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Autore: cercando_me_stessa    30/03/2014    4 recensioni
-Ogni tanto mi chiedo cosa mai stiamo aspettando.
Silenzio.
-Che sia troppo tardi, madame.
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- cercando_me_stessa
Genere: Poesia, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ally Dawson, Altri, Austin Moon, Nuovo personaggio
Note: Otherverse | Avvertimenti: Triangolo
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Salve, sono nuova di qui, ma vi assicuro che è da un anno che seguo le vostre storie senza recensirle (non avendo un account) ma poi ho deciso di crearne uno.
Sono cercando_me_stessa , ma in realtà mi chiamo …. Non vi interessa.
Leggendo questa fan fiction mi sono accorta che solo poche sono scritte perfettamente e in maniera corretta e scorrevole. Non sto dicendo che le vostre ff sono brutte, perché a me piacciono tutte.
Ho deciso di creare questo account  come sfida per me stessa.
Cioè, ho deciso di fare una fan fiction diversa dalle altre, come dire..insolita, ecco.
Ho deciso di farvi scoprire il mio lato da scrittrice con questa storia.
Voglio e dico, voglio, NON che vi faccia dire “carina,aggiorna” oppure “bellissima, aggiorna presto” . NO, VI SIETE SBAGLIATI.
Voglio una storia che insegni, emozioni e che faccia riflettere. In questa storia l’Auslly non mancherà, ma non si baserà solo su quello o su storia d’amore. Mi dispiace, ma io sono l’autrice e decido.
Ora non mi prendete per cattiva o meschina, no. Io ho uno scopo e questo scopo lo voglio portare a termine. Perché sono testarda, quando voglio una cosa, posso rinunciarci anche, ma me la ricorderò per sempre. Ma questa volta, voglio portarla a termine. E non ci sarà nessuno che mi farà cambiare idea.
Il mio nome…Non ce molto da dire. Io cerco me stessa, in un pezzo di carta, nelle storie, nella mia storia.
All’inizio volevo chiamarmi lediciassetteequattrominuti , perche?
Perché è l’ora in cui ho iniziato a scrivere e poi è diventata una vera passione.
Beh…Credo di aver finito.
Buona Lettura.


PORTAMI DOVE NON BISOGNA SOGNARE- OCEANO MARE
                                                               * * *
                                                                 1

Sabbia a perdita d’occhio, tra le ultime colline e il mare

-il mare- nell’aria fredda di un pomeriggio quasi passato, e benedetto dal vento che sempre soffia da nord.
La spiaggia. E il mare.

Potrebbe essere la perfezione  – immagine per occhi divini- mondo che cade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità.

-verità- ma ancora una volta è il salvifico granello dell’uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un’inezia che inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie , minuscola perfezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata.

A vederlo da lontano sembra un punto nero: nel nulla, nel niente di un uomo, anzi, ragazzo e di un cavalletto da pittore.
Il cavalletto è ancorato da corde sottili e quattro sassi posati sulla sabbia. Il ragazzo sta in piedi , di fronte al mare, rigirando tra le dita il pennello sottile. Sul cavalletto, una tela.

E’ come una sentinella.  – questo bisogna capirlo- in piedi, a difendere quella porzione di mondo dall’invasione silenziosa della perfezione, piccola incrinatura che sgretola quella spettacolare scenografia dell’essere.

Giacchè  sempre è cosi, basta il barlume di un ragazzo a ferire il riposo di ciò che sarebbe un attimo dal diventare verità e invece immediatamente torna ad essere attesa e domanda.

Per il semplice e infinito potere di quel ragazzo che è feritoia e spiraglio, porta piccola da cui rientrano storie e fiumi e l’immane repertorio di ciò che potrebbe essere, squarcio infinito, ferita meravigliosa, sentiero di passi a migliaia dove nulla più potrà essere vero, ma tutto sarà.

Proprio come sono i passi di quella ragazza che, avvolta in un mantello blu, misura lentamente la spiaggia, costeggiando la risacca del mare.

E da destra a sinistra l’ormai perduta perfezione dal grande quadro consumando la distanza che la divide dal ragazzo e dal suo cavalletto , fino a raggiungere, con qualche passo da lui, e poi accanto a lui, dove diventa un nulla fermarsi. – e tacendo, guardare.

Il ragazzo non si volta neppure.

Continua a guardare il mare. Silenzio. Di tanto in tanto intinge il pennello nella tazza di rame e abbozza sulla tela pochi tratti leggeri.

Le setole del pennello lasciano dietro di sé l’ombra di una pallidissima oscurità che il vento immediatamente asciuga riportando a galla il bianco di prima.

E sulla tela, niente. Niente che si possa vedere.
Soffia come sempre il vento da nord e la ragazza si stringe nel suo mantello blu.

-Austin, sono giorni che lavori quaggiù, cosa ti porti in giro a fare tutti questi colori se non avete il coraggio di usarli?

Questo sembra risvegliarlo. Questo l’ha colpito. Si gira ad osservare il viso della ragazza. E quando parla non è per rispondere.

-Ti prego, non muoverti – dice

Poi avvicina il pennello al volto della ragazza, esita un attimo, lo appoggia sulle sue labbra e lentamente lo fa scivolare da un angolo all’altro della bocca.

Le setole si tingono di rosso carminio. Lui le guarda, le immerge appena nell’acqua, e rialza lo sguardo verso il mare. Sulle labbra della ragazza rimane l’ombra di un sapore che la costringe a pensare “acqua di mare questo ragazzo dipinge il mare con il mare” – ed è un pensiero che da i brividi.

Lei si è già voltata da tempo, e già stava rimisurando l’immensa spiaggia . Si potrebbe stare ore a guardare quel mare, e quel cielo, e tutto quanto, ma non si potrebbe trovare nulla di quel colore. Nulla che si possa vedere.

La marea, da quelle parti, sale prima che arrivi il buio. Poco prima. L’acqua circonda il ragazzo e il suo cavalletto, se li piglia, adagio ma con precisione, restano li, l’uno e l’altro, impassibili , come un’isola in miniatura o un relitto a due teste.

Austin, il pittore.

Viene a prenderselo, ogni sera, una barchetta, poco prima del tramonto , che l’acqua gli è già arrivata al cuore. E’ cosi che vuole, lui. Sale sulla barchetta, ci carica il cavalletto e tutto, e si lascia riportare a casa.

Il suo dovere è finito. Scampato il pericolo. Si spegne nel tramonto l’icona che ancora una volta non è riuscita a diventare sacra. E ora che se n’è andato non c’è più tempo. Il buio sospende tutto.

Nono c’è nulla che possa, nel buio, diventare vero.
                                                       
                                                      * * *
                                                        2
 
… Solo di rado, e in un modo che taluni, in quei momenti, nel vederla, si udivano dire, a bassa voce
-Ne morirà
O anche
-Ne morirà
E perfino
-Ne morirà
Tutt’intorno,  colline.

La mia terra, pensava il Barone.
Non è proprio una malattia,potrebbe esserlo, ma è qualcosa di meno, se ha un nome dev’essere leggerissimo, lo dici e già è sparito.

Credevano che sarebbe cresciuta e tutto sarebbe passato.
Ma intanto, per tutto il palazzo stendevano tappeti perché, è ovvio, i suoi stessi passi la spaventavano, tappeti bianchi, dappertutto,un colore che non facesse del male,passi senza rumore e colori cechi.

Nel parco i sentieri erano circolari con la sola eccezione ardita di un paio di un paio di viali che serpeggiavano inanellando morbide curve regolari –salmi-  e questo è più ragionevole, in effetti basta un po’ di sensibilità per capire che qualsiasi angolo cieco è un agguato possibile, e due strade che si incrociano con violenza geometrica e perfetta, sufficiente a spaventare chiunque sia seriamente in possesso di una  vera sensibilità e tanto più lei, che non possedeva propriamente un animo sensibile, ma era posseduta da una sensibilità d’animo incontrollabile, esplosa per sempre, chissà in quale momento della sua vita segreta.

Vita da nulla, piccola com’era.  E poi risalita al cuore con vie invisibili , e agli occhi, e alle mani e a tutto, come una malattia,che una malattia non era, ma qualcosa di
meno,se ha un nome dev’essere leggerissimo, lo dici e già è sparito.

Né bisogna dimenticare la storia di Allyson Dawson, che in tutto il Paese non aveva rivali nel tessere la seta, e proprio quel giorno fu chiamata da suo padre: Il Barone.

Era un giorno d’inverno, la neve era alta come bambini, un freddo dell’altro mondo, il cavallo fumava, le zampe a casaccio nella neve  e la slitta dietro a scarrocciare.
Se non arrivo entro dieci minuti forse muoio,come è vero che mi chiamo Allyson ,muoio, e per giunta senza sapere cosa diavolo deve farmi vedere mio padre…

-Cosa vedi, Allyson?

Nella camera della figlia, il Barone sta in piedi di fronte alla parete lunga, senza finestre, e parla piano, con una dolcezza antica.

-Cosa vedi?

Tessuto di Borgogna, roba di qualità, e paesaggi come tanti , un lavoro fatto bene.

-Non sono paesaggi qualunque, Allyson, o almeno non lo sono per mia figlia

Sua figlia.

E’ una specie di mistero, ma bisogna capire, lavorando di fantasia, e dimenticare quel che si sa in modo che l’immaginazione possa vagabondare libera, correndo lontana dentro le cose fino a vedere com’è l’anima non è sempre diamante, ma alle volte velo di seta –questo posso capirlo- immagina un velo di seta trasparente, qualunque cosa potrebbe stracciarlo, anche uno sguardo. E pensa una pano che lo prende. –Una mano di una ragazza-  che si muove lentamente e lo stringe tra le dita, ma stringere è già troppo.

-Allyson, ce un modo di fare degli uomini che non facciano del mare?

Se la deve essere chiesta anche Dio, questa al momento buono.

-Non so, ma ci proverò

Nella bottega, Allyson lavorava da mesi con i chilometri di fili di seta. Ma lei amava scrivere,scrivere vicino al mare. Come Austin che amava dipingere, dipingere vicino al mare.

Mesi.

Poi un giorno un carro arrivò al palazzo del Barone, e sul carro cera il capolavoro di Allyson. Tre enormi rotoli di stoffa con incise varie frasi poetiche su ognuna di esse.

Li portarono su per la scalinata e poi lungo i corridoi e di porta in porta fino al cuore del palazzo, nella stanza che li aspettava.

Fu un attimo prima che li srotolassero, e il Barone mormorò:

-E gli uomini?

Allyson sorrise.

-Se proprio ci devono essere degli uomini, che almeno violino, e lontano

Il Barone scelse la luce del tramonto per prendere sua figlia per mano e portarla nella sua nuova stanza.

Allysono dice che quando entrò arrossi subito, di meraviglia, e il Barone per un istante temette  che la sorpresa potesse essere troppo forte, ma non fu che un istante, perche subito si fece udire l’irresistibile silenzio di quel mondo di seta dove una terra clemente riposava lietissima, e piccoli uomini, sospesi nell’aria, misuravano a passo lento l’azzurro pallido del cielo.

 –e questo non potrà mai dimenticarlo- che lei si guardò a lungo intorno e poi voltandosi sorrise.

Si chiamava Allyson.

Aveva una voce bellissima, velluto, e quando camminava sembrava scivolasse nell’aria, che non potevi smettere di guardarla.

Ogni tanto, senza ragione, le piaceva mettersi a correre, lungo i corridoi, incontro a chissà cosa, su quei tremendi tappeti bianchi, smetteva di essere l’ombra che era e correva. Ma solo di rado.

E in un modo che taluni, in quei momenti, nel vederla, si udivano dire a bassa voce …
 
  
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