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Autore: ale93    30/03/2014    7 recensioni
La vecchia stagione, che sta per finire, ti soffia sul cuore
e ti ruba l’amore.
[A mano a mano, Rino Gaetano]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Fuori e dentro il cerchio'
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Disclaimer: Ruvoli è un paese fittizio e i personaggi sono frutto della mia immaginazione. Ogni riferimento a fatti o persone reali è casuale.





A mano a mano
 
La vecchia stagione, che sta per finire, ti soffia sul cuore
e ti ruba l’amore.
[A mano a mano, Rino Gaetano]
 
 
 
 
 
 
 
 
Giosuè,
quando leggerai questa lettera sarò già lontano. Mi spiace andarmene senza avertene fatto parola, ma so che avresti cercato di fermarmi – sei sempre stato così razionale, Giò… Quando mai, però, sono stato a sentire i tuoi consigli?
Credo che disegnerò ancora qualcosa, prima di andare. Qualcosa di bello, qualcosa di grande. Vorrei dipingere su un lenzuolo e poi appenderlo alla finestra, riempire di colore questo posto di merda.
Forse lo farò.
 
 
-
 
 
 
«Dammi quella mano, Giosuè.»
Il cielo di Ruvoli è scuro, nota Giosuè, e la pioggia sottile viene giù quasi senza bagnarli davvero. C’è l’odore della terra fangosa del cortile della scuola media, i compagni che giocano a calcio un po’ più in là -«e passami la palla», «tira, deficiente!», «ma glielo vuoi fare un cazzo di tunnel?»- e gli occhi di Leo.
Ha una faccetta pallida, Leo, la bocca piegata in una smorfia da stronzetto, i lividi sempre agli angoli degli occhi perché ogni giorno fa rissa con un tizio diverso. E un coltellino svizzero tra le dita.
«Non vuoi essere un cacasotto, vero, Giò? Tu non vuoi
Giosuè, alla fine, solleva la mano sinistra e Leo resta immobile a fissare il suo palmo per qualche attimo. La sua espressione da pazzo, quella a cui Giosuè è ormai abituato, cambia e per un secondo sembra che Leo stia sorridendo, che stia sorridendo davvero.
 
«Questo è un patto.»
Il coltellino accarezza il centro della mano. Gli occhi scuri di Leo stanno ridendo.
«Lo so, Leo.»
Tra la punta della lama e la pelle, c’è un scia rossa, un serpentello di sangue che scivola sul polso di Giosuè. Leo, ipnotizzato, pulisce il coltello con la manica della maglia e poi lo preme anche sulla sua mano.
«Allora ci stai?»
«Ci- ci sto.»
Hanno tredici anni, Leo ha gli occhi cerchiati di nero e Giosuè pensa che sia strano, ma si stringono la mano. E adesso, adesso, Giosuè capisce.
Questo è un patto.
Saranno sempre insieme, dalla stessa parte.
 
 
 
-
 
 
 
Benedetta è seduta dall’altra parte del tavolo e succhia aranciata da una cannuccia. Il locale è piccolo, forse il più piccolo di quel paesello, la puzza di fritto pizzica le narici di Leo, il legno dei tavoli è stato inciso più e più volte. Leo fissa quei taglietti, può quasi vedere le piccole schegge che si addensano sui bordi dei solchi.
«Perché hai scelto l’artistico, Leo?»
Hanno quindici anni e Benedetta frequenta il liceo classico –oh, già, insieme a Giosuè-, ma non le piace, odia il greco, il latino, quelle parole sconosciute che le si conficcano nella testa e le confondono i pensieri. Le piace la storia, ma neppure troppo. Benedetta ama i numeri. Il calcolo. Benedetta ama la matematica, perché non è mai, mai, mai un’opinione, perché è sicura, perché a tutte le domande esiste una risposta.
Per codificare i pensieri non esistono le formule. Le incognite che ha in testa sono delle x che non troverà mai. E Leo è sempre stato un’equazione un po’ strana, monca. Benedetta non lo capisce bene, ma vorrebbe.
Lo sa da un po’, Benedetta, che vorrebbe stare più vicina a Leo per studiare le sue stranezze, raccoglierle ad una ad una, come pezzi infiniti di un puzzle, e metterle insieme, baciarle tutte, voler bene ad ogni ritaglio di Leo. Amarlo?
«Da quanto ci conosciamo, Betti?»
«Dalle medie…»
Non sapeva bene chi fosse, allora. Benedetta lo guardava da lontano, quando si alzava per andare a fumare nei bagni, quando scarabocchiava agli angoli dei libri, quando sbuffava le risposte sbagliate alle interrogazioni. Però conosceva bene Giosuè e Giosuè era sempre con Leo. Sempre, sempre, sempre.
 
Leo solleva lo sguardo e fissa il viso tondo di Benedetta, da bambina troppo cresciuta, con le labbra sbavate di lucidalabbra alla fragola. «E non sono mai stato uno tanto normale, no?», ride Leo, sbuffando.
«No», sorride Betti. «Ma non hai risposto… perché hai scelto l’artistico?»
«Disegnare mi fa sentire meglio», alza le spalle e mangia una patatina fritta impregnata di olio. Si lecca le dita. «Non mi va di fare altro.»
Si guardano a lungo. «Anche Giosuè lo dice, Leo vuole solo disegnare. Disegna sempre.»
Le guance di Benedetta si arrossano e i suoi occhi fuggono via come pesciolini spaventati nel mare. Ci pensa sempre al mare, Leo, al mare fresco, azzurro, limpido, al mare che sta negli occhi di Giosuè.
Gli occhi di Benedetta, invece, spariscono in quel mare senza che Leo possa farci niente, però la bacia lo stesso, perché è bella a modo suo, è bella con gli occhi tristi e liquidi, è bella fuori dal locale mentre gli passa una sigaretta mezza fumata che lascia cadere quando Leo le prende il polso.
A Leo piacciono le cose belle e vuole tenersele vicino perché solo così può ricordarle, solo così può metterle sulla carta e non lasciarle andare mai. Solo così può sentire di avere qualcosa dentro, perché Leo è sempre, sempre, un po’ vuoto. E, di qualcosa, deve riempirsi.
Si baciano fuori dal locale e quello è il primo bacio di Leo, umido, scivoloso, caldissimo.
«Al mare, Betti, andiamo al mare.»
Perché il mare puoi solo guardarlo, puoi averlo vicino, tanto vicino, ma non puoi tenertelo dentro.
 
 
 
-
 
 
 
Sul motorino, Leo e Giosuè scivolano per le strade di Ruvoli, con l’odore del pane appena sfornato nel naso. È l’alba, tra poche ore inizierà la prima prova degli Esami di Stato, ma Leo sente la libertà che gli scorre sotto la pelle, con Giosuè incollato alla schiena e le sue mani spaventate sul petto.
Leo urla, felice.
«Stai zitto, Leo!», ma sta ridendo anche Giosuè, anche se lo fa solo agli angoli della bocca. Giosuè è sempre timoroso, si muove piano, in punta di piedi, come se avesse paura di dar fastidio. Se Benedetta è bella a modo suo, Giosuè è lieve, Giosuè è un soffio.
«Benedetta mi ha mollato», smozzica qualche minuto dopo, Leo, seduto sui gradoni della chiesa in Piazza Immacolata. Giosuè, le mani nelle tasche e il viso al cielo, sospira forte due volte. Le sue lentiggini sul naso e sulle guance sono più scure sotto il sole di fine giugno.
«Durante la maturità?», sussurra alla fine Giosuè, guardandolo negli occhi. Occhi azzurri, chiari, sinceri, buoni. Leo non se li merita quegli occhi.
Fa spallucce. «Dice che sono distratto. Secondo me non ne poteva più», scoppia a ridere. Le sue guance sono incavate e il suo viso è sempre stato bianchissimo.
 
Quando Giosuè lo guarda, rivede gli occhi spiritati di quel tredicenne che lo ha costretto a fare un patto di sangue. Hanno una cicatrice lunga, sottile e identica sul palmo sinistro e Giosuè l’ha guardata ogni volta che Benedetta l’ha chiamato con la voce rotta dal pianto, quando trovava la roba nelle tasche di Leo.
Una volta gliel’ha chiesto, «perché ti fai, Leo?», e lui gli ha risposto che voleva capire se c’era dell’altro da vedere, oltre alle cose di tutti i giorni, se poteva sentire il mare dentro. Giosuè non c’ha capito niente, però ha sempre saputo che Leo ha solo bisogno di spalle dolci a cui appoggiarsi. Leo è fragile, Leo può spezzarsi da un momento all’altro, può cadere dal precipizio su cui sta seduto da sempre. Giosuè ha creduto davvero che Benedetta potesse salvarlo, Benedetta e la sua dolcezza, i suoi occhi grandi, la sua voce delicata.
Una delle ultime volte, però, quella voce era piatta e i suoi occhi pieni di sconfitta e rassegnazione. «Leo è pazzo, Giò», gli aveva detto. «Sono giorni che dipinge… dipinge con l’acqua, Leo. Mi dice ‘guarda, Betti. Ti piace?’. Non ce la faccio, Giò, non ce la faccio.»
Poi aveva pianto, Benedetta. E quando le lacrime s’erano seccate sulle ciglia, Giosuè l’aveva perdonata per essersi arresa.
Con Leo, per Leo, ci sarebbe stato lui. Per sempre.
Questo è un patto.
 
 
 
-
 
 
«Fai un altro patto con me, Giò? Come quando eravamo piccoli…»
Leo è fatto ancora una volta; sta in piedi, al centro della camera di Giosuè, si tortura le dita con la bocca, conta con i passi le mattonelle chiare del pavimento. Gli esami sono appena finiti, Giò ride ancora per il suo 100, Leo non ha neppure guardato i quadri, ma ha preso 87, Giosuè lo sa.
È sera tarda e per fortuna Giò è solo in casa, altrimenti non avrebbe potuto spiegare a nessuno quel casino ch’è Leo.
«Devi smetterla, Leo…», la sua voce trema appena, non lo guarda neppure negli occhi.
Lui scoppia a ridere, si porta le mani tra i capelli neri e lunghi, annodati sulle punte. La pelle tira sui suoi zigomi troppo pronunciati. «Di fare cosa?», sputa fuori.
«Devi smetterla con quella merda, hai capito?»
Leo smette di ridere, lo guarda a lungo, dall’altro capo della camera, mentre Giosuè si lascia cadere sul letto sfatto. In un attimo Leo lo raggiunge, gli sfiora il viso con un dito. È assorto e concentrato e Giò è immobile, ipnotizzato. Non riesce a spostarsi mentre Leo si china su di lui, le sopracciglia unite al centro e gli occhi stretti in due fessure.
«Quella merda, Giò, mi sta facendo credere che mi baceresti adesso. Io la voglio, quella merda, ne ho bisogno.»
E poi le labbra pallide di Leo sono sulla bocca di Giosuè e le sue mani si aggrappano alle sue spalle, lo graffiano, lo tirano, lo accarezzano. Giosuè sta ancora ad occhi aperti, spaventato. Leo lo sta chiamando, sta chiedendo aiuto ancora una volta e lui, proprio lui, sta fermo.
Questo è un patto. Un altro patto.
E Giò vuole farlo questo patto? Per adesso chiude gli occhi, vuole solo sollevare una mano per accarezzare il collo bianco di Leo. Il piccolo Leo.
 
Ma Leo non saprà mai quello che Giosuè stava per fare. Si allontana prima, terrorizzato dal gelo che ha sentito nella sua bocca. Dov’era il soffio caldo di Giò? Dov’era quel mare calmo e tiepido dei suoi occhi?
«Scusa, sono fatto. Me ne vado.»
Leo corre via, inciampa nei suoi lacci, si lascia alle spalle la casetta di Giosuè.
Perché non lo vorrà mai, perchè l'ha spaventato, perchè adesso Giò penserà che Leo sia un cazzo di spostato, uno scherzo che gli ha fatto la vita.
Perché il mare puoi solo guardarlo, puoi averlo vicino, tanto vicino, ma non puoi tenertelo dentro.
 
 
 
-
 
 
Sono giorni che non si parlano. Giosuè non sa ancora perché quella sera aveva pensato di baciare Leo, non se lo spiega. Deve trovare una risposta, deve farlo. Prima di poter muovere un altro passo, Giò ha bisogno di capire.
Non parla neppure con Benedetta, perché lei ha bisogno di stare lontana da quel mondo di distruzione e dolore, perché lei non ha fatto nessun patto.
Lo incontra per strada, ogni tanto, abbozza un sorriso, perchè quello è Leo e non può evitarlo, ma lui è distante, i suoi occhi guardano posti che nessuno vede.
 
 
 
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Non piangere, Giò. So che sei un sentimentale, ma ti prego non farlo. Non è per te, né per Benedetta che lo faccio. È per me, perché stavo cercando qualcosa, qualcosa, qualcosa. E l’ho trovato, sai Giò? L’ho trovato a undici anni. Il mare. Tu. Ma ho rovinato tutto.
Adesso però l’ho capito, quello che devo fare. È sempre stato così semplice.
Io parto, Giò, ma ci rivediamo.
Avevamo fatto un patto, ti ricordi?
Insieme, per sempre, se mi perdonerai. Ti aspetterò.
 
 
 
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L’hanno trascinato in riva al mare, Giosuè l’ha guardato da lontano per un po’. Era pallido come sempre, ma i suoi occhi scuri, i suoi occhi folli e dolci, Giosuè non li ha potuti vedere. Non potrà vederli.
Suicidio. Si è lasciato affogare, hanno detto.
 
Benedetta al funerale è vestita tutta di nero e piange, singhiozzando. Giosuè la guarda dietro le lenti degli occhiali da sole. Ha il cuore in un pugno strettissimo. La mamma di Giò tiene una mano sulla sua spalla, cerca di dargli forza.
Giosuè scoppia a ridere, mentre due lacrime gli si seccano sulla faccia. Ora lo sa che Leo doveva bruciare in fretta e lui, invece, è sempre stato lento. Forse per questo è vivo, forse per questo sono tutti vivi e Leo invece è finito, si è spento.
Guarda il palmo della sua mano sinistra e si libera della stretta di sua madre, degli occhi bagnati di Benedetta, delle parole degli sconosciuti. Giosuè corre via. Raccoglie una pietra dal terreno, la studia, la tasta con le dita. Sì, è abbastanza appuntita.
Se la passa sulla mano, sul lembo di pelle chiaro come il viso di Leo. Preme forte e una riga rossa si apre sul palmo.
«Questo è un patto, Leo.»
 
 
-
 
 
Ora posso dirtelo, Giò, non potrai arrabbiarti con me.
Ti amo,
Leo.




 
Note: penso sia uno dei miei testi più 'sofferti'. Per Leo ho davvero provato qualcosa di forte. Forse perché di Leo, al mondo, ne esistono tanti. Ne esistono troppi. A suo modo anche Giosuè mi è entrato nel cuore, con le sue paure per quella dipendenza che Leo aveva nei suoi confronti, con i suoi timori per la vita in genere, vissuta sempre con un freno. E Benedetta credo sia il personaggio più umano che io abbia mai trattato.
Ora la smetto di dire stupidaggini. Spero sia stata una 'buona' lettura.
Alla prossima!
   
 
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