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Autore: breaking free    30/03/2014    0 recensioni
Blaine è un donnaiolo, frivolo e stronzo. Ah, anche coglione. Spreca la sua vita in bar e discoteche, bevendo e correndo il rischio di vivere troppo velocemente; Kurt è sensibile, ma allo stesso tempo forte, dice di non avere paura di niente quando sta scappando da se stesso. Ah, è anche malato.
Due persone completamente diverse, ma così dannatamente uguali.
Due persone che per scoprire loro stessi, dovranno perdersi del tutto.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Burt Hummel, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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«Blaine, è il terzo bicchiere di wodka in meno di un quarto d’ora… Non credi di stare, uhm, esagerando?» 
Un ragazzo dall’aria scettica e seccata si passò una mano fra i suoi capelli bagnati dal sudore e, con un leggero grugnito, cacciò dalla tasca destra dei pantaloni un paio di banconote da un dollaro l’una e, con fare stanco, le gettò sul bancone.
«Pulisciti il culo con queste.»
Il barista, alquanto preoccupato, passò un altro bicchiere di wodka al ragazzo seduto al bancone, mettendogli una mano sulla spalla.
«Sai che questo non è il modo migliore per risolvere i problemi, si?» 
«Sa- Sammy, falla finita.»
Blaine, così sembrava chiamarsi il ragazzo seduto al bancone, afferrò con entrambe le mani il bicchiere e se lo portò alle labbra, ingurgitando il contenuto in una sola sorsata.
«Un altro.»
«Ah no, ora tu fili dritto a casa, bello mio.»
Sbuffando, Blaine si alzò dal bancone e si diresse verso il centro della sala, strusciando i piedi a terra e camminando con aria mesta, quasi da drogato. E ci mancava poco che lo diventasse.
Blaine era quel tipo di persona che, del giudizio degli altri, non se ne importava. Per tutta la vita aveva commesso lo sbaglio di dipendere dagli altri e, ora, a quasi ventuno anni, riusciva ad essere indipendente.
O quasi.
Blaine spintonò un paio di persone per farsi spazio nella pista e, gettando le mani in aria, si muoveva a ritmo di musica; gli erano sempre piaciute le discoteche, dove si ballava e si beveva a volontà, dove facevi amicizia, scopavi e il giorno dopo non te ne fregava niente della sera prima, perché “è un nuovo giorno”. Solo che, per Blaine, quel nuovo giorno non sembrava arrivare mai.
Lì, in Ohio, non c’era mai nulla di divertente, mai nulla di nuovo. Sempre le stesse persone, le stette voci, le stesse cazzate. Era come un ciclo che, irrimediabilmente, si ripeteva sempre.
Quella sera, nella “Sammy disco-bar” c’era una festa privata, alla quale, naturalmente, partecipava tutta la città. Eppure, notò distrattamente il giovane, non c’era la solita affluenza che ritrovava di solito, le sere addietro.
Anzi, prestando più attenzione, c’erano solo una ventina di persone.
Tutte gay.
Un gay lo si vede subito, pensò Blaine, hanno quelle facce di chi vorrebbe trovare un posto nel mondo: occhi dilatati, capelli impiastricciati di gel, pantaloni aderenti e quelle bretelle sopra le camicia floreali che gli fanno assomigliare a dei clown quanto già non siano.
Troppi pensieri e troppe parole scorrevano nella mente del ragazzo, aveva bisogno di qualcosa da bere. Con aria soddisfatta si diresse al bancone, ancora, e fece un cenno a Sammy, aspettandosi la sua solita occhiataccia brusca. Si appoggiò al bancone con fare distratto e si portò una mano sulla guancia, poggiandoci poi la faccia.
«Scusa, potresti gentilmente spostarti, mi stai leggermente opprimendo.»
Se fosse stato un altro giorno, Blaine non avrebbe sentito la flebile voce che gli giunse all’orecchio, dato il solito trambusto dei locali notturni. Ma il volume della musica era abbastanza moderato e, voltando la testa verso la voce che lo aveva colpito, si rese conto che, effettivamente, il ragazzo lì vicino non aveva spazio per muoversi, essendosi Blaine appoggiato a lui.
«Spostati tu, allora.» 
Disse Blaine, cercando di guardarlo negli occhi nonostante non riuscisse a tenere un alto livello di concentrazione; aveva bevuto molto e in pochissimi minuti, ed era più stonato del solito.
«E’ così che voi scarti della società date il benvenuto ai nuovi arrivati?»
Blaine non riuscì ad inquadrare bene il ragazzo che gli stava parlando, un po’ per il buio che incombeva su di loro (anche se c’erano abbastanza luci stroboscopiche per evitare di calpestare piedi altrui durante un ballo sfrenato) e un po’ perché i suoi occhi non riuscivano a mantenersi aperti; ma, fortuna o meno, il suo pungo centrò perfettamente il naso del ragazzo.
Un tonfò rimbombò all’interno della sala e il ragazzo cadde a peso morto sul pavimento, privo di sensi.

Chiamate l’ambulanza, il ragazzo non respira più!

Troppe voci, troppe persone circondarono Blaine; alcune con viso preoccupato, altre portate lì solo dalla loro “non mi faccio mai i cazzi miei”; era solo un pungo, accidenti, non aveva ucciso nessuno, no?

Io lo conosco, conosco suo padre!

Un conato di vomito drizzò le sue spalle, che rigettò tutto sulle scarpe del ragazzo sotto di lui e, come se fosse stato attratto da una forza superiore, si accasciò in terra, sopra il petto di questo.

Si chiama Ku—

Blaine svenne, e non riuscì ad ascoltare o capire più nulla ma, anche con la mente spenta e l’animo a pezzi, non riuscì a non sussurrare un semplice invito: “respira”. 


 

NOTA BENE: quando, in questo capitolo, o in quelli che seguiranno, parlerò dei gay in modo "cattivo" o "insultandoli", non voglio offendere nessuno, è soltanto il modo di parlare di Blaine e quello che pensa in quell'istante.
La frase che ho usato come nome del primo capitolo è di 
Marracash.
Recensite e fatemi sapere cosa ne pensate, vi prego!

  
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