I fagioli magici”, mi pare si chiamasse. Ecco, ora come ora anche una favola idiota come questa mi terrorizza. E se incontrassi un gigante cattivo? Cosa potrei fare io, che di mio ho già una statura inferiore alla media?

Oh, accidenti!

Mi mordo il labbro per cercare di tranquillizzarmi e cercare una spiegazione logica, perchè se c'è qualcosa che ho imparato è che c'è sempre una spiegazione logica. Tranne in questo caso, a quanto pare.

Oppure no! - penso all'improvviso – magari... Forse... Potrebbe darsi che...

Un sogno! Potrebbe essere tutto un sogno!

Un incubo, per la precisione, ma sempre un sogno. Qualcosa di irreale, che non esiste. Che non sto vivendo davvero. Riderei, se non fosse per il terrore che continua a soffocarmi. Ma come si fa a svegliarsi dai sogni? Per la prima volta in vita mia desidero ardentemente che venga mattina.

All'improvviso i miei piedi si bloccano. Apro gli occhi; le scale sono finite, ora sono in quella che sembra la soffitta abbandonata di un film horror, con tanto di ragnatele ovunque e mobili abbandonati accatastati l'uno sopra l'altro. Perchè mi trovo qui?

E poi, all'improvviso, lo vedo. E' uno specchio bellissimo, rettangolare, in verticale occupa tutta la parete. E' icorniciato d'oro, ed è particolarmente lucido nonostante il degrado della soffitta in cui si trova. Mi avvicino per ammirarlo, ho sempre amato gli specchi. Mi affascinano. A volte mi chiedo come facessero le persone del passato a non vedersi allo specchio. Dev'essere orrendo non sapere come si è fatti. O magari è meglio, ciascuno può immagginarsi come vuole. Nessuno si sentirebbe brutto.

Ritorno alla realtà – o qualunque cosa sia -, e mi posiziono davanti allo specchio. A questo punto dovrei vedere il mio riflesso, capelli biondi che sfiorano appena le spalle sottili, ma non è così. Davanti a me, lo specchio si ricopre di una macchia nera densissimo. Una macchia che man mano inizia a diradarsi, e più lo fa, più mi accorgo che non è una macchia. Sono corvi. Ed escono dallo specchio.

Volano verso di me.

 

 

Saaaalve :3 Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e anche se così non fosse vi prego di recensire per farmi sapere in cosa posso migliorare ;) per quanto riguarda la trama, non temete: il meglio deve ancora venire eheh... :D
   
 
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