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Autore: Meow_    29/03/2014    4 recensioni
Alzai lo sguardo verso lo specchio. Avevo la faccia ricoperta di sangue, ma non riuscivo a capire da dove venisse.
-
Pensai di essere impazzita, di avere le allucinazioni.
-
«Queste occhiaie! E la faccia, guardami, sono color morte!»
«Stai impazzendo»
«Seriamente non vedi niente di strano?»
«No»
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9
Inizia il divertimento


Mi ritrovai sola, nell’oscurità.  Per un istante avevo dimenticato tutto ciò che era successo, ma mi tornò ben presto in mente. Ancora un po’ stordita, come sempre dopo che la Paura si mostrava, girai lentamente su me stessa. Ed eccola là: la fonte di luce. Stavolta potevo osservare la camera di una ragazza, la stessa ragazza che avevo visto la volta precedente.
Mi avvicinai lentamente, fino a toccare la superficie del portale. Aspettavo una superficie solida, che mi bloccasse, invece scoprii che niente mi separava dalla camera. Entrai prima con le mani, poi con la testa e infine con tutto il corpo. Senza nemmeno rendermene conto, ero dentro la stanza.
La ragazza stava a pochi metri da me, ma non mi vedeva. Si era girata più o meno nello stesso momento in cui ero entrata, ma ora fissava un punto vicino ai miei piedi; era ovvio: non poteva vedermi.
Mi chiesi se la Paura aveva fatto lo stesso con me. Eppure la ragazza era normale: nessuna occhiaia, niente sangue, niente di niente. Si guardò allo specchio –ovvero il mio misterioso portale- e nemmeno lei sembrò notare qualcosa di strano.
La guardai negli occhi e fui invasa dai suoi pensieri e dai suoi segreti. Una valanga di informazioni mi travolse e quasi crollai a terra. Era incredibile l’effetto che poteva fare condividere due menti allo stesso tempo.
Decisi di riprovare: se volevo avere qualche speranza di riuscire a torturarla, mi dissi, conoscere la mia vittima sarebbe stato un buon punto di partenza.
La guardai nuovamente negli occhi, stavolta cercando di limitare il flusso di pensieri. Non so nemmeno come, ma ci riuscii. Iniziai ad elaborare le informazioni più semplici: nome, età, colore preferito… Scoprii che si chiamava Alessandra, che aveva diciassette anni, che amava il giallo e che aveva una cotta incredibile per un suo amico, ma che era troppo timida per rivelarglielo. Il pensiero all’inizio mi fece sorridere, ma poi mi ricordai del perché le stavo rubando quelle informazioni e mi raggelai. L’idea di quella ragazzina innamorata mi parve improvvisamente ridicolo. Iniziai a ridere fra me e me, pensando a quanto sarebbe stato facile e divertente torturare una ragazza così debole. E poi, ancora, provai disgusto per me stessa per aver formulato simili pensieri.
Che la Paura stesse corrompendo la mia sanità mentale? Forse l’aveva già fatto da tempo e non me ne ero resa conto; forse stavo diventando un essere crudele come lei. No, scossi la testa. Non sarei mai diventata come la Paura. O forse lo ero già, mentre credevo di essere normale?
Continuai ad osservare Alessandra, mentre le rubavo lentamente altri pensieri e ricordi, mentre memorizzavo i volti delle persone che conosceva.
Ad un tratto qualcuno bussò alla porta, e il padre della ragazza entrò in camera.
«Ale, tutto bene?» chiese.
La ragazza annuì, e in seguito il padre andò a sedersi accanto a lei, sul letto. Le mise un braccio intorno alla spalla.
«Sei sicura? Lo sai che con me puoi parlare» disse ancora.
«Certo, papà, lo so. Va tutto bene, non ti preoccupare» rispose lei.
Mentre osservavo la scena, divenni curiosa… Mi domandavo… Mi domandavo se fossi in grado di leggere anche i pensieri del padre. Così, ripetei lo stesso procedimento anche su di lui, e con mia grande sorpresa mi ritrovai dentro la sua mente. Non solo potevo leggere i suoi pensieri, potevo decidere cosa pensare e cosa fare. In sostanza, potevo controllarlo.
Immaginai che la mia opera di tortura stesse iniziando. Pensai alle cose più crudeli che un padre possa dire ad una figlia, ma decisi di non farmi prendere dal delirio di onnipotenza e di andare più sul leggero.
«E così ti piace un ragazzo che non ti calcolerà mai?» dissi, sogghignando.
La ragazza arrossì violentemente e mi guardò, o meglio, guardò suo padre incredula.
«Papa! Ma che dici? Non…»
«Andiamo! So riconoscere i sintomi dell’amore, e sei sempre stata un po’… particolare… Non mi stupirebbe se il ragazzo che ti piace non ricambiasse» dissi.
Mi resi conto troppo tardi di stare esagerando. La ragazza mi guardò con gli occhi pieni di lacrime, e decisi di lasciar perdere. Abbandonai la mente del padre, che si riprese con un brivido.
«Tesoro mio, perché stai piangendo? Cos’è successo?» chiese il padre.
«Cos’è successo? Hai il coraggio di chiedermelo? Mio padre mi ha appena detto che sono troppo sfigata per avere un ragazzo e mi chiedi perché sto piangendo?» urlò la ragazza, la voce spezzata dal pianto.
«Cosa? No, no! Non ho mai detto niente del genere…» disse il padre, confuso. «Dicevo che sei… Sì, che sei una ragazza speciale e che probabilmente non ti merita» aggiunse poi, in seguito allo sguardo accusatorio della figlia.
Diedi un’occhiata ai suoi pensieri e seppi che era semplicemente terrorizzato; era più che sicuro di non aver detto niente del genere e si stava chiedendo se sua figlia fosse impazzita.
Tutto sommato fui soddisfatta del mio lavoro. Seminare incertezza era realizzante. D’ora in avanti, però, avrei dovuto fare attenzione.

Scoprii di non avere più bisogno di mangiare o di dormire, così passai tutta la giornata ad osservare i movimenti di Alessandra, a leggere ogni suo pensiero e pian piano venni a conoscenza di tutti i suoi piccoli e grandi segreti. Lessi il pensiero a tutte le persone che incontrò, in modo da farmi un’idea sulla gente che frequentava e su cosa pensavano di Alessandra. Con molto piacere, notai che erano ben poche le persone a cui piaceva veramente. Sarebbe stata una preda facile, come previsto.
Dopo qualche ora di assolutamente niente, di notte, decisi che era arrivato il momento di divertirmi. Pescai dalla sua mente una delle sue paure più grandi, e decisi che fargliela vivere sotto forma di sogno non sarebbe stata una cattiva idea.
Quella stupida ragazza aveva il terrore dei serpenti e soffriva di claustrofobia… Così la rinchiusi in una camera minuscola, e ci aggiunsi diversi serpenti, che le strisciavano addosso. Nel sogno gridava, piangeva, non riusciva a respirare; nella realtà si agitava e sudava. Ci misi tutto l’impegno per farle sembrare il sogno più reale possibile, ma ancora dovevo padroneggiare quella capacità. La Paura non mi aveva insegnato nessuna tecnica.
Quando la ragazza si svegliò, urlando, provai piacere. Ero riuscita a metterle paura. Si sedette e iniziò a bere lunghe sorsate d’acqua, e mentre la osservavo, tutta la gioia svanì. Ma cosa stavo facendo? Che aveva fatto di male perché le facessi questo?
Iniziai a prendere in considerazione l’idea di urlare alla Paura che non avevo intenzione di continuare, che poteva pure torturarmi quanto voleva, non importava… Ma poi mi resi conto che mi stavo comportando da persona debole. Mi ero davvero intenerita davanti a una povera ragazzina spaventata per un brutto sogno? Non doveva succedere di nuovo. 



Ciao a tutti! Mi scuso -come sempre, ormai- del ritardo... Ma che ci volete fare, non ho proprio tempo. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio chi ha letto e recensito gli scorsi capitoli. 
A presto! 
   
 
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