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Autore: D a k o t a    29/03/2014    12 recensioni
"Amare significa sapere aspettare. Aspettare i suoi tempi. Perché amare è sorridere ogni volta
che si pensa alla persona amata, svegliarsi felici di rivederla, sapere di essere capaci di fare tutto per lei, perché in un qualche modo involontario e inconscio è in grado di darci mille volte tutto quello che gli diamo noi”.
Otto anni dopo la 5x11. Una klaroline dove Caroline non è presente o forse lo è più che mai.
[Fluff!Molto Fluff!Troppo Fluff!]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline\Klaus, Klaus
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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“Amare significa sapere aspettare. Aspettare i suoi tempi. Perché amare è sorridere ogni volta  che si pensa alla persona amata, svegliarsi felici di rivederla, sapere di essere capaci di fare tutto per lei, perché in un qualche modo involontario e inconscio è in grado di darci mille volte tutto quello che gli diamo noi”.

 
Rachel Mikaelson quella sera di dormire non ne voleva proprio sapere. A nulla erano servite le coccole di Zia Bex, le rassicurazioni di Elijah. Non aveva affatto sonno e così scivolò fuori dal suo lettino, aprendo il cassetto vicino al comodino. Le si illuminò il volto quando vide dei pastelli. Decise che avrebbe disegnato la sua famiglia.
 Si mise ai piedi del letto e cominciò a disegnare, tracciando una linea indecisa. Incominciò da quella sua unica zia che la riempiva di regali e di vestiti e che nonostante i suoi “8 anni e mezzo”  non smetteva di chiederle se avesse trovato un fidanzato. In quei momenti Elijah scuoteva la testa e Klaus lanciava occhiate omicida. Poi passò a Elijah, lo disegnò con lo smoking, ricordando di non averlo mai visto diversamente. Ricordava che quel portamento contenuto e poco espansivo la spaventava da piccola, ma ben presto aveva imparato che non c’era nulla da temere.
Passò ai suoi genitori. Avrebbe voluto disegnare la mamma ma non l’aveva mai conosciuta e quando domandava di lei le risposte erano evasive e gli sguardi cupi, così aveva imparato a non domandare più, ma nel suo cuore il desiderio di conoscere quel volto era rimasto. E poi c’era suo papà. Beh, dirlo così non era semplice. Ne ricordava più l’assenza e non aveva mai capito perché cercasse di tenerla alla larga da lui, affidandola ad Elijah. Come poteva capire daltronde una bambina di otto anni che suo padre cercava solamente di proteggerla e di proteggersi, di non farle del male e di non farsene? Era impossibile spiegare tutto ciò.
Rachel però terminò il disegno di quella sagoma, mettendoci la massima cura. E poi decise di iniziare a colorare ma si accorse ben presto che le mancava un pennarello, il pennarello rosso con cui avrebbe voluto colorare il vestito della zia. Incrociò le braccia sul petto, arrabbiata e indecisa sul da farsi. Guardò con aria sdegnata il pennarello azzurro e poi le venne un’idea. Sapeva, le era stato accennato della passione di suo padre per la pittura  e pensò che forse nella sua camera avrebbe potuto trovare qualcosa.
Pochi minuti dopo era per i corridoi della casa e aspirò profondamente quando si ritrovò davanti alla porta della camera di Klaus. Era socchiusa e poteva sentire che all’interno non vi era nessuno.
Quando entrò notò le luci soffuse, ma fu qualcos’altro a catturare la sua attenzione. Una tela da disegno su un cavalletto accanto alla finestra, coperta da un panno. Doveva essere lì da poco, ciò voleva dire che Klaus era uscito da non molto e non voleva certo sorbirsi la ramanzina di Elijah sul rispetto della privacy altrui. Ma resistere alla tentazione di tirare giù quel telo e scoprire quale universo e quale verità  celasse era troppo forte, lo sarebbe stato per chiunque. Si ritrovò a sfiorare il panno prima con delicatezza e indecisione perché non voleva deludere nessuno, ma poi con uno strattone deciso lo tirò giù. E quello che vide davanti aveva dell’incredibile.
Nel quadro si vedeva una donna. I capelli biondi elegantemente raccolti in uno chignon, mentre qualche boccolo sembrava sfuggire ribelle e sbarazzino almeno quanto lo era il sorriso della giovane. Gli occhi erano affilati, azzurri come il mare. Emanavano una luce, una voglia di vivere, una sincerità disarmante.  La giovane aveva una mano appoggiata a un cavallo e nello sfondo prevalevano colori freddi, notturni, scuri. Eppure tutto sembrava oscurato - o forse iIlluminato?-  dal suo sorriso.
-Dovresti essere a letto.-
Ouch. Beccata. Una voce echeggiò nell’aria e Rachel, così rapita, non aveva  sentito Klaus subentrare. Si girò quasi spaventata e lo vide. Era appoggiato allo stipite della porta, intento come lei a fissare il quadro. Con la mente però non era lì. Sembrava perso in un vortice troppo  profondo perché ne potesse risalire.
-Cercavo il rosso.- spiegò la bambina. –E’ molto bella.-
Aggiunse poi riferendosi alla donna nel quadro. Aveva deciso che voleva saperne di più.. Che voleva sapere la sua storia e perché suo padre la dipingeva. Klaus si risvegliò da quel sonno cosciente e la guardò, sedendosi sul letto. Rachel era indecisa sul da farsi, ma poi si sedette accanto a lui.
-Era molto più che bella. Era capricciosa, irritante, viziata, moralista e a volte mi veniva voglia di mettere a tacere una volta per tutte quella boccuccia sentenziosa, ma era semplicemente la creatura più forte e incredibile che io abbia mai conosciuto.-
Un sorriso triste e malinconico increspò le labbra dell’Ibrido, mentre i fantasmi del passato avevano già preso spazio nella sua mente, pronti a tormentarlo, a ricordare quanto aveva perso. Rachel sbadigliò e Klaus decise di permetterle di sdraiarsi su quel letto.
-Non capisco. Se era viziata e irritante, come poteva essere la creatura più forte e incredibile?- domandò, corrucciando la fronte.
Klaus sorrise dell’ingenuità di quella domanda e si domandò perché stesse parlando dell’unica donna che aveva davvero amato con una bambina di otto anni. Ma poi pensò che se c’era qualcuno con cui avrebbe mai condiviso la sua storia con Caroline sarebbe stata propria sua figlia, che nonostante tutto, nonostante il suo essere poco affettuoso, lo amava in modo incondizionato.
-Aveva un dono particolare: sarebbe riuscita  a vedere il bene in qualsiasi cosa.-spiegò.
“Anche in me” avrebbe voluto aggiungere. Ma non lo disse. C’erano dettagli che avrebbe custodito sempre gelosamente.
-Mi racconti la sua storia?- domandò a bruciapelo.
Voleva saziare la curiosità di Rachel, ma voleva anche riempire e condividere il vuoto che l’assenza di Caroline creava dentro lui. Esorcizzare, in qualche modo, il dolore. Alla bambina si illuminarono gli occhietti. Era assonnata e stanca, ma sapeva che un momento come quello era destinato a non tornare mai più.
-Certo, tesoro.-
L’atmosfera era diventata magica e idilliaca. Nessuno avrebbe interrotto quel momento di confidenza e dolcezza, in quel singolare rapporto padre-figlia.
-Come si chiamava?-domandò.
-Caroline.-
Quel nome così melodico che per anni non aveva trovato la forza di pronunciare ad alta voce - forse per orgoglio, perché in un modo o nell’altro non avrebbe mai ammesso nemmeno a sé stesso quanto gli era costato lasciare libera la ragazza.
-E’ un nome da principesse.- puntualizzò Rachel.
Klaus abbozzò un sorriso. Sua figlia riusciva a intenerirlo e a smorzare la tensione che regnava nell’aria.
-Lei era una regina.- assentì lui,in modo scherzoso.
-L’amavi?- azzardò la bambina.
Klaus s’irrigidì. La verità era che non sapeva cos’era l’amore. Non sapeva se ne era capace. Ed era cresciuto con la convinzione che fosse una cosa per deboli e sciocchi. Una debolezza. Ma aveva finito per caderci anche lui e aveva capito a sue spese quanto avesse ragione.
-Non lo so, Rachel. So che amavo vederla sorridere, che l’avrei salvata ogni volta e che non avrei mai potuto fare  a meno della sua testardaggine in una giornata, che amavo dipingerla,  che non avrei mai permesso  a nessuno di farle del male ma ho finito per fargliene io. Due volte.-
Lo sguardo ferito  e deluso che gli aveva rivolto quando l’aveva morsa tornò a colpirlo come una frustata in pieno viso. Strinse i pugni. Non poteva perdere il controllo, non davanti a sua figlia.
-Zio Elijah dice che basta chiedere scusa.-
Alzò gli occhi al cielo. Elijah e le sue stupide convinzioni che cercava di inculcare alla bambina. Quel suo essere compassionevole e sentire la necessità di dimostrarlo sempre e comunque. Infondo Elijah faceva sempre la cosa giusta. Ma lui non era Elijah.
-Non era così semplice.-
Rachel incrociò le braccia sul petto, indispettita e decisa ad insistere.
-Lei ti amava?-
Quel dialogo stava diventando spinoso e avrebbe voluto gridare a sua figlia di dormire. Già, perchè Caroline aveva ammesso di amarlo ed era stata sua. Ed era stata in quell’esatto momento che aveva sentito la consapevolezza di averla persa.
-Avrebbe preferito uccidermi e difatti tentò di farlo che ammetterlo. Ma un giorno me lo disse.-
Un bagliore di curiosità accese gli occhi di Rachel. Stava crollando dal sonno, ma voleva sapere come andava a finire. Voleva sentire il “per sempre felici e contenti” e addormentarsi sognando un amore del genere.
-E poi?-
Klaus si allontanò dalla figlia, riprendendo a guardare il quadro. Ci fu una pausa di silenzio, ma poi riprese il discorso.
-E poi niente. Ci siamo baciati. Mi sono reso conto di amarla anch’io e di non poter permettere a nessuno di farle del male, tantomeno a me stesso. Non potevo rovinare i suoi sogni, non potevo strapparla alle sue amiche. Non potevo condannarla. Così, l’ho lasciata andare.-
Un sorriso finto, assolutamente di circostanza, stirò le labbra dell’Ibrido. Non fece in tempo ad aggiungere nient’altro, che gli occhi di Rachel si riempirono di calde lacrime. Klaus si stupì, pensando a cosa avesse detto di sbagliato mentre la guardava.
-E’ una storia triste. Non può finire così. Non è giusto.-
Gli diede le spalle, arrabbiata. La sua mente era troppo lineare e fragile per digerire il tutto. Se lui l’amava e lei anche, dov’era il problema?
-Non è una favola, questa.-
Le parole di Klaus volevano essere una giustificazione, ma erano piene di amarezza. Rachel lo guardava, con uno sguardo carico d’astio, e pensò che forse parlargliene non era stata una buona idea. Era meglio che vivesse il più possibile nel suo mondo fatto di favole, che si accorgesse  di quanto cruda fosse la realtà. Ed era per questo che cercava di tenerla lontana. Perché, in un modo nell’altro, essere amati da lui era una delle peggiori condanne, una disgrazia da non augurare a nessuno.
-Mi avevi detto che era una regina.- lo accusò lei.
A Klaus quella frase fece venire un’idea. Gli tornò in mente un diploma. Un tocco. Una promessa.
- Lo era, ma la sua corona e il suo trono si trovano qui. Un giorno, quando vorrà e si sentirà pronta ad accettare le conseguenze  e le responsabilità che questo comporta, tornerà. E quando tornerà le mostrerò tutto ciò che il mondo ha da offrire, faremo in modo che non se ne vada mai più.-
Le lacrime di Rachel si erano calmate e Klaus fu felice, finché un nuovo bagliore di inquietudine balenò nei suoi occhi.
-Potrebbero volerci secoli.- osservò la bambina.
Aveva ragione Rachel e non si capacitava nemmeno di quanto. Ma cosa era un secolo due, quando hai l’eternità davanti? Cos’era un secolo davanti alla possibilità di essere finalmente amato e accettato? Nulla.
-Io l’aspetterò, Rachel.-ribadì, sicuro come non mai.
La bambina sbadigliò e questa volta era davvero sul punto di crollare. Un moto affettuoso strinse Klaus, mentre le aggiustava le coperte, facendo attenzione a non farsi notare, quasi intimidito.
-Promesso?- concluse.
Klaus sospirò, davanti all’insistenza della figlia. Era così dannatamente cocciuta e curiosa, perfino quando era stremata dal sonno. Roteò gli occhi.
-Promesso. Preferisco aspettare lei che stare con chiunque altra.-
A Rachel quella risposta piacque parecchio e decise di non tormentarlo più con le domande. Un bacio sulla fronte la prese alla sprovvista e chiuse gli occhi. Il pennarello era ormai un pensiero lontano.
E quella notte avrebbe sognato una regina dai boccoli biondi.

Note dell'autrice.
Sono terribile. Cioè, con "If I hate you, Why I Can't let you go?" da concludere, mi metto a fare queste cose. Beh, si, mi metto a fare queste cose. Lo so, è troppo fluff, ma io e il fluff, avrete notato più volte, siamo una cosa sola. E niente... Non vedo un lieto fine per Hayley, o almeno boh, ho una brutta sensazione. Avevo già condiviso a grandi lineee questo viaggetto mentale nel gruppo "Klaroline"( quello con il fulmine), di facebook, e credevo che valesse la pena scriverlo per bene. E non smettete di crederci. 

Un bacio, Desy.
   
 
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